IL TRIBUNALE
   Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al
 n.  27176  del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 1990
 avente ad oggetto:  impugnativa  di  riconoscimento  per  difetto  di
 veridicita',  e vertente tra l'avv. Rosanna Dama con studio in Napoli
 alla via Martucci, 35, nella qualita' di curatore speciale del minore
 Caterino Raffaele, nato a Villaricca il  17  settembre  1986,  giusta
 decreto  di  nomina  del  tribunale  per  i  minorenni  di  Napoli n.
 494/1987, quale procuratrice di se stessa, attrice  e  Caterino  Aldo
 elettivamente  domiciliato in Napoli alla via Giacomo Piscicelli, 73,
 presso gli avv. Giovanni Verde e Erminia  Delcogliano  dai  quali  e'
 rappresentato  e difeso in virtu' di procura a margine della comparsa
 di costituzione, convenuto, nonche' il procuratore  della  Repubblica
 presso il tribunale di Napoli, interventore ex lege.
                              Conclusioni
   L'attrice  conclude  perche'  il tribunale voglia: 1) accogliere la
 domanda e dichiarare che Caterino Aldo non e'  il  padre  del  minore
 Raffaele;  2) ordinare all'ufficiale dello Stato civile del comune di
 Villaricca di provvedere alla  relativa  annotazione  della  sentenza
 sull'atto  di  nascita;  3)  condannare  il  Caterino  alle spese del
 giudizio.   In subordine ammettere la ctu  e  la  prova  contraria  a
 quella articolata dall'altra parte. .
   Il  procuratore  del convenuto chiede il rigetto della domanda e in
 via subordinata che il tribunale voglia ammettere la prova per  testi
 gia'  articolata  alle  udienze  del 27 aprile e 26 ottobre 1993, con
 rigetto di ogni altra richiesta istruttoria formulata  dall'attore  e
 dal p.m.
   Il  p.m.  ha chiesto accogliersi la domanda, in subordine affinche'
 il tribunale voglia dare l'ingresso  all'ulteriore  indagine  tecnica
 come richiesta dal curatore speciale.
                       Svolgimento del processo
   Con  atto notificato in data 27 dicembre 1990, l'avv. Rosanna Dama,
 premesso di essere stata nominata, con decreto del  14  luglio  1987,
 del  tribunale per i minorenni, curatore speciale del minore Caterino
 Raffaele con l'incarico di procedere  all'impugnazione  per  falsita'
 del riconoscimento fatto da Caterino Aldo nei confronti del predetto,
 denunziato  all'ufficiale  dello stato civile di Villaricca quale suo
 figlio  naturale  concepito  con  donna  che  non  intendeva   essere
 nominata; che il Tribunale aveva disposto l'allontanamento del minore
 dal  nucleo  familiare del Caterino Aldo poiche' dagli atti acquisiti
 tale riconoscimento risultava non veritiero, essendo  inesistente  il
 rapporto  di  filiazione  tra il Caterino Aldo e il piccolo Raffaele;
 conveniva in giudizio, davanti al tribunale di Napoli, Caterino  Aldo
 per   sentir   dichiarare   non   veritiero   ex  art.  263  c.c.  il
 riconoscimento in questione e per  l'effetto  ordinare  all'ufficiale
 dello  stato  civile  del  comune  di  Villaricca  di provvedere alla
 trascrizione ed annotazione della sentenza sull'atto di nascita della
 minore, con la condanna al pagamento delle spese del giudizio.
   Si costituiva in giudizio Caterino Aldo il quale  esponeva  che,  a
 seguito di indagini disposte dal tribunale per i minorenni, era stata
 identificata la madre del minore che non aveva partecipato pero' agli
 accertamenti effettuati dai consulenti d'ufficio dott.  Gianfranco De
 Dominicis e Antonio Mancini per accertare la patemita' del minore.
 Tale  consulenza, pur lamentando l'acerba eta' del minore, concludeva
 per   l'incompatibilita'   delle   indagini   immunoematologiche    e
 citogenetiche  con  l'ipotesi  di  paternita'. Dagli esami svolti dal
 dott. Alfonso Gifuni, perito di parte, poco dopo  quelli  dei  periti
 d'ufficio,  emergeva  invece  la  prova  dell'esistenza  di  un reale
 rapporto di sangue tra il Caterino e il piccolo Raffaele  nonche'  la
 necessita'  di  testare anche la madre biologica. Tutto cio' induceva
 il tribunale ad ordinare una nuova perizia ematologica, nominando ctu
 il prof. Bartolomeo Farzati il quale  effettuava  una  nuova  perizia
 solo  su  Caterino  Aldo  e Raffaele, con il prof. Goffredo Sciaudone
 come perito di  parte.    La  perizia  del  dott.  Farzati  negava  i
 risultati  della  precedente perizia e concludeva per la non evidenza
 di incompatibilita' in relazione ai gruppi ematici  mentre  il  prof.
