LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 2809 del ruolo generale contenzioso dell'anno 1993, posta in decisione all'udienza collegiale dell'8 marzo 1996 e vertente tra Lancellotti Massimo Paolo Franco, elett.te dom.to in Roma, via di Monserrato n. 34, presso lo studio dell'avv. Giuseppe Gueli, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti, appellante, e la provincia di Roma, in persona del presidente p.t., elett.te do.ta in Roma, via IV Novembre n. 119/A, presso lo studio dell'avv. Massimiliano Sieni, che la rappresenta e difende giusta procura in atti, appellata, oggetto: Risarcimento danni. Fatto Con citazione notificata il 22 febbraio 1990 Paolo Enrico Massimo Lancellotti conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Roma la provincia di Roma per sentirla condannare al risarcimento dei danni da lui subiti in conseguenza della occupazione di un terreno di sua proprieta' e della successiva perdita di esso per effetto della costruzione di una scuola. Instauratosi il contraddittorio, l'Amministrazione convenuta eccepiva l'inammissibilita' della domanda ed il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per non essere ancora scaduto il termine di occupazione legittima ed essere in corso la procedura espropriativa. Con sentenza in data 26 gennaio/6 marzo 1993 il Tribunale adito dichiarava inammissibile la domanda, ritenendo essere ancora in corso l'occupazione legittima. Su appello del Lancellotti, questa Corte, con sentenza depositata il 9 gennaio 1995, ritenuto che nelle more del giudizio era maturato il termine di occupazione legittima, il cui decorso si poneva come condizione dell'azione, accoglieva la domanda di risarcimento del danno, rimettendo la causa in istruttoria per la quantificazione dello stesso. Entrata in vigore, nelle more del giudizio, la legge 28 dicembre 1995 n. 549, sulla cui applicabilita' alla presente fattispecie l'appellante sollevava dubbi di illegittimita' costituzionale, le parti venivano invitate a precisare le conclusioni e rimesse dinanzi al Collegio, che si riservava la decisione all'udienza dell'8 marzo 1996. Diritto Rileva la corte che nelle more del presente giudizio di appello - avente ad oggetto il risarcimento del danno da illegittima occupazione acquisitiva - e' entrata in vigore la legge 28 dicembre 1995 n. 549, il cui articolo 1, comma 65, ha esteso l'applicazione del criterio legale di determinazione delle indennita' di esproprio di cui all'art.5-bis del d.-l. n. 333/92, conv. con modifiche nella legge n. 359/92, anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive. Detto articolo testualmente recita: "Il comma 6 dell'articolo 5-bis del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, e' sostituito dal seguente: Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decret". A parere della Corte, il riferimento al "risarcimento del danno" va interpretato nel senso dell'applicabilita' della disciplina di cui all'art. 5-bis legge n. 359/1992 alle fattispecie di occupazione appropriativa, come risulta e dall'accostamento testualmente operato con l'"indennizzo" da espropriazione e dalla constatazione che, in subiecta materia, nessuna altra ipotesi di danno puo' configurarsi, fatta eccezione per quello derivante da occupazione illegittima, per la cui liquidazione la giurisprudenza ha elaborato criteri di determinazione del tutto differenti rispetto a quelli previsti dalla legge soprarichiamata. L'interpretazione della norma, anche alla luce dei primi commenti della dottrina, porta alla conclusione che con la norma in esame il legislatore abbia voluto equiparare, quanto agli effetti per il privato che subisce la perdita del diritto di proprieta', il procedimento espropriativo e la fattispecie meglio nota come occupazione appropriativa o accessione invertita. Cosi' interpretata la norma, non puo', sul piano sistematico, non criticarsi il legislatore per l'inserimento della materia del risarcimento da accessione invertita nell'art. 5-bis che riguarda esclusivamente le espropriazioni, come si evince con chiarezza dall'insieme delle disposizioni in esso contenute, nessuna delle quali riferibile a soggetti che non siano quelli della procedura di esproprio, a beni che non siano quelli espropriati o ad indennita' che non sia quella di espropriazione. Comunque, considerata anche la sua immediata applicazione ai giudizi in corso, la norma, a parere della Corte, appare inficiata da evidenti profili di illegittimita' costituzionale, specie con riferimento agli articoli 3, 42 terzo comma e 97 della Costituzione. Sotto il profilo dell'art. 3 Cost., va rilevato che la stessa Corte costituzionale, nella nota decisione n. 442/1993 con la quale ritenne manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 5-bis legge n. 359/1992, ebbe a precisare che le due fattispecie, dell'espropriazione e dell'occupazione appropriativa, sono "assolutamente divaricate e non comparabili. Nella prima c'e' un procedimento espropriativo secundum legem (ossia nel rispetto dei presupposti formali e sostanziali che rappresentano altrettante garanzie per il proprietario espropriato) e quindi vengono in rilievo le opzioni (discrezionali) del legislatore in ordine al criterio di calcolo dell'indennita' di espropriazione; la seconda ipotesi si colloca fuori dai canoni di legalita' (perche' e' la stessa realizzazione dell'opera pubblica sull'area occupata, ma non espropriata, ad