IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile del lavoro promossa dall'Istituto Bancario San Paolo di Torino s.p.a. rappresentanto e difeso dall'avv. G.P. Borsotti e F. Bonamico, contro Abronio Susanna, Alciati Rita, Amerio Paolo, Arri Paolo, Astolfi Alberto, Audero Massimo, Baccan Angelo, Baggia Chiara, Baldi Fiorenzo, Barale Laura, Basso Virginio, Beretta Marilena, Bertarelli Giovanni, Bertero Marina, Bevione Giuseppe, Bicego Luigi, Boffa Ida, Bonini Maurizio, Bonito Aldo, Borgogno Sergio, Borsero Marisa, Brescia Mario, Brunetto Lorella, Buffa Valeria, Burzio Agnese, Cabella Anna Lisa, Caccialupi Alessandro, Campia Mauro, Candelari Paolo, Candellone Mario, Cappello Claudio, Carpignano Marco, Casalis Anna Grazia, Chinelli Marco, Cianchini Mario, Ciccottino M. Alessandra, Civiero Gianpiero, Codetta Marco, Coduti Bruno, Colasanto Antonio, Crescenzio Valerio, Dassano Maria Grazia, De Trovato Aldo, Del Bosco Gianni, Deregibus Franca, Dompe' Silvia, Duo' Rita, Enrico Giancarlo, Fanello Francesco, Fantini Giuseppe, Ferraris Aldo, Ferretti Renzo, Francia Simonetta, Franco Federico, Fratenali Silvio, Frigato Marzio, Fumero Domenico, Galliano Roberto, Garabello Susanna, Garbolino Maurizio, Garrone Bruno, Gava Renato, Gay Andrea, Genga Vincenza, Gentile Pietro, Giacomino Paolo, Gianoglio Giuliana, Giordano Antonella, Giordano Gianpaolo, Giovannini Anna, Girbuola Silvana, Gorlato Ennio, Griffa Piero, Guelfo Claudio, Isoardi Walter, Liuzzo Paolo, Lupo Erminia, Magaldi Concetta, Maino Flavio, Manassi Gabriele, Marchisio Giovanna, Marenna Nando, Marocco Maria Rosa, Martina Silvano, Masera Franco, Massa Rita, Massa Simonetta, Mazzetto Claudio, Mingolla Giuseppe, Mo Angelo, Molon Rino, Morello Carlo, Nebiolo Fabrizio, Oberto Delfina, Olivieri Vilma, Oppezzo Pino, Panero Anna, Parolini Roberto, Penasso Piero, Perrero Luciano, Petiti Claudio, Petrini Alberto, Piccarolo Giovanni, Pizzuto Cristina, Pomarico Stefania, Ponzone Augusta, Randazzo Laura, Rao Roberta, Ricci Rita, Ronzano Mauro, Rosso Piergiorgio, Rubba Flavio, Rubo Dario, Salvatore Giuseppe, Sanfilippo Michele, Scassiano Oreste, Silvano Laura, Speggiorin Silvana, Summa Luigi, Tiboni Laura, Tonelli Gianpaolo, Toniolatti Paolo, Trinchero Aldo, Turturro Enzo, Valente Loretta, Vergnano Claudio; rappresentati e difesi dall'avv. L. Sanfelici; e contro Occelli Pietro, Fassi Marco, Vay Elena, Baima Alberto, Borello Giovanni, Giardini Alberto, Bosco Sergio, Andreis Piero, Mantero Roberto, Mignone Paolo, Scarzella Massimo, Pesce Mario, Crosa Giacomo, Gallo Liviana, Ramazzina Ugo, Gallo Claudio, Chiecchio Ivana, Alberto Franco, Pira Guido, Biolatto Lucia, Saglicco Claudio, D'Apice Massimo, Bosticco Giovanni, Rat Floriano, Vidotto Giancarlo, Filotti Elisabetta, Carlone Vincenzina, Galliano Cristina, Parodi Andrea, Tamietti Alberto, Piccione Doris, Rosso Roberta, Davite Valeria, Miseferi Anna, Doglio Fabio, Semeraro Piero, Sobrero Flavia, Gai Gianpiero, Cugno Roberto, Raviolo Marina, Barilla' Angelo, Joly Rosella, Achino Roberto, Passerino Domenico, Bonetto Daniela, Sabbione Antonio, Penna Sergio, Ferrari Mauro, Rosso Luigi, Da Ros Vittorino, Petromilli Aldo, Traversa Marilena, Di Bella Filippo, Valente Angela, Pastorino Luciano, Ferraris Sandro, Icardi Massimo, Buratti Claudio, Didoli Wilma, Catalano Rosa, Forza Walter, De Cesare Franco, Agostinelli Alessandro, Rubinetti Sergio, Trinchero Antonella,Pugliese Roberto, Arossa Lucio, Banzino Rosanna, Marsero Marisa, Dotta Maurizio, Morra Lucia, Zampillo Antonio, Dalla Porta Massimo, Franzino Maurizio, Cavaglia' Armando, Ferrero Piero, Bocchio Paolo, Uscello Chiara, Cupipo' Pantaleone, Tonetti Antonella, Vanzino Clara, De Nadai Lorenzo, Solia Giuseppe, Barosso Rosanna, Serra Lucia, Feletto Marina, Dagna Fabrizio, De Mattia Walter, Rigoli Felice, Paniate Vera, Abrate Margherita, Conti Sergio, Speretta Luigino, Labate Paolo, Castelli Raffaella, Lo Giudice Alberto, Boscolo Fabrizio, Binello Franca, Spina Sergio, Livigni Eugenio, Cora Daniela, Italiano Francesca, Ronco Gianfranco, Cristofaro Giuseppe, Ceccon Carmen, Ferrero Pierluigi, Giallorenzo Antonio, Mantica Giorgio, Massa Simonetta, Trucco Piero, Brazic Giovanni, Vincenzi Adriano, Fiorentino Alberto, Merlo Piero, Geraci Giuseppina, Prato Roberto, Chiaramello Caterina, Novelli Pier Mauro, Baravalle Sandra, Graziano Maria Luisa, Pignatiello Antonia, Daidone Vincenza, Masetto Arturo, Melli Mauro, Dellavalle Maria, Luongo Nina, Albano Angela, Cola Martino Giorgio, Lupo Maria Assunta, Busato Alessandra, Raviolo Walter, Cappa Rosella, Bergero Floriana, Andreone Luciano, Bertolino Marina, Golzio Massimo, De Gruttola Paolo, Rosso Teresa, Berri Daniela, Busano Laura, Dotta Nadia, Cavallero Stefano, Volpi Gloria, Tonelli Rosalba, Rosso Liliana, Colombatti Laura, Berra Roberto, Conti Mario, Lerda Roberto, Ugoste Fabio, Cavalli Davide, Gramaglia Franca, Anelli Francesco, Vittone Pierangela; contumaci; e contro Borello Bruno, rappresentato e difeso dall'avv. L. Sanfelici, intervenuto in causa. Premesso: