Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente pro-tempore della Giunta regionale, on. dr. Roberto Formigoni, rappresentata e difesa, come da delega a margine del presente atto, ed in virtu' di deliberazione di g.r. n. VI/14037 del 7 giugno 1996 di autorizzazione a stare in giudizio, dagli avv. proff. Giuseppe Franco Ferrari e Massimo Luciani, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, Lungotevere delle Navi n. 30, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.-l. 16 maggio 1996, n. 260, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 113 del 16 maggio 1996, "Regime comunitario di produzione lattiera" (all. 1), nel suo insieme, nonche' in specie quanto all'art. 1, commi 1 e 4, nella parte in cui si prescrive che i bollettini di aggiornamento degli elenchi dei produttori da pubblicarsi dall'AIMA entro il 31 marzo 1996 costituiscono accertamento definitivo delle posizioni individuali, sostituiscono ad ogni effetto i bollettini precedentemente pubblicati e vincolano gli acquirenti ai fini della trattenuta e del versamento del prelievo supplementare; all'art. 1, secondo comma, nella parte in cui tale disposizione sospende fino al 31 marzo 1997 l'efficacia dell'art. 2-bis del d.-l. 23 dicembre 1994, n. 727, convertito con modificazioni in legge 24 febbraio 1995, n. 46; all'art. 1, terzo comma, nella parte in cui tale disposizione introduce un sistema di ricorsi estremamente oneroso per gli operatori. 1. - Il regime delle c.d. quote latte, finalizzato al contenimento della produzione, da anni eccedente nel mercato europeo, e' stato introdotto in Italia, dopo lungo contenzioso circa l'effettiva entita' della produzione interna e la irrogazione delle relative sanzioni comunitarie, dalla legge 26 novembre 1992, n. 468. Tale testo normativo, dopo avere demandato, all'art. 2, secondo comma, la redazione di elenchi dei produttori titolari di quota e la loro pubblicazione in appositi bollettini all'azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA), all'art. 2, secondo comma, limitatamente ai produttori di associazioni aderenti alla UNALAT, dispone la articolazione della quota in due parti: l'una (A), commisurata alla produzione di latte commercializzata nel periodo 1988-1989; l'altra (B), rapportata alla maggiore produzione commercializzata nel periodo 1991-1992. Poiche' peraltro il regolamento CEE del Consiglio n. 804/1968, del 27 giugno 1968, contemplava la periodica rideterminazione delle quote nazionali spettanti all'Italia, i commi 6-8 dello stesso art. 2 assegnavano alle Regioni il compito di vigilare sulla effettiva produzione dei singoli operatori e di comunicare all'AIMA per l'aggiornamento del bollettino le eventuali situazioni di quota assegnata superiore a quella effettiva, e al Ministro dell'agricoltura e foreste, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e sentite le organizzazioni professionali maggiormente rappresentative, in caso di eccedenza delle quantita' attribuite ai produttori alla stregua dei commi secondo e terzo rispetto alle quote nazionali individuate in sede comunitaria, di stabilire con proprio decreto i criteri generali per il pieno allineamento con le quote nazionali nell'arco di un triennio. Lo stesso comma ottavo imponeva che, con riferimento alle riduzioni obbligatorie della quota B, si tenesse conto "dell'esigenza di mantenere nelle aree di montagna e svantaggiate la maggior quantita' di produzione lattiera". 2. - Il d.-l. 23 dicembre 1994, n. 727, poi convertito con modificazioni in legge 24 febbraio 1995, n. 46 ha poi operato la riduzione delle quote B per singolo produttore, con l'esclusione degli operatori delle stalle ubicate nelle zone montane di cui alla direttiva del Consiglio CEE n. 75/268 del 28 aprile 1975, da effettuarsi entro il 31 marzo 1995 con operativita' dalla campagna 1995-1996. La legge di conversione n. 46/1995 ha innovato il decreto come segue: a) ha previsto (art. 2, primo comma, lett. O. a)) la riduzione della quota A non in produzione, almeno qualora essa ecceda il 50% della quota A attribuita; b) dopo avere confermato la riduzione della quota B (lett. a)), ha escluso (lett. b)) da entrambe le riduzioni i produttori non solo titolari di stalle ubicate in zone di montagna, ma anche quelli operanti "nelle zone svantaggiate e ad esse equiparate nonche' nelle isole"; c) ha consentito (art. 2, comma 2-bis) che i produttori che abbiano ottenuto, anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 468/1992, l'approvazione di un piano di sviluppo o di miglioramento zootecnico da parte della Regione e che lo abbiano realizzato, possano chiedere la assegnazione di una quota corrispondente all'obiettivo di produzione indicato nel pinao medesimo, in sostituzione delle quote A e B. Piu' in generale il d.