Ecc.ma Corte costituzionale ricorre la Regione Piemonte in persona del Presidente della Giunta Regionale, On.le Enzo Ghigo, autorizzato con delibera della Giunta Regionale n. 222-9892 del 17 giugno 1996, rappresentato e difeso (in virtu' di delega a margine del presente atto) dall'avv. Enrico Romanelli, e presso lo studio del medesimo elettivamente domiciliato in Roma, via Cosseria, n. 5, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dell'on. Presidente del Consiglio pro-tempore, domiciliato per la carica in Roma, Palazzo Chigi, nonche' presso l'Avvocatura Generale dello Stato, via dei Portoghesi n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale del decreto legge 25 maggio 1996, n. 285, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, Parte I, n. 121, del 25 maggio 1996), recante "Misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei lavori pubblici e dell'edilizia privata". Premesso in fatto Sulle competenze normative regionali ex art. 117 della Costituzione in materia di urbanistica e di lavori pubblici di interesse regionale, e sulle correlate funzioni amministrative regionali di cui all'art. 118 della Costituzione e' venuto ad illegittimamente incidere, senza prendere in alcuna considerazione la posizione delle Regioni, il decreto legge 25 maggio 1996, n. 285 (emanato in assenza dei necessari presupposti di cui all'art. 77 Cost.), meglio specificato in epigrafe. Il decreto oggetto del presente ricorso (che ha reiterato integralmente il d.-l. 25 marzo 1996, n. 154) si compone di dodici articoli, di contenuto non omogeneo che, nel loro complesso, ripropongono il contenuto dei precedenti decreti, decaduti per mancata conversione, sia pure con alcuni adattamenti che, tuttavia, non ne fanno venir meno i gravi aspetti di illegittimita' costituzionale. In particolare, con l'art. 3, viene prevista la possibilita', per il ministro, di sostituire al sindaco un commissario ad acta per omissioni nell'adozione di provevdimenti sanzionatori; l'art. 5 prevede l'introduzione di un'ipotesi di silenzio-assenso nell'adozione, da parte della Regione, degli strumenti urbanisti predisposti dai comuni e l'art. 8 incide sulla disciplina del controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia. I n d i r i t t o 1. - Il d-l. 25 maggio 1996, n. 285, costituisce l'ultimo di una ormai lunga serie di decreti-legge, non arrivati alla conversione, principiata con un d.-l. 23 settembre 1994, n. 551, a suo tempo impugnato dalla ricorrente Regione, con ricorso che denunziava l'illegittima compressione delle competenze normative ed amministrative regionali e la violazione dei principi dettati dagli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione della Repubblica. Le censure a suo tempo spiegate dalla Regione Piemonte devono intendersi comunque riferite alle norme riproposte nel loro contenuto (con identita' nel nucleo precettivo essenziale e spesso anche nella sua stessa formulazione letterale) nei decreti-legge successivi, quanto meno nei limiti in cui restino salvi gli effetti della norma decaduta prodottisi nel periodo della sua vigenza precaria, secondo quanto codesta Corte ha affermato con la recente decisione 21 marzo 1996, n. 84. E' da aggiungere che vari comuni piemontesi hanno fatto applicazione del silenzio assenso previsto dai vari decreti legge che, pur non convertiti, si sono succeduti nel tempo, per dare per approvati piani regolatori, in assenza di un deliberato regionale. 2. - La ricorrenza degli estremi della necessita' e dell'urgenza del decreto impugnato e' esclusa ictu oculi, se si considera che il decreto oggi impugnato fa parte di quella stessa serie di decreti-legge, di contenuto analogo, che ormai da un biennio si stanno susseguendo l'uno all'altro, tutti sull'onda di una dichiarata, ma indimostrata (ed anzi, in tutta evidenza, mancanza di) urgenza, e che tutti esprimono, in buona parte la medesima accentuata, ed illegittima, tendenza a comprimere le autonomie regionali. 3. - Uno invero dei profili piu' gravi di violazione, da parte del decreto-legge oggetto del presente ricorso, delle competenze regionali di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione risiede nella previsione (nell'art. 5, terzo comma) di un silenzio-assenso per l'approvazione, da parte della Regione, degli strumenti urbanistici e delle relative varianti, a seguito del decorso di centottanta giorni dalla trasmissione da parte dell'ente che lo ha adottato alla Regione. E' appena il caso di rilevare che la previsione del silenzio assenso, a prescindere dai suoi aspetti di eccezionalita' nell'ambito del nostro ordinamento amministrativo, per pacifica giurispridenza di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, "puo' ritenersi ammissibile in riferimento ad attivita' amministrative nelle quali sia pressoche' assente il tasso di discrezionalita', mentre la trasposizione di tale modello nei procedimenti ad alta discrezionalita', primi fra tutti quelli della pianificazione territoriale, finisce per incidere sull'essenza stessa della competenza regionale" (cosi' C. cost., 12 febbraio 1996, n. 26; in termini analoghi, cfr. C. cost., n. 393 del 1992 e n. 408 del 1995). Nel caso di specie, si verte appunto in tema di strumenti di pianificazione territoriale che, in quanto comportano scelte di carattere discrezionale, costituiscono appunto un ambito assolutamente incompatibile con l'adozione legislativa dello strumento del silenzio-assenso. Quand'anche