che i lavoratori indicati in epigrafe, dipendenti dell'Istituto Bancario San Paolo di Torino ed addetti al Centro contabile di Moncalieri, con ricorso depositato in data 4 giugno 1992 chiedevano al pretore di Torino, in funzione di giudice del lavoro, di condannare l'Istituto suddetto ad adottare i provvedimenti e le misure idonee a sottrarli al c.d. "fumo passivo" negli ambienti in cui lavoravano, con il risarcimento dei rilativi danni patiti previa affermazione della illiceita', per contrasto con l'art. 32 Costituzione e l'art. 2087 Codice civile, della condotta aziendale che imponeva la prestazione dell'attivita' lavorativa negli stessi ambienti in cui operavano altri dipendenti fumatori; che, a sostegno di tali domande, venivano illustrate le varie e gravi conseguenze, ormai concordemente accertate in sede scientifica, della prolungata esposizione al fumo passivo e veniva invocato il diritto soggettivo alla salubrita' ambientale del posto di lavoro, giudizialmente tutelabile a livello individuale; che l'Istituto Bancario San Paolo di Torino si costituiva chiedendo la reizione delle domande dei ricorrenti, da un lato, osservando che la pretesa di ottenere la imposizione del divieto di fumare nei luoghi di lavoro o di approntare locali riservati ai fumatori non trovava sostegno nel diritto positivo (non esistendo alcuna norma di legge che preveda il divieto di fumo negli ambienti di lavoro in quanto tali) e, d'altro lato, assumendo di avere da tempo seriamente affrontato il problema del fumo passivo negli ambienti di lavoro apprestando un efficiente sistema di ricambio dell'aria tale da impedire concentrazioni nocive di inquinanti da fumo e da prevenire in tal modo la verificazione dei gravi pregiudizi lamentati dai ricorrenti; che veniva espletata una consulenza tecnica diretta ad accertare se la salute dei ricorrenti fosse esposta o meno a rischio in relazione al fumo passivo, tenuto conto della specifica situazione ambientale caratterizzata dalla presenza di impianti di ventilazione e aspirazione dell'aria; che in corso di causa i ricorrenti rinunciavano alla domanda risarcitoria e, su invito del pretore, precisavano i provvedimenti giudizialmente invocati chiedendo ordinarsi al datore di lavoro di elevare il divieto di fumo in tutti i locali ove essi operavano e di predisporre appositi "fumoirs" tali da evitare la trasmissione degli effetti inquinanti del fumo; che il pretore, con sentenza in data 10 dicembre 1992-8 febbraio 1993, ordinava all'Istituto Bancario San Paolo di vietare il fumo in tutti i locali in cui i ricorrenti prestano la loro opera nonche' in quelli di comune frequentazione (bar, mensa, servizio postale e sportello bancario interno) a conclusione di un ampio iter argomentativo incentrato soprattutto sulla affermazione della ampia portata del disposto di cui all'art. 2087 c.c., che impone l'adozione di tutte le misure necessarie a tutelare in via di prevenzione l'integrita' fisica dei prestatori di lavoro, e sull'esame delle risultanze della C.T.U., evidenzianti la sussistenza, a carico dei ricorrenti, di un apprezzabile rischio per la salute in conseguenza della aspirazione del fumo passivo, nonostante la presenza degli apparati di ventilazione e ricambio dell'aria; che l'Istituto Bancario San Paolo di Torino, con ricorso a questo Tribunale, depositato il 28 luglio 1993, impugnava la decisione pretorile chiedendo, in parziale riforma della stessa, la reiezione della domanda di elevazione del divieto di fumare nei luoghi ove i ricorrenti svolgono la loro attivita' lavorativa (ed accettando, invece, la posizione di tale divieto nei locali di comune frequentazione); che l'appellante, in sintesi, affermava che la Corte costituzionale nella sentenza 7 maggio 1991 n. 202, ricordata dal pretore, aveva osservato che la scelta dei mezzi idonei per una piu' incisiva e completa tutela della salute dei cittadini dai danni cagionati dal fumo anche c.d. "passivo" era riservata alla discrezionalita' del legislatore, ricordando peraltro che la lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.) poteva fondare da sola una richiesta di risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c.; che pertanto nel caso di specie, in difetto di una domanda risarcitoria da parte dei ricorrenti (che vi avevano rinunciato in corso di causa) non poteva essere richiesto ne' emesso un provvedimento di elevazione del divieto di fumo nei locali in cui i ricorrenti operavano, non potendo il giudice sostituirsi al legislatore nel porre una statuizione in via di prevenzione, frutto di una scelta fra le varie possibili, dovendo invece statuire su lamentate violazioni di diritti nei casi concreti in relazione ad una domanda risarcitoria; che comunque il richiamo dell'art. 2087 c.c. a sostegno della statuizione impugnata era improprio sia perche' la pretesa inosservanza di tale norma poteva essere fatta valere dal dipendente solo previo accertamento della verificazione di un danno causalmente connesso con il rischio ambientale