ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 39, commi 1, 5,
 8,  9,  13  e  16,  della  legge  23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di
 razionalizzazione della finanza  pubblica),  promosso  con  ordinanza
 emessa  il 10 luglio 1995 dal pretore di Roma nel procedimento penale
 a carico di Zaccaria  Giuseppe,  iscritta  al  n.  945  del  registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  10  luglio  1996  il  giudice
 relatore Riccardo Chieppa.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  pretore  di Roma - nel corso di un procedimento penale a
 carico di Giuseppe Zaccaria, imputato dei reati  di  cui  agli  artt.
 20, lettera c), della legge n. 47 del 1985, 734 cod. pen., e 1-sexies
 della legge n. 431 del 1985 - ha sollevato, in riferimento agli artt.
 9,   117   e   118  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 39, commi 1, 5, 8, 9, 13 e 16 della legge 23
 dicembre 1994, n. 724  (Misure  di  razionalizzazione  della  finanza
 pubblica).
   Il   rimettente   -   dopo   aver  premesso  che  sussistono  nella
 fattispecie, oggetto del giudizio a quo, "le condizioni  minime  (ivi
 compresa  la  volumetria  realizzata  non superiore a metri cubi 750)
 affinche' possa operare la complessa causa di estinzione dei reati di
 cui agli artt.  38 e 39 della legge n. 47 del 1985 cui rinvia  l'art.
 39  della  legge n. 724 del 1994" - denuncia il contrasto della norma
 censurata con i parametri costituzionali surrichiamati.
   In particolare ritiene il giudice a quo  che  il  condono  edilizio
 attui  "la  palese  espropriazione  della  potesta' di pianificazione
 territoriale" spettante a comuni e regioni in virtu' degli artt.  117
 e 118 della Costituzione. Invero la  sanatoria,  intervenuta  con  la
 disposizione   censurata,   priverebbe  di  significato  qualsivoglia
 "intento  di  programmazione  territoriale"  che  risulterebbe,   per
 l'appunto,  vanificato  da "fenomeni di urbanizzazione incontrollata,
 successivamente legalizzata mediante condoni e piani di recupero".  E
 cio'  nonostante  il  ruolo  centrale  dei  comuni e delle regioni in
 materia urbanistica, ruolo che emergerebbe anche  dalla  legislazione
 ordinaria e segnatamente dalla legge n. 1150 del 1942, dalla legge n.
 10 del 1977, nonche' dalla legge n. 47 del 1985.
   I  dubbi  di costituzionalita' risulterebbero, altresi', rafforzati
 dalla   finalita'   della   norma    censurata    che    risulterebbe
 sostanzialmente  preordinata  a  costituire  "un'ulteriore  fonte  di
 entrate per  l'erario",  nell'ambito  di  una  complessa  manovra  di
 riequilibrio   dei   conti  pubblici.     Dette  finalita'  sarebbero
 ulteriormente dimostrate dalla previsione dello stesso art. 39, comma
 13, censurato, per la quale l'importo della oblazione e' calcolato in
 misura ridotta in presenza di situazioni di disagio abitativo.  Nella
 ricostruzione  operata dal giudice  a quo infatti, la detta riduzione
 corrisponde a "specifiche  minorate  condizioni  reddituali"  con  la
 conseguenza   che  le  "pretese  esigenze  di  equita'  contributiva"
 travolgerebbero "ogni  considerazione  di  natura  urbanistica  e  di
 programmazione territoriale".
   L'ordinanza  di  rinvio  sottolinea,  inoltre, che il nuovo condono
 smentisce gli intendimenti che accompagnarono quello  vecchio  ovvero
 "la  definizione  una  volta  per  tutte  degli  abusi pregressi e di
 inflessibile repressione di quelli futuri",  intendimenti  che  erano
 stati pure confermati dalla sentenza n. 369 del 1988 di questa Corte.
 In  sostanza  le esigenze poste dalla tutela del territorio sarebbero
 comunque destinate a cedere in  virtu'  delle  esigenze  di  bilancio
 dello Stato.  Per contro continuerebbe a gravare sugli enti locali il
 peso  finanziario  di  interventi  di  riequilibrio territoriale, non
 sopperibili con le scarse risorse derivanti dal  gettito  corrisposto
 dai contravventori a titolo di oneri di concessione, ove dovuti.
