ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 9, 12 e 12-bis del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 5 maggio 1995 dalla Corte di cassazione sui ricorsi promossi dall'INPS contro D'Amico Nicola e Ancona Aurelia, iscritte ai nn. 859 e 860 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1995; Visti gli atti di costituzione di D'Amico Nicola, Ancona Aurelia e dell'INPS nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 14 maggio 1996 il giudice relatore Cesare Ruperto; Uditi gli avv.ti Salvatore Cabibbo per D'Amico Nicola e Ancona Aurelia, Carlo De Angelis per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri; Ritenuto che con due ordinanze di analogo contenuto - entrambe emesse il 5 maggio 1995 nel corso di altrettanti giudizi promossi da lavoratori agricoli "eccezionali" al fine di ottenere dall'INPS la pensione di anzianita' - la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questioni di costituzionalita' dell'art. 7, commi 9, 12 e 12-bis del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, nella parte in cui hanno elevato il requisito contributivo effettivo richiesto ai lavoratori agricoli eccezionali dall'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, in modo tale da pregiudicare il conseguimento della pensione di anzianita', stante anche l'esclusione della possibilita' della rivalutazione dei contributi nell'arco dell'intero periodo assicurativo; che, secondo il giudice a quo va condiviso il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza del 14 febbraio 1995 n. 1568, la quale ha affermato che, ai fini del perfezionamento del diritto alla pensione di anzianita' degli operai agricoli, il requisito contributivo stabilito dalle norme impugnate e' costituito, non solo dalla contribuzione complessiva pari a 5460 contributi giornalieri per l'intero periodo, quantomeno trentacinquennale, di iscrizione agli elenchi nominativi di categoria - cui peraltro non concorrono i contributi figurativi per malattia e disoccupazione ordinaria, ne' si applica alcuna rivalutazione per i contributi relativi ai periodi anteriori al 1 gennaio 1984 -, ma anche da un minimo di contribuzione annua, pari a 270 contributi giornalieri per ciascuno degli anni di iscrizione, formato (anche) dai menzionati contributi figurativi e soggetto alla prevista rivalutazione concernente, appunto, i contributi relativi ai periodi anteriori al 1 gennaio 1984; che tuttavia - a giudizio della Corte rimettente - seguendo tale interpretazione, l'esclusione dell'operativita' del temperamento della rivalutazione rispetto al concorrente requisito dei contributi effettivi per 5460 giornate lavorative (elevato per tutte le categorie di lavoratori agricoli, senza piu' le differenziazioni di cui alla precedente normativa, che contemplava requisiti contributivi meno gravosi per alcune specifiche categorie di lavoratori agricoli caratterizzate dalla eccezionalita' dell'opera prestata o dall'eta' del prestatore) comporta un inasprimento del regime giuridico preesistente, con pregiudizio delle relative situazioni soggettive afferenti a rapporti di durata, giunti oltretutto in fase avanzata; che dette norme si pongono percio' in contrasto, sia con l'art. 3 della Costituzione, per la lesione del principio di uguaglianza sostanziale derivante dalla disparita' di trattamento tra i lavoratori che abbiano perfezionato tutti i requisiti per la pensione anteriormente al 1984 e quelli che successivamente a tale data soggiacciono alla nuova e meno favorevole disciplina, sia col successivo art. 38, in quanto la notevole elevazione del requisito contributivo puo' di fatto precludere alle persone prossime al raggiungimento dell'eta' pensionabile la possibilita' di maturare il diritto alla pensione di anzianita', in contrasto con le primarie esigenze di vita dei lavoratori; che in particolare, poi, l'art. 7, comma 12-bis, risulta intrinsecamente irragionevole, la' dove esso - contestualmente al meccanismo della rivalutazione dei contributi giornalieri versati - ne prevede l'annullamento nella parte superiore a 270 per anno, non consentendo di utilizzare (in termini di media contributiva di cui all'art. 22 della citata legge n. 153 del 1969) i periodi di massima attivita' per neutralizzare gli effetti negativi derivanti da periodi di minore intensita' occupazionale; che, nella sola ordinanza r.o. n. 859 del 1995, tale ultima norma viene infine censurata con riferimento all'ulteriore irragionevole elemento di discriminazione operante tra i lavoratori piu' anziani e quelli piu' giovani, in quanto l'indennita' di disoccupazione, che da' luogo alla contribuzione figurativa computabile nelle 270 giornate di contribuzione annua e' stata introdotta soltanto con l'emanazione del d.P.R. 24 ottobre 1955, n. 1323, per cui i lavoratori che abbiano iniziato a lavorare prima di quell'anno non sempre possono raggiungere il limite sancito nonostante la prevista rivalutazione; che, nel solo giudizio promosso con r.o. n. 859 del 1995, e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha concluso per la manifesta infondatezza delle questioni, siccome gia' dichiarate infondate con la sentenza n. 573 del 1990 di questa Corte; che, in entrambi i giudizi, si e' costituito l'INPS, concludendo (con motivazioni ribadite in due identiche memorie depositate nell'imminenza dell'udienza) per l'inammissibilita' delle questioni - in ragione dell'interpretazione autentica delle norme censurate fornita dalla richiamata decretazione d'urgenza (art. 3 del decreto-legge n. 449 del 1995, reiterato dal decreto-legge n. 554 del 1995 e dal decreto-legge n. 84 del 1996), secondo la quale non e' piu' richiesto, per i periodi precedenti al 1 gennaio 1984, il requisito delle 270 giornate di contribuzione annua e la rivalutazione, di cui all'impugnato primo comma2 dell'art. 7, opera anche per il raggiungimento del requisito delle 5460 giornate di contribuzione complessive - ovvero per la loro infondatezza nel merito; che si sono costituiti, altresi', i ricorrenti dei giudizi a quibus aderendo sostanzialmente alle prospettazioni contenute nelle ordinanze di rimessione e concludendo per l'accoglimento delle sollevate questioni o, in via subordinata - come prospettato in una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza -, per la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, per ius superveniens. Considerato che le due ordinanze di rimessione prospettano questioni identiche o connesse e che, pertanto, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia; che questa Corte e' chiamata, tra l'altro, a decidere se i commi 9, 12 e 12-bis dell'art. 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638 - cosi' come interpretati dalle sezioni unite della Corte di cassazione, con la richiamata sentenza del 14 febbraio 1995 n. 1568 - violino l'art. 3 della Costituzione per la derivante disparita' di trattamento tra i lavoratori che abbiano perfezionato tutti i requisiti per la pensione anteriormente al 1984 e quelli che successivamente a tale data soggiacciono alla nuova e meno favorevole disciplina, dovuta all'innalzamento dei requisiti contributivi per le categorie dei braccianti eccezionali, con esclusione della possibilita' della rivalutazione dei contributi nell'arco dell'intero periodo assicurativo, nonche' l'art. 38 della Costituzione, in quanto l'elevazione del requisito contributivo, non temperato dal meccanismo della rivalutabilita', puo' di fatto precludere alle persone prossime al raggiungimento dell'eta' pensionabile la possibilita' di maturare il diritto alla pensione di anzianita'; che, successivamente all'emissione delle ordinanze di rimessione, e' stato emanato il decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 449 (Interventi urgenti per la disciplina della soppressione del Servizio per i contributi agricoli unificati, nonche' per la definizione dei criteri di determinazione del diritto alla pensione di anzianita' degli operai agricoli dipendenti), il quale, in particolare, all'art. 3 cosi' dispone: "1. Il nono comma dell'art. 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, si interpreta nel senso che ai fini della determinazione del diritto alla pensione di anzianita' degli operai agricoli dipendenti, sono richiesti 35 anni di anzianita' assicurativa e un requisito minimo di contribuzione di 5460 giornate, con esclusione di quelle coperte da contribuzione figurativa per malattia e per indennita' ordinaria di disoccupazione. L'anno di contribuzione dei suddetti operai agricoli ai fini del diritto a pensione di anzianita' e' costituito da 156 contributi giornalieri. 2. Per le giornate di contribuzione inferiori a 270, riferite ad anni antecedenti il 1 gennaio 1984, la rivalutazione con i coefficienti 2,60 e 3,86, di cui al comma 12 dell'art. 7 del decreto-legge di cui al primo comma, non puo' determinare per ciascun anno il superamento ne' delle 270 giornate complessive ne' delle 156 giornate utili per il diritto a pensione di anzianita'.; che tali disposizioni sono state riprodotte - nell'identico tenore testuale - nei decreti-legge 29 dicembre 1995, n. 554, 26 febbraio 1996, n. 84, e, da ultimo, nel decreto-legge 26 aprile 1996, n. 219, attualmente vigente; che, essendo mutato il complessivo quadro normativo, gli atti vanno restituiti ai giudici rimettenti, perche' valutino se, in base alla nuova disciplina, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti nei giudizi principali.