specifico, sia perche' l'Istituto aveva predisposto tutte le misure ritenute idonee dall'esperienza e dalla tecnica per l'aerazione dei locali con particolare riguardo al problema del fumo di sigarette nei locali di lavoro; che quella dell'aerazione e ricambio dell'aria appariva la misura piu' adatta a rimuovere eventuali fattori inquinanti nei luoghi di lavoro, privilegiata anche dal nostro ordinamento giuridico (v. art. 9 d.P.R. n. 303/1956); che, infine, l'esposizione al fumo passivo, ancorche' certamente suscettibile di rischi per la salute, aveva un rilievo inferiore ad altri rischi da inquinamento nell'attuale generale contesto ambientale, nel quale appariva utopistica la pretesa di raggiungere il rischio zero, in generale mai preteso anche ai fini antinfortunistici e di prevenzione delle malattie professionali negli ambienti di lavoro; che gli appellati, costituendosi in questo grado con memoria difensiva depositata il 17 giugno 1995, chiedevano la reiezione del gravame, ribadendo le tesi gia' esposte in primo grado ed accolte dal pretore e, con appello incidentale, chiedevano la rifusione delle spese dolendosi della compensazione delle stesse; che questo Tribunale all'udienza di discussione del 28 giugno 1995 disponeva una nuova C.T.U., affidata al dott. Giuseppe Oberto, diretta ad accertare se in relazione alla specifica situazione ambientale esistente presso il Centro contabile di Moncalieri dell'Istituto appellante risultassero o meno adottate le misure necessarie secondo l'esperienza e la tecnica per tutelare l'integrita' fisica dei lavoratori appellati in riferimento alla loro esposizione al c.d. fumo passivo; che il C.T.U. rispondeva al quesito formulato, a seguito di approfondita e documentata indagine, affermando, fra l'altro, che l'impianto di ventilazione e condizionamento d'aria funzionante nei luoghi di lavoro di cui sopra riduceva notevolmente ma non annullava il rischio cancerogeno dovuto al fumo passivo; che, all'udienza del 7 febbraio 1992, i difensori delle parti discutevano nuovamente la causa ed il Tribunale pronunciava la presente ordinanza. Ritenuto Dalle risultanze sostanzialmente univoche delle consulenze tecniche effettuate nel primo e nel secondo grado del presente giudizio con impegno ed approfondimento particolarmente elevati e con l'incontestabile supporto scientifico derivante dalla consultazione dei piu' qualificati e recenti studi in materia di fumo passivo (inalazione involontaria di fumo di sigarette, sigari, pipe, fumati da altri) emerge che lo stesso e' fonte di concreto pregiudizio per la salute delle persone che vi sono esposte e, soprattutto, che non vi e' una soglia minima di rischio (e cioe' un limite di concentrazione del fumo nell'ambiente al di sotto del quale tale rischio possa ritenersi annullato o comunque irrilevante) in conseguenza della presenza di componenti cancerogeni, in relazione ai quali e' ormai scientificazione accertato che non sussiste una soglia in base al modello lineare dose-risposta (ad ogni dose corrisponde una data probabilita' dell'effetto, ma mai una probabilita' zero). Conseguentemente, non sussistendo una dose-effetto, un valore limite di soglia per i cancerogeni da fumo passivo, anche un abbattimento notevole delle loro concentrazioni non puo' annullare del tutto e assolutamente il rischio di produrre una malattia tumorale, pur certamente influenzandone la incidenza, cioe' la frequenza, ossia il numero dei casi di malattia (cosi' testualmente si afferma a pag. 14 della C.T.U. espletata in questo grado di giudizio). Esaminando ora specificamente le piu' rilevanti affermazioni fatte dal C.T.U. nominato dal Tribunale, dott. Giuseppe Oberto, di incontestabile e specifica qualificazione (per essere specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, in malattie polmonari, in malattie del lavoro e gia' Dirigente del Servizio di Medicina Legale dell'Unita' Sanitaria Locale di Torino) a seguito di un'indagine notevolmente accurata, attendibile e persuasiva, occorre qui evidenziare, in sintesi, quanto segue: il fumo di tabacco ambientale (ETS-Environmental Tobacco Smoke) rappresenta una miscela aereo diffusa di composti chimici concentrati e totalmente biodisponibili, ad elevata potenzialita' tossica, mutagena, cancerogena, genotossica; i costituenti del fumo passivo possono in particolare ricondursi, in ordine alla loro azione, in tre gruppi: 1) agenti irritanti (acroleina, formaldeide, ammoniaca, ossido di azoto, particolato); 2) agenti tossici (monossido di carbonio, benzene, cianuro e nicotina); 3) agenti cancerogeni, tra cui gli idrocarburi policiclici aromatici, le amine aromatiche, le mitrosamine; gli effetti dannosi irritativi e tossici determinati dai componenti la fase gassosa dell'ETS si verificano a soglie di concentrazioni di inquinanti indicati da regolamentazioni (CEE) ovvero dalle comunita' scientifiche (TLV) mentre gli effetti cancerogeni di alcune sostanze per lo piu' contenute nella fase corpuscolata o particellata dell'ETS sono