LA CORTE D'APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento a carico di:
     1)  Cecone  Aldo, nato a Fagagna il 10 febbraio 1948, residente a
 Ivrea, via Aldisio, n. 4, difeso dall'avv. R.  Macchia  di  Torino  e
 avv. P. Campanale di Ivrea;
     2)  Cimadon  Graziano,  nato  a  Ivrea  il  21  ottobre 1950, ivi
 residente, via Cigliano n. 22, difeso dall'avv. R. Macchia di  Torino
 e avv.  P. Campanale di Ivrea;
     3)  Fogu  Roberto,  nato ad Aosta il 13 gennaio 1939, residente a
 Tortoli, via Solinas n.  13,  difeso  dall'avv.  C.  D'Alessandro  di
 Ivrea;
     4)  Iorio  Maria  Cristina,  nata  ad Ivrea il 21 marzo 1957, ivi
 residente, via Canton  Mussano,  2,  domicilio  dichiarato  ai  sensi
 dell'art.    161 c.p.p., difeso dagli avv.ti A. Corsaro e D. Casalini
 entrambi di Vercelli e avv. L. Monteu Bottere di Ivrea;
     5) Omenetto Dario, nato a Borgofranco d'Ivrea il 6  maggio  1963,
 ivi  residente, via Andrate, 57, difeso dall'avv. M. Benni di Ivrea e
 G. Maris di Milano;
     6) Pagliarin Luciano, nato  ad  Ivrea  il  23  giugno  1953,  ivi
 residente,  via  Canton  Mussano  n. 2, domicilio dichiarato ai sensi
 dell'art.  161 c.p.p., difeso dagli avv.ti A. Corsaro e  D.  Casalini
 di Vercelli e avv. L. Monteu Bottere di Ivrea;
     7)  Sfregola  Sabino,  nato  a  Margherita  di  Savoia  (Foggia),
 residente  ad  Ivrea,  via  Dora  Baltea,  13,  difeso  dall'avv.  C.
 D'Alessandro di Ivrea.
                            Fatto e diritto
   Nell'ambito  di  una  vasta  indagine  per  abusi  e corruzioni che
 coinvolgeva  numerose  persone,  tra  cui,  in  primo  luogo,  membri
 dell'Ufficio  tecnico  del  comune di Ivrea e rappresentanti politici
 della  maggioranza  del  tempo,  il  g.i.p.  presso  quel   Tribunale
 pronunciava  sentenza  in data 15 novembre 1995, depositata in data 4
 gennaio 1996, con cui dichiarava non luogo a procedere nei  confronti
 degli imputati indicati in rubrica.
   Avverso  tale  decisione  proponeva appello il procuratore generale
 con richiesta di rinvio a giudizio degli stessi.
   All'odierna udienza camerale avanti questa Corte, i difensori hanno
 preliminarmente eccepito la intempestivita' del gravame in quanto  lo
 stesso  proposto  oltre  il  quindicesimo  giorno dalla comunicazione
 della sentenza. Il p.g., preso atto che l'appello e'  stato  proposto
 esattamente   al   16  giorno  ha  tuttavia  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 585 lett. a) c.p.p. sul rilievo
 che, nell'attuale sistematica dell'istituto  delle  impugnazioni,  vi
 sarebbe  una ingiustificata disparita' di trattamento tra le sentenze
 emesse in sede di giudizio abbreviato e quelle  emesse  dallo  stesso
 giudice  (g.i.p.)  per  la  declaratoria  di non luogo a procedere ai
 sensi dell'art. 425 c.p.p.
   I difensori hanno contrastato tale impostazione e  hanno  insistito
 per la declaratoria di inammissibilita' del gravame.
   Premesso,  in  punto  di  fatto, che - come riconosciuto dal p.g. -
 l'appello de quo e' stato proposto al 16 giorno (data del visto:    8
 gennaio  1996;  data dell'appello: 24 gennaio 1996), la Corte osserva
 quanto segue.
