LA CORTE D'APPELLO
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  letta  la   dichiarazione   di
 ricusazione  proposta  nel  procedimento  n.  1480/1992 r.g.n.r. e n.
 97/1993 r. g.i.p./t dai difensori e procuratori speciali di  Lombardi
 Vincenzo,  Ferdinando  Botti,  Pietrantonio Antonio nei confronti del
 giudice per l'udienza preliminare del 1 dicembre 1995, dott.  Rosario
 Caiazzo Canonico, del tribunale di Benevento, per incompatibilita' ai
 sensi  dell'art.    34,  secondo  comma c.p.p., per avere questi gia'
 emesso a suo carico un'ordinanza applicativa della  misura  cautelare
 della custodia in carcere;
   Ritenuta  l'ammissibilita' dell'istanza, proposta nei termini e con
 le forme previste dall'art. 38 c.p.p.;
   A scioglimento della riserva formulata nell'odierna udienza;
                             O s s e r v a
   L'istante eccepisce l'incompatibilita' del g.i.p.,  che  ha  emesso
 una  misura  cautelare,  a partecipare all'udienza preliminare, quale
 ipotesi  analoga  a  quella  decisa  con  la  sentenza  della   Corte
 costituzionale  n.  432/1995,  dichiarativa  dell'incompatibilita'  a
 partecipare al dibattimento del g.i.p. che,  nel  medesimo  processo,
 abbia applicato una misura cautelare personale.
   In    via    subordinata    l'istante   denuncia   l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p.,  nella  parte  in
 cui  non prevede che non possa partecipare all'udienza preliminare il
 g.i.p. che abbia adottato la misura cautelare.
   Orbene, ritiene la Corte che il carattere tassativo delle cause  di
 incompatibilita'  previste  dal  citato  art.  34  non  consente  una
 interpretazione estensiva ed analogica della norma.
   Ne'  potrebbe,  a  tal  fine,  rilevare  la  sentenza  della  Corte
 costituzionale   n.   432/1995  dichiarativa  di  incostituzionalita'
 dell'art. 34 c.p.p., in quanto priva di disposizioni  che  consentono
 di  estendere la dichiarata illegittimita' costituzionale, ex art. 27
 l.c. 11 marzo 1957, n.   87, ad una  fattispecie  diversa  da  quella
 esaminata dalla Consulta.
   Peraltro la sollevata questione di incostituzionalita' e' rilevante
 e non appare manifestamente infondata.
   Secondo  l'evoluzione  della  Corte  costituzionale, evidente nelle
 sentenze numeri 496 del 1990, 401 e 502 del 1991, 124 e 399 del 1992,
 439 del 1993, progressivamente modificative  dell'originario  assetto
 dell'art.  34,  c.p.p.  secondo  comma,  la  definizione  complessiva
 dell'incompatibilita', intesa come volta ad assicurare la  genuinita'
 e  correttezza  del processo formativo del convincimento del giudice,
 si ricollega alla garanzia costituzionale del giusto processo  ed  e'
 circoscritta  ai  casi  di  duplicita'  del  giudizio di merito sullo
 stesso oggetto.
   A  seguito  dell'entrata  in  vigore  della legge 8 agosto 1995, n.
 332, la  Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  n.  432/1995,  ha
 osservato  come la pronuncia del giudice per le indagini preliminari,
 nell'ordinanza  che  dispone  la  misura   cautelare,   comporti   la
 formulazione   di   un   giudizio   di   merito   sulla  colpevolezza
 dell'imputato, dovendosi apprezzare la sussistenza dei gravi  indizi,
 con  indicazione  degli  elementi  di fatto da cui sono desunti e con
 adeguata motivazione dei motivi per i quali essi assumono rilevanza e
 come, inoltre, l'applicazione della  misura  cautelare  comporti  una
 valutazione  negativa circa l'esistenza di condizioni legittimanti il
 proscioglimento, nonche' la possibilita' di ottenere con la sentenza,
 la sospensione condizionale della pena.
   In considerazioni di tali valutazioni di contenuto sulla  probabile
 fondatezza  dell'accusa,  la Corte ha ritenuto sussistenti i medesimi
 effetti che l'art. 34 mira ad impedire e  cioe'  che  la  valutazione
 conclusiva  all'esito  del  dibattimentoi possa apparire condizionata
 dalla cosiddetta forza di prevenzione e cioe' da  quella  tendenza  a
 mantenere  un  giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto
 in altro momento decisionale dei procedimento ed ha, cosi' dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo  comma,  c.p.p.
 nella  parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio
 dibattimentale il g.i.p. che abbia  applicato  una  misura  cautelare
 personale nei confronti dell'imputato.