stocastici, ossia di probabilita' e quindi privi di soglia; per quanto attiene alla specifica situazione in esame l'impianto di ventilazione e condizionamento esistente nei locali del Centro Contabile di Moncalieri, ove gli appellati prestano la loro attivita' lavorativa, e' indubbiamente efficiente e tale da consentire un ricambio dell'aria ampiamente superiore a quello previsto dalla legislazione vigente (D.M. 18 maggio 1976) al fine di ottenere l'esenzione dal divieto di fumare per alcuni locali aperti al pubblico, come del resto riconosciuto da una commissione tecnica mista attivata in adempimento di una norma contrattuale; tale impianto di condizionamento riduce sicuramente al di sotto delle soglie di attivita' (TVL) i componenti irritativi e tossici del fumo da tabacco ambientale e abbassa altresi' la concentrazione di particolato del suddetto fumo conseguentemente limitando il rischio cancerogeno senza peraltro annullarlo. Afferma quindi il C.T.U. che "il rischio relativo di ammalarsi di tumore polmonare per i dipendenti esposti all'ETS (fumo da tabacco ambientale) in locali del Centro Contabile di Moncalieri dotati di impianto di ventilazione e condizionamento sia molto vicino all'unita' (cioe' come eguale al rischio dei non fumatori non esposti all'ETS) ma non si identifica nell'unita': quindi questo rischio connesso con l'esposizione all'ETS nei locali di lavoro appare modesto, certamente inferiore al rischio del non fumatore esposto a ETS in ambiente domestico (- non dotato di adeguati impianti di ventilazione - la precisazione e' dell'estensore della presente ordinanza) ma pur sempre sussistente". Infatti, in presenza di ETS in ambiente confinato pur dotato di condizionamento d'aria il particolato non puo' essere eliminato completamente; ora, poiche' i cancerogeni attivi dell'ETS sono contenuti nella fase particolata e poiche' e' prevalente opinione scientifica che amine aromatiche e idrocarburi policiclici aromatici contenuti nella fase particolata di ETS non hanno dose soglia, deve concludersi che "l'esposizione all'ETS anche in ambiente confinato dotato di validi sistemi di aerazione e condizionamento d'aria non annulla in modo totale e assoluto il rischio di tumore polmonare", pur riducendo "in modo sensibile la frequenza di comparsa del tumore stesso", e che "l'annullamento totale e sicuro del rischio di danno da ETS non puo' che ottenersi che con la non produzione ambientale di ETS". (v. pag. 59, 60, 40 della relazione di C.T.U. dott. Oberto). Tali conclusioni sono perfettamente coincidenti con quelle cui era pervenuto il C.T.U. nominato in prime cure (dott. Paolo Pitotto, specialista in Medicina del Lavoro) il quale aveva affermato che, per effetto dei composti cancerogeni presenti nel fumo da tabacco, "il rischio zero viene raggiunto solo in totale assenza di fumo" si' che "risulta necessario vietare il fumo nei luoghi di lavoro, al fine di tutelare la salute dei dipendenti". (v. pagg. 63 e 64 relazione di C.T.U. di primo grado). La dannosita' del fumo passivo, con specifico riferimento agli ambienti di lavoro, e', d'altra parte, chiaramente affermata anche dal Ministero della Sanita' nella nota 15 gennaio 1990, in atti, in cui si legge che: "Il Ministero della Sanita' ... intende promuovere una serie di iniziative aventi per oggetto la salubrita' degli ambienti di Lavoro, il cui inquinamento deve essere considerato con particolare preoccupazione a causa della permanenza protratta e concentrata nel tempo che ivi viene attuata", che "da numerosi dati a livello di ricerca clinica, rilevazioni epidemiologiche, indagini statistiche ... emerge ... la certezza del danno grave apportato alla salute dal fumo di tabacco, ivi compreso quello malato passivamente". Dopo avere ricordato che "al di la' della sua intrinseca nocivita' nei confronti della salute umana" il fumo nell'ambiente di lavoro comporta anche conseguenze a livello infortunistico e di igiene del lavoro, la nota ministeriale evidenzia inoltre che "anche ove non esista rischio di esposizione ad altre sostanze inquinanti il danno, anche grave, prodotto dalla inalazione del fumo passivo e' un fatto inequivocabile accertato dalla ricerca clinica ed epidemiologica", che "nella legislazione italiana non esiste alcuna norma di legge che impone tout-court il divieto di fumo negli ambienti di lavoro in quanto tali; il divieto e' previsto solo nei luoghi di lavoro a rischio di esplosione e incendio, per i quali e' fatto obbligo di affissione dell'apposito cartello avvisatore", e conclusivamente auspica che vengano sollecitamente adottate "misure atte a limitare il danno prodotto alla salute dal fumo di tabacco nei luoghi di lavoro" ... nello spirito di una fattiva collaborazione fra le parti sociali, nell'interesse della intera collettivita'. Anche nella recente pronuncia della Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, del 6 ottobre 1995 n. 10508, in tema di divieto di propaganda pubblicitaria di prodotti da fumo, si evidenzia "l'esigenza di tutela