   Com'e' noto, l'art. 585 c.p.p. prevede tre termini di impugnazione:
     a) gg. 15 per i "provvedimenti emessi in seguito  a  procedimento
 in  camera  di  consiglio"  e  per  le  sentenze  dibattimentali  con
 contestuale motivazione (art. 544, comma primo);
     b) gg. 30 per le sentenze dibattimentali in  cui  e'  stata  data
 lettura del solo dispositivo (art. 544, comma secondo);
     c)  gg.  45  per  le  sentenze  dibattimentali in cui vi e' stata
 riserva di deposito dei motivi oltre il 15 giorno  (art.  544,  comma
 terzo).
   E' noto, altresi', che dopo iniziali oscillazioni giurisprudenziali
 in  tema  di impugnazione delle sentenze emesse a seguito di giudizio
 abbreviato (procedimento camerale: gg. 15 o gg. 30), le sezioni unite
 della Corte di cassazione hanno fissato il principio per cui, in tale
 forma di giudizio, deve ritenersi che il  rinvio  agli  artt.  529  e
 segg.,  contenuto nell'art. 442, comma primo, c.p.p., comprende anche
 gli articoli del capo terzo ("atti successivi  alla  deliberazione"),
 del  titolo  secondo  e,  in particolare, l'art. 544, al quale fa poi
 riferimento, nel disciplinare i termini per  le  impugnazioni  l'art.
 585.  Ne consegue che tali termini, con riguardo alle sentenze emesse
 all'esito di giudizi abbreviati, debbono considerarsi decorrenti  nei
 diversi  momenti  specificati  nelle  lettere  b),  c) e d) nel comma
 secondo, del cit. art. 585  e  la  loro  durata  deve  essere  quella
 stabilita nel precedente comma primo, secondo le diversificazioni ivi
 contenute,  in  relazione  al  tempo  impiegato  dal  giudice  per la
 redazione della sentenza (Cass. pen. sez. un. 15 dicembre 1992)
   Pertanto,  puo'  considerarsi ormai ius receptum che il termine per
 impugnare le sentenze emesse nello speciale procedimento camerale che
 va sotto il nome di "giudizio abbreviato" e' quello di gg. 30 oppure,
 secondo i casi di gg. 45.
   Sulla base di cio' e sulla constatazione che per le altre procedure
 camerali, compresa quella prevista per  l'udienza  preliminare  (art.
 420  c.p.p.),  il  termine di impugnazione e' quello di gg. 15 di cui
 alla lett. a)  dell'art.  585,  il  p.g.  ha  proposto  questione  di
 legittimita' costituzionale sui seguenti rilievi.
   Il  termine  breve  previsto  per  i  procedimenti  camerali ben si
 giustifica in riferimento alla relativa semplicita' della  procedura,
 a  sua  volta  connessa alla non complessita' del thema decidendum. E
 tale  considerazione  era   perfettamente   calzante   in   tema   di
 provvedimento   di   non  luogo  a  procedere  prima  della  modifica
 introdotta al testo dell'art. 425, con la soppressione dell'aggettivo
 "evidente"  che  qualificava  il  convincimento  che  "il  fatto  non
 sussiste  o  che  l'imputato  non  lo  ha commesso o che il fatto non
 costituisce reato ....". Sicche',  in  difetto  del  requisito  della
 "evidenza",  che era facilmente accertabile, l'impugnazione eventuale
 del p.m. era un atto relativamente semplice e pertanto proponibile in
 tempi brevi: appunto,  entro  15  giorni  dalla  comunicazione  della
 sentenza.
