LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO Ha pronunciato la seguente ordinanza su appello proposto dall'Ufficio I.V.A. di Ravenna (Greco Anna Adele) avverso la decisione emessa dalla commissione tributaria di primo grado di Ravenna, sezione terza, il 4 ottobre 1993 con il n. 508/509/510. Con le sentenze nn. 508, 509 e 510 del giorno 4 ottobre 1993 la commissione tributaria di Ravenna di primo grado definiva le questioni insorte tra la contribuente Anna Adele Greco e l'Ufficio I.V.A. di Ravenna. La vertenza veniva promossa dalla contribuente avverso le cartelle esattoriali nn. 3108637, 3108638 e 49101 con le quali l'ufficio suddetto richiedeva il pagamento di somme per irrogazione di sanzioni relative agli anni 1982, 1983 e 1984. Si deve premettere che la vertenza appare essere collegata ad una situazione di fatto che merita di essere, se pure per sommi capi, illustrata. In data 7 febbraio 1986 il Tribunale dichiarava il fallimento della contribuente. A seguito delle rituali comunicazioni effettuate ed alle conseguenti risultanze, l'Ufficio I.V.A. di Ravenna riteneva di dover procedre ad effettuare rettifica. Tale avviso di rettifica veniva notificato al curatore del fallimento senza che la contribuente ne fosse informata. Conseguentemente l'accertamento diveniva definitivo in quanto il curatore riteneva di non procedere ad impugnare l'avviso. L'amministrazione finanziaria pertanto si insinuava al passivo del fallimento della contribuente. Il fallimento veniva poi chiuso in data 27 settembre 1990. L'amministrazione, stante la non capienza dell'attivo fallimentare, proseguiva la propria azione nei confronti della contribuente. Questa proponeva impugnazione contro le pretese dell'amministrazione radicando quindi un contenzioso avanti la commissione tributaria sostenendo che tale avviso sarebbe stato da considerarsi illegittimo per una pluralita' di motivi e, principalmente, perche' sarebbe stato violato il suo diritto di difesa. L'amministrazione finanziaria riteneva allora di procedere a notifica di altro avviso di irrogazione di sanzioni, piu' precisamente quello contro cui pende altro procedimento presso questa commissione e gia' deciso sulla base di diverse motivazioni di diritto. Questa commissione ritiene peraltro che le eccezioni sollevate dalla contribuente meritino di essere attentamente valutate e considerate pur non essendo, allo stato, immediatamente recepibili stante l'attuale formulazione delle norme de quo ed in particolare dell'art. 56 del d.P.R. n. 633/1972, in relazione agli artt. 43 e 120 legge fallimentare, laddove non prevede che, in caso di fallimento del contribuente, l'avviso di rettifica sia notificato, oltre che al curatore, anche al fallito personalmente. Come e' noto analoghe questioni sono gia' state sottoposte, sotto vari profili, al vaglio di codesta Corte costituzionale in materia di imposta sui redditi. Ci si riferisce alla questione riguardante la cd. pregiudiziale tributaria affrontata sotto diversi profili con le sentenze nn. 88/82, 247/83 nonche' con alcune ordinanze fra le quali le n. 454/87 e 676/88. La stessa amministrazione finanziaria preso atto, peraltro in epoca non recente, della evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale a questo proposito, con propria circolare, la 16/8189/A del giorno 18 ottobre 1984, stabiliva che gli uffici provvedano a notificare gli avvisi di accertamento oltre che al curatore ed ai legali rappresentanti in carica delle societa' o degli enti, anche al contribuente fallito ed agli ex amministratori. La norma de quo, l'art. 56 sopra citato cioe', puo' ora assumere, secondo questa commissione, rilevanza sotto altri profili per lesione del diritto di difesa del fallito. Con l'attuale configurazione normativa puo' accadere, come nel caso concreto, che il fallito subisca, in ragione delle pretese tributarie, effetti patrimoniali, che potrebbero assumere anche consistente gravita', a seguito della chiusura del fallimento, ex art. 120 legge fallimentare, per un contenzioso del quale esso contribuente fallito potrebbe neanche avere avuto conoscenza per essere stato l'avviso di rettifica notificato solamente al curatore senza che questi ne abbia dato conoscenza al medesimo. La giurisprudenza attualmente appare essere molto articolata. Si deve premettere che, allo stato, sia pacificamente