di salute della collettivita'" che sta alla base di questa disciplina (L. lo aprile 1962 n.165) la quale individua "l'uso del tabacco come fonte possibile di danno per la salute dell'individuo fumatore ed indirettamente di danno per la salute collettiva (comprendendo tra i soggetti tutelati anche i non fumatori)", si' che tale disciplina legislativa "appare come diretto adempimento dell'impegno costituzionale di tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita' (art. 32, primo comma, Cost.)". Puo' altresi' ricordarsi che fra le avvertenze che devono comparire sui pacchetti di sigarette, ex art. 3 decreto ministeriale 31 luglio 1990 come sostituito dall'art. 1 del decreto misteriale 16 luglio 1991, figura anche la seguente: "Il fumo nuoce alle persone che vi circondano". Sul presupposto, dunque, dell'accertata nocivita' della esposizione al fumo passivo e dell'assenza di una soglia di rischio, deve prendersi atto, per quanto attiene alla fattispecie in esame, che la presenza di un pur efficiente impianto di ventilazione e condizionamento dell'aria non vale a proteggere in modo pienamente soddisfacente i lavoratori appellati dai rischi alla salute conseguenti alla inalazione del fumo passivo dovuto alla forzata coesistenza con numerosi colleghi fumatori (circostanza, quest'ultima, pacifica in causa e comunque accertata in sede di sopralluogo effettuato dal C.T.U. nominato nel giudizio di primo grado). Ne consegue che, nonostante la spontanea adozione da parte del datore di lavoro di un impianto di depurazione dell'aria che poteva apparire idoneo, secondo l'esperienza e la tecnica, a tutelare adeguatamente, ai fini di cui si tratta, l'integrita' fisica dei prestatori di lavoro (risultando assicurato uno standard di ricambio d'aria largamente superiore a quello previsto dalla vigente normativa per l'esenzione dal divieto di fumare negli ambienti considerati dall'art. 1, lett. b), legge 11 novembre 1975, n. 584, di cui si trattera' piu' avanti) residua comunque un pregiudizio per la salute degli stessi, che puo' definirsi grave (attesa la natura cancerogena dei fattori inquinanti presenti nel fumo passivo e non eliminati) anche se il rischio di contrarre una patologia tumorale o di altro genere in conseguenza di tale situazione ambientale non e' certo elevato. Il primario e fondamentale diritto alla tutela della salute, garantito dall'art. 32 della Costituzione, non puo' quindi ritenersi pienamente realizzato nella situazione emersa in causa, perche' tale tutela, attesa la rilevanza del bene protetto, deve essere la piu' ampia possibile e non puo' ammettere condizionamenti o limitazioni di sorta. L'unico strumento che appare idoneo - alla luce delle risultanze medico-legali sopra illustrate - ad assicurare una piena tutela dei lavoratori in relazione al danno da fumo passivo ed a consentire nei loro confronti la doverosa, completa attuazione del diritto costituzionale alla salute ed alla salubrita' dell'ambiente di lavoro, e' dunque l'imposizione del divieto di fumo nei luoghi di lavoro (fatta salva eventualmente la possibilita' per il datore di lavoro, sensibile alle esigenze dei dipendenti fumatori, di separare fisicamente gli stessi dai colleghi non fumatori, adottando particolari soluzioni tecnico-organizzative). Un siffatto divieto, peraltro, non risulta posto dalla vigente normativa, che non si e' mai preoccupata di includere i luoghi di lavoro in quanto tali nell'elenco delle aree per cui e' prevista la proibizione del fumo. Va, anzitutto, in proposito ricordata la legge 11 novembre 1975 n. 584 che disciplina il "Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico" stabilendo tale divieto (v. art. 1 lett. a) nelle corsie degli ospedali, nelle aule delle scuole, negli autoveicoli pubblici per trasporto collettivo di persone, nelle metropolitane, nelle sale d'attesa delle stazioni, nei compartimenti ferroviari riservati ai non fumatori, ecc., nonche' nei locali chiusi adibiti a pubblica riunione, nelle sale di spettacolo cinematografico o teatrale, sale da ballo, sale corse, sale di riunione delle accademie, musei, biblioteche, sale di lettura aperte al pubblico, pinacoteche e gallerie d'arte (v. art. 1, lett b), prevedendo inoltre la possibilita' (v. art. 3) per il conduttore di uno dei locali indicati all'art. 1 lett. b di ottenere l'esenzione dal divieto installando un impianto di condizionamento o di ventilazione dell'aria corrispondenti a caratteristiche determinate dall'UNI (Ente Nazionale Italiano di unificazione), indicate dal d.m. 18 maggio 1976. Per quanto concerne gli ambienti di lavoro e' stato da tempo previsto il divieto di fumare non gia' in via generale, ma solo in riferimento a situazioni particolari, caratterizzate da lavorazioni comportanti pericoli di incendio o esposizione a determinate sostanze, quali amianto e piombo. (v. artt. 34 d.