LA CORTE D'APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento per incidente
 di  esecuzione  relativo a Zampatti Severo nato a Sale Marasino il 16
 novembre 1948, detenuto presso la casa cricondariale di Busto Arsizio
 in espiazione di pena definitiva (fine pena: 9 aprile 1999) -  Difeso
 di fiducia dall'avv. Bruno Colaleo del Foro di Milano.
                           Rilevato in fatto
   Con  istanza  22 dicembre 1995 Zampatti Severo chiedeva l'emissione
 di provvedimento di unificazione pene ai sensi dell'art.  663  c.p.p.
 e  l'applicazione  degli  indulti  di  cui ai d.P.R. n. 865/1986 e n.
 394/1990  in  relazione  alle  condanne  riportate  con  le  seguenti
 pronuncie:
     1)  sentenza 29 maggio-2 giugno 1986 della Central Criminal Court
 di Londra, riconosciuta con sentenza 5 giugno  1995  dalla  Corte  di
 appello  di  Brescia  al fine dell'applicazione della pena accessoria
 dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, portante la  condanna
 alla  pena di anni nove di carcere, di cui sei espiati in luogo e tre
 condonati,  per  reati  di  importazione  e  possesso   di   sostanza
 stupefacente  (hashish)  in concorso con piu' persone; fatti commessi
 in Londra il 2 aprile 1985;
     2) sentenza 22 gennaio 1992,  irrevocabile  dal  3  luglio  1992,
 della  Corte  di appello di Milano, portante la condanna alla pena di
 anni nove di reclusione e L. 60 milioni di  multa,  con  interdizione
 perpetua  dai  pubblici  uffici,  per  il  reato  associativo  di cui
 all'art.  75, commi primo e secondo legge n. 685/1975 e per  i  reati
 continuati  di  importazione  in  Italia  di piu' partite di sostanza
 stupefacente (cocaina) di cui agli artt. 71 e 74 stessa legge;  fatti
 commessi  in  luoghi  diversi  del territorio nazionale tra l'ottobre
 1984 ed il marzo 1985.
   Sull'istanza il procuratore  generale  esprimeva  parere  contrario
 all'accoglimento,   rilevando  non  esservi  luogo  all'adozione  del
 provvedimento di unificazione  pene,  in  difetto  di  esecuzione  in
 Italia della sentenza straniera, riconosciuta dalla Corte italiana al
 solo  effetto  di  cui all'art. 12, comma primo, n. 1 e 2 del c.p., e
 non  essere  applicabili  i  provvedimenti  di  clemenza  alle   pene
 accessorie ne' alla pena principale inflitta con detta sentenza, gia'
 interamente espiata, ne' infine alla condanna di cui alla sentanza 22
 gennaio 1992 di questa Corte, per ostarvi ragioni oggettive.
   A  seguito  di fissazione di udienza ex art. 666 c.p.p. per la data
 odierna, lo Zampatti, sentito a sua richiesta il  1  marzo  1996  dal
 competente  magistrato  di sorveglianza, formulava altresi' a verbale
 istanza di applicazione della continuazione  a  norma  dell'art.  671
 c.p.p.  tra  i delitti oggetto delle sopra dette pronuncie, deducendo
 la contiguita' temporale e la stessa indole dei fatti commessi.
   Il difensore del predetto, con argomentata memoria depositata il  4
 aprile  1996  e con la difesa orale svolta all'odierna udienza in cui
 dava atto di rinunciare ad ogni altra istanza, a sua  volta  ribadiva
 la  richiesta  di  riconoscimento del vincolo della continuazione con
 rideterminazione della pena  ex  art.  81  cpv  c.p.  e  chiedeva  in
 subordine  a questo giudice dell'esecuzione di promuovere giudizio di
 costituzionalita'  dell'art.  12  c.p.,  nella  parte  in  cui  detto
 articolo  impedisce il riconoscimento della sentenza penale straniera
 ai fini dell'art.  671 c.p.p., per violazione degli  artt.  3,  comma
 primo, e 24, comma secondo, della Carta costituzionale.
