IL PRETORE Sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza del 20 febbraio 1996; Premesso: che questo giudice, all'esito del giudizio di convalida dell'arresto, su richiesta del pubblico ministero ha emesso nei confronti di Pizzimenti Orazio ordinanza di custodia cautelare in carcere, ritenendo sussitere gravi indizi di colpevolezza nonche' l'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lett. c) c.p.p.; che la difesa ha sollevato questione incidentale di illegittimita' costituzionale dell'art. 566, comma quarto, c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare al successivo giudizio direttissimo del pretore che all'esito del giudizio di convalida dell'arresto ha emesso la misura cautelare personale; Osserva La difesa (avv. G. Iaria) evidenzia l'esistenza delle seguenti due ragioni per sostenere la illegittimita' del detto articolo. 1. - La specialita' del rito direttissimo, che consente al giudice che ha adottato la misura cautelare personale di giudicare nel merito, a differenza di quanto avviene nel giudizio ordinario, non puo' valere a sopprimere le garanzie costituzionali previste per l'imputato. La ratio del giudizio direttissimo, che e' quella di garantire una immediata esigenza di giustizia laddove si prospetti una situazione di particolare evidenza della prova, puo' essere ugualmente soddisfatta qualora, ad esempio, il pretore che ha partecipato all'udienza di convalida, adottando, all'esito di questa, la misura cautelare personale, trasmetta il fascicolo del dibattimento ad altro pretore. 2. - Il giudice che adotta una misura cautelare personale compie una valutazione sia sugli indizi che sulle esigenze cautelari, esprimendo un giudizio di merito che, ai sensi del comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p., investe anche la possibilita' che con la sentenza possa essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena. La questione deve essere valutata alla luce delle motivazioni espresse dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 432 del 1995. Come e' noto, la Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma secondo c.p.p. nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato. E' opportuno, in proposito, ribadire i passi piu' significativi della citata sentenza. La Corte e' stata chiamata piu' volte ad esaminare la materia dell'incompatibilita', ed ha enucleato alcuni principi di base, nella convinzione di dovere affermare un piu' pregnante significato dei valori costituzionali del giusto processo e del diritto di difersa che ne e' componente essenziale. L'intervenuto mutamento del quadro normativo a seguito dell'entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 332, che ha accentuato ancora di piu' il carattere di eccezionalita' dei provvedimenti restrittivi della liberta' personale disposti prima della condanna, comporta indubbiamente una maggiore incisivita' dell'apprezzamento del giudice sul punto. Ai sensi del comma primo dell'art. 273 c.p.p. la prima condizione generale per l'emissione di misure cautelari personali e' l'apprezzamento di "gravi indizi di colpevolezza" a carico dell'imputato. La giurisprudenza della Corte di cassazione ha in proposito sottolineato che il concetto di gravita' degli indizi postula una obiettiva precisone dei singoli elementi indizianti che, nel loro complesso, consentono di pervenire logicamente ad un giudizio che, pur senza raggiungere il grado di certezza richiesto per la sua condanna, sia di alta probabilita' dell'esistenza del reato e della sua attribuibilita' all'indagato. A cio' si aggiunga che ai sensi degli artt. 292, lett. c) e 273, comma secondo, il giudice e' tenuto ad esporre con adeguata motivazione gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, nonche' - aggiungo - ai sensi dell'art. 292, lett. c-bis, i motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti ddalla difesa, e non puo' applicare la misura se ritiene che esista una condizione legittimante il proscioglimento (cause di giustificazione, di non punibilita', di estinzione del reato o della pena). L'art. 275, comma secondo-bis, introdotto dalla citata legge n. 332 del 1995, inoltre, impone al giudice una valutazione negativa circa la possibilita' che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena, valutazione che comporta non solo la formulazione di una prognosi di pericosita' sociale, ma anche un giudizio sulla applicabilita' delle circostanze e sul possibile contenimento della pena entro il limite di fruibilita' di quel beneficio. Orbene, se il giudice che applica la misura cautelare personale deve compiere tali valutazioni, si deve riconoscere che in tale attivita' egli formula un giudizio non di mera legittimita' ma di merito (sia pure prognostico ed allo stato degli atti) sulla colpevolezza dell'imputato, giudizio analogo alle ipotesi, gia' esaminate dalla Corte nelle sentenze nn. 496 del 1990, 401 e 502 del 1991, 124 e 186 del 1992. La valutazione conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato puo' apparire condizionata dalla cosiddetta forza della prevenzione, e cioe' da quella naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento. L'eccezione sulla quale deve oggi esprimersi il decidente e' gia' stata esaminata dal pretore di Genova che, con ordinanza del 10 ottobre 1995, la dichiarava manifestamente infodata, sulla base della considerazione che la specialita' del rito direttissimo giustifica la difformita' di disciplina rispetto al giudizio ordinario, consentendo la pronuncia della sentenza definitiva al giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo della liberta' personale. Questo giudice non ritene di dover condividere le argomentazioni di detta ordinanza. La specialita' del rito non puo' valere a sopprimere le garanzie costituzionali previste per l'imputato ne' a differenziare situazioni analoghe tra loro. La Corte, come gia' dichiarato, ha emesso varie sentenze di incostituzionalita' dell'rt. 34 c.p.p., allo scopo di ribadire il principio del giusto processo e di garantire il diritto di difesa dell'imputato. Nelle ricordate sentenze, ed in particolare nella n. 432 del 1995, essa ha espresso il principio secondo il quale non puo' deliberare