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, 75 d.P.R. 20 marzo 1956 n. 320; 40 d.P.R. 20 maggio 1956 n. 321; 12, 26, 28, d.lg. 15 agosto 1992 n. 277, nonche' varie disposizioni del d.P.R. 9 aprile 1959 n. 128). Sono stati presentati alcuni disegni di legge da parte di Ministri della Sanita', relativi alla introduzione del divieto di fumo anche nei luoghi di lavoro chiusi, pubblici e privati, che non hanno avuto seguito. La settorialita' e la marginalita' del divieto di fumare nei luoghi di lavoro risulta confermata dal recente intervento normativo di cui al Decreto Legislativo 19 settembre 1994 n. 626, che ha dato attuazione ad alcune direttive CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. In tale decreto che, come si ricava dall'art. 1, "prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il Lavoro, in tutti i settori di attivita' privati o pubblici", sono contenute norme concernenti la salubrita' dell'aria negli ambienti di lavoro. Anzitutto va richiamata la nuova formulazione data dall'art. 33 agli artt. 9 e 14 del d.P.R. 19 marzo 1956 n. 303. L'art. 9, nel nuovo testo, stabilisce: "(Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi) 1. - Nei luoghi di lavoro chiusi, e' necessario far si' che, tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantita' sufficiente. 2. - Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, quando cio' e' necessario per salvaguardare la salute dei lavoratori. 3. - Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell'aria o di ventilazione meccanica, essi devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d'aria fastidiosa. 4. - Qualsiasi sedimento o sporcizia che potrebbe comportare un pericolo immediato per la salute dei lavoratori dovuto all'inquinamento dell'aria respirata deve essere eliminato rapidamente". Il nuovo art. 14, relativo ai locali di riposo, stabilisce, ai c. 4 e 5: "Nei locali di riposo si devono adottare misure adeguate per la protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo. Quando il tempo di lavoro e' interrotto regolarmente e frequentemente e non esistono locali di riposo, devono essere messi a disposizione del personale altri locali affinche' questi possa soggiornarvi durante l'interruzione del lavoro nel caso in cui la sicurezza o la salute dei lavoratori lo esige. In detti locali e' opportuno prevedere misure adeguate per la protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo". Vi e' poi l'art. 64, lett. b, che, nel prevedere misure per la protezione dei lavoratori da agenti cancerogeni presenti per ragioni produttive, recita: "Il datore di lavoro limita al minimo possibile il numero dei lavoratori esposti o che possono essere esposti ad agenti cancerogeni, anche isolando le lavorazioni in aree predeterminate provviste di adeguati segnali di avvertimento e di sicurezza, compresi i segnali "vietato fumare" ed accessibili soltanto ai lavoratori che debbono recarvisi per motivi connessi con la loro mansione o con la loro funzione. In dette aree e' fatto divieto di fumare". Il divieto e' ribadito dal c. 2 dell'art. 65 ("Misure igieniche"): "E' vietato assumere cibi e bevande o fumare nelle zone di lavoro di cui all'art. 64, lett. b)". Dalla lettura coordinata delle citate norme del Decreto Legislativo n. 626/1994 si ricava chiaramente, ad avviso di questo Tribunale, che per i luoghi di lavoro in quanto tali non e' stato posto alcun divieto di fumare, che solo per lavorazioni comportanti esposizione ad agenti cancerogeni sussiste tale divieto (evidentemente per evitare di aggravare l'entita' del rischio) e, infine, che per i soli locali di riposo e' prevista l'adozione di "misure adeguate" (non meglio specificate) per proteggere i non fumatori dagli "inconvenienti del fumo". Per quanto riguarda la generalita' dei luoghi di lavoro, puo' al piu' ritenersi che il fumo possa essere considerato "sedimento o sporcizia che potrebbe comportare un pericolo immediato per la salute dei lavoratori", e, in quanto tale, debba essere "eliminato rapidamente" affinche' i lavoratori "dispongano di aria salubre in quantita' sufficiente" (v. citato nuovo testo art. 9 d.P.R. 19 marzo 1956 n. 303). Dunque, anche con il recente intervento normativo la protezione dei luoghi di lavoro dalla nocivita' del fumo passivo appare carente ed insoddisfacente in rapporto alla esigenza di una piena tutela del diritto alla salute nei termini sopra indicati. Occorre a questo punto chiedersi se, nell'assenza di un precetto normativo di divieto di fumo nei luoghi di lavoro chiusi, possa essere il Giudice ad imporre tale divieto una volta accertata, nella specifica situazione al suo esame, la nocivita' lamentata dai soggetti che hanno richiesto l'intervento giudiziale. Alla questione, secondo questo tribunale, non puo' darsi risposta affermativa, non potendo il Giudice attuare un intervento sostanzialmente normativo consistente nella creazione di regole ed obblighi non posti dall'ordinamento positivo cui egli e' soggetto. Il pretore ha giustificato la statuizione adottata (condanna all'imposizione del divieto di fumo) invocando l'ampia portata della norma di cui all'art. 2087 dal codice civile, che impone