IL TRIBUNALE PER I MINORENI
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza visti gli atti relativi alla
 minore M.M. nata a Genova il 28 novembre 1985.
   1. - A  seguito  di  ricorso  proposto  dalla  madre  della  minore
 (esercente   la   potesta'  ex  art.  317-bis,  secondo  comma,  c.c.
 versandosi in materia di figlia  naturale  e  di  genitori  non  piu'
 conviventi  tra loro) questo tribunale veniva, tra l'altro, investito
 della richiesta di determinare l'assegno di mantenimento a carico del
 padre. Con separato decreto in data odierna questo Collegio  affidava
 la  minore  alla madre e si pronunciava in punto regolamentazione dei
 rapporti tra la minore e il  genitore  non  affidatario,  sospendendo
 invece il giudizio relativamente alla questione economica. Per quanto
 concerne  quest'ultimo punto, avuto riguardo alla vigente normativa e
 alle interpretazioni  dottrinali  e  giurisprudenziali  assolutamente
 prevalenti,  versandosi  in  tema  di  genitori  non uniti da vincolo
 matrimoniale, il combinato disposto degli artt.  317-bis  c.c.  e  38
 disp.  att.  c.c.  imporrebbe  al  tribunale  adito  di dichiarare la
 propria incompetenza sulla domanda proposta.  E' noto infatti che  la
 competenza dell'autorita' giudiziaria minorile non puo' estendersi al
 di  la'  di  quanto tassativamente previsto dall'attuale normativa in
 materia  di  rapporti  familiari,  fermo  restando  che  sussiste  la
 competenza  residuale  del tribunale ordinario per tutte le procedure
 non  espressamente  indicate  all'art.   38,   primo   comma,   delle
 disposizioni di attuazione del codice civile. Altrettanto pacifico e'
 che  le  disposizioni  sopra  ricordate,  nell'attribuire  al giudice
 minorile la competenza in materia di affidamento di  figli  naturali,
 non  prevedono la possibilita' di chiedere e di ottenere dal predetto
 giudice provvedimenti in  materia  di  contributo  del  genitore  non
 affidatario  al  mantenimento  dei  figli.    Da cio' discende che il
 genitore naturale affidatario il quale intenda agire per ottenere  un
 titolo   contro   l'altro   genitore   relativamente  all'obbligo  di
 mantenimento della prole deve necessariamente rivolgersi al tribunale
 civile  che  procedera'  nelle  ordinarie  forme  del   processo   di
 cognizione  previste per le cause relative agli alimenti (si veda per
 tutte Cass. 20 aprile 1991, n. 4273 in Giur. it., 1991, I,1, 634).
   2. - Prescindendo dal tenore letterale  delle  norme  in  esame  e'
 opportuno  sottolineare  come  numerosi tribunali minorili abbiano da
 tempo  introdotto  prassi  giurisprudenziali  volte  ad  abbinare  la
 pronuncia  ex  art.  317-bis  c.c.  in  tema  di affidamento a quella
 relativa alla determinazione del contributo economico  a  carico  del
 genitore naturale non affidatario. E' del tutto evidente che pronunce
 di   questo   tenore,   di   evidente   natura   equitativa,  trovano
 giustificazione nell'opportunita' di evitare alla parte ricorrente la
 necessita' di adire, da un lato, l'autorita' giudiziaria minorile per
 quanto  riguarda  la  pronuncia  sull'affidamento   dei   figli,   e,
 dall'altro,  l'autorita' giudiziaria ordinaria al fine di determinare
 l'entita' dell'onere economico relativo al genitore non  affidatario.
 Siamo   quindi   in   presenza  non  solo  di  esigenze  di  economia
 processuale, peraltro del tutto obiettive,  ma  dell'opportunita'  di
 evitare  alla  parte  piu'  debole  (quasi sempre la donna) un'attesa
 assai lunga legata ai tempi lenti  della  giustizia  civile,  nonche'
 spese  legali  che  talora sono difficilmente sostenibili da soggetti
 sovente espressione degli strati sociali piu'  poveri  ed  emarginati
 del  paese. Cio' tenuto conto anche del fatto che il diritto azionato
 e' strettamente collegato alle necessita' del minore  di  crescere  e
 svilupparsi  in  condizioni di vita accettabili, obiettivo che talora
 puo' essere  raggiunto  soltanto  con  il  contributo  economico  del
 genitore non affidatario.
