IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel proc. n. 1253/95  r.  nr.,
 n.  6357/95  r.  gip, sulla richiesta di archiviazione depositata dal
 p.m. il 5 dicembre 1995.
                             O s s e r v a
   La richiesta di archiviazione del p.m., per il quale la deposizione
 dell'indagata  non  sarebbe stata contraddetta da nessun altro teste,
 se non in insignificanti dettagli, non puo' essere accolta.
   L'indagata Mariotti Barbara, sentita in qualita' di teste,  davanti
 al  pretore  di  Venezia,  nell'udienza  del  22 febbraio 1994, nella
 controversia di lavoro promossa da Boer Maurizia, nei confronti della
 Eredi Boer Ferdinando s.n.c., dichiaro' che "dal 1984, mia madre  (la
 ricorrente)  lavorava  anche  al  mattino,  dalle 10 alle 12,30, alla
 cassa, e cio' tutti i giorni".
   Poiche'  la  causa  era  stata  promossa  dalla   ricorrente,   per
 richiedere,  tra  l'altro,  il pagamento del lavoro straordinario che
 aveva  asseritamente  prestato,  nella  sua  qualita'  di   cassiera,
 lavorando  anche  al  mattino,  e'  evidente che la deposizione della
 teste era diretta a  provare  la  domanda  attrice  ed  e'  risultata
 contraddetta  da  altre  deposizioni  alle  quali  il pretore ha dato
 maggior credito.
   Nella sentenza del 23 febbraio 1995, il pretore del lavoro  rileva,
 infatti,  che  le  due  ore  di lavoro straordinario al mattino erano
 prestate, secondo le dichiarazioni conformi della stessa ricorrente e
 di Marziana Boer, non tutti i giorni, ma solo quando il locale veniva
 utilizzato per spettacoli teatrali.
   Onde la segnalazione per  falsita'  della  deposizione  di  Barbara
 Mariotti,  che  il  pretore  definisce  in  contraddizione con i dati
 oggettivi e le dichiarazioni della stessa ricorrente.
   E  ritiene  questo  giudice  che  a  carico  di  Mariotti  Barbara,
 dovrebbe,  allo  stato,  essere formulata l'imputazione, in ordine al
 reato di falsa testimonianza, per avere deposto che la madre lavorava
 alla  cassa,  anche  al  mattino,  tutti  i  giorni,   e   non   solo
 occasionalmente,  con  dichiarazione,  su  un  punto essenziale della
 domanda, (la retribuzione per  il  lavoro  straordinario),  contraria
 alle alte risultanze del giudizio.
   Mariotti  Barbara, pero', e' figlia della ricorrente, e, come tale,
 ai sensi dell'art. 247 c.p.c., prima che la Corte  costituzionale  ne
 dichiarasse l'incostituzionalita', con sentenza del 10-23 luglio 1974
 n.  248,  non  avrebbe  potuto  deporre e, ove fosse stata chiamata a
 deporre  e  avesse  reso  falsa   testimonianza,   avrebbe   comunque
 beneficato  dell'esimente  dell'art.  384,  comma secondo c.p., nella
 parte in cui dispone che "la punibilita' e' esclusa se  il  fatto  e'
 commesso  da  chi,  per legge, non avrebbe dovuto essere assunto come
 testimonio":
   A seguito della  citata  sentenza  della  Corte  costituzionale  e'
 caduto  il  divieto  di testimoniare per il coniuge e i parenti delle
 parti, senza pero' che possa ritenersi estesa a costoro  la  facolta'
 di astensione.
   L'art.   249   c.p.c.   stabilisce,   infatti,  che  "si  applicano
 all'audizione dei testimoni le disposizioni degli  artt.  351  e  352
 c.p.c. relative alla facolta' di astensione dei testimoni".
   Il  richiamo  e',  ovviamente  alle  norme  del codice di procedura
 penale  abrogato,  che  prevedevano,  l'art.  351,  il   diritto   di
 astenersi,  a tutela del segreto professionale o d'ufficio, e, l'art.
 352, a tutela del segreto di Stato.
   Non  era  richiamato  l'art.  350 c.p.p. abrogato, che prevedeva il
 diritto di astenersi dal  testimoniare,  per  i  prossimi  congiunti:
 stabilito   dalla  legge  il  divieto  di  testimoniare,  non  v'era,
 ovviamente, ragione di prevedere anche la facolta' di astensione.  Il
 richiamo dell'art. 249 c.p.c. va inteso,  dunque,  alle  norme  degli
 artt.  200, 201, 202, del c.p.p. vigente, che prevedono il segreto di
 ufficio, professionale o di Stato, e  non  all'art.  199  c.p.p.  che
 prevede  la  facolta'  di  astensione dei prossimi congiunti.  Pare a
 questo giudice che l'art. 249 c.p.c., nella parte in cui dispone  che
 "si  applicano  ... le disposizioni degli artt. 351 e 352 c.p.p. ..."
