ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 1 e 4,
 del  d.-l.  30  dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni,
 nella legge 28 febbraio 1990, n. 39  (Norme  urgenti  in  materia  di
 asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari
 e  di  regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi gia'
 presenti  nel  territorio dello Stato), promosso con ordinanza emessa
 il 22 febbraio-8 marzo 1995 dal  Tribunale  amministrativo  regionale
 per  la  Lombardia,  sul ricorso proposto da Douibi Mohamed contro il
 Ministero dell'interno e altra,  iscritta  al  n.  613  del  registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  10  luglio  1996  il  giudice
 relatore Francesco Guizzi;
   Ritenuto  che  Mohamed  Douibi,  cittadino  algerino,  residente in
 Italia dal settembre 1978, titolare del  permesso  di  soggiorno  per
 motivi di lavoro rilasciato il 15 febbraio 1990, ai sensi della legge
 n.    39 del 1990, ha impugnato il decreto di espulsione del prefetto
 di Milano, in data 25 giugno 1992, motivato sulla base della sentenza
 di condanna per  furto  aggravato,  facendo  presente  di  avere  una
 stabile relazione con una cittadina italiana, dalla quale e' nata una
 figlia  convivente,  e di svolgere in Italia un'attivita' lavorativa,
 del tipo subordinato, presso un'impresa di pulizie;
     che il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Lombardia,
 chiamato   a  decidere  sul  predetto  ricorso,    ha  sollevato,  in
 riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13,  25,  27,  30,  31  e  97  della
 Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 7,
 commi 1 e 4, del d.-l.   30 dicembre 1989, n.  416,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 28 febbraio 1990, n. 39;
     che,   secondo   il   Tribunale  rimettente,  la  norma  parrebbe
 introdurre una misura di sicurezza di competenza del giudice  -  come
 in  tal senso deporrebbe l'ordinanza della Corte costituzionale n. 72
 del 1994 - pur potendosi intravedere  in  essa  un  provvedimento  di
 polizia;
     che  il  quarto  comma  dello  stesso  articolo,  attribuendo  la
 competenza   al   prefetto   eliminerebbe   ogni   dubbio,    poiche'
 configurerebbe  una  misura di polizia, come d'altronde testimonia la
 formulazione letterale della norma ("sono espulsi");
     che, pertanto, l'art.  7  contrasterebbe  con  numerosi  principi
 costituzionali  qualora  dovesse  essere interpretato, come sembra al
 collegio rimettente, nel senso che il prefetto deve procedere in modo
 vincolato, e obbligatoriamente,  all'espulsione  dello  straniero  in
 tutti  i  casi  (ivi  contemplati)  nei  quali  il giudice penale non
 avrebbe  competenza  a  pronunciarsi  sull'espulsione,   perche'   la
 condanna non comporta l'applicazione di tale misura di sicurezza;
     che,  per  il  suo  automatismo,  la  disposizione  lederebbe  il
 principio   di   ragionevolezza,   desumibile   dall'art.   3   della
 Costituzione,  per  la  mancata  previsione  d'una  valutazione della
 personalita' del soggetto e per il  riferimento  ad  alcune  astratte
 figure di reato, neppure le piu' gravi;
     che  contrasterebbe,  altresi',  con  il canone di buon andamento
 della pubblica amministrazione, di  cui  all'art.  97,  per  l'eguale
 trattamento di situazioni dissimili;
     che  la  norma  sarebbe in conflitto anche con gli artt. 30 e 31,
 per la violazione dei doveri costituzionali in favore della famiglia;
 e con gli artt. 2 e 10, per  la  violazione  delle  norme  interposte
 costituite  sia  dalle disposizioni della legge 4 agosto 1955, n. 848
 (Ratifica ed esecuzione della convenzione  per  la  salvaguardia  dei
 diritti  dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4
 novembre 1950, e del protocollo addizionale alla convenzione  stessa,
 firmato  a  Parigi  il  20  marzo 1952), sia da quelle della legge 27
 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed  esecuzione  della  convenzione  sui
 diritti  del  fanciullo  firmata  a New York il 20 novembre 1989), in
 relazione agli artt. 2, 3, 5, 7 e 18 di quest'ultima convenzione;
     che, infine, si paleserebbe un contrasto con gli artt. 13  e  25,
 ultimo  comma,  della  Costituzione,  per  la  mancata osservanza del
 riparto delle  competenze  fra  le  attivita'  di  polizia  e  quelle
 giudiziarie,  con  particolare  riferimento alla valutazione circa la
 pericolosita' sociale della persona;
     che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e difeso dall'Avvocatura  dello Stato, concludendo per
 l'infondatezza della questione, gia'  risolta  dalla  sentenza  della
 Corte costituzionale n. 129 del 1995;
   Considerato  che l'art. 7, commi 1 e 4, del d.-l. 30 dicembre 1989,
 n. 416, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio  1990,
 n.  39  (Norme  urgenti  in  materia di asilo politico, di ingresso e
 soggiorno dei cittadini extracomunitari  e  di  regolarizzazione  dei
 cittadini  extracomunitari  ed  apolidi  gia' presenti nel territorio
 dello Stato), denunciato, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13, 25,
 27, 30, 31 e 97 della Costituzione, nella parte  in  cui  attribuisce
 all'autorita'  di polizia l'espulsione dal territorio nazionale dello
 straniero condannato per uno dei reati di cui all'art. 380 del codice
 di procedura  penale,  senza  che  sia  compiuta  alcuna  valutazione
 discrezionale in ordine alla sua pericolosita' sociale, e' tuttora in
 vigore, in quanto il d.-l. 16 luglio 1996, n. 376, ultimo d'una serie
 di decreti-legge emanati in materia di "politica dell'immigrazione" e
 di   "regolamentazione   dell'ingresso  e  soggiorno  nel  territorio
 nazionale  dei  cittadini  dei  Paesi  non  appartenenti   all'Unione
 europea"  non  ha  reiterato la modifica al predetto art. 7 (come, da
 ultimo, aveva fatto il d.-l.  17 maggio 1996, n. 269);
     che la disposizione denunciata e' dunque in vigore;
     che, questa Corte, con la sentenza n. 129 del 1995, ha sciolto il
 dubbio interpretativo avanzato dal rimettente, privilegiando - fra le
 possibili - l'interpretazione costituzionalmente adeguata  e,  cosi',
 superando  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale prospettati dal
 giudice a quo;
     che, pertanto, deve essere ribadita la duplicita' delle figure di
 espulsione previste dall'art. 7 censurato, l'una  di  competenza  del
 giudice   (primo   comma)   e  l'altra  di  spettanza  dell'autorita'
 amministrativa (commi successivi), fra di loro non assimilabili;
     che, di conseguenza, la questione  va  dichiarata  manifestamente
 infondata;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.