accolto, come oramai pare essere in giurisprudenza, che il contribuente fallito possa agire in giudizio in caso di inerzia del curatore. Sul punto si omette la citazione dei precedenti. Se, poste queste premesse, si provvede all'esame della, peraltro scarsa, giurisprudenza rinvenibile sul punto che qui interessa e' possibile individuare due distinti filoni. Il primo e' quello che riguarda la sede tributaria; la commissione centrale, sezione XIX con la decisione 16-22 gennaio 1992, n. 401, in Boll. trib. n. 14 ha statuito che la perdita della capacita' processuale del fallito non e' assoluta, ma relativa alla massa dei creditori; ne consegue che l'atto di accertamento fiscale deve essere notificato non solo al curatore, ma anche al fallito atteso che tale atto assume rilievo patrimoniale e la sua omissione priva il contribuente fallito della possibilita' - sancita dalla legge - di esercitare il proprio diritto di difesa. Nello stesso senso si cita la commissione tributaria di secondo grado di Genova in Diritto e prat. tributaria, II, pag. 209 con nota adesiva di Rogione. Secondo tale ultimo provvedimento cosi' come il passivo accertato in sede fallimentare non costituisce titolo che possa essere fatto valere contro il fallito dopo che la procedura sia stata chiusa, a maggior ragione non potranno valere contro di lui gli atti compiuti nei confronti del curatore. Diversamente sarebbe lesionato il diritto di difesa del fallito il quale non potrebbe ricorrere in giudizio contro l'accertamento. A fronte di questo orientamento della giurisprudenza tributaria, netto e preciso, si deve registrare, invece, quello della Corte di cassazione assai piu' articolato e complesso. Rilevano al proposito due recenti precedenti: Cass. civ. sez. I, 20 marzo 1993, n. 3321 in "Il fallimento" 1993, pag. 841 e ss. e Cass. civ. sez. I, 20 dicembre 1994, n. 10957 in "Il fallimento" 1995, pag. 741 e ss. 1. Con questi precedenti la Corte, se pure con diverse sfumature, afferma che la notifica dell'accertamento tributario al curatore avrebbe effetto anche nei confronti del contribuente a meno che l'ufficio fallimentare non abbia deciso, giusta autorizzazione del giudice delegato e notificando tale decisione al fallito, di non proporre impugnazione. Secondo Cass. 3321 citata infatti quando l'ufficio fallimentare dichiari inequivocabilmente (nella specie con la notifica al fallito effettuata dal curatore e con l'autorizzazione del giudice delegato) di volere disinteressarsi del rapporto tributario in contestazione si deve ritenere ... che il termine per impugnare decorre, nei confronti del fallito che conserva la capacita' processuale in ordine alle situazioni giuridiche non comprese di fatto nella massa fallimentare, solo dal momento in cui l'accertamento sia portato a sua conoscenza. Coerentemente la sentenza Cass. 10957 sempre citata ha confermato la possibile riammissione in termini del fallito stabilendo che questa non sia comunque la conseguenza generale derivante dalla mancata impugnazione da parte del curatore, ma che tale effetto sia ricollegabile solo ed esclusivamente a quei casi in cui il curatore ottenga dal giudice delegato l'autorizzazione a non impugnare l'atto di accertamento. La lettura della norma, che peraltro sarebbe recepibile direttamente al caso in esame dati i richiami compiuti dall'art. 56 del d.P.R. n. 633/1972, data dalla Corte di cassazione appare essere dettata dalla esigenza di garantire la tutela del diritto di difesa come peraltro si legge nella stessa massima, ma appare contemporaneamente essere di non facile applicazione e, comunque, tale da non garantire in ogni caso il diritto di difesa del contribuente. Inoltre tale lettura della norma appare essere tale da non garantire la certezza dei rapporti giuridici e questo, invece, nell'interesse dell'amministrazione finanziaria. In primo luogo non appare essere comprensibile e quindi giustificabile, la differenza di trattamento, sotto il profilo del diritto di difesa, che questo orientamento giurisprudenziale pone tra i falliti nei cui confronti non ci sia stata la comunicazione espressa da parte dell'ufficio fallimentare della volonta' di impugnare e quelli nei cui confronti invece l'ufficio abbia deciso in identica maniera, ma abbia formalmente comunicato tale propria volonta'. Si porrebbe poi il problema della certezza