   2. - Infine viene denunciato il contrasto della normativa censurata
 con l'art. 9 della Costituzione.
   Il giudice a quo, dopo avere premesso che la tutela del paesaggio -
 originariamente    ancorata    alla    valorizzazione    di   aspetti
 estetico-culturali - si sarebbe successivamente  "integrata"  con  la
 nozione   piu'   lata  di  urbanistica  e  sarebbe  stata,  altresi',
 considerata dalla stessa giurisprudenza  costituzionale  come  valore
 primario,  insuscettibile  di  essere  subordinata  ad  altri valori,
 rileva che la normativa censurata sacrifica "senza dubbio" il  valore
 tutelato  dall'art.  9 della Costituzione.  Al riguardo il rimettente
 richiama  la  sanatoria  delle  opere  abusive,  eseguite   in   aree
 sottoposte a vincolo paesaggistico e subordinata al parere favorevole
 delle   Amministrazioni   preposte   alla  tutela  del  vincolo,  per
 evidenziare che comunque, anche nel caso  di  parere  negativo  o  di
 soccombenza in sede di giudizio di impugnazione del silenzio-rifiuto,
 "trovera' piena applicazione il meccanismo di estinzione dei reati di
 cui   all'art.   39   della  legge  n.  724  del  1994  che  richiama
 espressamente il primo comma dell'art. 33 della legge n. 47 del 1985,
 dettato per i casi in cui non puo' essere rilasciata  la  concessione
 in sanatoria".
   Si  rileva,  altresi',  che a maggior ragione, ove venga conseguita
 l'autorizzazione da  parte  dell'autorita'  preposta  al  vincolo  si
 determinera'  anche la estinzione dei reati eventualmente concorrenti
 di cui agli artt. 734 cod. pen. e 1-sexies della  legge  n.  431  del
 1985.
   Inoltre  il giudice a quo rileva che dal tenore dell'art. 39, primo
 comma, non sarebbe chiaro se la sanatoria  operi  solo  con  riguardo
 alle  opere  di  volumetria  pari o inferiore a 750 metri cubi, e non
 invece a quelle di  volumetria  superiore.  Detta  norma,  infatti  -
 prevedendo  che  le disposizioni sulla sanatoria valgono anche per le
 opere abusive, relative a nuove costruzioni non superiori a 750 metri
 cubi, per singola richiesta di concessione edilizia  in  sanatoria  -
 autorizzerebbe  "fondatamente  a  pensare  che il condono riguardi in
 concreto volumetrie anche superiori al predetto limite, purche'  esso
 venga  osservato  dal singolo richiedente la concessione edilizia, in
 ipotesi  riferita  alla  frazione  di  un   piu'   grande   complesso
 immobiliare".  Infine,  il rimettente rileva che comunque il predetto
 limite di volumetria verrebbe travolto nella fattispecie disciplinata
 dall'art. 39, comma 16, il quale, stabilendo i casi in cui  l'importo
 della  oblazione  deve  essere  ridotto, dispone che si applichino le
 riduzioni di cui all'art. 34, comma 7, della legge n.  47  del  1985,
 concernente impianti destinati ad attivita' industriali, commerciali,
 turistico- ricreative ecc.  "anche in deroga ai limiti di cubatura di
 cui  al  primo comma dello stesso art. 39". Il che evidenzierebbe che
 il predetto limite volumetrico risulterebbe ancora piu' "evanescente"
 con   riguardo   alle   opere   abusive  "aventi  destinazioni  d'uso
 maggiormente  confliggenti  con  le   esigenze   della   tutela   del
 paesaggio".
   3.  -  Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, il quale ha concluso chiedendo che la questione sia dichiarata
 manifestamente infondata.
   Preliminarmente  l'Avvocatura  rileva  che le censure proposte sono
 state gia' esaminate dalla Corte costituzionale con  le  sentenze  n.
 416 e n. 427 del 1995.