   Senonche',  la  soppressione  di  quel  requisito  ha  comportato e
 comporta che  il  giudice  ha  acquisito  il  potere  di  giungere  a
 soluzioni  assolutorie  anche  sulla base di complesse argomentazioni
 che, a suo giudizio, valgono a sorreggere il  convincimento  che  "il
 fatto  non  sussiste  ecc...  Onde, l'eventuale impugnazione del p.m.
 potrebbe   comportare    una    altrettanto    complessa    attivita'
 argomentativa,  da  ritenersi  del tutto incompatibile con quel breve
 termine, in contrasto con l'eventuale termine luogo  riservatosi  dal
 giudice per il deposito della complessa e argomentata sentenza.
   Sulla  base  di  questo, il p.g. sostiene che l'art. 585, lett. a),
 c.p.p., suscita forti  dubbi  di  costituzionalita',  in  quanto  non
 distingue  le  procedure  camerali  semplici da quelle complesse (per
 usare una terminologia sintetica),  stabilendo  per  tutte  il  breve
 termine  di  impugnazione  di  gg.  15.  Peraltro,  si  porrebbe  una
 "disparita' di trattamento", tra le  sentenze  emesse  a  seguito  di
 giudizio abbreviato (procedura camerale), per le quali giustamente la
 Corte  Suprema  ha ancorato il termine di impugnazione a quello delle
 sentenze dibattimentali, e le  sentenze  di  non  luogo  a  procedere
 emesse  all'udienza preliminare (procedura camerale), con motivazione
 depositata in  seguito.  Sicche'  sotto  questo  profilo,  verrebbero
 disciplinate diversamente fattispecie sostanzialmente uguali.
   A  parere  di  questa  Corte,  non appare calzante il rilievo della
 difesa  secondo  cui  le  fattispecie  poste  a  confronto  non  sono
 combacianti,  in  quanto  le  sentenze  emesse  in seguito a giudizio
 abbreviato  sono  destinate  alla  irrevocabilita'  in  mancanza   di
 impugnazione  o  dopo  l'esaurimento dei mezzi d'impugnazione, mentre
 quelle emesse ai sensi dell'art. 425  c.p.p.  sono  per  loro  natura
 revocabili  (art. 434 segg.  c.p.p.). Onde, sotto questo profilo quei
 dubbi di costituzionalita' non avrebbero ragione di  essere.  Invero,
 il problema non e' quello di stabilire se le fattispecie del giudizio
 abbreviato e dell'udienza preliminare siano analoghe, ma di accertare
 se,  dopo  quella modifica, continui o no ad essere logico e coerente
 che  il termine per impugnare le sentenze di cui all'art. 425 rimanga
 quello di gg. 15.  I  rilievi  del  P.G.,  sopra  sintetizzati  sulle
 conseguenze  prodotte dalla modifica dell'art. 425 c.p.p., attraverso
 la  eliminazione  della  parola  "evidente",  hanno  il   pregio   di
 evidenziare  come,  a  fronte  di un considerevole aumento dei poteri
 assolutori  del  G.U.P.,  che   potrebbero   basarsi   su   complesse
 argomentazioni   richiedenti   tempi   anche   lunghi  di  redazione,
 l'esercizio del potere-dovere  del  p.m.  di  opporsi  alla  sentenza
 assolutoria  magari  con  argomentazioni  altrettanto  complesse  sia
 rimasto invece compresso entro il breve tempo di  15  giorni.  Sembra
 che il legislatore del 1993 (legge n. 105/1993) non si sia reso conto
 di   tali   conseguenze,  e  non  abbia  valutato  l'opportunita'  di
 consentire all'organo titolare dell'esercizio dell'azione  penale  di
 svolgere  tale  compito  nel modo piu' ampio ed esauriente, tanto che
 nulla e' stato innovato in tema di termini di  impugnazione  di  tale
 sentenza del g.u.p.
