IL PRETORE Visti: gli atti difensivi delle parti; l'art. 10, sesto e settimo comma, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124; le sentenze della Corte costituzionale n. 485 del 1991 e n. 37 del 1994; l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1; gli artt. 2, 3, 32, 38, 134 e 136 della Costituzione; Ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente ordinanza, ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, di rimessione alla Corte costituzionale di questione di legittimita' costituzionale, rilevata d'ufficio, nella causa r.g. n. 2578/1994 in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, promossa da: Bani Claudio, elettivamente domiciliato in Brescia, presso gli avvocati Pierluigi Gerardi e Mario Berruti, i quali lo rappresentano e difendono in forma di delega a margine dell'atto introduttivo del giudizio, ricorrente, contro la Calabrese Veicoli Industriali S.p.a., in persona di Lorenzo Calabrese, amministratore delegato, legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Brescia presso l'avv. Vittorio Roscini Vitali, il quale la rappresenta e difende in forza di procura a margine della memoria difensiva, convenuta. Brevi premesse sulle deduzioni e conclusioni formulate dalle parti in causa 1. - Nelle conclusioni di parte attrice si chiede a questo Pretore, di "previo accertamento della responsabilita' della convenuta in ordine alla causazione dell'evento, accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a vedersi riconosciuto il danno biologico, il danno morale e i danni tutti non indennizzati dall' INAIL subiti a seguito dell'infortunio sul lavoro occorsogli in data 20 novembre 1989, e conseguentemente condannare la Calabrese Veicoli Industriali S.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento a favore del ricorrente, per i titoli meglio specificati nel conteggio allegato al ricorso, della somma che risultera' dovuta sulla base della percentuale d'invalidita' permanente accertata, secondo i parametri che il Pretore vorra' adottare, che si indicano comunque in una cifra di lire 22.640.860 per il danno biologico ed in una cifra di lire 11.340.000 per il danno morale, salvo errori od omissioni o in quella maggiore o minore che risultera' in corso di causa, che risultera' di giustizia, oltre la rivalutazione monetaria, calcolata ai sensi dell'art. 150 disp. att. c.p.c., e gli interessi legali sul totale rivalutato, per i motivi tutti di cui al ricorso e alla memoria autorizzata". 2. - La societa' convenuta ha espresso le seguenti, riportate testualmente, conclusioni: "respingersi ogni e qualsivoglia domanda di Bani Claudio contro la Calabrese Veicoli Industriali S.p.a. perche' infondata in fatto ed in diritto. Spese e competenze di lite rifuse". 3. - In ordine alla definizione del concetto di danno "biologico" le parti in causa non si discostano dalla corrente opinione, aderendo sostanzialmente alla costruzione fattane dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza di merito e di legittimita' nel corso degli anni. 4. - Per quanto concernente la risarcibilita', in astratto, del danno biologico residua nelle difese della resistente la contestazione della configurabilita' del danno biologico come danno temporaneo, ma tale aspetto e del tutto irrilevante in relazione ai contenuti della presente ordinanza. 5. - Non e' utile, ne necessario ricordare altri aspetti della controversia, perche', in relazione alla natura della questione che viene sollevata, essi sono ininfluenti, giacche' non sono idonei ad incidere sulla valutazione della fondatezza della medesima questione e della sua rilevanza ai fini della decisione del giudizio a quo. Premesse di merito sulla questione di legittimita' costituzionale A) E' necessario, prima di tutto evidenziare che questo pretore ritiene risarcibile il danno "biologico", poiche' danno patrimoniale, ma cio' non in dipendenza dell'elaborazione della Corte costituzionale e della giurisprudenza di merito e di legittimita faticosaente evolutasi negli anni, bensi' in forza di una semplice constatazione: in verita' la lesione subita dalla persona e' evento fenomenico rilevabile e valutabile e, dunque, danno sempre accertabile e la sua riparazione costituisce un costo, ha un prezzo ha valenza patrimoniale certa ed incontestabile, poiche' le cure mediche, gli esami clinico-strumentali, i farmaci, gli interventi chirugici, le terapie di ricupero, i viaggi per raggiungere centri specializzati lontani dal domicilio e siti anche all'estero, le degenze ospedaliere, l'assistenza di personale specializzato e, in breve, tutto cio' (non solo, dunque, quanto sopra