IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 942/1987 del r.g., passata in decisione all'udienza del 16 gennaio 1996 tra Nardone Nino, di Nino & C. s.n.c., in persona dell'amministratore, elettivamente domiciliato in Venticano, alla Via S. Croce n. 3 presso lo studio dell'avv. Carminantonio Colantuoni, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine della citazione, attrice, il comune di Pietradefusi, in persona del sindaco pro-tempore, autorizzato a resistere in giudizio con delibera della g.m. n. 116 del 20 maggio 1987, rappresentato e difeso dall'avv. Barletta Blandisio, con mandato a margine della comparsa di risposta, elettivamente domiciliato in Benevento, presso il Consiglio dell'ordine degli avvocati, convenuto. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 30 aprile 1987, la Nardone Nino, di Nino & C. s.n.c., conveniva in giudizio il comune di Pietradefusi, esponendo che il suddetto ente aveva occupato a fini espropriativi un fondo di sua proprieta', sito in Venticano, irreversibilmente trasformato dall'opera pubblica realizzata nel corso della stessa, senza che la procedura espropriativa fosse stata perfezionata. Alla stregua di quanto esposto, l'attrice chiedeva il risarcimento dei danni per la ravvisata illegittima "occupazione acquisitiva" di suolo subita, nonche' il pagamento delle indennita' per i periodi di occupazione legittima ed illegittima. Si costituiva l'ente, che eccepiva l'infondatezza della domanda, deducendo, altresi', che il termine quinquennale di occupazione era stato prorogato dalla legge n. 42/1985. Nel corso dell'istruzione, il g.i. nominava un c.t.u., al fine di determinare il valore venale del suolo occupato, gli altri danni eventualmente arrecati, nonche' le indennita' per i periodi di occupazione legittima ed illegittima. Precisate le conclusioni, la causa veniva rimessa al collegio. Nella comparsa conclusionale, il comune convenuto invocava l'applicazione, nella riliquidazione del risarcimento dovuto alla controparte, dell'art. 5-bis del d.-l. n. 333/1992, convertito con modificazioni nella legge n. 359/1992, cosi' come sostituito dall'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge n. 549/1995, entrata in vigore nelle more del giudizio. All'udienza del 16 gennaio 1996, il collegio si riservava ogni decisione. Motivi della decisione Rileva il tribunale che nelle more del presente giudizio, in virtu' della modifica apportata dall'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 ("Misure di razionalizzazione della finanza pubblica") entrata in vigore dal 1 gennaio 1996 come previsto dall'art. 244), e' stata estesa l'applicazione del criterio legale di determinazione delle indennita' espropriative di cui all'art. 5-bis del d.-l. n. 333/1992 convertito con modificazioni nella legge n. 359/1992 anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive. Come e' noto, l'art. 5-bis citato nel testo previgente disponeva, tra l'altro (comma n. 1) che, fino all'approvazione di una "organica disciplina per tutte le espropriazioni" preordinate alla realizzazione di opere di pubblica utilita', la misura delle indennita' espropriative sarebbe stata determinata con il criterio di cui all'art. 13/III della legge n. 2892 del 1895, sostituendo in ogni caso ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato di cui all'art. 24 e seguenti del t.u. 22 dicembre 1986, n. 917 (in pratica operando la media aritmetica tra il valore venale del suolo e la rendita catastale rivalutata degli ultimi dieci anni), riducendo poi l'importo ottenuto del 40% (salvi i casi di cessione volontaria e quelli equiparati, a seguito della sentenza n. 283/1993 della Corte costituzionale). Il sesto comma dell'articolo citato escludeva dall'applicazione dei criteri indennitari sopra indicati solo i casi in cui l'indennita' fosse stata accettata dalle parti o fosse divenuta non impugnabile con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.-l. n. 333/1992 (in pratica all'8 agosto 1992). L'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge n. 549/1995 ha sostituito integralmente tale ultimo comma, nei termini testuali seguenti: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno, alla data di conversione del presente decreto". Che il risarcimento dei danni di cui al nuovo disposto normativo sia quello relativo alla perdita della proprieta', nei casi di "occupazione acquisitiva" o "accessione invertita", non e' seriamente contestabile, tenuto conto dell'operato abbinamento, disgiuntivo e congiuntivo, nella previsione legislativa, all'indennita' di espropriazione e considerato che, nella materia de qua, il solo altro risarcimento ipotizzabile e' quello da occupazione temporanea illegittima, per la