ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 179  del  codice
 penale (Condizioni per la riabilitazione), promossi con due ordinanze
 emesse  il  18  aprile  1995  e  il  21  marzo  1995 dal Tribunale di
 sorveglianza di Lecce nei procedimenti attivati da Schiavone Raffaele
 e Mastromarini Giovanni, iscritte ai  nn.  686  e  687  del  registro
 ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  12  giugno  1996  il  giudice
 relatore Valerio Onida;
   Ritenuto  che, con due ordinanze emesse rispettivamente il 21 marzo
 1995 (r.o. n. 687 del 1995) e il 18 aprile  1995  (r.o.  n.  686  del
 1995),  il  Tribunale di sorveglianza di Lecce ha sollevato questione
 di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione,  dell'art.  179  del  codice  penale (Condizioni per la
 riabilitazione) "nella parte  in  cui  prevede  che  il  termine  per
 proporre  istanza di riabilitazione decorra dal giorno in cui la pena
 e' stata  eseguita  senza  distinguere  tra  pena  detentiva  e  pena
 pecuniaria  e  senza  dare rilevanza ai motivi per cui la pena non e'
 stata tempestivamente eseguita";
     che secondo il remittente le stesse considerazioni, che  hanno  a
 suo  tempo  condotto  alla dichiarazione di incostituzionalita' della
 norma che prevedeva la conversione della pena pecuniaria  non  pagata
 in  pena  detentiva  (art.  136  cod.  pen.),  condurrebbero  anche a
 dubitare della legittimita' costituzionale della norma che  fissa  il
 termine  per  proporre  istanza  di riabilitazione con riferimento al
 giorno  "in  cui  la  pena  principale  sia  stata  eseguita",  senza
 distinguere  tra  pena detentiva e pena pecuniaria e senza consentire
 la valutazione dei motivi della ritardata o mancata esecuzione;
     che - osserva il remittente - a seguito della  conversione  delle
 pene  pecuniarie  non  pagate  in sanzioni sostitutive, e soprattutto
 dopo che l'art. 660, terzo comma, del codice di procedura  penale  ha
 previsto  la  possibilita'  di  rateizzare  il  pagamento  della pena
 pecuniaria e di differirne la  conversione,  la  completa  esecuzione
 delle  pene  pecuniarie puo' verificarsi a notevole distanza di tempo
 dal momento in cui la sentenza di condanna e' divenuta irrevocabile o
 il condannato ha finito di scontare la pena detentiva; e che  per  le
 pene   eseguibili   nel   periodo   intermedio   fra  la  intervenuta
 dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 136 del  cod.  pen.  e
 l'entrata  in  vigore  della  legge  24  novembre 1981, n. 689 - come
 accade nel caso cui si  riferisce  l'ordinanza  n.  686  del  1995  -
 l'esecuzione  della  pena  pecuniaria  e  conseguentemente  anche  il
 termine  per  chiedere  la  riabilitazione  potrebbero,  secondo   il
 remittente, essere ritardati all'infinito;
     che,  sempre  secondo il remittente, la disparita' di trattamento
 che deriverebbe dalle diverse condizioni  economiche  dei  condannati
 non sarebbe giustificata ne' conforme all'art. 3 della Costituzione;
     che  nel  giudizio promosso con l'ordinanza n. 687 e' intervenuto
 il Presidente del Consiglio dei Ministri chiedendo che  la  questione
 sia dichiarata inammissibile e, comunque, manifestamente infondata;
     che,  in  particolare,  la  questione sollevata sarebbe, a parere
 dell'interveniente, inammissibile per irrilevanza, in quanto,  avendo
 la  seconda  delle  due  condanne  applicato  la norma sulla recidiva
 specifica,   sarebbe   applicabile,   ai   fini    dell'istanza    di
 riabilitazione,  non  gia'  il termine ordinario quinquennale, bensi'
 quello decennale previsto nei casi di recidiva specifica  (art.  179,
 secondo  comma,  cod.  pen.), termine nella specie non ancora decorso
 dalla data di irrevocabilita' della  seconda  sentenza  di  condanna;
 sarebbe  altresi' inammissibile perche' si chiederebbe, ai fini della
 individuazione del dies a quo, una pronuncia additiva  in  un  ambito
 rimesso alla discrezionalita' legislativa;
     che   la   questione,  sempre  secondo  l'interveniente,  sarebbe
 comunque infondata  poiche'  l'ordinamento  tiene  gia'  conto  delle
 condizioni   economiche   del   condannato,   sia   ai   fini   della
 quantificazione della pena pecuniaria sia nella fase  del  pagamento,
 agevolandolo  nella  espiazione della pena, sicche' il riconoscimento
 al condannato di ulteriori  vantaggi  non  sarebbe  giustificato  ne'
 conforme al canone della ragionevolezza.
   Considerato,  preliminarmente,  che  i due giudizi, aventi identico
 oggetto, possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia;
     che  la  questione  sollevata  con  l'ordinanza   n.   687   deve
 dichiararsi  manifestamente  inammissibile  per  irrilevanza: infatti
 risulta dalla stessa ordinanza che il condannato era gravato  da  una
 seconda   condanna   con  applicazione  della  norma  sulla  recidiva
 specifica (art. 99, secondo comma, cod. pen), dal  cui  passaggio  in
 giudicato  non  era  ancora  decorso  il  termine  decennale previsto
 dall'art.  179,  secondo  comma,  cod.    pen.  per  la  proposizione
 dell'istanza di riabilitazione;
     che la questione sollevata con l'ordinanza n. 686, relativa ad un
 caso  di pena pecuniaria non soggetta a conversione perche' applicata
 ad  un  reato  commesso  dopo  la  pronuncia  di  incostituzionalita'
 dell'art.    136  cod.  pen.  (sentenza  n.  131  del  1979) ma prima
 dell'entrata  in  vigore  della  legge  n.  689  del   1981,   appare
 manifestamente infondata perche' e' errata la premessa interpretativa
 da  cui  muove  il  giudice  remittente:  infatti l'art. 111, secondo
 comma, di tale legge prevede che la pena  della  multa  inflitta  per
 reati  commessi  prima dell'entrata in vigore della legge medesima si
 estingua col decorso del termine di dieci anni dalla predetta data  o
 dal  passaggio  in  giudicato della sentenza, se successivo; e dunque
 non e' vero che l'esecuzione  della  pena  -  e  conseguentemente  il
 termine  per  chiedere  la  riabilitazione  -  possa essere ritardata
 all'infinito;
     che, nel caso di mancata esecuzione  della  pena  pecuniaria,  la
 ritardata  decorrenza  del termine per chiedere la riabilitazione, in
 relazione al periodo di tempo necessario per l'estinzione della pena,
 non da' luogo ad una irragionevole disparita' di trattamento rispetto
 al caso in cui la pena pecuniaria sia eseguita, corrispondendo ad una
 situazione obiettivamente diversa.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.