-l. n. 727/1994 e la legge n. 46/1995 hanno soppresso la previa consultazione della Conferenza tra Stato e Regioni, rimettendo la istruttoria e la predisposizione del piano di rientro esclusivamente all'istanza ministeriale. Inoltre, la normativa ha introdotto un meccanismo di autocertificazione delle produzioni, in base al quale gli acquirenti sono autorizzati a considerare i quantitativi autocertificati dai produttori. 3. - La legge n. 46/1995 insieme con il decreto-legge convertito veniva impugnata dalla Regione Lombardia con ricorso rubricato n. 22/1995 (all. 2), con allegazione di numerosi profili di incostituzionalita'. Codesta ecc.ma Corte, a seguito di discussione nella pubblica udienza del 23 novembre 1995, con decisione n. 520 del 28 dicembre 1995 accoglieva il predetto ricorso, in una con quello presentato dalla Regione del Veneto e rubricato con n. r.g. 23/1995, sotto il profilo della incostituzionalita' dell'art. 2, primo comma, della legge, nella parte in cui non vi si contemplava il parere delle Regioni interessate nel procedimento di riduzione delle quote individuali spettanti ai produttori di latte bovino. 4. - Il Governo e' ora intervenuto nuovamente con la decretazione di urgenza nel delicato settore de quo, adottando prima il d.-l. 15 marzo 1996 n. 124 e poi, reiterando il primo, adottando il decreto-legge impugnato con il presente ricorso. Esso, in specie: a) demanda all'AIMA, entro il 31 marzo 1996, di nuovo senza previo parere delle Regioni interessate dagli eventuali tagli, la pubblicazione di un bollettino di aggiornamento degli elenchi dei produttori titolari di quota e dei quantitativi loro spettanti delle quote latte 1995-1996 (art. 1, primo comma); b) stabilisce che, ai fini della trattenuta e del versamento del prelievo supplementare per il 1995-1996, gli acquirenti siano tenuti all'osservanza delle risultanze del predetto bollettino di aggiornamento (art. 1, quarto comma); c) sospende sino al 31 marzo 1997 l'efficacia dell'art. 2-bis del decreto-legge n. 727/1994 convertito con modificazioni in legge n. 46/1995 (art. 1, secondo comma); d) detta disposizioni sulla tutela in via amministrativa dei produttori avverso le determinazioni del predetto bollettino di aggiornamento (art. 1, terzo comma). 5. - La disciplina di cui all'art. 2, della legge n. 46/1995, dichiarata incostituzionale dalla Corte nella citata decisione 520/1995, e ora richiamata ex novo, in quanto l'art. 1, primo comma non detta nuove e diverse modalita' di confezionamento del bollettino, ancora in assenza del parere delle Regioni, dalla Corte stessa dichiarato indispensabile e dunque "additivamente" inserito nel procedimento di formazione del bollettino, e' da se' solo sufficiente, almeno in termini previsionali, a determinare il virtuale azzeramento della quota B nelle aziende di pianura, e in specie in quelle della Regione ricorrente - ad un primo calcolo la quota B subirebbe infatti un brutale taglio del 74% circa - e una rilevante diminuzione della quota A. In altre parole, il bollettino di cui all'art. 1, commi primo e quarto, del decreto-legge impugnato sostituisce quelli preveduti dal regime normativo precedente, continua a prescindere dal parere delle Regioni interessate dai tagli in violazione del disposto della decisione n. 520/1995, e in piu' assume una natura o almeno una forza particolare, in quanto esso ha valore di "accertamento definitivo" delle posizioni individuali dei produttori (art. 1, primo comma: v. supra, punto 4.a) e del pari di vincolo esclusivo nei confronti degli acquirenti (e per conseguenza delle aspettative patrimoniali dei produttori: art. 1, quarto comma, e supra punto 4.b). Inoltre esso interviene a regolamentare con la predetta peculiare forza i rapporti produttivi nel settore con efficacia retroattiva, a campagna 1995/1996 conclusa, con disastrosi effetti su interi patrimoni aziendali e, non di mero riflesso, sulle