enumerato che puo' essere necessario e utile per ripristinare al meglio del possibile i deficit piu' diversi non e' gratuito, ma richiede forti esborsi di denaro ovvero e, comunque, valutabile economicamente. In sintesi: il danno biologico null'altro e' se non una specie del genus danno patrimoniale; in quanto tale e' risarcibile in forza di legge, senza nessun problema in ordine alla sua astratta riconoscibilita'. Ne conseque che al danno "biologico" si applicano le norme di legge che regolano il risarcimento del danno patrimoniale ed in particolare, l'art. 2058 cod. civ., essendo suscettibile di domanda risarcitoria in forma specifica (a nulla rilevando il fatto che nella massima parte dei casi tale forma riparatoria del danno possa essere solo parziale, a conferma dell'esatta qualificazione del danno biologico come danno patrimoniale. Da tale punto di partenza - reso possibile ed agevole grazie alla grande elaborazione sul concetto di danno alla persona quale entita' vivente e non solo quale soggetto produttore di reddito - deriva una constatazione: tutta l'elaborazione della Corte costituzionale e del "diritto vivente" in tema di danno "biologico" nonostante la sua preziosita', non puo' essere seguita, perche' fondata su un parametro costituzionale (art. 32, primo comma inconferente ed estraneo alla risarcibilita' del danno patrimoniale biologico. Infatti, l'art. 32, primo comma, della Costituzione non ha alcun significato ai fini del riconoscimento giuridico del diritto alla risarcibilita' del danno biologico, ai sensi degli artt. 2043 e 2059 codice civile quale danno patrimoniale, poiche' questo danno non ha caratteristiche particolari dal punto di vista giuridico rispetto a qualsivoglia altra specie di danno patrimoniale, sempre per quanto concernente il diritto al risarcimento, differenziandosi semmai in ordine ai criteri di determinazione dell'entita' del danno e della misura del suo risarcimento. Non solo, pero', l'art. 32, primo comma della Costituzione non ha significato ai finii' dell'affermazione sul diritto al risarcimento del danno patrimoniale biologico, ma neppure ha rilievo ai fini della sua concreta tutelabilita' nell'ambito della responsabilita' civile, poiche' e' fortemente errato ritenere che l'obbligo della tutela del bene della salute possa essere addossato al responsabile civile del danno, anche se deve notarsi che, in un crescendo costante e probabilmente irreversibile, lo Stato va riducendo progressivamente il proprio intervento economico nel settore della sanita' pubblica, mentre e' del tutto ovvio e logicamente ovvio che l'art. 32, primo comma, della Costituzione rivolge il suo dettato non al cittadino ma allo Stato. Argomentare diversamente in tema di tutela della salute come bene primario nel sistema costituzionale, facendo scivolare a carico del privato l'obbligo della tutela medesima, non solo e' giuridicamente scorretto, ma e', anche e soprattutto, apertura di credito a possibili gravissime dismissioni da parte dello Stato di compiti primari impostigli dalla Carta costituzionale. Semmai l'esistenza, fino a quando vi sara', del servizio sanitario nazionale (con prestazioni totalmente o parzialmente gratuite) puo' costituire causa di riduzione della misura del danno biologico patrimoniale da risarcire a carico del responsabile civile, perche' in parte (al limite anche nella totalita') il danno in discorso puo' essere ridotto con ricorso al sistema di sanita' pubblico. La tutela costituzionale del diritto all'integrita' psicofisica della persona in quanto tale e non nella sua capacita' di produrre reddito si rinviene, in realta', nell'art. 2 ("La Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'" ... ) e nell'art. 3 (primo comma: "Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono uguali dinanzi alla legge ..... ." e secondo comma: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che .....impediscono il pieno sviluppo della personalita' umana .....", mentre l'art. 32, primo comma, si pone gia' come norma di attuazione dei suddetti principi, imponendo allo Stato di provvedere alla "tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita'", nonche' di garantire "cure gratuite agli indigenti". Si deve affermare, invece, che il secondo comma, dell'art. 32 conferma l'assoluto rilievo costituzionale della persona umana in se', gia' solennemente sancito negli artt. 2 e 3, rilievo tanto elevato da imporre al legislatore costituzionale di disporre che "nessuno puo' essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge" e di vietare sempre alla legge "di violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana": resta, cosi, rafforzata