LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di responsabilita' amministrativa iscritto al n. 206/R del registro di segreteria. Visto l'atto di citazione del procuratore regionale del 9 febbraio 1995 nei confronti di Lama Benedetto e Villardita Giuseppe; Udito nella pubblica udienza del 23 giugno 1995 il consigliere relatore dott. N. Vincenzo Scurti; Uditi il p.m. nella persona del v. procuratore generale dott. A. Lener e l'avv. Giuseppe Centola per Villardita; Visti gli atti tutti e i documenti di causa; Ritenuto e considerato in Fatto e diritto Con nota del 29 ottobre 1991 l'ANAS Compartimento regionale di Milano informava la procura generale della Corte dei conti di aver dovuto risarcire al sig. Olgati Sergio i danni subiti dall'autovettura di questi in data 11 aprile 1987 sulla strada statale "Vigevanese" bivio di Vermezzo in conseguenza del cattivo stato del manto stradale (l'ANAS era stata condannata dal giudice conciliatore di Milano con sentenza del 23 gennaio 1990). Con successiva nota del 31 ottobre 1991 l'ANAS informava la procura generale della Corte dei conti di aver dovuto risarcire la signora Coppo Emanuela dei danni subiti dall'autovettura lo stesso giorno e nello stesso tratto di strada (l'ANAS era stata condannata dal pretore di Milano con sentenza del 13 febbraio 1990). In sede istruttoria la procura accertava (anche sulla base del rapporto dei carabinieri di Abbiategrasso) che effettivamente quel tratto di strada presentava delle insidie (consistenti in tre grosse buche al margine destro) non visibili dai conducenti e che andavano opportunamente segnalate dall'ANAS; nessun concorso di colpa (peraltro non ritenuto dai giudici che avevano condannato l'ANAS) era da ravvisare nei confronti dei conducenti che avevano subito il danno. Il p.m. presso questa Corte ha ritenuto sussistere la responsabilita' personale di coloro che avrebbero dovuto provvedere alla manutenzione della strada e intanto evidenziare lo stato di pericolo con apposita segnaletica. Vengono convenuti a giudizio il capo nucleo e il capo cantoniere nelle persone di Lama Benedetto e Villardita Giuseppe. Il procuratore chiede la condanna dei convenuti in solido - ai sensi degli artt. 82, legge 2440/1923 e 52 t.u. n. 1214/1934 - al pagamento di una somma pari al danno sofferto dall'ANAS (come specificata nella citazione) in conseguenza dei risarcimenti dovuti ai conducenti delle autovetture. Al riguardo il Collegio rileva che il d.-l. n. 248 del 28 giugno 1995 dispone all'art. 9 "E' interdetto al giudice della Corte dei conti l'utilizzo del principio della solidarieta' passiva. Nei casi di concorso di azioni colpose, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilitata' condanna ciascuna per la parte che vi ha preso". Applicando questa norma, la Corte ne' puo' pronunciare condanna in solido, ne' puo' far uso del potere riduttivo; la preclusione e' contenuta nell'imperativo "condanna ciascuna nella parte che vi ha preso" con esclusione di ogni discrezionalita' nella riduzione dell'addebito. Per entrambi gli aspetti la norma di cui all'art. 9 d.-l. n. 248 del 28 giugno 1995 appare in contrasto con i principi sanciti dagli artt. 3, 24, 28, 97 della Costituzione. Il principio della solidarieta' passiva gia' previsto dagli artt. 82 e 83 della legge di contabilita' del 1923 e dell'art. 52 t.u. sulla Corte dei conti del 1934 e' divenuto principio generale con l'introduzione del c.c. del 1942; gli artt. 1292-1294 prevedono la presunzione di solidarieta' "se dalla legge e dal titolo non risulta diversamente". L'art. 2055 c.c. prevede che "se il danno e' imputabile a piu' persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri nella misura determinata dalla gravita' della rispettiva colpa e dalla entita' delle conseguenze che ne sono derivate.". Tanto nell'ipotesi di responsabilita' contrattuale (artt. 1292-1294 c.c.) quanto in quella di responsabilita' aquiliana (art. 2055) il creditore, nel sistema del diritto privato, puo' chiedere la condanna di uno solo di condebitori solidali all'intero e puo', anzi, agire nei confronti di uno solo di essi. La stessa pronuncia, di condanna all'intero di un condebitore solidale, non puo' essere resa dalla Corte dei conti, e pertanto una analoga pretesa non puo' essere avanzata dal procuratore generale che pur agisce (art. 24 Cost.) per conto dell'ente pubblico danneggiato e nell'interesse dell'ordinamento giuridico; il principio del favor creditoris continuerebbe pertanto a valere se danneggiato e' un soggetto privato, non potrebbe tuttavia valere se danneggiato e' lo Stato o altro ente pubblico. La violazione del principio di eguaglianza per disparita' di trattamento e irragionevolezza (art. 3 Cost.) emerge in maniera eclatante, nell'ipotesi di responsabilita' ex art. 28 della Costituzione e nell'ipotesi di danno derivante da reato commesso da funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici. La norma citata assume sul piano costituzionale il principio della responsabilita' diretta (oltre che dello Stato e degli enti pubblici) dei funzionari e dei dipendenti: di tal che il terzo danneggiato convenendo in giudizio l'ente ottiene l'integrale ristoro del danno. Per contro l'ente esercitando l'azione di rivalsa ex artt. 23 t.u. n. 3/1957 trova dei limiti al diritto all'integrale ristoro del danno subito posto che i funzionari e i dipendenti responsabili del danno (e che in sede civile, se il danneggiato li avesse convenuti, avrebbero potuto essere condannati in solido) non possono invece, in sede di giudizio di responsabilita' amministrativa essere condannati in solido per il divieto, posto dall'art. 9 d.