attribuzioni regionali, dato che l'automatismo degli effetti comporta la virtuale spoliazione dei poteri regionali di indirizzo, programmazione e controllo del settore lattiero-caseario. Nella sostanza della disciplina applicata, poi, va ribadito che la Regione ricorrente, a differenza di altre Regioni, non ha mai approvato - come ci si riserva di documentare in vista della pubblica udienza - piani di sviluppo e miglioramento comportanti aumenti di produzione del latte e dunque, a far data dal 12 marzo 1985, non annovera operatori in grado di avvalersi della sostituzione delle quote A e B con i piu' favorevoli obbiettivi dei piani di sviluppo e miglioramento. Per sovrammercato, la introduzione in via di urgenza di una disciplina sfavorevole nella sostanza e con efficacia retroattiva si accompagna alla individuazione (art. 1, terzo comma e punto 4.d) di un regime di autotutela da ricorso estremamente penalizzante per gli operatori. Le disposizioni di cui in epigrafe sono dunque illegittime per i seguenti M o t i v i 1. - Occorre in limine rilevare che con il presente ricorso viene impugnato un decreto-legge, eppercio' un atto provvisorio con forza di legge ai sensi dell'art. 77 della Costituzione. Non e' dato, allo stato, divinare il futuro delle previsioni normative in esso contenute: non si puo' - cioe' - sapere se l'atto verra' convertito in legge, se in mancanza di conversione vi sara' sanatoria degli effetti comunque prodotti medio tempore, oppure se il decreto decadra' senza alcun ulteriore intervento. E' dunque necessario sin d'ora richiedere che, nell'eventualita' della sanatoria del decreto non convertito, le questioni di costituzionalita' sollevate con il presente ricorso vengano trasferite, conformemente al principio fissato dalla sentenza n. 84/1996, sulla legge di sanatoria. Analogo trasferimento si richiede, peraltro, nell'eventualita' che il decreto venga semplicemente reiterato. Come la citato sentenza n. 84 ha affermato, infatti, cio' che conta, nel giudizio di costituzionalita', sono le norme impugnate, non gia' le disposizioni che le "veicolano". Come prospetta la stessa ordinanza n. 130 del 1996, il principio posto alla base del trasferimento sulla legge di sanatoria deve essere alla base, a fortiori, del trasferimento sull'eventuale decreto "reiterante", attesa l'indubbia continuita' di contenuto normativo che - per definizione - lega l'atto reiterante all'atto reiterato. Cosi' stando le cose, anzi, si puo' rilevare come il decreto-legge in epigrafe venga ora impugnato per mero tuziorismo atteso che sarebbe sufficiente il trasferimento delle questioni gia' sollevate in riferimento al decreto-legge n. 124/1996 qui reiterato in fotocopia per definire la controversia di che trattasi. 2. - Nel merito, si deve, in primo luogo, lamentare la radicale illegittimita' costituzionale dell'intero decreto-legge n. 260/1996. Per costante giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, l'illegittimita' costituzionale di interi testi legislativi si determina laddove il legame fra le singole disposizioni che essi contengono sia tale che il ripristino della legalita' costituzionale violata non e' possibile se non a condizione di folgorare l'atto fonte nella sua totalita'. Nel caso sottoposto al giudizio di codesta ecc.ma Corte, l'illegittimita' dell'intero testo del decreto impugnato deriva da un duplice ordine di vizi: 2.1. - Violazione degli artt. 77, 117 e 118 della Costituzione. L'impugnato decreto risulta privo di requisiti essenziali della straordinarieta', necessita' e urgenza che, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione, condizionano la legittimita' dell'adozione di decreti-legge da parte del Governo. Nessuna delle previsioni del decreto, invero, appare - almeno legittimamente (v. quanto si dira', sul punto, al n. 3.1. del presente ricorso) finalizzata allo scopo di fronteggiare situazioni cosi' chiaramente segnate dall'urgenza, da richiedere l'intervento di un atto adottato ai sensi dell'art. 77 della Costituzione e non il ricorso normale iter legislativo di cui agli artt. 70 e seguenti. Si tratta infatti di aggiustamenti (per giunta illegittimi) delle previsioni dettate dalla legge 26 novembre 1992, n. 468 e dalla legge 24 febbraio 1995 n. 46, dei quali non e' dato rinvenire, in alcun modo, l'urgenza. Il Governo, oltre tutto, ha agito in modo addirittura contraddittorio, stabilendo la sospensione dell'efficacia di una parte del d.