ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 67 e seguenti
 del d.P.R. 28 gennaio  1988,  n.  43  (Istituzione  del  Servizio  di
 riscossione  dei  tributi  e  di altre entrate dello Stato e di altri
 enti pubblici ai sensi  dell'art.  1,  primo  comma,  della  legge  4
 ottobre  1986, n.  657), degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865,
 n. 2248, all.  E (Legge sul contenzioso amministrativo), e  dell'art.
 700  del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il
 25 luglio 1995 dal giudice istruttore del  Tribunale  di  Napoli  sul
 ricorso  proposto  da  Cantone  Vincenzo  contro  il  Ministero delle
 Finanze, iscritta al n. 811 del registro ordinanze 1995 e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  49,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto di costituzione di Cantone Vincenzo nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  10  luglio  1996  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Nel corso di un giudizio in cui era stata chiesta, ex art.
 700 del codice di procedura civile, la sospensione dell'esecuzione di
 un'ingiunzione fiscale emessa dall'Ufficio  doganale  di  Napoli,  il
 giudice  istruttore  del Tribunale di Napoli, con ordinanza emessa il
 25 luglio 1995, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 24 e  113
 della  Costituzione  - questione di legittimita' costituzionale degli
 artt. 67 e seguenti del d.P.R. 28 gennaio 1988,  n.  43  (Istituzione
 del  Servizio  di  riscossione  dei  tributi e di altre entrate dello
 Stato e di altri enti pubblici ai sensi  dell'art.  1,  primo  comma,
 della legge 4 ottobre 1986, n. 657), 4 e 5 della legge 20 marzo 1865,
 n.  2248,  all.  E  (Legge  sul  contenzioso amministrativo), nonche'
 dell'art. 700 del codice di procedura civile, nella parte in cui  non
 consentono  che  il  giudice  ordinario, investito dell'opposizione a
 pretesa tributaria  relativa  alla  riscossione  d'imposta  doganale,
 possa  sospendere  l'esecuzione  ove  dalla  stessa possa derivare un
 pregiudizio imminente ed irreparabile.
   Premette il rimettente che,  a  seguito  dell'abrogazione  disposta
 dall'art.  130  del  d.P.R.  28  gennaio  1988,  n. 43, l'ingiunzione
 relativa all'imposta  doganale  de  qua  e'  stata  sostituita  dalla
 riscossione  tramite  ruoli e che, pertanto, l'ingiunzione notificata
 al ricorrente nel giudizio a  quo,  adottata  secondo  il  previgente
 schema   normativo  ex  r.d.  n.  639  del  1910,  con  il  visto  di
 esecutorieta' del pretore, e' stata  emessa  senza  alcun  fondamento
 normativo.
   In   particolare,   dall'ingiunzione   de   qua   scaturirebbe  "la
 possibilita'  giuridica"  di  dare  attuazione   all'intimazione   ad
 adempiere  secondo  un iter, procedurale non piu' legittimo, anche se
 il Ministero delle finanze e l'Avvocatura dello Stato sostengono, nel
 processo a quo, che  l'ingiunzione  stessa  non  varrebbe  piu'  come
 precetto   prodromico  dell'esecuzione,  bensi'  solo  come  atto  di
 accertamento e come titolo  esecutivo.  Secondo  il  rimettente,  pur
 seguendo  tale  opinione, si finirebbe, in sostanza, per riconoscere,
 la carenza di potere dell'ingiunzione nella  parte  in  cui  contiene
 l'espressa  comminatoria dell'esecuzione ai sensi del r.d. n. 639 del
 1910: di  talche'  non  verrebbe  comunque  esclusa  la  possibilita'
 giuridica  di  dare immediata attuazione all'intimazione ad adempiere
 secondo i termini e  le  modalita'  dell'iter  procedurale  non  piu'
 legittimo,   preannunciato   espressamente   nel   titolo   esecutivo
 impugnato.
   Accertato altresi' il presupposto del periculum in mora, in ragione
 anche dell'entita' della somma,  il  giudice    a  quo,  osserva  che
 l'accoglimento  dell'istanza  cautelare  di  sospensione risulterebbe
 impedito   dal   generale   divieto   di   incidere    sull'attivita'
 amministrativa posto dagli artt.  4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n.