   Il  procuratore  genenerale in udienza si opponeva all'accoglimento
 delle nuove richieste, richiamando l'insegnamento della Suprema Corte
 secondo cui per valutare l'unicita' del disegno criminoso  tra  reati
 commessi  all'estero e reati consumati in Italia, occorre che tutti i
 fatti siano giudicati in Italia ovvero che il colpevole, dopo  essere
 stato  giudicato  all'estero,  sia nuovamente giudicato nello Stato a
 norma dell'art. 11 del nostro codice penale.
   Osservato   che   la   rinuncia   oggi   espressa   dal   difensore
 nell'interesse dello Zampatti comporta non luogo a  provvedere  sulle
 istanze  intese  ad  ottenere  l'unificazione  delle  pene  ai  sensi
 dell'art. 663 c.p.p.  e l'applicazione dei provvedimenti di  clemenza
 dedotti;
   Ritenuto in diritto la rilevanza e non manifesta infondatezza della
 questione  di illegittimita' costituzionale sollevata, per i seguenti
 motivi.
   Sotto il profilo della  rilevanza  al  fine  del  decidere,  questa
 Corte,  nella  veste  di  giudice  dell'esecuzione,  e'  chiamata  ad
 individuare la possibile esistenza  di  un  unico  disegno  criminoso
 perseguito  dallo  Zampatti  nella  commissione dei delitti giudicati
 dalla Corte inglese, quali si evincono dalla sentenza 5  giugno  1995
 della  Corte  di appello di Brescia, e dei fatti della stessa indole,
 commessi con analogia di  circostanze  e  modalita'  (importazione  e
 detenzione   di   partite  rilevanti  di  sostanze  stupefacenti,  in
 associazione  o  concorso  con  altre  persone  ed  in  qualita'   di
 organizzatore   dell'illecito   traffico)   in  epoca  antecedente  e
 prossima, come accertati con  sentenza  22  gennaio  1992  di  questa
 stessa  Corte;  la  valutazione  e'  richiesta  a norma dell'art. 671
 c.p.p. che consente anche in sede esecutiva la rideterminazione della
 pena secondo i criteri di cui all'art. 81 cpv c.p.  a  vantaggio  del
 condannato,  in presenza delle condizioni richieste dalla norma e che
 qui ricorrono, ed ossia l'irrevocabilita' di entrambe le  sentenze  e
 l'assenza   di  ogni  esclusione  da  parte  dei  giudici  di  merito
 dell'ipotesi di continuazione.
   Siffatta valutazione e' preclusa dalla limitata efficacia giuridica
 riconosciuta dalla Corte di appello di Brescia  alla  sentenza  della
 Corte inglese - pertanto avente esclusivo valore di fatto storico - e
 piu'   in generale dai limitati effetti penali e fini, tassativamente
 previsti  dal  legislatore,   per   i   quali   puo'   esserle   dato
 riconoscimento ai sensi dell'art. 12 c.p.; effetti e fini tra i quali
 non   e'   dato  ricomprendere  l'accertabilita'  del  vincolo  della
 continuazione, che non attiene ad aspetti pur sempre soggettivi della
 personalita' e della condotta del reo  ovvero  a  profili  di  tutela
 degli interessi civili delle parti lese, quali quelli contemplati dal
 suddetto  articolo,  ma  alla valutazione di fatti concreti nei quali
 sia ravvisabile l'esecuzione di un medesimo programma delittuoso.