determinazione del quale e' del tutto inconcepibile il ricorso ai criteri determinativi sopra menzionati (in cui uno dei valori da mediare e' dato dal valore cd. "pieno" del suolo). Evidente e', dunque, l'intenzione del legislatore il quale, per palesi esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha ritenuto di equiparare del tutto, sul piano patrimoniale, alle conseguenze derivanti dalle espropriazioni legittime, quelle derivanti dalle illegittime ablazioni di "fatto", poste in essere dalla p.a. o dai soggetti per conto della stessa operanti, facendo salve solo (come gia' avvenuto nel 1992) le determinazioni divenute inoppugnabili in sede amministrativa o per effetto di giudicato. Prescindendo da ogni considerazione, non rilevante nella fattispecie, in ordine ai dubbi di applicabilita' intertemporale (nel periodo compreso tra l'8 agosto 1992 e il 1 gennaio 1996) dell'ultima disposizione, e' certo che nella vertenza in esame, essendo ancora, tra l'altro, controverso l'importo del risarcimento dovuto all'attrice in conseguenza della subita "occupazione acquisitiva" (la cui verificazione, peraltro, e' pacifica, controvertendosi solo in ordine alla risalenza della stessa, se alla scadenza del quinquennio o del successivo biennio di una assunta proroga legale dell'occupazione di urgenza), non si e' ancora formato un "giudicato" in ordine all'"entita'" di tale spettanza e, pertanto, occorre applicare necessariamente il jus superveniens alla principale delle questioni, di carattere sostanziale, dibattuta tra le parti. Da quanto sopra considerato discende la rilevanza ai fini del presente giudizio, come richiesto dall'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, della questione di costituzionalita' dell'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge n. 549/1995, attesa la natura di area edificabile del fondo dell'attrice, come emerso dalla c.t.u. Tanto premesso, osserva il tribunale che tale questione si configura, in relazione agli artt. 3, 42 e 97 della Costituzione non palesamente infondata. L'operata parificazione tra le conseguenze patrimoniali delle ablazioni lecite e di quelle illecite si risolve, infatti, in una irrazionale e non adeguatamente giustificata attenuazione, se non elusione, del principio di legalita' delle espropriazioni, poste a garanzia del diritto di proprieta' privata che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della suprema Corte di cassazione e della Corte costituzionale, puo' essere si' sacrificato previo indennizzo, in vista delle esigenze della collettivita' ed in considerazione della sua funzione sociale, ma nei casi previsti dalla legge e nel rispetto delle rigorose forme dei procedimenti amministrativi finalizzati alla espropriazione. I seri dubbi di legittimita' costituzionale, in relazione al principio di uguaglianza di cui all'art. 3, si pongono sotto un duplice profilo: 1) per l'ingiustificata discriminazione, rispetto ad altre categorie di soggetti passivi di atti illeciti, dei titolari dei diritti di proprieta' immobiliare illegittimamente acquisiti dalla p.a. o da chi, per essa, si sia avvalso dell'istituto dell'occupazione acquisitiva, in quanto nei confronti ed a discapito dei predetti la norma introdotta dall'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge n. 549/1995 introduce una vistosa deroga ad uno dei principi basilari dell'ordinamento civilistico, a termini del quale chi abbia, per effetto della violazione della fondamentale regola di convivenza sociale del neminem laedere, subito un danno, ossia una decurtazione del proprio patrimonio, ha diritto all'integrale ricostituzione dello stesso a carico dell'autore dell'illecito, soggetto pubblico o privato che sia (art. 2043 del c.c.); 2) per l'irrazionale, ingiustificata e totale parificazione, a gli effetti patrimoniali, delle conseguenze delle espropriazioni svoltesi nel rispetto delle regole ad esse preordinate e di quelle della ablazioni "di fatto", verificatesi in conseguenza della mancata osservanza delle regole medesime. Tale parificazione non puo' trovare adeguata giustificazione nelle palesi esigenze di contenimento della spesa pubblica, che hanno indotto il legislatore ad introdurre la censurata disposizione, essendo altri i mezzi e le regole preordinate al corretto prelievo finanziario (v. artt. 23 e 53 della Costituzione), e non anche il sostanziale avallo dell'illecito posto in essere dalla p.a., nel quale si risolve l'operata eliminazione di ogni conseguenza patrimoniale sfavorevole per la stessa, in dipendenza della mancata osservanza del procedimento espropriativo, con il conseguente venir meno della principale remora al compimento di atti illegittimi. Ne', considerando la due diverse situazioni, di