 2248.  Tale  ostacolo  concreterebbe  il  vulnus  agli artt. 24 e 113
 Cost.,  ne'  potrebbe  a  riguardo  richiamarsi   la   giurisprudenza
 costituzionale  circa  il  potere  di  sospensione  dell'esazione  in
 passato attribuito  all'intendente  di  finanza,  previsto  solo  con
 riferimento alla riscossione tramite ruoli.
   Peraltro  -  aggiunge  il giudice a quo - anche a voler considerare
 tale possibilita' come esistente (in quanto espressione del  generale
 potere   di   autotutela   della   pubblica   amministrazione),  essa
 difetterebbe del carattere  dell'esclusivita',  per  la  mancanza  di
 un'espressa  previsione  normativa  e,  soprattutto, della necessaria
 imparzialita' dell'organo decidente, sia  quanto  a  valutazione  dei
 presupposti  (poiche'  l'intendente  sarebbe  chiamato a privilegiare
 l'interesse pubblico), sia quanto a discrezionalita' nel  fissare  la
 durata   della   sospensione.   Anche   il   controllo   del  giudice
 amministrativo, conseguente al rigetto o al silenzio-rifiuto circa la
 istanza di sospensione, risulterebbe limitato dalla impossibilita' di
 valutare il fumus  boni  iuris.  Siffatta  valutazione  incontrerebbe
 l'ostacolo  del difetto di giurisdizione, avendo ad oggetto posizioni
 soggettive per le quali e' prevista la  giurisdizione  esclusiva  del
 giudice ordinario, di modo che - sempre secondo il giudice a quo - il
 tribunale  amministrativo  regionale  non  potrebbe  estendere la sua
 indagine, neppure incidentalmente in via d'urgenza, a controversie la
 cui  cognizione  di   merito   e'   devoluta   ad   altra   autorita'
 giurisdizionale.
   Ulteriore   profilo  d'illegittimita'  costituzionale  scaturirebbe
 dalla mancata previsione per l'imposta  de  qua  di  una  graduazione
 dell'esecuzione  in  pendenza  di contenzioso, come per altri tributi
 (in relazione ai quali e' altresi'  previsto  il  ben  piu'  incisivo
 potere  di  sospensione  da  parte  delle  commissioni tributarie). A
 riguardo il giudice istruttore richiama la sentenza di  questa  Corte
 n.  318  del  1995, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
 della preclusione per l'autorita' giudiziaria ordinaria di sospendere
 l'esecuzione per i crediti non tributari.
   2. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso
 per la non fondatezza della questione.
   Osserva l'Avvocatura  dello  Stato  che,  contrariamente  a  quanto
 sostenuto dal giudice a quo, il potere di sospensione dell'intendente
 di  finanza  permane  nel  caso in esame, in quanto espressione di un
 principio generale applicabile alla riscossione di tutti  i  tributi.
 La  questione  sarebbe pertanto riconducibile a quella gia' esaminata
 in numerose altre decisioni della Corte.
   Quanto all'argomento concernente la non operativita', per l'imposta
 doganale, della regola della riscossione frazionata  in  pendenza  di
 giudizio,  rileva l'Avvocatura che tale possibilita' non vi e' per le
 controversie  non  connesse  all'estimazione  del  quantum   (imposte
 iscritte a ruolo a titolo definitivo, imposta principale di registro,
 imposta di successione).
   Dopo  aver osservato come la sentenza n. 318 del 1995 non sia stata
 richiamata a proposito, l'Avvocatura rileva che la norma del 1865 non
 influisce sui rapporti di diritto soggettivo: al giudice non  e',  in
 altri  termini,  precluso  di conoscere con pienezza, anche emettendo
 provvedimenti cautelari, delle controversie patrimoniali, la' dove la
 normativa  tributaria  si  basa  invece  su  esigenze  di   carattere
 finanziario.
   3.  -  La parte privata si e' costituita fuori termine, depositando
 una  memoria  in  cui  argomenta  in  senso  sostanzialmente  analogo
 all'ordinanza di rimessione.
                         Considerato in diritto
   1.  -   Il giudice a quo dubita - in riferimento agli artt. 3, 24 e
 113 della Costituzione  -  della  legittimita'  costituzionale  degli
 artt.  67  e  seguenti del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, 4 e 5 della
 legge 20 marzo 1865, n. 2248,  all.  E,  nonche'  dell'art.  700  del
 codice di procedura civile, nella parte in cui non consentirebbero al
 giudice  ordinario  di  sospendere  in  via  d'urgenza la riscossione
 d'imposta doganale, pur in presenza dei presupposti  della  richiesta
 tutela.