-l. 23 dicembre 1991 n. 727 sino al 31 marzo 1997. E' infatti veramente difficile comprendere quale sia l'urgenza della sospensione (per oltre un anno) dell'efficacia di un atto che esso pure dovrebbe essere urgente (tanto necessariamente urgente, che solo nella misura in cui effettivamente e' tale puo' dirsi legittimo). In realta', ci troviamo qui di fronte all'ennesimo episodio di illegittimo esercizio di un potere che la Costituzione ha concepito come eccezionale "straordinario", e che invece viene sempre piu' frequentemente impiegato come strumento "ordinario" di produzione normativa primaria. Mancano percio' del tutto quei presupposti costituzionali della decretazione d'urgenza la cui carenza e', dalla piu' recente giurisprudenza costituzionale, ritenuta censurabile (sentenza n. 29/1995), specie quando sia evidente e conclamata (sentenza n. 165/1995), come nella specie e'. Va qui precisato che la Regione ricorrente non lamenta la pura e semplice violazione dell'art. 77 della Costituzione, bensi' anche e soprattutto la lesione delle competenze costituzionali che ad essa sono riconosciute. E' infatti anche attraverso la violazione dell'art. 77 della Costituzione da parte del decreto-legge impugnato che tale lesione si e' consumata, poiche' il Governo, illegittimamente esercitando le facolta' di cui all'art. 77 della Costituzione, ha finito - come appresso di dimostrera' - per sottrarre alla Regione il potere di regolare un settore come quello della produzione lattiera, che la Costituzione, in una con la normativa ordinaria di trasferimento delle funzioni, sine dubio le affida nell'ambito della materia "agricoltura". Di qui, l'ammissibilita' della relativa censura (cfr. sentt. nn. 32/1960; 64 e 183 del 1987; 272 e 302 del 1988; 87/1996). Va infine sottolineato che il decreto impugnato non si occupa (se non per produrre, come appresso si rileva, una nuova incostituzionalita'), del solo profilo che avrebbe dovuto invece legittimamente e necessariamente toccare: quello - cioe' - della disciplina dei rapporti fra Stato e Regione nel procedimento di riduzione delle quote individuali spettanti ai produttori di latte bovino, rapporti che avrebbero dovuto essere ulteriormente regolati (in senso garantista per le Regioni) alla luce della sentenza n. 520/1995 di codesta ecc.ma Corte, che, sebbene additiva, avrebbe probabilmente abbisognato di ulteriore attuazione e specificazione legislativa. Anche di qui, la pretermissione delle esigenze costituzionali (scolpite nell'art. 77 della Costituzione) da parte dell'impugnato decreto emerge con chiarezza. 2.2. - Violazione degli artt. 3, 11, 41, 117 e 118 della Costituzione. In estrema sintesi, il provvedimento legislativo qui impugnato e' ispirato alla ratio di individuare, quale strumento attuativo delle contestate scelte di merito contenute nell'art. 2 della legge n. 46/1995, un bollettino assolutamente unico nel suo genere e munito di caratteri del tutto speciali: la retroattivita' rispetto alla campagna ormai conclusa (art. 1, primo comma), la definitivita' rispetto ai produttori (ibidem) e agli acquirenti (quarto comma), la non definitivita' nel senso amministrativo del termine (per impugnarlo giurisdizionalmente occorre infatti avere previamente esperito il rimedio amministrativo in opposizione avanti l'AIMA: terzo comma, la non sostituibilita' con strumenti autocertificativi precedentemente introdotti dal Governo sempre in via di urgenza (secondo comma), la capacita' di precludere persino le compensazioni dovute in base alla disciplina comunitaria se l'operatore lo abbia attaccato con impugnazioni, per tutta la durata necessaria per definirle. Per tutto questo, il decreto impugnato appare complessivamente e nella sua integrita' costituzionalmente illegittimo per i vizi sopra esposti. 