ablazioni lecite ed illecite, dal punto di vista dei soggetti passivi, puo' ritenersene la sostanziale equivalenza. Se e' vero, infatti, che i sacrifici, in termini di diritti dominicali, sono materialmente analoghi, deve pero' osservarsi che non uguali ne sono le rispettive situazioni, considerate sotto vari diversi aspetti, tra i quali vanno, particolarmente, segnalati: a) la possibilita', solo ove il procedimento occupativo-espropriativo si svolga secondo le regole, di controllarne l'iter e, se del caso, di intervenire nel corso dello stesso, quali portatori di interessi legittimi correlati al compimento dei vari atti procedimentali, nelle competenti sedi amministrative e giurisdizionali; b) il regime della prescrizione estintiva, che e' piu' favorevole per i detti soggetti, nelle ipotesi di legittima espropriazione, in quanto il diritto alle indennita' si estingue nel termine ordinario decennale di cui all'art. 2946 del c.c., mentre nel caso di "accessione invertita" conseguente ad illecita occupazione il termine prescrizionale applicabile al diritto al risarcimento dei danni e' quello quinquennale di cui all'art. 2947 del citato codice. Conseguenziali alle suesposte considerazioni si pongono i forti dubbi di legittimita' in relazione all'art. 42/III della Costituzione, considerato che l'operata parificazione agli effetti patrimoniali vanifica del tutto o in gran parte il principio di legalita' delle espropriazioni, posto a presidio della proprieta' privata, se e' vero che, anche nel caso "patologico" di violazione della legge, la p.a. puo' acquisire il diritto anzidetto, contraendo nei confronti degli ex titolari dello stesso obbligazioni quantitativamente identiche a quelle, nella previgente disciplina piu' contenute, che avrebbe contratto nell'ipotesi "fisiologica" di osservanza della legge stessa. Ne' si puo' ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre il nuovo istituto della "espropriazione di fatto", da porsi accanto alla procedura espropriativa rituale e legittima; invero, l'espesso riferimento al risarcimento del danno, contenuto nella norma in questione, esclude chiaramente tale ipotesi, ed, anzi, si configura come una chiara conferma del carattere illecito dell'"occupazione acquisitiva". L'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge n. 549/1995 appare, altresi', in contrasto con il disposto dell'art. 97, primo comma della Costituzione, secondo cui i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. Tale norma postula che la realizzazione dei compiti assegnati all'amministrazione non deve andar disgiunta dal rispetto dalla giustizia sostanziale, che s'impone sia nel confrontare gli interessi dei singoli con quelli dell'amministrazione, sia nel confrontare tra loro gli interessi dei vari soggetti estranei all'amministrazione inseriti nell'azione di questa. Ora, il detto art. 1, nel prevedere che enti pubblici debbono procedere al risarcimento dei danni, applicando i criteri relativi alla determinazione dell'indennita' espropriativa, per le aree edificabili, ha introdotto una regola dell'azione amministrativa che non garantisce, certo, il principio d'eguaglianza tra i "soggetti passivi" delle "espropriazioni di fatto", e i "soggetti passivi" di qualunque altro illecito aquiliano posto in essere dalla p.a. tra i quali, come detto, emerge una chiara e non razionale diversita' di trattamento. Giova, a questo punto, precisare che il collegio non ignora che l'istituto dell'occupazione acquisitiva ha recentemente superato indenne il vaglio di legittimita' da parte della Corte costituzionale (v. sentenza n. 188 del 17-23 maggio 1995). Ma la questione oggi si pone in termini diversi, rispetto a quelli a suo tempo rimessi a detta Corte (che pur ebbe a puntualizzare le piu' significative differenze, caratterizzate e giustificate, sul piano della legittimita' costituzionale, anche e soprattutto dalle diverse conseguenze patrimoniali delle due forme di ablazione), considerato che, all'epoca mancava un riconoscimento legislativo espresso, sia pure in forma indiretta, dell'occupazione acquisitiva e che le conseguenze patrimoniali dei due istituti erano nettamente diverse (ristoro parziale, in considerazione della funzione sociale della proprieta' e delle garanzie di legge, nel caso dell'indennizzo espropriativo, e reintegrazione piena della decurtazione patrimoniale subita dal soggetto passivo, nel caso di risarcimento da illegittima acquisizione). Il processo va, pertanto ed ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sospeso e gli atti rimessi, previ adempimenti di rito in dispositivo indicati, alla Corte costituzionale, per il giudizio di sua competenza, a termini degli artt. 134 e seguenti della Costituzione.