ai datori di lavoro di adottare tutti gli accorgimenti e le misure necessarie a tutelare l'integrita' fisica dei prestatori di lavoro, e ricordando che la stessa, secondo le piu' recenti tendenze giurisprudenziali, ha un contenuto aperto destinato a modificarsi nel tempo con il progredire della tecnica e dell'esperienza, consente la tutela anche in ipotesi in cui la situazione di pericolo o di danno provenga da terzi o sia il riflesso nell'ambiente lavorativo di fattori ad esso esterni, ed e' direttamente precettiva sul piano della prevenzione, costituendo la fonte di diritti soggettivi individuali (si' che dalla stessa sorge non solo il diritto, azionabile a posteriori, al ristoro dei danni eventualmente derivati, ma anche quello, azionabile a priori, ad ottenere la rimozione della situazione di fatto contraria a diritto e connotata quantomeno da pericolosita'). L'art. 2087 c.c. consentirebbe dunque di ottenere, sull'accertato presupposto dell'esistenza di fattori nocivi provenienti da terzi e presenti nel'ambiente lavorativo, "l'ordine giudiziale di cessazione della situazione dannosa o pericolosa per la sicurezza e la salute individuale". Questo collegio, in proposito, osserva che effettivamente la giurisprudenza ha negli ultimi anni evidenziato la rilevante valenza della norma citata, sia sotto il profilo della sua riconosciuta funzione preventiva (suggerita altresi' dall'art. 9 dello Statuto dei lavoratori - legge n. 300/1970) che impone l'apprestamento dei mezzi idonei al fine della "sicurezza", nel piu' ampio senso, dei lavoratori, legittimando un' azione individuale a tutela del diritto alla integrita' fisica quale diritto assoluto costituzionalmente garantito (con la conseguenza - lo si osserva incidentalmente - che, contrariamente a quanto sostiene la difesa di parte appellante, risulta ammissibile la domanda fatta valere dai lavoratori in causa pur dopo la rinuncia alla iniziale pretesa risarcitoria), sia sotto il profilo della natura di "norma aperta" dell'art. 2087 c.c. che consentirebbe di supplire alle lacune di una normativa che non puo prevedere ogni fattore di rischio, con funzione sussidiaria rispetto a quest'ultima (v. Cass. 6 settembre 1988 n. 5048). Osserva peraltro questo tribunale come una lettura dell'art. 2087 c.c. di ampiezza tale da ricavarne la legittimazione di un ordine giudiziale inibitorio del fumo nei luoghi di lavoro, gia' alquanto dubbia in passato, sia divenuta non praticabile dopo l'emanazione del ricordato decreto legislativo n. 426/1994. Infatti, mentre prima di tale intervento normativo poteva forse ritenersi che, nella totale assenza di una disciplina riguardante il fumo negli ambienti di lavoro (la legge 11 novembre 1975 n. 584 pone il divieto in luoghi diversi, tassativamente indicati), l'inibizione del fumo in tali ambienti potesse fondarsi sull'art. 2087 c.c. quale norma residuale apprestante in favore dei lavoratori particolari diritti di sicurezza e protezione, occorre prendere atto che il legislatore e' ora intervenuto dettando una completa, specifica normativa in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro, senza affatto prevedere, come sopra s'e' visto, un generale divieto di fumo in tali luoghi. Non pare, del resto, possa disconoscersi la rilevanza nel presente giudizio della normativa citata, pur sopravvenuta durante il grado d'appello, posto che la stessa si pone quantomeno quale doverosa chiave di lettura interpretativa della portata dell'art. 2087 con riferimento alla questione dibattuta in causa; sarebbe infatti operazione incongrua e non corretta quella tendente ad interpretare la citata norma, sia pur con riferimento ad una fattispecie sorta precedentemente all'emanazione del d.lgs. n. 426/1994, in modo confliggente con quella che oggi risulta essere la esplicitata volonta' del legislatore. Del resto, la situazione dedotta in causa non e' oggi esaurita ne', a maggior ragione, lo era prima di questo intervento normativo ed infatti gli appellati chiedono, con la reiezione dell'appello avversario, la conferma del provvedimento inibitorio del fumo a valere, logicamente, soprattutto per il futuro. Ritiene, dunque, questo collegio che alla imposizione del divieto di fumo nei luoghi di lavoro chiusi, necessaria al fine di consentire la piena attuazione del diritto alla salute, possa pervenirsi solo attraverso un intervento del giudice delle leggi che dichiari la incostituzionalita' della vigente normativa, per contrasto con gli artt. 3 e 32 della Costituzione, in quanto non prevede il divieto di fumare nei luoghi suddetti. La normativa di cui in questa sede si intende denunciare d'ufficio la incostituzionalita', attesa la rilevanza (non potendosi pervenire all'accoglimento della domanda se non attraverso la invocata declaratoria di incostituzionalita') e la non manifesta infondatezza (per le ragioni gia' illustrate) della questione, e' costituita dall'art. 1 lett. a L. 11 novembre 1975 n. 584 (che pone il divieto incondizionato di fumare in taluni ambienti, diversi dai luoghi di lavoro) e dal combinato disposto degli artt. 9 e 14 d.