   Quanto alla non manifesta infondatezza,  ontologicamente  non  puo'
 certo  escludersi  l'esistenza del nesso programmatico unficante solo
 perche' un reato  sia  commesso  all'estero  ed  altro  sia  commesso
 nell'ambito  del  territorio  dello Stato, come ha osservato anche la
 Suprema Corte il cui insegnamento in materia e' stato richiamato  dal
 procuratore   generale;   occorre   tuttavia  perche'  possa  trovare
 applicazione l'art.  81 c.p. o l'art. 671 c.p.p. che i diversi  fatti
 siano  giudicati in Italia, unitariamente o separatamente, ovvero che
 il colpevole, dopo essere stato giudicato all'estero per il reato ivi
 commesso, sia  nuovamente  giudicato  in  Italia,  nella  specie  per
 richiesta  fattane  dal  Ministro  di grazia e giustizia come dispone
 l'art. 11, comma secondo in relazione all'art. 9 c.p. La procedura di
 rinnovazione del giudizio,  se  rappresenta  una  manifestazione  non
 irrazionale  della  potesta'  statale  in  tema di scelte di politica
 criminale allorche' vengano in considerazione la rilevanza  penale  o
 meno  della  condotta del cittadino, lasua colpevolezza o punibilita'
 od  infine  la  congruita'  intrinseca del trattamento sanzionatorio,
 appare  invece  comportare  un  superfluo  dispendio  di  risorse   e
 soprattutto  costituire  di fatto, per i tempi tecnici occorrenti, un
 mezzo procedurale impraticabile con esiti utili allorche' si verta in
 tema di esecuzione penale e debba individuarsi nell'ambito del nostro
 ordinamento la sussistenza del vincolo della continuazione tra  fatti
 gia'   giudicati,  seppure  per  taluni  sulla  base  di  un  sistema
 giurisdizionale diverso,  ai  fini  della  rideterminazione  unitaria
 della  pena definitiva, con il vantaggio che per l'art. 671 c.p.p. il
 condannato, assoggettato all'espiazione, ha il diritto di  conseguire
 ove venga riavvisato tale vincolo.
   L'introduzione  dell'istituto  della continuazione anche nella fase
 dell'esecuzione ed in riferimento a fatti pur coperti da giudicato e'
 stata voluta dal legislatore per la precipua esigenza di evitare  che
 ostacoli  processuali correlati alla sottoposizione del reo a giudizi
 separati  vengano  ad  incidere   sui   principi   costituzionalmente
 garantiti  dell'uguaglianza  dei  cittadini davanti alla legge, posto
 dall'art.  3,  comma  primo  della  Costituzione,   e   del   diritto
 inviolabile  di  difesa in ogni stato e grado del procedimento posto,
 dall'art.  24, comma secondo della medesima Carta costituzionale.  Ed
 invero,  come  ha  affermato  la Suprema Corte (Cass. pen. sez. I, 26
 ottobre 1992, La Montagna), in assenza dell'art.  671  c.p.p.  e  con
 riferimento  al  diritto  di  usufruire  dei vantaggi derivanti dalla
 continuazione, il principio di uguaglianza  verrebbe  "intaccato  per
 soggiacere dell'imputato, nei cui confronti si procede separatamente,
 a  situazioni  di minorazione rispetto all'imputato che usufruisce di
 processo cumulativo" ed il principio dell'inviolabilita' del  diritto
 di   difesa  verrebbe  "compromesso  per  l'incompleta  esperibilita'
 dell'accertamento dell'unicita' del disegno criminoso in relazione  a
 processi separati".
   La  limitazione  degli  effetti  del  riconoscimento della sentenza
 penale, come previsti dall'art. 12 c.p.,  appare  contrastare  con  i
 suddetti   principi   costituzionali,   la'  ove  impedisce,  in  una
 situazione di inutilita' in fatto della rinnovazione del giudizio, di
 applicare l'art. 671 c.p.p. e di individuare i  dati  sostanziali  di
 possibile  unificazione  sotto il vincolo della continuazione ai fini
 della rideterminazione della pena tra delitti  commessi  e  giudicati
 all'estero ed altri commessi e giudicati in Italia.