   2. - La questione e' inammissibile.
   2.1.  -  Il  rimettente,  dopo  aver  constatato  che l'ingiunzione
 oggetto dell'opposizione proposta davanti  a  lui,  riproducente  "lo
 schema  del previgente sistema normativo con la espressa comminatoria
 dell'esecuzione a termine degli artt. 5 e segg. del r.d. n.  639  del
 1910 ed il visto di esecutorieta' del pretore, e' stata emessa ... in
 mancanza  di  un  fondamento  normativo  ..."  denuncia,  perche' non
 consentirebbero la tutela d'urgenza avverso detta ingiunzione,  norme
 contenenti  previsioni  del  tutto  estranee  al  tema. Norme, cioe',
 descrittive del sistema di riscossione mediante  ruoli  (artt.  67  e
 seguenti  del  d.P.R.  n.    43 del 1988), enunciative dei limiti del
 potere  dell'autorita'  giudiziaria  ordinaria  rispetto  agli   atti
 amministrativi   (artt.   4   e   5   della   legge  sul  contenzioso
 amministrativo) e, infine, conformative della tutela d'urgenza  (art.
 700  cod.  proc.  civ.);  dunque  non  riconducibili al provvedimento
 oggetto del giudizio a quo.
   La questione incidentale viene cosi' sollevata facendo riferimento,
 non ad un normale schema funzionale - sul quale soltanto, cosi'  come
 occasionalmente   concretizzantesi   nella  fattispecie  oggetto  del
 giudizio a quo, si puo' appuntare lo scrutinio  di  costituzionalita'
 -,  bensi'  ad  una situazione patologica estranea al sistema offerto
 dalle  norme  denunciate  e  per  cio'   stesso   insuscettibile   di
 apprezzamento  nella  presente  sede.  Donde l'inammissibilita' della
 questione medesima.
   2.2. - L'inammissibilita', d'altronde,  sarebbe  ravvisabile  anche
 sotto  il  profilo del difetto di rilevanza, della quale il giudice a
 quo - sempre in ragione dello sviamento di prospettiva in  cui,  come
 sopra,  e'  incorso  - ha finito per dare una motivazione che si pone
 fuori  del  quadro  normativo  oggetto  dei  prospettati   dubbi   di
 costituzionalita' e che, quindi, deve ritenersi non plausibile.
   Egli,  invero, ha individuato il fumus boni iuris necessario per la
 concessione della tutela  richiestagli,  con  riguardo  non  gia'  al
 merito  del  credito  tributario  fatto  valere  attraverso l'opposta
 ingiunzione, bensi' al constatato difetto  di  presupposto  normativo
 dell'ingiunzione  medesima  "nella  parte  in cui contiene l'espressa
 comminatoria  dell'esecuzione  ex  r.d.  n.  639  del  1910".  Ed  in
 relazione  a  cio'  ha  affermato  la  rilevanza  della  questione di
 costituzionalita', avendo di mira una  pronuncia  ex  art.  700  cod.
 proc.  civ.  anticipatoria  degli  effetti  della sentenza definitiva
 ricadenti su detta comminatoria.
   Ma se allora tale pronuncia concerne nella specie  soltanto  questi
 ultimi  effetti  - che investono l'opposta ingiunzione unicamente con
 riguardo all'esecutorieta' impressale  dal  visto  del  pretore,  con
 salvezza   del  suo  valore  di  mera  manifestazione  della  pretesa
 tributaria - , appare evidente che il giudice possa  emetterla  senza
 con  cio'  violare il divieto sancito dall'art. 4 della legge n. 2248
 del 1865, sul quale fondamentalmente s'incentra il prospettato dubbio
 di costituzionalita'.  E, per quanto vale, giova qui  rammentare  che
 il   potere   di  intervenire  ex  art.  700  cod.  proc.  civ.,  per
 l'elasticita' del suo contenuto, consente al giudice di  emettere  il
 provvedimento  che  piu'  gli  appaia  congruo  al fine di assicurare
 provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (v.  sentenza
 n. 122 del 1970).