la tesi di questo pretore che nega la validita' del parametro costituito dal primo comma dell'art. 32 al fine di affermare l'assistenza del diritto al risarcimento del danno biologico, poiche' lo stesso valore costituzionale della tutela della salute perde forza dinanzi al superiore e assai piu' complesso valore della persona umana. B) La sentenza della Corte costituzionale n. 485 del 1991 ha testualmente affermato che "E' costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 32, primo comma, della Costituzione, l'art. 10, sesto e settimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 ..., nella parte in cui prevede che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa hanno diritto, nei confronti delle persone civilmente responsabili per il reato da cui l'infortunio e' derivato, al risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita della capacita' lavorativa generica solo se e solo nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superi l'ammontare delle indennita' corrisposte dall'INAIL". La sentenza Corte costituzionale n. 37 del 1994 ha dichiarato che "E' infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, sesto e settimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui prevede che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa hanno diritto, nei confronti delle persone civilmente responsabili per il reato da cui l'infortunio e' derivato, al risarcimento del danno morale solo se e' nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superi l'ammontare delle indennita' corrisposte dall'INAIL, in riferimento all'art. 32 della Costituzione". In relazione alla sentenza n. 37/1994 deve solo dirsi che la sua natura interpretativa di rigetto, come da tutti affermato, ne esclude l'obbligatorieta'. Per quanto concerne, invece, la sentenza n. 455/1991, questo giudice deve confermare anche in questa sede senza esitazione, in piena coerenza con la propria giurisprudenza, che l'art. 10, sesto e settimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, e' rimasto in vigore nella sua integrale formulazione letterale, quale norma di legge dello Stato, regolarmente approvata (art. 72 della Costituzione) dal Parlamento regolarmente promulgata dal Presidente della Repubblica e regolarmente pubblicata (art. 73 della Costituzione), poiche' la sentenza "legislativa" (manipolativa) n. 485 del 1991 della Corte costituzionale non e' giuridicamente idonea a determinare la cessazione dell'efficacia della norma dichiarata illegittima in una parte non scritta (nella parte in cui prevede ...... posto che, ai sensi dell'art. 136, primo comma, della Costituzione, l'evento dell'inefficacia si realizza solo quando la dichiarazione di illegittimita' costituzionale colpisce la lettera dell'intera norma o di una sua parte (scritta: deve essere ribadito), causandone la semplice caducazione. C) Deve essere anche messo in rilievo che non e' possibile neppure giungere in sede di interpretazione della normativa a risultati in linea con le decisioni della Corte, perche' non ne sono condivise le premesse in tema di danno biologico, come gia' rilevato nella premessa A), con la conseguenza che questo pretore trova immutato il sistema normativo del d.P.R. n. 1124/1965 e, in particolare, sempre vigente come scritto l'art. 10, sesto e settimo comma, da applicare alla presente fattispecie, con certa rilevanza ai fini della decisione della causa. La questione di legittimita' costituzionale In forza delle superiori premesse, poiche' il sesto e settimo comma, dell'art. 10 consentono la liquidazione del danno patrimoniale (dunque anche di quello biologico) solo se la determinazione della somma da liquidare e' superiore alla misura della rendita INAIL capitalizzata e solo per la parte risultante dalla differenza tra il quantum della liquidazione e l'entita' della capitalizzazione, appare evidente che vi e' la possibilita' di giungere al diniego del risarcimento del danno "biologico", o ad una decurtazione della misura del suo risarcimento, ma cio' non per tutti gli assicurati, giacche', in caso di mancata concessione dalla rendita per danno inferiore al minimo indennizzabile, il risarcimento del danno patrimoniale biologico risulta risarcibile nella sua interezza: cio' determina una illegittima disparita' di trattamento tra situazioni soggettive del tutto omogenee, con violazione dell'art. 3 della Costituzione nel principio d'uguaglianza, espressamente nella norma affermato, ed, inoltre, nel principio di razionalita', dalla norma desumibile, non risultando sorretto da alcun logica il deteriore trattamento