IL PRETORE Ha pronunciato d'ufficio la seguente ordinanza, nella causa civile, iscritta a n. ruolo 229/1995 reg. es. tra le parti Deutsche Bank S.p.a., avv. Malagutti, contro Trupia Salvatore, avv. Martinet, Ministero dell'interno - Questura di Aosta - 3 pignorato. Con atto di pignoramento presso terzi la Deutsche Bank S.p.a. procedeva a pignoramento del quinto dello stipendio di Trupia Salvatore; all'udienza fissata compariva il terzo, che ritualmente rendeva la dichiarazione, ed il debitore, che proponeva opposizione. Eccepisce il debitore che l'atto di precetto non sarebbe stato regolarmente notificato; l'eccezione introduce opposizione agli atti esecutivi, proposta tardivamente, in quanto oltre cinque giorni dalla regolare notifica di pignoramento presso terzi. Chiede inoltre sospendersi l'esecuzione, dovendo adempiere ad obbligo alimentare nei confronti di moglie e quattro figli, in misura gia' di per se' superiore al quinto dello stipendio (lire 900.000 mensili), come da sentenza di divorzio del tribunale di Napoli. Ritiene il pretore che la prospettazione sia irrilevante ai fini del decidere, in quanto l'art. 545 c.p.c. prevede limiti al pignoramento, ed al simultaneo concorso di pignoramento per causa alimentare e generico, ma si riferisce inequivocabilmente solo al pignoramento, e non anche, come nella presente ipotesi, al concorso col pignoramento di precedente titolo in relazione al quale non siano stati esperiti atti di esecuzione, in quanto sempre tempestivamente adempiuto. Unica possibilita' che l'ordinamento sembra conferire al debitore e' quella di chiedere al giudice che ha pronunciato la sentenza di divorzio di ridurre l'assegno alimentare. Possibilita' che pero' esula, in quanto ipotetica nella sua proposizione, ed ancor piu' nel suo accoglimento, dall'attuale problematica; la situazione cui far fronte oggi deve (o non deve) tenere conto del titolo cosi' come esistente, e quindi per lire 900.000 mensili. Premesso che risulta documentato l'effettivo adempimento della prestazione alimentare, ne' risulta che il debitore disponga di altri mezzi di sostentamento, oltre lo stipendio, e vive in immobile in locazione, corrispondendo canone di lire 700.000 mensili (doc. n. 4), sembra al pretore che la normativa applicabile possa essere considerata censurabile sotto il profilo della legittimita' costituzionale. Il fatto che l'art. 545 c.p.c. non consenta di tenere conto, per quanto meno ai fini del limite di cui al quarto comma, di non estensibilita' del pignoramento oltre la meta' dello stipendio, dell'esistenza di titolo giudiziale per prestazione alimentare, importa, ad avviso dello scrivente, violazione dei principi di cui agli artt. 3, 29, 30 e 36 della Costituzione. a) Viola il principio di ragionevolezza, e di non discriminazione di situazioni analoghe, in quanto, se l'odierno debitore non avesse fino ad oggi spontaneamente adempiuto all'obbligazione alimentare, ma se fosse reso moroso, e se la ex moglie, nell'interesse proprio e dei figli, avesse tempestivamente eseguito pignoramento, di tale situazione di concorrenza si potrebbe tenere conto. Con conseguente irragionevole discriminazione del debitore alimentare regolarmente adempiente, rispetto a quello moroso. b) Viola il principio di cui agli artt. 29 e 30 Cost., in quanto rende difficile, ai limiti dell'inesigibilita', l'adempimento all'obbligo alimentare, e quindi il dovere e diritto dei genitori a matenere i figli (nel caso in esame il debitore percepisce stipendio mensile di lire 2.200.000: il quinto ammonta quindi a lire 440.000; se si detraggono dallo stipendio le 900.000 e le 440.000, si raggiunge la somma di 860.000). Si consideri inoltre che, nell'ipotesi in cui il giudice che ha pronunciato il divorzio venisse ad una riduzione dell'assegno alimentare, in considerazione dell'esistenza del pignoramento per cui si procede oggi, si giungerebbe ad una compressioine di esigenze alimentari, a fronte di credito generico, azionato da istituto di credito. c) Viola ancora il principio di cui all'art. 36 Cost. in quanto la quota residua dello stipendio che rimarrebbe al debitore, ammontante a lire 860.000, non consentirebbero allo stesso di condurre libera e dignitosa esistenza. Poiche' quindi la questione prospettata appare rilevante e non manifestamente infondata, sussistono le condizioni per sospendere il presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, cui vanno rimessi gli atti ai sensi dell'art. 23 legge n. 87 del 1953;