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 (nel testo sostituito dall'art. 33 c.6 e 10 d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626), 64 lett. b e 65 c.2 d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626, il cui contenuto e' stato sopra illustrato. Gia' si e' detto del contrasto di tale normativa con l'art. 32 Cost. che tutela il bene della salute umana come diritto primario e fondamentale, comprendente il diritto alla salubrita' dell'ambiente di lavoro, che certo deve prevalere rispetto all'esigenza meramente voluttuaria dei lavoratori fumatori. Per quanto riguarda la violazione dell'art. 3 Cost. deve evidenziarsi, soprattutto con riferimento all'art. 1 legge 11 novembre 1975 n. 584, la irragionevole e discriminatoria differenziazione fra luoghi diversi caratterizzati dalla stessa necessita' di protezione. L'omissione dall'ambito di operativita' del divieto dei luoghi di lavoro chiusi non appare, infatti, in alcun modo giustificata dalla diversita' delle ipotesi disciplinate; anzi, puo' apparire maggiore l'esigenza di protezione dei cittadini lavoratori nei luoghi in cui trascorrono normalmente un consistente periodo della loro giornata e della loro vita, nella esplicazione di una attivita' tutelata dalla Repubblica che e' costituzionalmente "fondata sul lavoro" (v. artt. 1 e 35 Cost.), rispetto alla esigenza di tutela dei fruitori di servizi pubbblici e sociali, o di varie istituzioni ricreative (v. elencazione di cui all'art. 1 legge n. 584/1975) i quali vengono a trovarsi nei locali tutelati dal fumo in circostanze piu' o meno occasionali e comunque, mediamente, di durata limitata nel tempo. La citata normativa del 1975 ha gia' costituito oggetto di una pronuncia della Corte costituzionale (7 maggio 1991 n. 202) che ha dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza la questione posta dal giudice conciliatore di Roma affermando, fra l'altro, che la sentenza richiesta alla Corte "postula una scelta, fra le varie possibili, riservata alla discrezionalita' del legislatore, alla cui attenzione, pero', deve essere posta la necessita' di apprestare una piu' incisiva e completa tutela della salute dei cittadini dai danni cagionati dal fumo anche c.d. passivo, trattandosi di un bene fondamentale e primario costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.)" e aggiungendo che "la dedotta lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.) puo' fondare da sola il richiesto risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. L'art. 32 Cost., in collegamento con l'art. 2043 c.c. pone il divieto generale e primario di ledere la salute ... costituzionalmente garantito ... e pienamente operante anche nei rapporti di diritto privato. (vedasi in tal senso anche C. cost. 14 luglio 1986 n. 184). Tali affermazioni, mentre ribadiscono con l'autorevolezza dell'organo da cui provengono la necessita' di una incisiva e completa protezione della salute dai danni del fumo passivo, non sono tali da precludere o sconsigliare la riproposizione della questione di legittimita' costituzionale. Infatti, successivamente a questa decisione della Corte costituzionale che auspicava un adeguato intervento legislativo nella materia perche' fosse compiuta la scelta fra le varie possibili, rientrante nella discrezionalita' del legislatore, quest'ultimo - come s'e' detto - e' intervenuto con il d.lgs. n. 426/1994 a disciplinare specificamente la salute e la sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro. L'intervento legislativo, per quanto concerne la questione controversa in giudizio, si e' realizzato con precetti tali da far dubitare della loro conformita' alla Costituzione in quanto non idonei alla realizzazione di quella incisiva e completa tutela dai danni del fumo passivo che il monito della Corte costituzionale indicava come necessaria. In proposito si e' sopra evidenziata, alla luce delle specifiche norme del citato decreto, la mancata imposizione del divieto di fumo per la generalita' dei luoghi di lavoro, stante la previsione di misure anti-fumo solo in via del tutto marginale, in relazione a particolari ambienti e situazioni di lavoro. Nella fattispecie in esame, d'altro canto, neppure potrebbe realizzarsi in favore dei lavoratori attuali appellati quella tutela, fondata sugli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., suggerita nella citata decisione della Corte costituzionale, posto che, come s'e' detto, non viene qui svolta una domanda di risarcimento di danni, bensi' un' azione in via preventiva per l'adozione di misure atte a evitare la verificazione di un danno, sul presupposto della accertata nocivita' per la salute della situazione attualmente in essere. In conclusione il Tribunale ritiene che appare rilevante ai fini della decisione della presente causa e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 32 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale come sopra prospettata.