dell'infortunato titolare di rendita INAIL rispetto al non titolare. Non basta: l'irrazionalita' si fa ancora piu chiara, se solo si consideri che - esclusa, come si e visto sopra| ogni rilevanza dell'art. 32, primo comma, della Costituzione, ai fini dell'affermazione del danno biologico quale danno patrimoniale risarcibile - nessuna logica sorregge le limitazioni previste nel sesto e settimo comma dell'art. 10 del d.P.R. n. 1124/1965, non sussistendo alcuna possibilita' di duplicazione del risarcimento del danno biologico, giacche' le somme versate all'assicurato dall'INAIL non possono sotto nessun profilo ritenersi destinate a creare la provvista economica necessaria per il (tentativo di) recupero della perdita dell'integrita' della persona, bensi' solo a ripristinare il reddito. Il danno "biologico" e' ontologicamente diverso, pur essendo patrimoniale, dal danno conseguente alla riduzione o perdita dalla capacita' di produrre reddito e non e' possibile neppure ipotizzare che le somme destinate a risarcire la perdita del reddito possano essere destinate al ricupero dell'integrita' della persona e, dunque, non e' razionale la previsione dell'art. 10, sesto e settimo comma, giacche' essa determina a danno del titolare di rendita INAIL la privazione di una quota o della totalita' della misura del risarcimento destinato al recupero, gia' di difficile realizazione, della persona umana. Deve essere, invero, chiarito che il sistema di tutela del d.P.R. n. 1124/1965 non trova origine (se non in quella minima parte che prevede prestazioni temporanee, quali le prestazioni mediche e le indennita' per l'inabilita' temporanea parziale e assoluta) costituzionale nell'art. 32 della Costituzione, ma nel secondo comma dell' art. 38 e, dunque, non sussiste alcuna possibilita' di ritenere costituzionale l'art. 10, sesto e settimo comma, sul presupposto che le rendite corrisposte dall'INAIL, contemplate nella suddetta norma (ai sensi dell'ottavo comma: "Agli effetti dei precedenti sesto e settimo comma, l'indennita' d'infortunio e' rappresntata dal valore capitale della rendita liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39"), siano comprensive della tutela della salute, giacche' cio' non e' vero neppure in parte. Ma non solo vi e' violazione dell'art. 3 della Costituzione: come si e' detto appena sopra, infatti, il sistema di tutela previsto dal d.P.R. n. 1124 del 1965 trova fonte nell'art. 38, secondo comma, avendo il fine di prevedere e assicurare in favore dei lavoratori "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di" infortuni sul lavoro e malattie professionali, cosicche' le prestazioni (le rendite) dell'INAIL hanno il fine di garantire agli assicurati un reddito (sostitutivo di quello perduto a causa della riduzione della capacita' lavorativa) adeguato per le esigenze di vita e non quello (assai diverso) di servire al ricupero dell'integrita' (totale o parziale) della persona: per le stesse ragioni che escludono la possibilita' di ricomprendere in tutto o in parte l'indennizzo del danno patrimoniale biologico nella rendita INAIL capitalizzata, deve essere negata la legittimita' costituzionale dell'inverso risultato, giacche' tale da modificare senza ragionevolezza la finalita' della rendita INAIL, che, come si e' detto, e' quella di risarcire la perduta capacita' di produrre reddito e non quella di consentire alla persona umana di (tentare di) ritrovare la propria integrita'. E' importante, a questo punto, chiarire che - per quanto il risultato finale al quale tende la questione sopra esaminata sia identico a quello gia' raggiunto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 485 del 1991 - non puo' essere seguita la tesi della Corte, non solo perche' (come gia' detto) la decisione suddetta non e' vincolante e non e' efficace per mutare il testo normativo, ma anche perche' il suo presupposto logico, che insiste sul fatto che nell'assicurazione INAIL non e' compreso il danno biologioco, e' irrilevante, poiche' la correlazione dell'assicurazione ex d.P.R. n. 1124/1965 all'esonero della responsabilita', di cui al primo comma dell'art. 10, svanisce e perde ogni rilevanza giuridica nei successivi commi, che espressamente escludono l'esonero della responsabilita' civile (al secondo comma) "di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio e' derivato" e (al terzo comma) "del datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione e sorveglianza del lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il codice civile", risultando chiaro che l'esclusione dell'esonero della responsabilita' fa perdere significato e valore