3.1. - Specificatamente viziati da illegittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 11, 47, 117 e 118 della Costituzione, sono poi i commi primo e quarto dell'art. 1 del decreto-legge n. 124/1996. Il primo comma prescrive che l'AIMA deve pubblicare appositi bollettini "di aggiornamento" degli elenchi dei produttori titolari di quota nonche' delle quote di loro spettanza per il periodo 1995-1996 "entro il 31 marzo 1996". Tali bollettini costituiscono accertamento definitivo delle posizioni individuali, e sostituiscono "ad ogni effetto" i bollettini che l'AIMA ha precedentemente pubblicato per il periodo di riferimento. A sua volta, il quarto comma dispone che gli acquirenti del latte prodotto, ai fini della trattenuta e del versamento del prelievo supplementare, devono considerare esclusivamente le quote individuali risultanti dai bollettini di cui al primo comma. Come si evince gia' da una prima lettura, tali disposizioni introducono nel nostro ordinamento, ancorche' ad hoc e per la sola campagna 1995-1996, una categoria del tutto speciale di bollettini, i cui effetti sul settore lattiero-caseario e sul governo dello stesso da parte delle Regioni sono devastanti. I bollettini di cui trattasi sono infatti la sola fonte di individuazione delle posizioni dei singoli produttori per la campagna 1995-1996, e posseggono valore definitivo, nonche' sostitutivo di qualunque altra precedente determinazione. Tali bollettini, pero', riguardano - illogicamente - una campagna che sostanzialmente si e' gia' conclusa al momento in cui le disposizioni impugnate sono divenute operative. Conseguentemente, i loro effetti sono da considerarsi retroattivi. La campagna di produzione del latte non coincide infatti con l'anno solare, ma va dal 1 aprile al 31 marzo. Sin dall'inizio, dunque, i bollettini di cui all'art. 1, commi 1 e 4, erano concepiti come atti destinati a produrre effetti pro praeterito tempore (e cioe' per la campagna 1995-1996 ormai conclusa), ed anzi era addirittura (non semplicemente prevedibile ma) scontato che la loro pubblicazione non avrebbe potuto praticamente intervenire nel brevissimo spatium temporis intercorrente fra l'entrata in vigore del decreto impugnato (17 marzo) e il successivo 31 marzo, data di conclusione della campagna 1995-1996. In realta', il nuovo strumento introdotto dal decreto (nuovo) perche', nonostante il nomen iuris di "bollettino", produce effetti assolutamente inediti) era dall'origine - appunto - destinato ad operare solo per il passato, senza alcuna possibilita' di utilizzazione per il futuro. In questo modo si determina una pluralita' di violazioni delle menzionate previsioni costituzionali. Anzitutto, viene violato, in una con gli artt. 117 e 118 della Costituzione (che definiscono l'ambito di attribuzioni delle Regioni) e con l'art. 41 (che impone il controllo e l'indirizzo della produzione privata a fini sociali), l'art. 11 della Costituzione atteso che la ricordata scansione temporale delle campagne di produzione del latte e' fissata dal regolamento CEE n. 804/68. Disciplinare retroattivamente, a campagna sostanzialmente conclusa, le posizioni individuli dei singoli produttori significa violare la lettera e lo spirito della normativa comunitaria. Questa, infatti, prevedendo una certa periodizzazione delle campagne di produzione del latte, intende far si' che si realizzi una gestione corretta e programmata della produzione lattiera medesima, che deve essere calibrata proprio su detta periodizzazione. Sconvolgimenti a posteriori della disciplina di settore come quello determinato dalle disposizioni impugnate sono dunque radicalmente contrari alla normativa comunitaria (e conseguentemente all'ordine costituzionale dei rapporti fra Stato e Regioni, che quella normativa contribuisce a definire). E' proprio allo scopo di assicurare quella corretta e programmata gestione, del resto, che l'art. 4, secondo comma, della legge n. 468/1992 aveva previsto in via generale che i bollettini fossero pubblicati entro il 31 gennaio di ciascun anno: che senso avrebbe avuto, una pubblicazione successiva alla conclusione della campagna, quanto i produttori hanno gia' determinato i loro obiettivi, ovveri li hanno gia' raggiunti? Coerentemente, invero, la stessa disposizione normativa prevedeva (e prevede) che i bollettini da pubblicarsi "entro il 31 gennaio di ciascun anno" contenessero "gli elenchi aggiornati dei produttori titolari di quota e dei quantitativi ad essi spettanti nel periodo avente inizio il 1 aprile successivo". Il bollettino aveva dunque (ed ha) la (ovvia) funzione di determinare le quote spettanti per il futuro, non certo quella di riferirsi a quantitativi relativi al passato. Le disposizioni impugnate determinano dunque una vera e propria deroga alla previsione