-l. n. 248/1995, al giudice della Corte dei conti. Trattasi di un limite irrazionale posto all'azione del p.m. e al giudice dell'equilibrio economico finanziario: limite che anche in relazione all'attuale situazione della finanza pubblica, contrasta in definitiva con i principi di cui all'art. 97 Cost. L'interdizione dell'utilizzo del principio della solidarieta' passiva appare invero aberrante ed irrazionale nell'ipotesi in cui il fatto che ha determinato il danno erariale consista in un reato (peculato, furto), e nel giudizio innanzi alla Corte dei conti siano convenuti oltre al responsabile del reato anche coloro i quali avendo omesso l'adempimento dei propri doveri (di controllo, di vigilanza) hanno determinato il danno erariale pur rimanendo estranei al reato). Accanto al comportamento commissivo di un soggetto (peculatore) si aggiunge l'attivita' superficiale di altri soggetti (aventi l'obbligo del controllo). Dalla unicita' del fatto dannoso (eadem causa obligandi) non puo' non conseguire una responsabilita' solidale dei convenuti. Il peculatore infatti non puo' che essere condannato all'intera somma sottratta (sarebbe immorale una condanna parziaria, in tal caso il peculatore trarrebbe un ingiusto vantaggio dal concorso di altri soggetti, rimasti tuttavia estranei al reato, per effetto della attribuzione a quest'ultimi di una quota di danno) e per gli altri convenuti responsabili non potrebbe che pronunciarsi (seppure in via sussidiaria) una condanna in solido con il peculatore nell'ipotesi di insolvenza di questi e come sovente avviene. Ritiene in definitiva il collegio che la parziarieta' delle obbligazioni comporti una diminuzione delle garanzie patrimoniali dell'erario in caso di insolvenza del debitore. La parziarieta' (che comporta una minore salvaguardia di chi ha subito il danno rispetto a chi lo ha prodotto) ora imposta dall'art. 9 d.-l. n. 248/1995 mal si concilia con la natura di obbligazione patrimoniale, e non di sanzione, derivante dalla responsabilita' amministrativa. Peraltro una delle finalita' della giurisdizione contabile e' quella di promuovere, attraverso il perseguimento delle responsabilita', la correttezza e il buon andamento della amministrazione (art. 97 Cost.) ed il principio della solidarieta' passiva (interdetto dalla norma impugnata) e' del tutto coerente con il dettato costituzionale (art. 97 Cost.). Nel caso di deliberazioni collegiali (fatti di gestione), la eventuale responsabilita' dei componenti non puo' che essere solidale tanto per l'unicita' dell'atto (eadem causa obligandi) quanto perche' non e' possibile graduare la colpa di ognuno; ne' il giudice potrebbe, attraverso una condanna parziaria, pronunciare sul rapporto interno tra coobbligati in solido definibile in sede civile tramite l'azione di regresso (che rientra nella disponibilita' dei convenuti). Quanto alla possibile abrogazione delle norme di cui all'art. 52, secondo comma t.u. n. 1214/1934 e dell'art. 83 r.d. n. 2440/1923 che il testo dell'art. 9 d.-l. n. 248/1995 sembra contenere, ritiene il collegio che detta norma si pone in contrasto con i principi sanciti dalle norme costituzionali prima indicate. Gia' l'art. 67 della legge di contabilita' 17 febbraio 1884 n. 2016 (che riproduceva il disposto di leggi anteriori: art. 20 della legge 23 marzo 1853 n. 1483, art. 18, legge 13 novembre 1859 n. 3747, art. 47, legge 3 novembre 1861 n. 302 e art. 61, legge 22 aprile 1869 n. 5026) disponeva che fossero sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti gli "ufficiali pubblici" e prevedeva che la Corte poteva porre a loro carico una parte o tutto il valore perduto. Il c.d. potere riduttivo e' il mezzo attraverso il quale il giudice adegua la risarcibilita' del danno al grado di colpa. V'e' la necessita' giuridica di far rimanere a carico dell'ente le conseguenze pregiudizievoli conseguenti a fatti organizzativi (rischio di impresa della p.a.). L'art. 9 ult. p. del decreto-legge sopra citato "condanna ciascuna per la parte che vi ha preso" sembra escludere ogni potere discrezionale di riduzione dell'addebito in contrasto con i principi di cui all'art. 97, primo e secondo comma Cost. Dalle considerazioni esposte si desume che il presente giudizio non puo' essere definito in modo indipendente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, d.-l. 28 giugno 1995 n. 248.