potesse eventualmente considerarsi giustificata la valutazione delle esigenze di speditezza del procedimento amministrativo, non puo' non tenersi conto del primario interesse pubblico alla tutela degli interessi urbanistici ed arnbientali. Deve in particolare rilevarsi che la previsione di un automatismo, quale quello disegnato dalla norma in esame, non ricerca una soluzione di equilibrio tra rafforzamento di tali esigenze di speditezza, ed una persistente, necessaria tutela dei valori urbanistici; ma accetta la soluzione estrema del silenzio-assenso, che espone a rilevanti pericoli ed accetta il principio di un gravissimo sacrificio dei valori urbanistici ed anche paesaggistici, questi ultimi anch'essi oggetto di esplicita tutela nella Carta costituzionale, collocata anzi, con l'art. 9, secondo comma, nell'ambito dei "Principi fondamentali". 4. Inoltre, le competenze regionali di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione appaiono violate dal decreto impugnato con la previsione (contenuta nel primo comma dell'art. 3) della Sostituzione al Sindaco di un commissario ad acta per omissioni di cui non vengono peraltro chiariti i confini in maniera chiara ed univoca. L'indeterminatezza dei presupposti di applicazione della previsione si accompagna all'attribuzione in via esclusiva al Ministro competente ("anche d'ufficio") del relativo potere sostitutivo, senza alcuna previsione di una partecipazione della Regione all'esercizio di una cosi' incisiva forma di controllo. Si tratta di una deroga (priva di giustificazione) al principio generale e costituzionalmente garantito dell'autonomia degli enti locali. Per di piu', l'attribuzione del potere di controllo sostitutivo al Ministro dei lavori pubblici si manifesta come una violazione dell'art. 130 Cost., che postula l'attribuzione di tali poteri ad un organo regionale. Ne' l'attribuzione di tale potere ad un organo dello Stato centrale trova una giustificazione nella decisione 12 maggio 1977, n. 75, di codesta ecc.ma Corte, che rigetto' il conflitto di attribuzione proposto da altra Regione a statuto ordinario avverso la nomina prefettizia di un commissario ad acta presso un comune per eseguire una decisione del Consiglio di Stato, sul presupposto che il pregiudizio subito dalla Regione era da ricollegarsi alla pronunzia dell'organo giurisdizionale, e non alla decisione del Prefetto. Da tale decisione si ricava semmai la conferma implicita che (al di la' delle ipotesi in cui esso sia mera attuazione di pronunzie giurisdizionali) il controllo sostitutivo, come in genere tutti i controlli amministrativi sui comuni, rientra nelle competenze regionali, ai sensi dell'art. 130 Cost. 5. - Il decreto legge impugnato, all'art. 7, viene ad incidere illegittimamente anche sulle competenze normative ed amministrative regionali in materia di lavori pubblici di interesse regionale. Infatti, all'art. 7 detta disposizioni per la definizione del contenzioso in materia di opere pubbliche. In particolare, con l'ottavo comma di tale articolo prevede che "le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, secondo comma, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 ... possono chiedere al Ministro dei lavori pubblici l'applicazione delle disposizioni di cui al presente "articolo" (relative alla ripresa dell'esecuzione di opere "che per qualsiasi ragione risultino sospese")". I relativi provvedimenti ministeriali sono condizionati dal secondo comma dello stesso art. 7 alla verifica del perdurare dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera, degli spetti di tutela ambientale e di sicurezza, dei riflessi derivanti all'amministrazione dai provvedimenti giurisdizionali che eventualmente abbiano determinato la sospensione dell'opera, e della congruita' degli aspetti economici dell'affidamento; peraltro, in base allo stesso secondo comma dell'art. 7, e' lo stesso Ministro dei lavori pubblici ad essere chiamato a dettare, con proprio decreto, i criteri di valutazione della ricorrenza dei suddetti presupposti. Si rileva che, in base alla menzionata previsione, ove la valutazione abbia ad oggetto opere pubbliche la cui realizzazione rientra nelle competenze regionali, la Regione viene assoggettata ad un controllo del Ministro, li' dove dovrebbe essere affermata la competenza esclusiva della Regione in proposito; la disposizione appare illegittima, quanto meno nei limiti in cui sulla valutazione in questione non sia riconosciuta la competenza regionale, e la Commissione chiamata ad esprimersi su di essa non sia di nomina regionale, sia pure con una composizione che rispetti nelle loro linee direttive i criteri seguiti dalla norma in questione. Va ancora aggiunto che la stessa rimessione al Ministro dei lavori pubblici della determinazione dei criteri sulla base dei quali valutare il perdurare dell'interesse pubblico e la congruita' degli aspetti economici trascende indubbiamente dall'ambito del potere di indirizzo e di coordinamento di cui all' art. 118 Cost., potere che, peraltro, non compete al singolo Ministro, dovendo essere esercitato, ai sensi della legge n. 400 del 1988, mediante deliberazioni del Consiglio dei Ministri. Da un punto di vista contenutistico, infatti, gli atti di indirizzo e di coordinamento non possono estrinsecarsi in forme espressive tanto "analitiche e dettagliate" da non lasciare alle regioni un necessario spazio di autonomia entro il quale esercitare le proprie competenze.