generale della legge n. 468/1992, ma senza alcuna giustificazione razionale e in spregio della stessa normativa comunitaria. Violati, parallelamente, sono, di nuovo, in una con l'art. 41 della Costituzione, gli artt. 117 e 118. Le Regioni, alle quali la stessa sentenza n. 520/1995 riconosce un ruolo preminente nel governo del settore lattiero-caseario, sono totalmente spossessate delle loro attribuzioni programmatorie dagli effetti retroattivi dei nuovi bollettini, che determinano conseguenze del tutto incontrollabili sia per i produttori che per l'Ente territoriale preposto - come detto - al governo del settore. Il paradosso di uno strumento concepito quale mezzo di programmazione (il bollettino) che si trasfigura in mezzo di registrazione di realta' pregresse (il nuovo bollettino creato dai commi primo e quarto dell'art. 1) e' evidente. Ed e' un paradosso che determina una palese illegittimita' costituzionale, nella misura in cui da esso consegue la sottrazione alle Regioni di qualunque facolta' di governo e programmazione della produzione lattiera, che viene assunta come un dato, riferito al passato, e non come un obiettivo proiettato (come dovrebbe essere) nel futuro. Cosi' stando le cose, si potrebbe anche osservare che, ove all'impugnato decreto fosse stata davvero sottesa un'urgenza, questa non avrebbe potuto che stare nell'intenzione di determinare effetti retroattivi su di una campagna di produzione lattiera sostanzialmente gia' conclusa: proprio questa, e non altra, e' infatti la conseguenza della previsione normativa qui censurata. Cio', pero', in aperta violazione della Costituzione e delle norme interposte che ne integrano le previsioni (in particolare, del menzionato regolamento CEE n. 804/68 e della legge n. 468/1992), perche' - come si e' rilevato - la disciplina retroattiva della campagna 1995-1996 ha leso le attribuzioni regionali e violato i precetti comunitari. Se urgenza davvero vi era, dunque, era un'urgenza incostituzionale, eppercio' non assumibile quale legittimo fondamento dell'uso di potere di decretazione d'urgenza. Tanto, ad ulteriore conferma delle censure gia' formulate, in riferimento agli artt. 77, 117 e 118, al punto n. 2.1. del presente ricorso. 3.2. - Violazione degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione. L'art. 1, terzo comma, del decreto-legge impugnato definisce un discutibile - sotto tutti i profili - regime di ricorsi. Le sue lacune e piu' ancora i suoi sviamenti di potere legislativo sono molteplici e gravissimi, proprio per i loro effetti sulle prerogative regionali. Si considerino infatti le seguenti anomalie: il dies a quo dei ricorsi amministrativi in opposizione da proporre all'AIMA e' incerto, non essendo chiaro se la pubblicazione menzionata nel terzo comma dell'art. 1 sia la diffusione del bollettino a cura della Regione (la conoscenza degli operatori non puo' certo avere luogo nello stesso giorno) o la riproduzione di esso in Bollettino ufficiale della Regione; il termine assegnato e' brevissimo, ben piu' di quanto non contempli la revisione dei rimedi amministrativi operata con d.P.R. n. 1199/1971; il ricorso giurisdizionale sembra essere possibile, sia in caso di silenzio-rigetto da parte dell'AIMA che di reiezione esplicita, solo dopo la pronuncia sul ricorso amministrativo in opposizione, con il risultato che si tenta di operare una restrizione neppure troppo occulta della tutela giurisdizionale, in spregio non solo alle disposizioni costituzionali citate in epigrafe, ma altresi' ai principi della riforma del processo amministrativo operata con legge n. 1024/1971. E' chiaro trattarsi di misura sostanzialmente ritorsiva a seguito delle massicce soccombenze giudiziali subite sin qui da AIMA, EIMA e MIRAAF avanti i giudici amministrativi di primo grado come di appello, sia in sede cautelare che di merito. In altri termini, sembra reintrodotto il superato principio della definitivita' dell'atto amministrativo quale presupposto dell'impugnazione giurisdizionale; la sospensione per circa un anno della autocertificazione prevista dall'art. 2-bis della legge n. 46/1995 (secondo comma dell'art. 1) esclude che la proposizione del ricorso in opposizione possa consentire pur provvisoriamente la percezione da parte dei produttori del compenso da parte degli acquirenti pur con riferimento - si badi - alla