la sentenza il giudice che ha espresso una valutazione di merito sul quadro indiziario a carico dell'imputato. La forza di prevenzione puo' certamente condizionare il giudice nella decisione finale sulla colpevolezza dell'imputato. La specialita' del rito direttissimo non viene in alcun modo intaccata se a partecipare al giudizio viene chiamato altro giudice diverso da colui che ha emesso il provvedimento restrittivo. L'esigenza di celerita' del rito puo' essere, infatti, soddisfatta dalla trasmissione del fascicolo a quel giudice subito dopo l'udienza di convalida. Nel sistema accusatorio il giudice deve formare il proprio convincimento sulla responsabilita' dell'imputato nel corso del dibattimento attraversto l'istruzione probatoria. Cio' implica l'assenza di un "pre-giudizio" prima della formazione delle prove. Il diritto di difesa, costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.), e la precostituzione del giudice (art. 25 Cost.) mirano proprio a garantire l'imparzialita' nella formazione delle prove. A tal fine sono dettate le norme sulla rimessione, l'incompatibilita', l'astensione e la ricusazione del giudice. Ma vi e' di piu'. Come su esposto, la Corte ha statuito l'incompatibilita' a partecipare al dibattimento del giudice per le indagini preliminari che ha applicato la misura cautelare personale. Deve dedursi, per cio' che attiene al caso che ci occupa, che se il pubblico ministero, anziche' far condurre l'imputato direttamente in giudizio per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio, si fosse limitato a chiedere la convalida dell'arresto al giudice per le indagini preliminari - facolta' prevista dall'art. 449, comma quarto, c.p.p. ed ammessa anche nel giudizio pretorile a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 566, comma nono c.p.p. (Corte cost. n. 175 del 15 aprile 1992) - e se quest'ultimo, all'esito del giudizio di convalida, avesse emesso una misura cautelare personale, lo stesso giudice non avrebbe potuto partecipare, per effetto della sentanza n. 432 del 1995, al successivo giudizio direttissimo tenuto, ai sensi dello stesso art. 449 c.p.p., entro quindici giorni dall'arresto. Sorge, quindi, spontanea la seguente considerazione. Il materiale indiziario esaminato dal giudice per le indagini preliminari nell'udienza di convalida dell'arresto e' lo stesso di quello sul quale deve esprimersi il pretore. Entrambi i giudici valutano gli stessi atti - di solito atti irripetibili -, quali ad esempio verbali di arresto, perquisizione e sequestro e procedono all'interrogatorio dell'indagato. L'oggetto di giudizio e' certamente diverso da quello della decisione sulla responsabilita' dell'imputato, in quanto il materiale indiziante non viene analizzato al fine di formare una prova, sebbene al piu' limitato scopo di valutare la legittimita' dell'arresto e l'opportunita' dell'adozione di un provvedimento coercitivo. Cio' nonostante, e' innegabile che al momento in cui emettono l'ordinanza di custodia cautelare, entrambi i giudici esprimono una valutazione di merito sulla gravita' del quadro indiziario a carico dell'imputato. La forza di prevenzione evidenziata dalla Corte e' comune ad entrambi. La citata sentanza della Corte ha enunciato dei principi che non possono non valere in ogni caso in cui un giudice attraverso la propria decisione, sia pure parziale e limitata ad un determinato oggetto, abbia in realta' espresso un giudizio sulla responsabilita' dell'imputato, anticipando la decisione definitiva. Ora, se in base alla citata sentenza n. 423 il g.i.p., nel caso citato non puo' partecipare al dibattimento, perche' deve poterlo fare il pretore? Puo' il predetto spazio temporale di quindici giorni giustificare la rilevata disparita' di trattamento di situazioni analoghe? Questi interrogativi non possono lasciare indifferente l'interprete, il quale non puo' e non deve arrogarsi il compito di decidere in merito, ma deve limitarsi a valutare la non manifesta infondatezza della questione e, qualora questa gli appaia, rimettere gli atti al giudice delle leggi. L'eccesione difensiva e', pertanto, fondata. Ritiene, tuttavia, il decidente che nomra sospettata di illegittimita' debba considerarsi non l'rt. 566, comma quarto c.p.p., ma - ancora una volta - l'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio direttissimo del giudice che all'esito del giudizio di convalida dell'arresto abbia emesso una misura cautelare personale. Cio' posto, si osserva che, nel caso che ci occupa, si versa in una fattispecie meritevole di vaglio di costituzionalita' per non manifesta infondatezza della questione di legittimita' dell'art. 34 c.p.p. per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. A) Contrasto dell'rt. 34 c.p.p. con l'art. 3 Cost.. Vi sarebbe, a parere del decidente, analogia di situazioni giuridiche tra l'ipotesi in esame e quella in cui il g.i.p., adito per il giudizio di convalida dell'arresto, abbia emesso la misura cautelare personale. Quest'ultimo, in base alla sentanza della Corte costituzionale n. 432 del 1995, non puo' partecipare al successivo giudizio direttissimo tenuto entro quindici giorni dall'arresto. Per le considerazioni su esposte, ritiene il decidente sussistere analoga incompatibilita' per il giudice dibattimentale, il cui giudizio sulla gravita' degli indizi non si differenzia in nulla, nemmeno in ordine al quadro oggetto di valutazione, da quello che e' tenuto a compiere il giudice per le indagini preliminari. B) Contrasto dell'art. 34 c.p.p. con l'art. 24 Cost.. L'adozione della misura della custodia cautelare presuppone, in base all'rt. 273 c.p.p. la vefirifica della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, pertanto, una valutazione di merito sul contenuto dell'imputazione, con la conseguenza che la decisione conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato puo' apparire condizionata dalla cosiddetta forza della prevenzione. La questione e', inoltre, rilevante in quanto dalla decisione sulla legittimita' o meno dell'art. 34 c.p.p. dipende la competenza di questo giudice a decidere il caso in oggetto. Il procedimento va quindi sospeso e gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale.