Ricorso per conflitto di attribuzione ex  art.  134,  terzo  comma,
 Cost. e art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
   La  regione  Calabria,  in  persona del suo presidente pro-tempore,
 prof. Giuseppe Nistico', ai fini della presente procedura autorizzato
 con  delibera  giunta  regionale  n.  2568  del  16  aprile  1996  ed
 elettivamente  domiciliata  in  Roma, via L. Concetti n. 1, presso lo
 studio dell'avv.  Raffaele Mirigliani, dal quale  e  rappresentata  e
 difesa, per procura a margine, espone quanto segue:
     con  deliberazione  n.  77  del  26  febbraio  1996  il consiglio
 regionale della Calabria, in accoglimento della domanda proposta  dal
 cittadino   elettore  dott.  Giuseppe  Lombardo,  ha  proceduto  alla
 contestazione della incompatibilita' per lite pendente con la regione
 Calabria al consigliere regionale Pietro Fuda ai  sensi  dell'art.  7
 commi  terzo  e  seguenti  della  legge  23 aprile 1981, n. 154 e per
 l'effetto ha statuito di "assegnare al consigliere Fuda giorni 10  di
 tempo  per  formulare  osservazioni  o  per  eliminare  la  causa  di
 incompatibilita' in questione".
   Con successiva deliberazione 14 marzo  1996,  n.  81  il  consiglio
 regionale,  provvedendo  in  via  conseguenziale  alla  detta propria
 deliberazione n. 77/1996, ha statuito di prendere atto del fatto  che
 lo   stesso   consigliere  Fuda  aveva  eliminato  la  condizione  di
 incompatibilita' per lite pendente ed ha confermato la sua elezione a
 consigliere regionale.
   Senonche' il tribunale di Catanzaro, cui pure era stata prospettata
 e  documentata  la  pendenza  della  procedura  amministrativa di cui
 sopra, con  sentenza n. 503 del 6 marzo/14 marzo 1996, su ricorso  di
 altro  soggetto per la medesima questione, ha dichiarato la decadenza
 del consigliere Pietro Fuda ed ha proclamato l'elezione del primo dei
 non eletti Francesco G. Minniti.
   Cio' posto e' evidente che si pone un conflitto di attribuzione tra
 la regione Calabria concludente ed i poteri dello Stato rappresentati
 dall'organo giurisdizionale che ha operato come sopra.
   Occorre richiamare, come premessa, lo spirito della  legge  n.  154
 del  1981  con  la  quale  e' stato riordinato l'intero sistema delle
 ineleggibilita' ed  incompatibilita'  in  direzione  del  superamento
 degli  inutili  rigorismi  e  delle irragionevolezze della precedente
 legislazione,     che     mortificavano     ingiustificatamente     o
 sproporzionatamente,   il   responso   elettorale  e  il  diritto  di
 elettorato passivo costituzionalmente garantito.
   Tra le innovazioni essenziali, nello spirito di cui  sopra,  e'  la
 previsione  del  procedimento  amministrativo per la contestazione ed
 eventuale rimozione delle cause ostative rimuovibili  -  siccome  non
 incidenti   sulla   regolarita'   del   procedimento  elettorale,  ma
 semplicemente fonti di  pericolo  per  il  corretto  esercizio  delle
 funzioni  dell'eletto  -  intereressando  rei  publicae  non certo la
 "sanzione" della decadenza (che in definitiva si viene a  porre  come
 repressione della volonta' popolare), ma la rimozione del pericolo di
 cui prima.
   Non  si  intende  disconoscere  che  -  sia  pure dopo una serie di
 manifestazioni in senso contrario e solo  a  seguito  dell'intervento
 delle   sezioni   un.   della   s.c.  -  la  successiva  elaborazione
 giurisprudenziale  ha  ritenuto,  cio'  nonostante,   la   permanenza
 dell'azione diretta in sede giurisdizionale per la declaratoria della
 decadenza  ex  art.  9-bis testo unico 570/1960. Ma le stesse ragioni
 del contrasto di cui sopra valgono comunque ad indurre ad  accogliere
 l'indirizzo  di  cui sopra cum grano salis, escludendo l'operativita'
 qualora il procedimento amministrativo risulti  di  fatto  instaurato
 (in  realta',  come emerge dalle motivazioni, l'indirizzo predetto e'
 prevalso  per   l'interesse   rei   publicae   che   non   risultasse
 definitivamente  rimesso  all'organo  amministrativo  l'esercizio del
 procedimento, ma senza rinnegare la funzione innovativa e  garantista
 del   diritto   di   elettorato   passivo   posta   dalla  previsione
 dell'articolato procedimento amministrativo).  In tal caso,  l'azione
 diretta  non  puo'  che considerarsi improponibile o se gia' proposta
 improcedibile, quanto meno sino al relativo esito.   Diversamente  si
 esautora  inammissibilmente  la  funzione  dell'organo regionale e si
 invade  la  sfera  di   sua   competenza   ed   autonomia   garantita
 costituzionalmente,  ai  sensi degli artt. 115 Cost., che in tal modo
 risulta  violato  ed  esautorato,  peraltro  proprio  in  un  aspetto
 essenziale,       siccome      attinente      alla      Costituzione,
 all'autorganizzazione e al funzionamento dell'organo. E cio'  inoltre
 in   sostanziale  patente  violazione  degli  stessi  principi  posti
 dall'art. 51 della medesima Cost. a favore dell'elettorato passivo  e
 dell'esercizio  delle  cariche  elettive in presenza dei requisiti di
 legge (requisiti che, nello spirito del legislatore del  1981,  vanno
 rapportati,   in   tema  di  incompatibilita'  e  ove  intervenga  il
 procedimento ex art. 7 cit., a  quelli  risultanti  alla  conclusione
 dello stesso).
   Ed  e'  proprio  cio' che si riscontra eclatantemente, anche per il
 conflitto delle finali determinazioni, per  effetto  del  rifiuto  di
 considerare   e  portare  ad  effetto  la  pendenza  della  procedura
 amministrativa ex art. 7 cit. e della manifestazione  giurisdizionale
 di cui alla predetta sentenza del tribunale di Catanzaro.