campagna gia' conclusa, sicche' chi vanta crediti per consegne operate legittimamente in tempi in cui la disciplina retroattiva sfavorevole non era vigente non ha alcuna speranza di riscuoterli, nonostante la proposizione del rimedio amministrativo; infine, poiche' gli accertamenti da effettuare a seguito dei ricorsi in opposizione e dei ricorsi in opposizione e dei ricorsi giurisdizionali amministrativi richiederanno tempi medio-lunghi, le compensazioni previste dall'art. 2 dello stesso decreto impugnato non potranno essere effettuate nei tempi stabiliti dal secondo comma. Gli operatori si troveranno dunque nell'alternativa, distruttiva dei loro diritti di difesa, di non impugnare per incassare le comensazioni, anche in presenza di errori o abusi, o di impugnare, correndo il rischio di restare privi di incassi per mesi o per anni, pur con riferimento a consegne gia' eseguite nella campagna conclusa. Le gravi disfunzioni processuali sopra sommariamente descritte non potranno non trasformarsi in elementi di ulteriori lesivita' per le Regioni della disciplina contestata; queste ultime, gia' private ancora una volta di qualunque potere di intervento, pur solo consultivo, sui tali da operare, dovranno cosi' subire anche l'onta della impossibilita' virtuale di governare sul piano programmatorio un comparto della politica agraria che non potra' non venire percorso da un contenzioso capillare, diffuso e squassante. 4.1. - Violazione degli artt. 11, 5, 117 e 118 della Costituzione sotto il profilo della contrarieta' a norme comunitarie e della invasione della sfera di competenza legislativa e amministrativa regionale. Il decreto impugnato, non introducendo alcun nuovo criterio per il riparto dei tagli alla sovrapproduzione nazionale di latte, non puo' non sottendere il richiamo alla disciplina contenuta nell'art. 2 della legge n. 46/1995, pur calandola in uno strumento amministrativo (il "nuovo" bollettino) dotato - come si e' detto - di una forza assolutamente peculiare. Ne deriva che devono essere riproposte (come gia' si e' fatto in occasione dell'impugnazione del decreto-legge n. 124/1996) in questa nuova ottica censure a suo tempo formulte contro l'art. 2 della legge n. 46/1995, e ora rilegittimate e dotate di nuovo vigore, nonostante la decisione n. 520/1995, anche alla luce della retroattivita' contestata sub 2. La Regione ricorrente non ha adottato, dopo il 12 marzo 1995, data di entrata in vigore del regolamento CEE 797/85, che insieme al successivo 2328/91 disciplina i piani di sviluppo e di miglioramento, alcun piano contenente previsioni di incremento della produzione lattiero-casearia. Tale correttezza di comportamento viene cosi' penalizzata, e al contrario l'illecito comunitario commesso da altre Regioni viene premiato, anziche' sanzionato. Si violano cosi' l'art. 11 della Costituzione, e gli artt. 5, 117 e 118, sotto il profilo della competenza legislativa e amministrativa regionale, a suo tempo correttamente esercitata nel rispetto degli obblighi comunitari e ora penalizzata sia per il futuro che retroattivamente per il passato dal premio accordato ad altre Regioni, gia' responsabili di illecito comunitario nella approvazione di piani in aumento. Si intende documentare specificamente che il Ministero dell'agricoltura a suo tempo richiamo' espressamente le Regioni, e in specie la ricorrente, al rispetto del divieto di approvazione di piani in aumento. Sicche' ora il comportamento dell'esecutivo non si limita a tenere conto di uno stato di fatto, ma legalizza con un nuovo illecito comunitario un precedente illecito, dandogli dignita' di presupposto fattuale da cui trarre le mosse. Ne' l'aspettativa della Regione ricorrente e dei suoi produttori al rispetto della legalita' da parte di tutti i soggetti coinvolti nella disciplina di settore puo' venire prospettata come generico affidamento travolgibile, per giunta in via di urgenza e in forma retroattiva. 