IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Agli esiti di complessa attivita' di investigazione preliminare, il pubblico ministero presso il tribunale di Roma introduceva richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di una pluralita' di soggetti e, tra gli altri, di Federici Elia e Barilla' Domenico in ordine ad ipotesi criminose riflettenti reati di corruzione asseritamente perpetrati durante l'iter amministrativo di assegnazione degli appalti delle c.d. Ferrovie concesse. All'udienza preliminare del 28 novembre 1995 la difesa di Barilla' Domenico a carico del quale l'ufficio del giudice procedente aveva adottato misura custodiale carceraria eccepiva l'incompatibilita' del giudicante a conoscere di quell'udienza preliminare e contestualmente poneva la questione di incostituzionalita' dell'art. 34, comma secondo, c.p.p., nella parte in cui la citata norma non prevedeva appunto l'esclusione dall'udienza preliminare del giudice che aveva nella fase investigativa emesso le misure cautelari. L'eccezione della difesa, con ordinanza pari data allegata al verbale di udienza, era respinta dall'ufficio nella considerazione che la stessa Corte costituzionale aveva fino a quel momento costantemente sottolineato i profili endoprocessuali e rituali della pronuncia del g.u.p. assimilata a necessario impulso per l'ulteriore fase dibattimentale nel caso del decreto ex art. 429 c.p.p., nonche' a decisione comunque revocabile per sopravvenienza di nuove fonti di prova nell'ipotesi di cui all'art. 425 c.p.p. L'evoluzione della giurisprudenza costituzionale ed in particolare gli assunti innovatori delle sentenze nn. 131/1996 e 155/1996, che hanno notevolmente esteso la sfera di incompatibilita' del g.u.p., determinavano la reiterazione della medesima questione all'udienza preliminare del 27 maggio 1996 da parte della difesa di Federici Elia per il quale parimenti l'ufficio giudicante aveva adottato misura custodiale. L'esito della eccezione era stavolta favorevole alla difesa, avendo quest'ufficio ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' prospettata ed avendo quindi subordinato la decisione, anche in ordine alla posizione di Barilla' Domenico, agli esiti della pronuncia della Corte costituzionale ritualmente adita. Il superamento del criterio dell'evidenza (legge 8 aprile 1993, n. 105) ha di fatto sensibilmente modificato la cognizione del g.u.p. che, nell'apprezzamento dei contenuti delle indagini preliminari, esprime una valutazione tecnicamente endoprocessuale, ma nel merito significativamente orientata. Il giudicante preliminare conosce infatti "allo stato degli atti compiuti nel corso della investigazione preliminare" atti che, in caso di adozione della misura custodiale, ne hanno determinato un forte convincimento al punto da fargli ritenere probabile l'affermazione di responsabilita'. Ora non vi e' dubbio che nei casi, peraltro piu' frequenti, in cui il complesso degli elementi probatori che hanno integrato il quadro indiziario determinante ai fini dell'adozione del provvedimento custodiale, coincide e si sovrappone alle fonti di prova indicate dal p.m. nella richiesta di rinvio a giudizio, si propone allo stesso giudicante la medesima valutazione che egli ha gia' compiuto per l'emissione della misura cautelare. Ne deriva che il principio posto dalla giurisprudenza della stessa Corte per il quale presupposto della incompatibilita' di chi giudica e' "ogni valutazione di merito circa l'idoneita' delle risultanze probatorie a fondare un giudizio di responsabilita'", assume concreta rilevanza anche nel presente contesto, dovendosi in caso contrario ritenere l'udienza preliminare il formale snodo di passaggio dalla fase investigativa a quella dibattimentale. Si osserva inoltre che ove il tema di prova risulti non piu' in fieri ma recepito in fonti documentali non suscettibili di ulteriori sviluppi la cognizione del g.u.p. e' sicuramente equipollente al giudizio di merito, in quanto ragioni di logica e di economia processuale imporrebbero la piu' ampia valutazione di quelle fonti: sul punto si osserva che la coincidenza di queste con gli elementi valutati in sede di adozione della misura cautelare comprime inevitabilmente la valenza cognitiva della fase dell'udienza preliminare, nell'ambito della quale il contraddittorio instaurato in modo formale, e' strumentalmente preordinato al successivo dibattimento. Rimane infatti esclusa qualsiasi possibile alternativa in ordine all'adozione della pronuncia liberatoria ex art. 425 c.p.p., giacche' ragioni di rigore, o se si vuole anche di coerenza formale, precludono al giudicante il difficile iter autocritico necessario ai fini dell'ardua distinzione fra indizi e contenuti dell'indagine preliminare. Nella recente sentenza n. 155/1996, nonche' argomentando in materia di giudizi abbreviati, la Corte osserva che l'estensione dell'incompatibilita' a tale caso, e' motivata dalla preclusione di modifica del quadro probatorio "cosicehe' e' facilmente ipotizzabile che le prove a base del giudizio siano gli stessi indizi sulla cui base e' stata adottata la cautela". Il ragionamento e' assolutamente persuasivo anche e soprattutto in ordine allo sbocco processuale previsto dall'art. 425 c.p.p., dovendosi concludere che, nell'ipotesi di sovrapponibilita' delle fonti di prova indicate dall'accusa col tema probatorio cautelare, l'incompatibilita' del giudicante preliminare deriva dalla certezza logico-giuridica dell'adozione di un provvedimento di rinvio a giudizio. In tale contesto, anche considerando la forte aspettativa dell'imputato a che il giudicante valuti il piu' ampiamente possibile i risultati dell'indagine preliminare, si determina una grave vulnerazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge ex art. 3 della Costituzione, nonche' dell'inviolabilita' della difesa ex art. 24 della Costituzione, risultando evidente la disparita' di trattamento per colui la cui posizione deve essere valutata dal giudicante preliminare che ha gia' adottato la misura custodiale fondata sulle medesime fonti probatorie, nonche' l'inevitabile affievolirsi del diritto di difesa le cui argomentazioni sono gia' note al giudicante preliminare, anche per gli inevitabili gravami che hanno attinto la misura custodiale, nel caso in cui risulti sovrapposta l'identita' fisica del giudice che ha adottato il provvedimento cautelare con quella del giudice per l'udienza preliminare. La ravvisata incompatibilita' incide altresi' sul principio del giudice naturale sancito dall'art. 25 della Costituzione, posto che nel caso all'esame l'imputato e' tratto a giudizio davanti al medesimo giudicante che ha ammesso il provvedimento custodiale e che pertanto e', o comunque appare, fortemente orientato, tanto da perdere i connotati propri del giudice naturale, e cioe' dell'organo giudicante precostituito per legge. Parimenti violato dalla mancata previsione di incompatibilita' all'esame il principio di terzieta' del gludice recepito nella direttiva n. 67 legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione, di tal che le decisioni proprie dell'udienza prelimarie si profilano gravemente condizionate dalla concentrazione in capo al medesimo giudicante di competenze della fase investigativa e giurisdizionale.