IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel proc. pen. n. 124/96  reg.
 gen.  contro  Di  Venti  Salvatore,  imputato  del  delitto  di furto
 aggravato previsto e  punito  dagli  artt.  624  e  625  n.  2  c.p.,
 all'udienza dell'11 luglio 1996.
   La direttiva di cui all'art. 2 n. 12 della legge-delega dispone che
 la  competenza  per  materia  sia determinata tenendo conto sia della
 pena  edittale  -  con  esclusione  degli  aumenti  derivanti   dalla
 recidiva,  dalla  continuazione  e  dalle  circostanze aggravanti, ad
 eccezione di quelle per le quali la  legge  stabilisce  una  pena  di
 specie  diversa  e di quelle ad effetto speciale - sia della qualita'
 del  reato.  In  particolare  dispone  che  vengano  attribuiti  alla
 competenza del pretore le contravvenzioni e i delitti punibili con la
 pena  della  multa  o  con  quella della reclusione non superiore nel
 massimo  a  quattro  anni,  nonche'  altri   delitti   specificamente
 indicati.  In  attuazione  di detta direttiva l'art. 7 c.p.p. dispone
 l'attribuzione  alla  competenza  del  pretore  del  reato  di  furto
 aggravato  previsto e punito dagli artt. 624 e 625 n. 2 c.p., per cui
 si procede, punito nel massimo con la pena della  reclusione  di  sei
 anni.  La competenza per materia del pretore viene quindi individuata
 non piu', come per  l'art.  31  c.p.p.  1930,  sulla  base  del  solo
 criterio  quantitativo,  ma, seguendo la tendenza ampliativa espressa
 nelle modifiche apportate a detta norma dalla legge 31  luglio  1984,
 n. 400, anche sulla base del criterio qualitativo, fondato sul titolo
 del reato.
   Prescindendo  dal  caso della ripartizione della competenza in base
 al criterio qualitativo con riferimento alla situazione del  soggetto
 attivo  del  reato  (che  determina la competenza del tribunale per i
 minorenni, giudice ordinario specializzato chiamato  a  conoscere  di
 tutti i reati commessi da minori degli anni 18), il codice vigente ha
 dunque  adottato  un  criterio  misto,  ponendo a base del sistema il
 criterio  quantitativo,  ampiamente  derogato  da  numerosi  casi  di
 competenza   qualitativa:   alla  corte  d'assise  e'  attribuita  la
 competenza per i delitti per i quali  la  legge  stabilisce  la  pena
 dell'ergastolo  o  della  reclusione  non  inferiore  nel  massimo  a
 ventiquattro anni; al tribunale quella per i reati  per  i  quali  la
 legge  stabilisce  la  pena della reclusione nel massimo inferiore ai
 ventiquattro anni e superiore ai quattro, al  pretore  quella  per  i
 reati  per  i  quali la legge stabilisce la pena della reclusione non
 superiore nel massimo a quattro anni, ovvero una pena pecuniaria sola
 o congiunta alla predetta pena detentiva; la Corte  d'assise  inoltre
 estende  la  propria  competenza  a  reati  che  secondo  il criterio
 quantitativo sarebbero di competenza del tribunale o del pretore,  il
 tribunale  a reati che sarebbero di competenza della Corte d'assise o
 del pretore, il pretore a  reati  che  sarebbero  di  competenza  del
 tribunale.  Il criterio misto adottato nel codice vigente non estende
 quindi solo la competenza del giudice "superiore" a reati che secondo
 il  criterio  quantitativo  sarebbero  di  competenza   del   giudice
 "inferiore",  ma  anche  la  competenza  di  quest'ultimo a reati che
 secondo il predetto criterio  sarebbero  di  competenza  del  giudice
 "superiore".  Se  pero'  detto  criterio,  cosi'  come  attuato, puo'
 rispondere alla particolare configurazione della Corte d'assise  (cui
 per  la  composizione  mista  che  attua  la  diretta  partecipazione
 popolare  all'amministrazione  della  giustizia  da  un   lato   sono
 attribuite   materie   di   particolare   rilievo  per  la  coscienza
 collettiva, sia per la speciale gravita' della pena che per la natura
 e le conseguenze dell'illecito, dall'altro sono  sottratti  alla  sua
 competenza  reati  che  per  i  prevalenti  aspetti di tecnicismo che
 presentano, mal si  prestano  ad  una  penetrante  valutazione  della
 componente  laica dell'organo) (Macchia, Commentario del nuovo codice
 di procedura penale, pag. 29), non altrettanto puo' dirsi  in  ordine
 alla   ripartizione   della   competenza  tra  pretore  e  tribunale,
 caratterizzandosi la differenza tra questi due organi giurisdizionali
 non per la particolare natura della  loro  composizione,  ma  per  la
 collegialita'  del  secondo,  cui  consegue  una maggiore garanzia in
 ordine alla decisione ed  a  cui  si  accompagna  una  procedura  non
 semplificata,   come   quella   pretorile,   che   esclude  l'udienza
 preliminare. Ed invero  la  legge  10  aprile  1951,  n.  287,  aveva
 correttamente  regolato  secondo  il  criterio  qualitativo  solo  la
 competenza della Corte d'assise, ricorrendo al criterio  quantitativo
 per  la  determinazione  della  competenza del pretore e riservando a
 quella del tribunale (secondo un criterio misto) anche la  cognizione
 di  reati  che,  pur essendo puniti con pena inferiore ai tre anni di
 reclusione, si caratterizzano per la particolare rilevanza  del  bene
 giuridico  tutelato,  ovvero per una maggiore pericolosita' diffusiva
 (come nel caso dei reati commessi col mezzo della stampa);  ne'  puo'
 fondatamente  argomentarsi  che il problema delle minori garanzie sia
 sostanzialmente   venuto   meno   per    la    raggiunta    integrale
 "giurisdizionalizzazione"   del   pretore  realizzata  attraverso  la
 separazione delle funzioni requirenti e giudicanti, essendo  connesse
 (le  minori  garanzie),  come si e' appena detto, alla monocraticita'
 dell'organo ed alla semplificazione della procedura. In realta', come
 e' stato osservato, l'esigenza di fondo che ha ispirato la  normativa
 sulla  competenza  del  pretore  "e'  stata  quella di sottrarre agli
 organi "superiori" un volume cospicuo di processi, cosi' da riservare
 l'attivita' dei tribunali e delle corti  d'assise  a  quelle  vicende
 rispetto  alle  quali  si  presenta  piu' marcata la necessita' della
 cognizione di un organo  collegiale"  (A.  Macchia,  Commentario  del
 nuovo codice di procedura penale, vol. I, pag. 33).
   Il  rapporto  tra  reato  e  composizione  monocratica o collegiale
 dell'organo   giudicante   non   puo'   pero',   per   le   superiori
 considerazioni,  prescindere  dalla  gravita'  del  primo,  come puo'
 chiaramente desumersi anche dal fatto che  l'art.  2,  n.  12,  della
 legge-delega  pone  come  criterio generale per la deroga al criterio
 quantitativo solo la  recidiva,  la  continuazione  e  le  aggravanti
 comuni,  escludendo  quelle per le quali la legge stabilisce una pena
 di specie diversa e quelle ad effetto speciale, che per  loro  natura
 implicano  connotazioni  di  accentuata gravita'. Appare pertanto non
 manifestamente infondata, e rilevante in ordine alla decisione  sulla
 competenza  per  materia  la questione di legittimita' costituzionale
 delle norme di cui agli artt. 2, n.   12,  della  legge  16  febbraio
 1987,  n.  81,  e  7,  lett. l), c.p.p. in relazione all'art. 3 della
 Costituzione,  in  quanto  detta  norma  crea   una   disparita'   di
 trattamento  tra  cittadini  imputati  del delitto di furto aggravato
 previsto e punito dagli artt.  624  e  625,  secondo  comma,  c.p.  e
 cittadini imputati di delitti di minore gravita' per cui e' stabilita
 la competenza del tribunale.