   In  particolare  si  osserva che - come pure sottolineato da questa
 Corte -  la  diffusione  del  fenomeno  dell'abusivismo  edilizio  e'
 addebitabile   anche   alla   scarsa   incisivita'   e  tempestivita'
 dell'azione di controllo e di repressione degli enti locali  e  delle
 regioni.  Si  ribadisce,  altresi', che il legislatore ha previsto la
 sanzione penale solo per le  fattispecie  piu'  gravi,  il  tutto  in
 un'ottica di rafforzamento della stessa sanzione penale.
   Inoltre viene rilevato che la normativa censurata, complessivamente
 valutata,   appare   preordinata,   non   gia'  a  procurare  entrate
 all'erario, bensi' a dare alla  materia  una  sistemazione  organica,
 semplificando  molti procedimenti e ponendo la sanzione penale solo a
 tutela dei beni fondamentali per la collettivita'.
   Da ultimo e con riguardo alle  questioni  dei  limiti  di  cubatura
 delle  opere  abusive  sanabili si osserva che si tratta di questione
 concernente l'interpretazione delle disposizioni sulla sanatoria.
                        Considerato in diritto
   1. - Le  questioni  sottoposte  all'esame  della  Corte  concernono
 l'art.     39  della  legge  23  dicembre  1994,  n.  724  il  quale,
 disciplinando    l'effetto    estintivo    dell'illecito    edilizio,
 contrasterebbe:  a)  con gli artt.   117 e 118 della Costituzione, in
 quanto vanificherebbe l'azione di controllo e  di  repressione  delle
 amministrazioni   competenti,   espropriandole   delle   potesta'  di
 programmazione e pianificazione  e  sacrificando  le  esigenze  poste
 dalla   tutela   del  territorio  a  quelle  volte  a  consentire  il
 riequilibrio dei conti pubblici; b)  con  l'art.  9,  comma  secondo,
 della   Costituzione,  in  quanto  la  regolamentazione  del  condono
 edilizio con riferimento alle opere realizzate in zone  sottoposte  a
 vincolo paesaggistico, violerebbe la tutela del paesaggio. Oggetto di
 censura  e',  altresi',  l'art. 39, primo comma, nella parte in cui -
 stabilendo che le disposizioni sulla sanatoria valgono anche  per  le
 opere  abusive relative a nuove costruzioni non superiori a 750 metri
 cubi, per singola richiesta di concessione edilizia  in  sanatoria  -
 violerebbe l'art. 9 della Costituzione ove sia interpretato nel senso
 che  "  il  condono possa riguardare anche volumetrie superiori a 750
 metri  cubi,  purche'  detto  limite  venga  osservato  dal   singolo
 richiedente  la  concessione  edilizia, in ipotesi riferita alla mera
 frazione di un piu' grande complesso immobiliare".
   Infine, e' censurato l'art. 39, comma 16, della legge  n.  724  del
 1994  il  quale,  prevedendo  i  casi  in cui l'oblazione deve essere
 ridotta e stabilendo che si applichino le riduzioni di  cui  all'art.
 34,  settimo  comma,  della legge n. 47 del 1985 (ovvero le riduzioni
 riguardanti   costruzioni   o   impianti   destinati   ad   attivita'
 industriali,  artigianali,  commerciali, turistico-ricreative), anche
 in  deroga  ai  limiti  di  cubatura di cui all'art. 39, primo comma,
 contrasterebbe con l'art.  9 della Costituzione in quanto  il  limite
 volumetrico   posto   dall'art.      39,  primo  comma,  risulterebbe
 maggiormente "evanescente" proprio con riguardo ai  casi  in  cui  le
 opere  abusive  realizzate posseggono destinazioni d'uso maggiormente
 confliggenti con le esigenze della tutela paesaggistica.
   2. -  Preliminarmente  deve  essere  dichiarata  l'inammissibilita'
 della  questione  relativa  all'art. 39, comma 16, della legge n. 724
 del 1994, posto che dalla stessa ordinanza di rinvio risulta  che  il
 giudizio  a  quo non ha riguardato alcuna ipotesi di deroga ai limiti
 di cubatura di cui al primo comma dell'art. 39 della legge n. 724 del
 1994, ne' ha riguardato l'applicazione di oblazione ridotta ai  sensi
 del suddetto comma 16.