della avvenuta comunicazione da parte degli uffici della curatela al fallito, potendosi prestare il tutto a facili equivoci. Sempre a tale proposito si porrebbe poi il problema dei casi in cui gli uffici della curatela siano rimasti sostanzialmente inerti rispetto alla notifica di avvisi da parte dell'amministrazione finanziaria. In secondo luogo, e questo nell'interesse dell'ufficio finanziario, una siffatta interpretazione darebbe, o potrebbe dare, origine, in alcuni casi, a profonde incertezze nel rapporto tributario consentendo una rimessione in termini legata a fattori che rimarrebbero del tutto sconosciuti agli uffici ed a questi estranei legati ai tempi decisionali degli uffici fallimentari, alle modalita' con le quali questi uffici dovrebbero portare a conoscenza del fallito la decisione di non impugnare. Non puo' essere taciuto poi che tale lettura potrebbe anche prestarsi a elusioni della norma nei confronti degli uffici che avrebbero gravi incertezze in relazione alla possibilita' di procedere nei confronti del contribuente. Per converso la lettura data dalla commissione centrale sopra riportata appare non essere soddisfacente perche' prevede e stabilisce un obbligo a carico dell'amministrazione che non e' espressamente previsto nella norma denunciata neanche in via di interpretazione estensiva. Tale obbligo poi, proprio perche' non espressamente previsto normativam ente, ben difficilmente si inserirebbe nel tessuto della legge fallimentare ed in particolare dell'art. 43 secondo cui la capacita' processuale spetta al curatore. Non e' a questo punto possibile dimenticare l'ultimo precedente della Corte di cassazione edita sulla rivista "Il fallimento", 1995, pag. 1047 e ss. Secondo tale ultimo provvedimento in materia di contenzioso tributario quando al curatore del fallimento sia notificato un accertamento con riguardo ai redditi dichiarati dall'imprenditore fallito e l'ufficio fallimentare si disinteressi del rapporto tributario in contestazione si deve ritenere ... che il fallito conservi la capacita' processuale in ordine alle situazioni giuridiche non comprese di fatto nella massa fallimentare con la conseguenza che il termine per impugnare decorre solo dal momento in cui l'accertamento stesso sia portato a sua conoscenza. Nel caso di specie e' pacifico che l'atto di accertamento non e' mai stato notificato alla fallita che ha avuto conoscenza solo al momento della notifica dell'ingiunzione di pagamento. A parere di questa commissione anche questa interpretazione non puo' considerarsi soddisfacente per un duplice ordine di motivi. In primo luogo la indeterminatezza della definizione di situazioni giuridiche non comprese di fatto nella massa fallimentare cosa questa che potrebbe portare a gravi incertezze nella interpretazione dell'art. 43, legge fallimentare ed in secondo luogo le incertezze derivanti dalla individuazione del momento dal quale fare decorrere i termini per impugnare, incertezza sulla quale poco piu' sopra ci si e' diffusi. Dalla lettura delle possibili interpretazioni date dalla giurisprudenza seppure in materia diversa da quella qui applicabile, pare quindi potersi concludere che l'art. 56 del d.P.R. n. 633/1972 possa essere considerato viziato sotto il profilo del riconoscimento del diritto di difesa sancito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, del contribuente. In defintiva quindi se, come pare essere oramai ius receptum, il contribuente fallito ha diritto di proporre impugnazione avverso l'atto impositivo in caso di inerzia del curatore, non potendosi condividere l'interpretazione data dalla commissione centrale ne' quella Corte suprema nei provvedimenti meno recenti, pare necessario sottoporre al vaglio della Corte costituzionale l'art. 56 del d.P.R. n. 633/1972 laddove non prevede che l'amministrazione finanziaria debba notificare l'avviso anche personalmente al contribuente, se fallito, oltre che al curatore. Tale esigenza appare dettata dalla necessita' di assicurare il diritto di difesa ed in primo luogo dalla esigenza di mettere il contribuente in grado di conoscere la esistenza della pretesa finaziaria primo e fondamentale anello della catena con la quale e' possibile instaurare il contraddittorio. Sotto questo profilo pare che possa addivenirsi a un giudizio di non manifesta infondatezza. La rilevanza e' in re ipsa.