   E'   pero'   necessario   qui   ribadire   che   tali  orientamenti
 giurisprudenziali, collegati alla pronuncia in tema di affidamento  e
 rispondenti  alla necessita' di impartire al genitore che non convive
 con il figlio prescrizioni di natura economica volte a contribuire al
 suo sostentamento, benche' sovente inevitabili in quanto  espressione
 di  un  accordo  tra  le  parti o di una previa accettazione da parte
 delle stesse della decisione del tribunale per i minorenni  in  punto
 assegno  di  mantenimento,  appaiono  alla luce degli argomenti sopra
 esposti viziate da incompetenza funzionale. Infatti in tali  casi  il
 giudice  minorile, nell'impossibilita' di fondare la sua decisione su
 di  una  specifica  norma  non   puo'   che   fare   riferimento   ad
 un'interpretazione  analogica  delle  norme  in tema di separazione e
 divorzio che appare quantomeno forzata. A cio'  si  aggiunga  che  la
 menzionata   mancata   previsione  legislativa  di  provvedimenti  di
 condanna in questo settore rende assai  problematica  l'efficacia  di
 tali pronunce e la loro attitudine a divenire titolo esecutivo quando
 si  versi  nell'ipotesi, tutt'altro che infrequente nella pratica, di
 ottenere l'adempimento forzato dell'obbligo da parte del debitore che
 non adempia spontaneamente.
   Tutto cio' premesso ritiene il tribunale, in conformita' al  parere
 espresso  dal  pubblico  ministero,  che  le disposizioni di cui agli
 artt. 317-bis c.c. e 38 disp. att. c.c., nella parte in cui non hanno
 previsto una specifica competenza del giudice  minorile  ad  emettere
 pronunce  in  tema  di  assegno  di  mantenimento a favore del figlio
 naturale da porsi a carico del genitore non affidatario o,  comunque,
 non convivente con il figlio, consentano la prospettazione al Giudice
 delle  leggi di una questione di costituzionalita' non manifestamente
 infondata (cio' tenuto conto di quanto implicitamente si ricava dalla
 sentenza n. 23/1966 della  Corte  costituzionale  che  ha  affrontato
 analoga questione).
   3.  -  Ad  avviso di questo Collegio, infatti, l'attuale situazione
 normativa  in  materia  familiare  determina  indiscutibilmente   una
 situazione  di  grave  disparita'  di trattamento per situazioni che,
 dovendo essere esaminate sotto il  profilo  esclusivo  dell'interesse
 del minore, risultano del tutto identiche.
   Per  quanto  concerne i principi generali il dovere dei genitori di
 mantenere ed educare i figli e'  riconosciuto  con  pari  vigore  sia
 dalla  Corte  costituzionale (art. 30, primo comma, Cost.), sia dalla
 legge ordinaria (artt. 147 e 261 c.c.) che pongono sullo stesso piano
 la prole sia essa legittima o naturale. Ed infatti la  violazione  di
 tali doveri (dai quali discendono veri e propri obblighi giuridici di
 natura personale e patrimoniale, da parte dei genitori puo' integrare
 gli   estremi  per  l'applicazione  degli  interventi  oggettivamente
 sanzionatori di cui agli artt. 330,  333  c.c.,  senza  che  a  nulla
 rilevi  la  circostanza  dell'essere i figli nati in pendenza o fuori
 dal matrimonio.
   Per quanto specificamente  riguarda  le  controversie  relative  al
 mantenimento dei figli pare potersi sostenere che siamo di fronte non
 ad  ordinarie  azioni  di regresso assimilabili a quelle nascenti tra
 soggetti coobbligati in solido (cosi' come invece ritenuto  in  Cass.
 20  aprile  1991,  n.  4273  cit.),  bensi'  ad  azioni,  discendenti
 dall'esplicita previsione di doveri in capo ai genitori, volte a  far
 valere  un  diritto  soggettivo  autonomo  del minore che, per il suo
 stato  di  incapacita',  viene  rappresentato  da  uno  dei  genitori
 esercente  la  potesta'.  Ed  infatti  il  legislatore sia in tema di
 separazione personale tra coniugi (art. 155 c.c., sia in  materia  di
 divorzio  (art.  6,  terzo  comma, legge 1 dicembre 1970, n. 898 cosi
 come modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74), ha previsto che  il
 tribunale ordinario "con esclusivo riferimento all'interesse morale e
 materiale  dei  figli",  determina  la  misura  e  il modo con cui il
 genitore  non  affidatario  deve  provvedere  al  loro  mantenimento,
 sottolineando  quindi  il  fatto  che  siamo  di fronte ad un diritto
 indisponibile tra le parti della controversia con la conseguenza che,
 sul punto, il giudice e' del tutto svincolato dalle relative domande.
   Anche per quanto concerne gli aspetti processuali  il  legislatore,
 oltre  ad avere attribuito al giudice particolari poteri ufficiosi in
 tema di prova circa  la  capacita'  dei  genitori  a  contribuire  al
 mantenimento  dei  figli,  ha  previsto  particolari  procedure quali
 quelle  camerali  (sia  per  il  divorzio  congiunto   che   per   le
 separazioni)   tali  da  garantire  la  celerita'  del  giudizio,  la
 pronuncia di provvedimenti  cautelari  nell'interesse  dei  figli  in
 tutti  i  casi  in  cui  la  causa  prosegue nelle forme contenziose,
 nonche', per quanto concerne la modifica delle  condizioni  stabilite
 in  sede  di  separazione,  l'applicazione delle piu' agili norme sui
 procedimenti in camera di consiglio.