   Il   problema  e'  da  vagliare  nella  sistematica  dei  mezzi  di
 impugnazione secondo il nuovo c.p.p. Il criterio  che  certamente  ha
 seguito  il  legislatore del 1989 in tema di termini di impugnazione,
 e' quello della maggiore o minore complessita' dell'atto soggetto  ad
 impugnazione.    Cio'  si evince, con sufficiente certezza, oltre che
 dalla relativasemplicita' del procedimento in  camera  di  consiglio,
 anche e soprattutto dal fatto che persino una sentenza dibattimentale
 e'  impugnabile  nel  breve  termine di quindici giorni: quella con i
 motivi contestuali letta in udienza unitamente al  dispositivo  (art.
 544, comma primo, e art. 585, lett. a)). Tale sentenza e' considerata
 priva di particolare complessita', tanto da giustificare una sommaria
 motivazione   contestuale.     E  alla  scarsa  complessita'  e  alla
 sommarieta' dei motivi della sentenza  corrisponde  la  brevita'  del
 termine  di  impugnazione,  i  cui  motivi possono essere altrettanto
 sommariamente formulati.
   Alla stessa stregua era  -  ma  lo  e'  tuttora  -  considerata  la
 sentenza  di  cui  all'art.  425  c.p.p.,  proprio  perche',  essendo
 richiesta  la  evidenza  della  non  colpevolezza  dell'imputato,  la
 dimostrazione  di  questo  giudizio non poteva richiedere motivazioni
 complesse o non semplici. Ma, come si e' detto, oggi la  sentenza  di
 non   luogo   a   procedere   potrebbe  essere  basata  su  complesse
 argomentazioni di fatto e di diritto; tali da richiedere  al  giudice
 anche un lungo termine di deposito (come nel caso di specie).
   In  altri  termini, in taluni casi, oggi tutt'altro che infrequenti
 nella  pratica,  l'atto  del  giudice  sicuramente  non   ha   quella
 caratteristica  di  semplicita'  e  sommarieta', che aveva indotto il
 legislatore del 1989 a fissare quel breve  termine  di  impugnazione,
 persino  in  una  ipotesi  di  sentenza  dibattimentale  emessa non a
 seguito di procedura camerale. Per cui, la logica del sistema trae il
 suo fondamento nella summa divisio  tra  provvedimenti  "semplici"  e
 provvedimenti "piu' o meno complessi".
   Specchio  fedele  ne  e' la lettura sinottica degli artt. 544 e 585
 c.p.p.  Nel  primo  articolo  la  distinzione  e'  posta  in  maniera
 esplicita, perche' nel primo comma (motivazione contestuale) si parla
 di  una  "concisa  esposizione  dei  motivi...", nel secondo comma si
 parla di non possibilita' di "procedere alla redazione immediata  dei
 motivi"   (per   i   piu'   vari   motivi,  compreso  quello  di  una
 impossibilita' derivante dal numero dei processi da  celebrare),  nel
 terzo  comma  si  ipotizza,  infine,  il  caso  che "la stesura della
 motivazione e' particolarmente complessa per il numero delle parti  o
 per  il numero e la gravita' delle imputazioni". Nel secondo articolo
 si tiene presente la stessa distinzione e vengono fissati tre termini
 di impugnazione: quindici, trenta e quarantacinque giorni.
   Cio' premesso, non sembra piu' rispondere a tale sistematica,  dopo
 la  modifica  introdotta  nell'art.  425  c.p.p., la disciplina delle
 impugnazioni delle sentenze di non  luogo  a  procedere.  Invero,  un
 sistema  coerente  vorrebbe  che  anche  tali sentenze possano essere
 impugnate in quindici, trenta o quarantacinque giorni, a seconda  che
 i   motivi  dell'assoluzione  siano  contestuali  alla  pronuncia,  o
 depositati entro 15 giorni o depositati entro il piu'  ampio  termine
 indicato   dal   giudice.   Ma   cosi'  non  e'  perche'  tuttora,  e
 incoerentemente, la sentenza di cui all'art. 425  e'  considerata  un
 provvedimento "semplice".
   Non  deve  trarre in inganno, a tale proposito, il fatto che l'art.
 424, comma quarto, c.p.p., preveda l'ipotesi  che  "qualora  non  sia
 possibile   procedere  alla  redazione  immediata  dei  motivi  della
 sentenza di non luogo a procedere, il giudice provvede non  oltre  il
 trentesimo giorno da quello della pronuncia".
   Infatti,  l'impossibilita'  della  redazione contestuale (art. 424,
 prima parte) puo' e poteva derivare dai motivi  piu'  vari,  come  il
 notevole numero di processi iscritti a ruolo, oppure la necessita' di
 includere   nei   motivi   i   risultati   di  una  accurata  ricerca
 giurisprudenziale sulla fattispecie legale posta in discussione,  ma,
 prima  della riforma del 1993, rimaneva pur sempre fermo il principio
 per cui l'innocenza dell'imputato doveva risultare "evidente" e  cio'
 non poteva comportare una indagine e una argomentazione che fosse non
 semplice   (si  direbbe:    "icto  oculi").  Sotto  tale  aspetto  la
 disparita' di trattamento (art.  3 della Costituzione) di fattispecie
 analoghe, se non uguali, appare fondata e in tal senso  la  questione
 va rimessa alla Corte costituzionale.
   E  poco  importa  che  la  sentenza di cui all'art. 425 sia per sua
 natura revocabile,  giacche',  da  un  lato,  la  "revocabilita'"  e'
 fondata sulla scoperta di elementi nuovi, dall'altro, la impugnazione
 e' fondata sulla diversa valutazione degli elementi esistenti.
   Sotto  tale profilo, la questione puo' essere posta da altro angolo
 visuale ossia per la violazione dell'art. 112 della Costituzione, per
 cui il p.m. ha l'obbligo di esercitare l'azione penale. Tale  obbligo
 va  considerato  non  solo  nella sua fase iniziale, ma anche nel suo
 sviluppo, come dimostrano le norme di cui all'art. 409, comma quinto,
 e 412 c.p.p. fino alla impugnazione della sentenza  di  non  luogo  a
 procedere.
   Orbene,  per  quanto attiene all'impugnazione non par dubbio che il
 diritto-dovere   di   esercizio   dell'azione   penale   soffre   una
 compressione  se  si  ammette che, mentre il giudice ha necessita' di
 usufruire  di  un  termine  anche  lungo  per  argomentare   il   suo
 convincimento  assolutorio, il titolare dell'azione penale sia invece
 costretto a motivare la sua impugnazione in termini brevissimi, anche
 se si tratta di svolgere complesse e  articolate  argomentazioni  per
 dimostrare   che  il  caso  dovrebbe  essere  sottoposto  al  giudice
 naturale, cioe' al giudice di primo grado, e non  chiuso  all'udienza
 preliminare.
   Onde,   la  compressione  dell'esercizio  dell'appello  avverso  la
 sentenza di non luogo a  procedere  entro  il  ristretto  termine  di
 giorni  15,  si traduce in compressione dello stesso potere-dovere di
 esercizio   dell'azione    penale.    Compressione    incoerente    e
 ingiustificata   alla   luce   del   sopra  delineato  sistema  delle
 impugnazioni, quale si evince con chiarezza dalle norme vigenti.
   Pertanto anche sotto  questo  ulteriore  profilo  la  questione  va
 rimessa alla Corte costituzionale.
   La  rilevanza  della  questione, infine, e' in re ipsa, perche' ove
 venisse  accolta,  con  conseguente  declaratoria  di  illegittimita'
 costituzionale  dell'art. 585, comma primo, lettera a) c.p.p., per la
 mancata previsione di un termine piu' ampio per l'impugnazione  della
 sentenza  di  cui  all'art.  425  nei  casi  di maggiore complessita'
 l'appello del p.g., nel caso in esame, sarebbe tempestivo.