   3.   -   Deve,   invece,  essere  scrutinato  il  profilo  relativo
 all'ampiezza della sanatoria  prevista  dall'art.  39,  primo  comma,
 della   legge  n.    724  del  1994,  con  riguardo  alla  volumetria
 dell'ampliamento o della nuova costruzione (non superiori a 750 metri
 cubi).
   La  norma  dell'art.  39,  primo  comma,  ha  un   chiaro   intento
 limitativo,  cioe'  di  escludere  in radice, dall'applicazione della
 riviviscenza delle disposizioni del condono-oblazione di cui ai  Capi
 IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni
 ed integrazioni, le opere abusive ultimate dopo il 31 dicembre 1993 o
 che  abbiano  comportato  un  "ampliamento del manufatto superiore al
 trenta  per  cento  della  volumetria  della  costruzione  originaria
 ovvero,  indipendentemente  dalla volumetria iniziale, un ampliamento
 superiore a 750 metri cubi".
   Come correttivo  e'  stato,  inoltre,  disposto  che  le  anzidette
 disposizioni  "trovano,  altresi',  applicazione  alle  opere abusive
 realizzate nel termine di cui sopra e relative  a  nuove  costruzioni
 non   superiori   ai  "750  metri  cubi"  per  singola  richiesta  di
 concessione edilizia in sanatoria".
   La previsione massima di cubatura di "750 metri cubi" e' un  limite
 assoluto  ed  inderogabile, che si aggiunge come norma di chiusura al
 limite di ampliamento che deve essere contenuto nel trenta per  cento
 della volumetria originaria, ad evitare che fabbricati, inizialmente,
 di  cubatura  considerevole  possano  ampliarsi in modo ulteriormente
 notevole.
   Il limite di "750 metri cubi" trova  un  temperamento  nelle  nuove
 costruzioni  (e  solo  per queste), anche perche' per i nuovi edifici
 non e' possibile un raffronto con una costruzione originaria.
   Infatti per  le  nuove  costruzioni  e'  prevista  la  possibilita'
 (derogatoria  e,  come tale, di stretta interpretazione) di calcolare
 la volumetria  per  singola  richiesta  di  concessione  edilizia  in
 sanatoria,  cioe'  presupponendo  ipotesi di legittima ed ammissibile
 scissione della domanda di sanatoria per effetto  della  suddivisione
 della  costruzione  o limitazione quantitativa del titolo che abilita
 la presentazione della domanda di sanatoria. I  casi  possono  essere
 molteplici:  proprieta'  di  parte  della  costruzione  a  seguito di
 alienazione o di singole opere da sanare (art. 31, primo comma, della
 legge 28 febbraio 1985, n. 47) o titolarita' di diritto di  usufrutto
 o  di  abitazione  (ad  es. limitata a singola porzione di immobile),
 titolarita' di diritto personale di godimento, quando la legge  o  il
 contratto  abiliti a fare le opere (art. 31, terzo comma, della legge
 n.  47 del 1985, in relazione all'art. 4 della legge 28 gennaio 1977,
 n. 10) o ogni  altro  soggetto  interessato  al  conseguimento  della
 sanatoria  (art.   31, terzo comma, della legge n. 47 del 1985), come
 l'istituto di credito mutuario, con ipoteca su  singola  porzione  di
 immobile,  il locatario o altri aventi titolo a godere della porzione
 di immobile.
   Ciascuno dei soggetti, come sopra specificati, puo'  presentare  la
 domanda  di  sanatoria  per  le  porzioni di immobile per le quali e'
 legittimato, ed e' questa l'unica possibilita', cui logicamente  puo'
 riferirsi  la  deroga,  in quanto la concessione edilizia deve essere
 necessariamente unica per tutte le opere riguardanti un edificio o un
 complesso unitario, quando si riferisce a nuova costruzione,  e  solo
 eccezionalmente  puo'  operarsi una scissione quando esiste una norma
 che  legittima  in  maniera  differenziata   soggetti   diversi   dal
 costruttore.
   Di  conseguenza uno stesso soggetto legittimato non puo' utilizzare
 separate domande di sanatoria per  aggirare il limite  di  volumetria
 previsto  dall'art.  39,  primo  comma,  della legge n. 724 del 1994,
 dovendosi, in   tal  caso,  necessariamente  unificare  le  richieste
 quando  si tratti della medesima nuova costruzione da considerarsi in
 senso unitario.