   A completamento di quanto fin  qui  si  e'  detto  e'  il  caso  di
 sottolineare  come il legislatore, anche precedentemente alla riforma
 del diritto di famiglia, abbia  sempre  attribuito  la  competenza  a
 pronunciarsi  sulle  controversie alimentari relative ai figli minori
 allo stesso giudice investito della causa di separazione e divorzio e
 della pronuncia sull'affidamento dei figli,  ritenendo  evidentemente
 in  questo caso inscindibili tra loro le questioni patrimoniali e non
 patrimoniali.
   A fronte di questo quadro normativo complessivamente soddisfacente,
 almeno  in  linea  di  principio,  nulla e' stato previsto per quanto
 concerne l'attuazione del diritto al mantenimento dei figli  naturali
 ne'  quando  la famiglia di fatto non esista (essendo la prole frutto
 di una relazione non accompagnata dalla coabitazione ne' quando  essa
 venga  meno  in un secondo tempo dopo un periodo piu' o meno lungo di
 convivenza.
   Le controversie relative all'affidamento  di  questa  categoria  di
 minori  sono  affidate  ai  tribunali per i minorenni che, a norma di
 legge, come  gia'  si  e'  sottolineato,  si  dovrebbero  limitare  a
 prevedere  una  regolamentazione  delle  modalita' di esercizio della
 potesta' con esclusione dell'obbligo di mantenimento  irrazionalmente
 lasciato  alla competenza del tribunale ordinario. Da cio' deriva per
 questa categoria di minori una condizione deteriore le cui principali
 conseguenze negative sono le seguenti:
     a) la necessita' di adire due giudici diversi per  la  cognizione
 di  una  situazione  in  realta' unica avendo ad oggetto gli obblighi
 inscindibili di educazione, istruzione, e mantenimento;
     b) la inevitabile applicazione  all'azione  alimentare  del  rito
 ordinario  foriero  di  inevitabili  ritardi  nel  riconoscimento del
 diritto e di oneri  processuali  ed  economici  maggiori  rispetto  a
 quanto non avverrebbe nell'ambito di una procedura camerale;
     c)  il  rendere  la  pronuncia in materia alimentare strettamente
 dipendente dall'iniziativa e dalla domanda  della  parte  attrice  in
 contrasto  con  la  tendenziale  indisponibilita'  fra i genitori dei
 diritti spettanti ai figli.
   4. - Nella fattispecie in esame, a  fronte  della  gia'  menzionata
 richiesta  di  determinare l'importo dell'assegno alimentare a carico
 del genitore non affidatario, questo tribunale non puo' che  ribadire
 quanto  si  e'  rilevato circa la non accettabilita' di una normativa
 che  impedisce  al  giudice  naturale  del  minore  di   pronunciarsi
 sull'entita'  dell'esatto  contributo  da corrispondersi da parte del
 padre a favore della figlia pur avendo  questo  stesso  giudice  gia'
 fissato  tutti  gli  altri  criteri  relativi  all'affidamento e alla
 regolamentazione dei rapporti tra genitori e figli.  Tale  situazione
 comporta una grave disparita' di trattamento tra figli naturali (come
 la  minore  intestataria  della  presente procedura) e figli nati nel
 matrimonio,  discriminazione  che  appare  non  solo  irrazionale  ma
 illegittima  in  quanto  non  giustificata  alla stregua dei principi
 costituzionali e non superabile sulla  base  di  una  interpretazione
 analogica delle norme in tema di separazione e divorzio.
   La disparita' evidenziata costituisce violazione degli artt. 3 e 30
 della  Costituzione  e,  specificamente, del principio di uguaglianza
 sotto il profilo particolare della identita' di tutela che  la  legge
 deve riconoscere ai figli legittimi e naturali.
   La  questione  proposta  appare  inoltre assolutamente rilevante ai
 fini della decisione sulla domanda proposta dalla madre della minore.
 Il tribunale adito non puo' esimersi dalla  pronuncia  sulla  propria
 competenza  essendo il giudice competente a conoscere le controversie
 sulla potesta' della minore M. M. in  forza  dell'art.  317-bis  c.c.
 Del  resto la valutazione in punto competenza, essendo pregiudiziale,
 comporta inevitabilmente l'esame delle norme delle  quali  si  chiede
 l'impugnazione davanti alla Corte costituzionale, la cui applicazione
 rileva dunque nella controversia in corso.