4.2. - Violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione, in riferimento agli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione. L'illegittimita' costituzionale prospettata sub 4.1. puo' configurarsi anche come violazione degli artt. 3 e 41 per la discriminatoria quanto ingiustificata penalizzazione degli operatori agricoli del settore lattiero-caseario della Regione ricorrente, non fondata su alcun ragionevole parametro classificatorio, ed anzi imperniata su di un parametro espressamente vietato e configurato come un disvalore della normativa comunitaria. La compressione o peggio la soppressione della attivita' produttiva pregiudica non solo gli stessi operatori colpiti, ma anche, e non di riflesso, la effettivita' della funzione legislativa e amministrativa regionale, vanificata nella sua sostanza. 4.3. - Violazione degli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, anche con riferimento all'art. 2, settimo comma, della legge n. 468/1992. Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. Nella decisione n. 520/1995, piu' volte citata, codesta ecc.ma Corte ha ritenuto non incostituzionale la mancata previsione nella legge n. 46/1995 del necessario coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni, atteso che essa va coinvolta soltanto per la determinazione degli indirizzi generali della legislazione da adottare. La Corte ha pero' dichiarato incostituzionale la mancata previsione "di qualsivoglia partecipazione regionale al procedimento di riduzione delle quote individuali", anche alla luce della precedente diretta preposizione delle Regioni stesse, ad opera dell'art. 2, secondo comma, della legge n. 468/1992, alla procedura di riduzione. In altre parole, la Corte ha ritenuto che la presenza regionale dovesse essere garantita non tanto "a monte" dell'intervento legislativo, giacche' la consultazione e' prescritta solo sui lineamenti generali e non sui singoli testi di legge, quanto piuttosto e - imprescindibilmente - "a valle" dell'intervento legislativo, una volta che debba darglisi attuazione mediante la adozione del bollettino che poi le Regioni sono tenute a divulgare. Orbene, la statuizione della Corte ha bensi' avuto l'effetto di introdurre additivamente nell'art. 2 della legge n. 46/1995 il parere regionale non orginariamente inclusovi dal legislatore statale. Ma tale inserimento valeva per il procedimento ordinario di produzione del bollettino. Nel caso di specie, invece, il decreto impugnato ha previsto la adozione di un bollettino unico nel suo genere, dotato - come si e' detto - di una forza speciale (essendo conclusivo per i produttori e definitivo per gli acquirenti) e addirittura assoggettato ad una tutela rafforzata contro impugnative dei soggetti da esso pregiudicati. Rispetto a tale species di bollettino, ridisciplinato nel procedimento, nella forza, negli effetti, nella tutela, il legislatore governativo avrebbe dunque dovuto prevedere, secondo il facilmente comprensibile precetto della Corte, l'intervento partecipativo regionale in vista dell'adozione del bollettino, cioe' appunto a valle del decreto-legge, ma per effetto delle previsioni da contenersi in esso, in vista del riparto dei tagli da praticare. Viceversa, il legislatore, ricadendo nel suo comportamento di sempre, neppure questa volta ha previsto alcun intervento regionale in tale fase. Gia' in riferimento del decreto-legge n. 124/1996, gia' precedentemente impugnato, a tale titolo non valeva la seduta del Comitato permanente per le politiche agricole, alimentari e forestali del 15 febbraio 1995, in cui il Ministro ha semplicemente preannunciato il ricorso ad un nuovo decreto-legge, il cui testo era predisposto in versione diversa da quella poi emanata, senza fornire alcuna indicazione sulle operazioni da porre concretamente in essere. Con cio' il Ministro avrebbe potuto, a tutto concedere, adempiere all'onere di informazione della Conferenza Stato-Regioni circa i lineamenti generali della politica legislativa, ma certo non avrebbe soddisfatto le prescrizione della Corte quanto al procedimento di riduzione. Il che e' fattualmente confermato dalla avvenuta predisposizione di un bollettino, durante la elaborazione del quale la Regione, e in specie la ricorrente e le altre interessate dai tagli, non sono state consultate ad alcun titolo. Ne' tale parere individuale avrebbe potuto essere surrogato da sedi di consultazione collegiale quali il Comitato permanente (v. a tal proposito la seduta del 25 gennaio 1995). In riferimento al decreto-legge n. 260/1996, qui impugnato, il governo non ha proceduto neppure all'adozione del menzionato - e censurato - procedimento. La violazione del principio di leale collaborazione non conosce dunque soste ne' rallentamenti.