impedire di fatto la retrocessione e a comportare l'effetto traslativo della proprieta' del suolo per accessione dell'opera) e quindi ben puo' operare il diverso principio secondo cui chi ha subito un danno per effetto di un'attivita' illecita ha diritto ad un pieno ristoro". Orbene, la norma denunciata, equiparando il risarcimento del danno da accessione invertita alla indennita' di espropriazione, introduce una vistosa disparita' di trattamento tra cittadini, che subiscano ad opera della, p.a. una attivita' lesiva dei loro diritti soggettivi qualificabile come illecita e consistente nella arbitraria occupazione di beni finalizzata alla realizzazione di opere pubbliche e cittadini che, invece, subiscano un illecito ad opera di altri soggetti che non siano pubbliche amministrazioni (o che, pur essendolo, compiano un'attivita' non precipuamente finalizzata alla realizzazione di opere pubbliche). E' evidente che nel primo caso, applicando la nuova normativa censurata, il risarcimento dovuto al privato a seguito dell'illecita sostanziale ablazione sara' pari alla semisomma del valore venale e del reddito dominicale del bene irreversibilmente acquisito dalla p.a., mentre, nell'altro caso, al privato sara' dovuto un risarcimento integrale. Aggiungasi, poi, che con la norma denunciata si e' voluto unificare, almeno negli effetti ultimi, due fattispecie dalla stessa Corte costituzionale qualificate "assolutamente divaricate e non comparabili", con patente violazione del precetto dell'art. 3 Cost. sotto il profilo della disparita' di trattamento, imponendosi per legge una uguale disciplina in situazioni assolutamente diverse, laddove la stessa Corte aveva ritenuto che chi "ha subito un danno per effetto di un'attivita' illecita ha diritto ad un pieno ristoro". Sotto ulteriore profilo, va, peraltro, evidenziata la disparita' di trattamento conseguente alla applicazione della norma in esame tra coloro che, subendo l'esproprio attraverso i meccanismi di una regolare procedura espropriativa (che sia rispettosa, cioe', dei principi legislativi vigenti in materia), potranno usufruire di tutte le garanzie previste dalla legge a favore dei soggetti espropriandi (facolta' di presentare osservazioni, di convenire la cessione volontaria, di accettare l'indennita' od opporsi alla stessa, etc.) e degli obblighi posti a carico del soggetto espropriante (munirsi della dichiarazione di p.u., osservanza di termini, obbligo di effettuare determinati adempimenti etc.) , e coloro che, invece, per essere stati coinvolti in comportamento di fatto abusivo, in una procedura arbitraria ed irrituale (occupazione illecita o sine titulo) risulteranno sforniti delle piu' elementari garanzie e tutele procedimentali, sicche' dovranno subire impotenti la totale ed illecita privazione del bene, senza peraltro beneficiare del diritto di percepire, come nel passato, a rifusione del danno il valore per equivalente del bene stesso. Ma, principalmente, la disposizione in esame contrasta con il combinato disposto degli artt. 42 e 97 della Costituzione, che sanciscono, rispettivamente, il diritto del cittadino ad ottenere una congrua indennita' per la perdita del bene conseguente all'attivazione di una regolare procedura di esproprio e l'obbligo dell'Amministrazione di assicurare il buon andamento e l'imparzialita', quindi, la correttezza del proprio operato. Non v'e' chi non veda come tali principi, a seguito della introduzione della norma de qua, vengano totalmente svuotati del loro precipuo significato, atteso che la operata parificazione dei criteri di determinazione dell'entita' del risarcimento da atto illecito a quelli previsti per l'indennita' di esproprio ha sostanzialmente promosso l'illecito amministrativo ad attivita' lecita con conseguente violazione del precetto costituzionale di cui all'art. 42 Cost., che impone, invece, come unica fonte legittima di ablazione dei beni (e del diritto di percepire la giusta indennita') la procedura espropriativa. Corollario di quanto sopra esposto e' l'amara constatazione che il legislatore, con la disposizione in esame, ha finito per premiare i comportamenti arbitrari e le attivita' illecite dell'Amministrazione, la quale, lungi dall'attuare un "giusto procedimento" in base ai noti principi costituzionali di imparzialita' ed efficienza amministrativa, come sanciti dall'art. 97 Cost., si trovera' nel futuro non solo agevolata ma perfino invogliata ad adottare sempre e soltanto procedure irrituali e non rispettose delle leggi in materia espropriativa, essendo ormai venuto meno il deterrente del maggior costo economico (in termini di obbligo alla rifusione integrale del danno) dell'attivita' illecita rispetto a quella lecita. L'art. 97 Cost. e' cosi doppiamente violato: perche' l'organizzazione degli uffici, preposti alla materia in esame, lungi dall'essere vincolata alle disposizioni di legge, che presiedono alla materia medesima, ne prescindera', non sussistendo piu' alcuna conseguenza onerosa per la p.a., rendendo di fatto irresponsabili i pubblici funzionari e, quanto al "buon andamento", esso consistera' nel compimento di fatti illeciti. Con buona pace del principio di legalita'. Considerato che la questione prospettata appare rilevante per il giudizio in corso, che non puo' essere definito indipendentemente dalla sua decisione, vanno rimessi gli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di sua competenza.