 (ora 200, 201 e 202 c.p.p.), e non anche quella dell'art.  350 c.p.p.
 abrogato, (ora 199 c.p.p. vigente), contrasti con gli  artt.  3,  24,
 comma  secondo  e  29  della  Costituzione.    Contrasta con l'art. 3
 perche' riconosciuta la tutela, anche  nell'ambito  del  procedimento
 civile,   del   segreto  professionale  e  d'ufficio,  e'  del  tutto
 irragionevole prevedere, invece, l'obbligo dei prossimi congiunti  di
 deporre.    La  facolta' di astenersi dal deporre e' data, infatti ai
 ministri  di   confessioni   religiose   ed   alcune   categorie   di
 professionisti,   (avvocati,   medici   ...),  perche'  l'ordinamento
 giuridico ritiene essenziale e  meritevole  di  tutela  giuridica  la
 riservatezza  dei rapporti tra il professionista e colui che a lui si
 rivolge, a salvaguardia del migliore esercizio della  professione  ma
 soprattutto  dei diritti personalissimi (alla salute, alla difesa, di
 culto) dei singoli cittadini; riconosce quindi e tutela  il  rapporto
 di  fiducia che ne deriva per le parti, e lascia, entro certi limiti,
 la scelta al libero  apprezzamento  del  professionista  e  alla  sua
 coscienza,  se  tacere  o divulgare quello che gli e' noto, in virtu'
 della sua professione o ministero.  Ed e' del tutto irragionevole che
 non venga, invece, dato alcun rilievo ai vincoli familiari, e che  si
 pretenda  che  il  figlio  o la madre o il coniuge, deponga e dica il
 vero, senza concedergli la stessa facolta' di tacere,  di  scegliere,
 cioe',  in liberta' di coscienza, se divulgare le informazioni in suo
 possesso,   anche   quando   tale    divulgazione    abbia    effetti
 pregiudizievoli  per  il  congiunto,  e  sia  quindi obbligato ad una
 testimonianza che non potra' non avere effetti  negativi  nell'ambito
 dei  rapporti di famiglia, o che, pensando di non avere altra scelta,
 si determini, pur di salvare quei rapporti, a testimoniare il falso.
   Ed e' tanto piu' irragionevole, in quanto la facolta' di astensione
 e' riconosciuta,  invece,  ai  prossimi  congiunti,  nell'ambito  del
 procedimento  penale,  laddove il legislatore accetta di sacrificare,
 almeno in parte,  alla  tutela  dei  vincoli  familiari,  le  proprie
 pretese punitive.
   Per  queste  stesse  ragioni, l'art. 249 c.p.c., nella parte in cui
 non richiama anche l'art. 199 c.p.p.  vigente,  contrasta  anche  con
 l'art.  29 della Costituzione, poiche' l'obbligo di deporre sacrifica
 totalmente (anziche' contemperare col) al dovere giuridico di dire la
 verita' i rapporti personalissimi che  si  creano  nell'ambito  della
 famiglia e che la Costituzione si propone di salvaguardare.
   E contrasta pure con l'art. 24, comma secondo della Costituzione.
   Ai  prossimi  congiunti  di  una  delle  parti,  che  depongono nel
 procedimento civile, poiche' e' stato dichiarato incostituzionale  il
 divieto di deporre, non e' piu' applicabile l'esimente dell'art. 384,
 comma  secondo,  prima parte, c.p. e non lo e' l'altra prevista dalla
 seconda parte del medesimo comma, proprio  perche'  ad  essi  non  e'
 riconosciuta la facolta' di astenersi.
   Orbene,  ritiene  questo  giudice  che se il diritto di difesa deve
 essere inteso non solo  come  il  diritto  alla  difesa  tecnica  nel
 procedimento,  ma  in  senso  ampio,  e  quindi  anche come diritto a
 giovarsi delle norme penali piu' favorevoli che  l'ordinamento  abbia
 previsto,  non  puo' che contrastare con tale diritto il risultato di
 un incompleto coordinamento tra norme: a seguito della sentenza della
 Corte  costituzionale  n.     248  del  1974,   che   ha   dichiarato
 l'incostituzionalita'  dell'art.  247 c.p.c. la particolare categoria
 di testimoni indicati in tale articolo e'  venuta  a  trovarsi  nella
 impossibilita'  di  giovarsi di una causa di non punibilita' che pure
 il codice penale prevedeva espressamente nei loro confronti  all'art.
 384, comma secondo, parte prima c.p.
   L'eccezione  e'  rilevante:  ove l'art. 249 c.p.c. fosse dichiarato
 incostituzionale, nel senso qui auspicato,  l'indagata,  che  non  e'
 stata  avvisata  della  facolta'  di  astenersi, non sarebbe comunque
 punibile, per il principio della retroattivita'  della  norma  penale
 piu' favorevole, e il procedimento potrebbe essere archiviato, sia
  pure per ragioni diverse da quelle indicate dal p.m.