   A  parere  di  questa  Corte  gli stessi motivi di contrasto con la
 garanzia costituzionale al giusto processo si ravvisano nel  caso  in
 cui  il  giudice  per le indagini preliminari che ha emesso la misura
 cautelare partecipi all'udienza preliminare.
   A seguito dell'entrata in vigore della legge n.  105/1993,  nonche'
 della  sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 41/1993, il giudice
 dell'udienza preliminare, che prima aveva poteri valutativi  limitati
 ad  un  parametro di non evidente infondatezza dell'accusa e con mero
 controllo  di  legittimita'  e  correttezza  dell'accusa,  ha   visto
 rafforzare  i precedenti poteri in maniera tale da poterli assimilare
 a quelli propri del giudice del dibattimento.
   Nell'udienza   preliminare   il   giudice   deve    compiere,    in
 contraddittorio    fra    le    parti,    la   verifica   processuale
 dell'iniziativa del  p.m.,  mediante  piena  cognizione  di  tutti  i
 risultati   dell'attivita'   di   indagine,  al  fine  di  accertarne
 l'idoneita' a giustificare un pubblico processo, se  del  caso  anche
 procedendo ad integrazioni probatorie ai sensi  dell'art. 422 c.p.p.,
 o sollecitando il p.m. alla modifica dell'imputazione.
   Cio'  significa  che  il  vaglio  del  g.u.p. deve appuntarsi su un
 quadro di elementi probatori quanto piu' completo possibile,  con  la
 conseguenza  che  la  sentenza  di  non luogo a procedere ex art. 425
 c.p.p., in alternativa alla richiesta di rinvio a giudizio  da  parte
 del  p.m.,  comporta  un  giudizio  di  merito  pieno  e  che solo la
 negativita' di tale valutazione puo' dare luogo al giusto processo.
   La cognizione del g.u.p., dunque, non appare  dissimile  da  quella
 del  giudice  del dibattimento, e la sentenza  ex art. 425 c.p.p. non
 appare dissimile, nel suo iter formativo di  conseguenza,  da  quella
 pronunciata  ex art. 530 c.p.p.
   L'espansione  dei  poteri  cognitivi e valutativi del giudice delle
 indagini preliminari, gia' delineata dianzi,  al  contempo,  comporta
 che,  in effetti, l'attivita' di valutazione che si compie al momento
 dell'emissione della misura cautelare e' identica a quella  che  deve
 compiere il giudice dell'udienza preliminare nel momento in cui debba
 oprtare  per  il  rinvio  a giudizio o per la sentenza di non luogo a
 procedere.
   Con la conseguenza che l'identita' fisica del giudice che ha emesso
 la misura cautelare e quello che  presiede    l'udienza  preliminare,
 soprattutto  in  presenza  di  un  quadro  probatorio  immutato, puo'
 influenzare  l'opzione  al  rinvio  a  giudizio,  per  la   pregressa
 valutazione degli elementi ritenuti indizianti.
   E'  di tutta evidenza, allora, come si possa venire a delineare, in
 tal caso, una situazione di incompatibilita' analoga a quella che  ha
 dato luogo alla decisione n. 432/1995, in cui il legittimo dubbio che
 il g.u.p. possa, involontariamente essere condizionato dal precedente
 giudizio  prognostico  formulato all'atto dell'emissione della misura
 cautelare, e' rafforzato dal fatto di non essere  egli  inserito  nel
 contesto  di  un  collegio  e, quindi, non coinvolto nella dialettica
 della collegialita'.
   Da quanto sin qui argomentato consegue che, ad avviso della  Corte,
 sussiste un possibile contrasto tra l'art. 34, secondo comma, c.p.p.,
 nella parte in cui non prevede il suddetto caso di incompatibilita' e
 gli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione.
   Ed  infatti  vi  e'  una  diversita'  di  trattamento nei confronti
 dell'eventuale coimputato dello stesso reato, non  raggiunto  da  una
 misura  cautelare  personale,  per  il  quale  il giudizio del g.u.p.
 avverra' con un approccio privo di possibile pregiudizio,  mentre  il
 possibile  condizionamento  del  giudizio  verso l'imputato raggiunto
 dalla misura cautelare comporta una lesione del diritto di difesa del
 medesimo,  nonche'  una  situazione  di  pericolo  per  la   garanzia
 costituzionale  di  imparzialita'  del giudice, riflessa nel presidio
 della precostituzione del giudice naturale.
   Conseguentemente,  apparendo  non   manifestamente   infondata   la
 sollevata  questione di incostituzionalita', e' rilevante ai fini del
 decidere, gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale.