Ricorso per conflitto di attribuzione della regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale e legale rappresentante pro-tempore, on. dr. Roberto Formigoni, rappresentata e difesa, come da delega a margine del presente atto e in forza di deliberazione di g.r. di autorizzazione a stare in giudizio n. VI/16117 del 19 luglio 1996, dagli avv. proff. Giuseppe Franco Ferrari e Massimo Luciani, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, lungotevere delle Navi n. 30, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri a seguito e per l'effetto del decreto del Ministro della sanita', di concerto con il Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali 15 dicembre 1995, n. 592, "Regolamento concernente il piano nazionale per la eradicazione della tubercolosi negli allevamenti bovini e bufalini" (Gazzetta Ufficiale n. 125, serie generale, 30 maggio 1996). 1. - Ormai da molti anni, conformemente ai principi fondamentali dell'ordinamento comunitario, prima la CEE ed ora l'Unione europea perseguono l'intento di eliminare le barriere alla libera movimentazione e commercializzazione degli animali da allevamento e da macello entro l'ambito comunitario. Il raggiungimento di tale obiettivo presuppone peraltro, come e' ovvio (e come recenti, noti avvenimenti hanno confermato), l'adozione da parte degli Stati membri di una politica comune dei controlli igienico-sanitari, grazie alla quale si possa creare un sistema (ed un livello) di protezione omogeneo su scala comunitaria, nell'intento dell'eradicazione delle patologie che possono affliggere il bestiame. Alle numerose direttive comunitarie in materia ha dato attuazione soprattutto il d.P.R. 1 marzo 1992, n. 230, che in larga misura ha previsto integrazioni e modificazione della previgente legge 30 aprile 1976, n. 397, recante "Norme sanitarie sugli scambi di animali tra l'Italia e gli altri Stati membri della Comunita' economica europea". In particolare, per quanto qui interessa, si sono dettate analitiche previsioni in riferimento ai controlli da compiersi sui bovini a fini di prevenzione e controllo della tubercolosi. Tali previsioni ripetono quanto stabilito nelle direttive comunitarie e - come si vedra' - non si espongono a censura. Ai sensi dell'art. 33-bis, comma primo, della legge n. 397 del 1976, introdotto dall'art. 9, comma primo, dello stesso d.P.R. n. 230 del 1992, peraltro, il Ministro della sanita' e' facoltizzato ad adottare regolamenti (ai sensi dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988) "per estendere al territorio nazionale le norme sanitarie previste negli allegati". Per quanto riguarda la tubercolosi bovina, il Ministro della sanita' ha esercitato il potere, cosi' conferitogli, con il decreto in epigrafe. Tale decreto - nelle previsioni di cui all'art. 14 - risulta violativo delle prerogative costituzionali della ricorrente regione Lombardia, e conseguentemente illegittimo per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 9-bis, legge n. 397 del 1976, introdotto dall'art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 230 del 1992, in riferimento agli artt. 5, 11, 117 e 118 della Costituzione. L'art. 14 del decreto in epigrafe contiene disposizioni in ordine alla procedura necessaria perche' il Ministro della sanita' dichiari "ufficialmente indenni da tubercolosi" province o regioni. Il comma primo prevede che il Ministro della sanita' possa dichiarare ufficialmente indenne da tubercolosi bovina il territorio delle singole province o di una o piu' regioni qualora il 99,8% degli allevamenti risulti ufficialmente indenne durante l'anno. Il comma secondo dispone che la percentuale di infezione viene calcolata "sulla base di tutti gli allevamenti riscontrati infetti durante l'anno". Il comma terzo, infine, dispone che "una regione puo' essere dichiarata ufficialmente indenne da tubercolosi solo qualora tutte le sue province godano di tale qualifica". Quanto previsto dai commi secondo e terzo appare violativo delle prerogative della ricorrente e quindi costituzionalmente illegittimo. 1.1. - Evidente, anzitutto, e' l'irragionevolezza e la contrarieta' al diritto comunitario attuato in forza del d.P.R. n. 230 del 1992, della previsione di cui al comma secondo. E' chiaro, infatti, che in presenza di un continuo fenomeno di "assottigliamento" delle aziende di allevamento, la riferita modalita' di calcolo della percentuale di infezione e' penalizzante per l'intera regione. Che questa sia o meno "indenne", infatti, puo' logicamente dirsi se e quando la percentuale degli allevamenti infetti e' superiore all'1%, ma assumendo come base di calcolo la realta' attuale dell'allevamento, non gia' il suo passato. La percentuale, pertanto, dovrebbe essere calcolata sul totale degli allevamenti esistenti a fine anno, non gia' sul totale accertato nel corso dell'intero anno, come fa invece - incongruamente - il decreto impugnato. Ne' potrebbe dirsi che la modalita' di calcolo sia in armonia con quanto disposto al comma primo del medesimo art. 14, la cui formulazione non imponeva affatto l'adozione dell'illegittima scelta oggettivatasi nel comma secondo. L'irragionevolezza dell'incomprensibile scelta ministeriale e' peraltro ancor meno giustificabile, in considerazione del fatto che detta scelta e' stata adottata in clamorosa difformita' dalle previsioni del diritto comunitario, per come attuato nel nostro ordinamento in forza del d.P.R. n. 230 del 1992. Si dispone infatti all'allegato A, capitolo 1, di tale decreto presidenziale, che "la percentuale degli allevamenti bovini infettati da tubercolosi" viene accertata "in occasione" di controlli compiuti - a seconda delle circostanze, determinate dai pregressi livelli di infezione - ad intervallo di uno, di due o di tre anni. La formula di tale previsione attuativa delle direttive comunitarie e' chiara e univoca: la percentuale degli allevamenti infatti si calcola accertando, allo stesso tempo, il numero totale degli allevamenti e il numero degli allevamenti infetti, e conseguentemente determinando - uno tempore - la percentuale dei secondi in rapporto ai primi. E' questa, del resto, l'unica soluzione logica: che senso avrebbe calcolare una percentuale ponendo a raffronto il dato attuale degli allevamenti infetti e il dato passato degli allevamenti in attivita'? Quando mai una percentuale si calcola raffrontando la parte con il tutto in due diversi momenti temporali, diacronicamente separati? E come mai potrebbe giustificarsi una simile assurdita', soprattutto in presenza di una realta' economico-sociale che, come gia' osservato, conosce una costante sicura contrazione del numero degli allevamenti in attivita'? In realta', la scelta comunitaria era ed e' l'unica logicamente accettabile. Averla abbandonata per adottare un diverso sistema e' del tutto illegittimo. 1.2. - Quanto al comma terzo, si deve osservare quanto segue: a) nel d.P.R. n. 230 del 1992, attuativo del diritto comunitario, la base di riferimento per la dichiarazione di indennita' da malattie infettive del bestiame e' la regione, restando la provincia una mera articolazione amministrativa della stessa, ovvero la "spia" dell'esistenza dell'ente regione. E' infatti alla regione, che fa riferimento l'allegato A, capitolo 1, lettera b), ed e' sempre alla regione che si riferisce l'art. 9-bis, comma terzo, della legge n. 397 del 1976, nel testo introdotto dall'art. 5, comma primo, del menzionato decreto presidenziale. E' su scala regionale, invero, che i controlli debbono essere effettuati, ed e' su scala regionale che la dichiarazione di ufficiale immunita' dalla tubercolosi deve essere adottata. Il menzionato art. 9-bis, comma terzo, della legge n. 397 del 1976, appunto, prevede una speciale disciplina per quegli Stati o parti di Stati, composte da piu' regioni contigue, in cui (cioe': nelle quali regioni) almeno il 99,9% degli allevamenti di bovini e' stato dichiarato ufficialmente indenne da tubercolosi. In nessun modo, invece, si fa menzione della provincia come base di riferimento per la determinazione del destino della regione. La provincia, invece, soccorre solo allo scopo di identificare il "concetto" di regione. Ai sensi dell'art. 2, comma primo, lettera n), legge n. 397 del 1976 (cosi' come introdotto in forza dell'art. 1, comma secondo, del d.P.R. n. 230 del 1992), si definisce "regione" una "parte del territorio di superficie minima di 2.000 kmq e comprendente almeno una delle seguenti circoscrizioni amministrative: ... per l'Italia: provincia". Come si vede, e' "regione" solo quell'articolazione territoriale che comprenda almeno una provincia, ma la provincia non possiede, di per se', alcuna rilevanza al fine di stabilire se una regione sia o meno indenne da tubercolosi. Se, dunque, ha senso - come prevede il comma primo dell'art. 14 dell'impugnato decreto - dichiarare ufficialmente indenne una provincia di una regione (cio' che, appunto, non e' escluso dalla normativa comunitaria), non ha alcun senso legare le sorti di un'intera regione a quelle di una singola provincia. Non basta. Come si evince dalla disposizione ora riportata, l'entita' territoriale di riferimento cui la dichiarazione di immunita' puo' essere negata non puo' avere, per la normativa comunitaria cui nel nostro Paese si e' data attuazione, una estensione territoriale inferiore a 2.000 kmq. L'estensione di moltissime province italiane, pero', e' largamente inferiore a tale limite, ed in particolare in Lombardia sono di estensione minore di 2.000 kmq le province di Varese (1.200 kmq), Cremona (1.770 kmq), Lodi (780 kmq) e Milano (1.980 kmq). Da una porzione di territorio (provincia) di estensione potenzialmente minore di quella "minima" per il diritto comunitario, dunque, si fa derivare il trattamento dell'intera entita' territoriale di riferimento (regione). Considerare la provincia come entita' territoriale cui legare le sorti di tutta una regione contrasta, dunque, con la lettera e con la sostanza della normativa comunitaria (oltre che con la logica delle attribuzioni costituzionali di competenza, come si dira' al successivo punto 2). 2. - Violazione degli artt. 31 e 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in riferimento agli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione. La regione Lombardia si vede specificamente lesa anche per altri profili nelle sue attribuzioni costituzionali dalle previsioni piu' sopra censurate. Si deve premettere che le competenze regionali in materia, anche ove si considerassero meramente delegate, ai sensi del d.P.R. n. 616 del 1977, dovrebbero pur sempre ritenersi defendibili in sede di conflitto di attribuzioni. Come, infatti, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha recentemente ribadito (sentt. nn. 174 e 245 del 1996, ed ivi ulteriori richiami), se e' vero che le competenze delegate alle regioni non possono, in via di principio, formare oggetto di conflitto, cio' non vale nel caso in cui esse costituiscano "integrazione necessaria" delle competenze regionali "proprie". Tanto, in relazione all'entita' e alla rilevanza delle attribuzioni statali, nonche' al modo e alle finalita' del conferimento delle competenze medesime. Nella specie, le competenze in materia di profilassi igienico-sanitaria degli allevamenti sono necessariamente integrative di quelle conferite alla regione in materia di agricoltura, atteso che il settore che se ne occupa si colloca, per cosi' dire, "a cavaliere" fra l'agricoltura e la sanita'. La migliore riprova e' offerta dallo stesso decreto in epigrafe, che dichiara espressamente d'essere preordinato "ai fini della tutela della salute pubblica e della protezione degli allevamenti ufficialmente indenni" (art. 1, comma secondo). Orbene, disponendo cosi' come dispone, l'impugnato decreto ministeriale compromette le competenze regionali in materia di agricoltura e di sanita', impedendo alla regione di esercitare il governo nel settore (cfr. in fattispecie in parte analoga, le sentt. nn. 520 e 534 del 1995). In particolare, e' evidente che tanto l'illogica disciplina dell'accertamento della situazione sanitaria degli allevamenti, quanto l'aggancio della dichiarazione di immunita' da tubercolosi alla situazione epidemiologica delle singole province, colpiscono profondamente il settore della produzione lattiero casearia e della carne da macello in Lombardia, impedendo alla regione di adottare i provvedimenti necessari per la ripresa e lo sviluppo del settore. L'incongruenza della previsione di cui al comma secondo dell'art. 14 e' stata gia' ampiamente dimostrata al punto 1 del presente ricorso e non va qui ribadita. Quanto, invece, all'assunzione della provincia come entita' territoriale di riferimento, basta considerare quanto segue. Si potrebbe verificare, anzitutto, il caso di una regione che, a situazione epidemiologica assolutamente invariata, perda la dichiarazione di indennita' per il solo fatto della modificazione di una circoscrizione provinciale o della creazione di una nuova provincia, ove a seguito di tali variazioni territoriali la maggior parte degli allevamenti infetti si trovi concentrata nella nuova (o nella "modificata") provincia. Il che, oltre ad essere illogico (e a violare, anche, il diritto comunitario) vulnererebbe direttamente le attribuzioni regionali. In secondo luogo, vi sarebbe un'evidente disparita' di trattamento fra regioni che hanno una presenza di allevamenti infetti diffusa su tutto il territorio, e regioni nelle quali tale presenza si concentra nell'ambito di una sola provincia. A parita' di situazione epidemiologica, la prima potrebbe godere della dichiarazione di immunita' dalla tubercolosi, mentre la seconda si vedrebbe negare tale attestazione, indispensabile per il rilancio e lo sviluppo della produzione. Tale serie di illegittimita' ed illogicita' non trova giustificazione in alcun interesse costituzionalmente pregevole. In particolare, l'esigenza di assicurare, in questa delicata materia, un adeguato rigore dei controlli non e' affatto coinvolta dall'impugnato decreto. Che l'applicazione delle sue previsioni conduca a risultati piu' o meno rigorosi, infatti, e' del tutto aleatorio e casuale. Se, ad esempio, l'attuale tendenza alla diminuizione degli allevamenti in attivita' si invertisse, e si assistesse dunque ad un aumento del numero dei produttori, la previsione di cui al comma secondo assumerebbe tutt'altra valenza di quella precedentemente descritta. Quanto alla previsione di cui al comma secondo, invece, e' del tutto evidente che il rigore e' maggiore o minore solo a seconda del dato estrinseco, casuale e accidentale della concentrazione o diffusione dell'infezione. In questo caso, anzi, si finisce per premiare le regioni il territorio e' piu' diffusamente percorso dall'infezione, con conseguente difficolta' di controllo e - specularmente - facilita' di contagio ben maggiori di quelle che si riscontrano in regioni con realta' infettive localizzate e concentrate. La dimostrata casualita' degli effetti applicativi dell'atto impugnato non e' altro che la conseguenza della sua illogicita', determinata dalla non comprensibile scelta di discostarsi dalla normativa comunitaria, in violazione di tutti i menzionati parametri costituzionali. 3. - Quasi superfluo, infine, e' ricordare che la mancata impugnazione del d.m. sanita' 27 agosto 1994, n. 651, che all'art. 15, commi secondo e terzo conteneva previsioni analoghe a quelle qui censurate, ma in materia di controllo e profilassi della brucellosi, non puo' esplicare alcun effetto sull'ammissibilita' del presente ricorso. Come e' evidente, fra i due atti non vi e' coincidenza di oggetto: manca dunque qualsivoglia nesso di implicanza e presupposizione (sul quale cfr. da ultimo, sent. n. 243 del 1996), ed il secondo non puo' considerarsi meramente esecutivo o ripetitivo del primo (sul punto, da ultimo, sent. n. 250 del 1996).