all'assicurazione che ne costituiva causa e dunque, non permette di ritenere connesi il sesto e settimo comma al primo, con conseguente impossibilita' di affermare l'esclusione del danno biologico patimoniale dalla previsione del sesto e settimo comma in forza dell'argomento legato alla determinazione del danno oggetto dell'assicurazione INAIL solo come danno patrimoniale "tipico" e cioe' legato alla capacita' di produrre reddito. Sulla base di tali argomenti deve essere rilevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, sesto e settimo comma, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, per violazione degli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione. Le stesse considerazioni sopra sviluppate con riferimento al danno patrimoniale biologico valgono rispetto al danno morale, con ancora maggiore evidenza, poiche' tale danno - caratterizzato dall'essere l'unica ipotesi di danno non patrimoniale risarcibile nel vigente diritto positivo - e' del tutto avulso dal sistema di tutela del d.P.R. n. 124/1965: anche per tale solo aspetto risulta chiara la violazione degli artt. 2, 3 e 38, secondo comma, della Costituzione a carico del sesto e settimo comma del d.P.R. 30 giugno 1965. Considerazioni conclusive Non puo' essere di ostacolo all'accoglimento eventuale delle questioni qui sollevate il timore dei vuoti normativi conseguenti alla dichiarazioni d'illegittimita' costituzionale solo caducatorie, correlato al dubbio (non certo privo di riscontri storici, della Corte costituzionale sulla reale capacita' o volonta' del legislatore di riempire tali vuoti con nuove leggi costituzionalmente corrette (quello che e' stato definito horrror vacui da valida dottrina), giacche' e', su tutto, prioritario il ripristino della legalita' e', comunque, anche in caso di fondato timore sul mancato intervento del legislatore, non e' giustificabile ne' la conservazione di norme illegittime, ne' la loro modifica tramite decisioni meramente interpretative e sentenze "leggi" non in sintonia con l'art. 136 della Costituzione, poiche' non rispondenti ai poteri ed obblighi attribuiti dalla Costituzione al giudice delle leggi, mentre non puo' dimenticarsi, in primo luogo, che il sistema giuridico e' in grado di sanare in parte i vuoti normativi in sede giudiziaria, in secondo luogo, che la responsabilita' del legislatore inandempiente puo' essere sanzionata politicamente in sede di manifestazione del voto popolare e, in terzo luogo, che esistono nella societa' forti strumenti di pressione politica per indurre il legislatore a legiferare. Peraltro, con riferimento all'odierna questione di legittimita' costituzionale, deve essere notato che nessun reale vuoto normativo si verificherebbe, posto che, comunque, ad evitare il rischio di un indebito arricchimento dell'infortunato, restano a presidio le ordinarie disposizioni del codice civile, pienamente applicabili una volta caducata ex art. 136 della Costituzione, la norma speciale qui imputata d'incostituzionalita'. Appare, del resto, pienamente in linea con la costante giurisprudenza della Corte costituzionale il risultato finale del totale assogettamento del danno patrimoniale biologico al sistema civilistico della responsabilita' e liberazione dal sistema di tutela previsto dal d.P.R. n. 1224 del 1965. Non sembra necessaria una motivazione ulteriore sulla fondatezza e sulla rilevanza della questione sopra trattata, stanti gli argomenti sviluppati in relazione alla controversia del giudizio a quo e ai precisi riferimenti normativi costituzionali indicati sui singoli temi; ne' appare utile sollevare nuovamente la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione agli artt. 101, 104, primo comma, 111, 134 e 137 della Costituzione, gia' rimessa all'esame del giudice delle leggi, poiche' nell'odierna fattispecie la questione sarebbe solo ridondante. Puo' solo aggiungersi che, rimeditata la problematica relativa alla rilevanza delle questioni portate all'esame della Corte costituzionale, deve essere chiarito che il giudice remittente non puo' manifestare le sue valutazioni sulle risultanze probatorie o, men che meno, esprimere una preventiva opinione su quale delle parti abbia ragione o torto, lasciando solo alla risoluzione della questione di legitimita' costituzionale l'esito del giudizio, poiche' cio' si traduce in scorretta anticipazione della decisione della causa. Il presente giudizio pretoriale deve essere sospeso, ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, tuttora vigente, pur se anch'esso imputato d'incostituzionalita' in precedenti ordinanze gia' trasmesse alla Corte costituzionale.