   Potranno,  invece,  (ed  e'  questa  la   previsione   mirata   dal
 legislatore)  aversi una serie di istanze quanti sono i proprietari o
 i soggetti aventi titolo  al  momento  della  domanda,  relative  per
 ciascun  richiedente  alle porzioni di appartenenza anche se comprese
 in una  unica  costruzione  unitaria:  la  volumetria  dovra'  essere
 calcolata   rispetto   a  ciascuna  separata  domanda  di  sanatoria,
 riunificando, tuttavia, le porzioni dello stesso titolare.
   Ne'  puo'  valere  l'obiezione  che  anche  soggetti,  diversi  dal
 presentatore  della  richiesta  di  condono, possono ricevere effetti
 riflessi  e  beneficiare   della   domanda   di   sanatoria-oblazione
 presentata  da altri, in quanto il principio che la sanatoria, con il
 rilascio della concessione, comporta  la  regolarizzazione  sotto  il
 profilo  amministrativo e penale per tutti gli interessati, trova una
 espressa esclusione nell'art.  38, quinto comma, della  legge  n.  47
 del  1985. Infatti per i soggetti, diversi dal proprietario, indicati
 dall'art. 6 della  stessa  legge  n.  47  del  1985  (titolare  della
 concessione, committente, costruttore, direttore dei lavori in quanto
 considerati  responsabili  ai  fini  del  controllo  e delle sanzioni
 penali e amministrative), esiste  un  onere  di  presentare  autonoma
 domanda,  con  oblazione ridotta, per poter beneficiare degli effetti
 della oblazione.
   Cosi' precisato l'ambito di operativita' dell'art. 39, primo comma,
 censurato, deve dichiararsi insussistente il lamentato  contrasto  di
 detta previsione con l'art. 9, secondo comma, della Costituzione.
   Di  conseguenza la questione dell'art. 39, primo comma, della legge
 n. 724 del 1994 deve ritenersi infondata sulla base  della  anzidetta
 interpretazione.
   4.  -  Per  quanto  concerne  la  questione  relativa  al contrasto
 dell'art.  39 censurato con gli artt. 117 e 118 della Costituzione si
 rileva che la stessa questione ha gia' costituito oggetto di esame da
 parte di questa Corte, con le sentenze nn. 416 e 427 del 1995, con le
 quali si e' affermato che la  previsione  del  condono  non  lede  le
 competenze   regionali   concernenti   il   governo  del  territorio,
 rilevandosi,    altresi',    che    "la   diffusione   del   fenomeno
 dell'abusivismo edilizio e' da addebitare almeno in parte, anche alla
 scarsa incisivita' e tempestivita'  dell'azione  di  controllo  e  di
 repressione" da parte delle amministrazioni a cio' preposte.
   Detta  questione  deve  essere, pertanto, dichiarata manifestamente
 infondata.
   5. - Manifestamente infondata, deve essere, altresi', dichiarata la
 questione relativa al predetto art. 39, ottavo comma, nella parte  in
 cui,  regolamentando  il  condono edilizio con riferimento alle opere
 realizzate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, violerebbe  la
 tutela  del  paesaggio  di  cui  all'art.  9,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
   Detta questione e' stata, infatti, gia' decisa con la  sentenza  n.
 427 del 1995 con la quale si e' affermato - avendo riguardo ai limiti
 che  caratterizzano  nel  nuovo  condono  la  sanabilita' delle opere
 abusive, realizzate in aree vincolate, nonche' alla necessita'  della
 acquisizione  dei  pareri  favorevoli  delle amministrazioni preposte
 alla tutela dei vincoli - che  la  normativa  sul  condono  "risponde
 adeguatamente proprio alla finalita' di realizzare un contemperamento
 dei  valori  in  gioco,  quelli  del  paesaggio,  della salute, della
 conformita' dell'iniziativa economica privata  all'utilita'  sociale,
 della  funzione sociale della proprieta' da una parte, e quelli, pure
 di  fondamentale  rilevanza   sul   piano   della   dignita'   umana,
 dell'abitazione e del lavoro dall'altra".