 Sciaudone  affermava  che  i  risultati della perizia consentivano di
 ritenere non peregrina  l'ipotesi  del  rapporto  di  paternita'.  Il
 tribunale  per  i  minorenni,  con  decreto  del  14 luglio 1987, non
 autorizzava  l'inserimento del minore nel nucleo familiare, nominando
 un curatore speciale per impugnare il riconoscimento in questione  ma
 la  Corte  d'appello,  con  decreto  del 24 novembre 1988, a parziale
 modifica  del   decreto   del   tribunale,   revocava   l'ordine   di
 allontanamento del minore dalla residenza familiare.
   Nel merito, il convenuto rilevava che non esistevano elementi certi
 dai quali desumere che la dichiarazione raccolta dall'ufficiale dello
 stato  civile  non fosse rispondente a verita'. Le dichiarazioni rese
 dal Caterino al g.d. del tribunale per i minorenni erano  state  rese
 senza  l'assistenza  del difensore ne' da tale deposizione emergevano
 dubbi sulla veridicita' del riconoscimento, come affermato invece dal
 tribunale che non aveva dato adeguato risalto  al  comportamento  del
 Caterino  il quale si era detto certo di essere il padre di Raffaele,
 sottoponendosi  spontaneamente  all'interrogatorio  e  alle   perizie
 d'ufficio.
   Le  indagini  immunoematologiche  erano state condotte poi solo sul
 padre e sul figlio e non anche sulla madre biologica identificata dal
 tribunale  sin  dal  10  dicembre  1986,  e   non   potevano   quindi
 rappresentare  una  prova  certa  dei  risultati  raggiunti, peraltro
 differenti tra loro, tenuto conto altresi' che il tribunale non aveva
 esaminato i rilievi contenuti nella  consulenza  di  parte.  Chiedeva
 quindi il rigetto della domanda attrice con vittoria di spese.
   Veniva acquisita varia documentazione dopodiche', sulle conclusioni
 in  epigrafe  trascritte,  la causa veniva rimessa al Collegio che si
 riservava la decisione all'udienza del 14 giugno 1996.
                        Motivi della decisione
   1. - Deve essere preliminarmente esaminata e risolta  positivamente
 la  questione  afferente la regolarita' del contraddittorio. Infatti,
 mentre in caso di contestazione dello stato di figlio legittimo e  in
 quello  di disconoscimento della paternita' devono essere chiamati in
 giudizio  entrambi  i  genitori  (artt.  247  e  248  cod.  civ),  la
 necessita'  della  presenza  di entrambi non sussiste nell'ipotesi di
 impugnazione del riconoscimento di un figlio naturale. Quando  e'  in
 discussione lo stato di figlio legittimo, la sentenza non puo' essere
 emessa  che  nei  confronti  di tutti e tre i soggetti interessati al
 rapporto   di   filiazione,   dato   che   il   rapporto   intercorre
 necessariamente  tra  il  figlio  e  i due genitori; nella filiazione
 naturale, invece, il rapporto riguarda esclusivamente il genitore che
 ha compiuto il riconoscimento ed il figlio. Anche se quest'ultimo  e'
 stato  riconosciuto  da  entrambi  i  genitori, si hanno due distinti
 rapporti di filiazione e l'impugnazione del  riconoscimento  compiuto
 dal  padre  non  puo'  esercitare  alcuna influenza su quello operato
 dalla madre che puo', percio', restare  anche  estranea  al  relativo
 giudizio.
   Ed  infatti, secondo l'insegnamento della suprema Corte, poiche' lo
 status  di  figlio  naturale  e'  accertabile  individualmente  verso
 ciascun  genitore, l'unico legittimato passivo e' appunto il soggetto
 nei  cui  confronti  si  intende  accertare  la   filiazione   mentre
 l'interesse  riconducibile  ad  altri  soggetti, ivi compreso l'altro
 genitore, attribuisce agli stessi  la  facolta'  di  intervenire  nel
 processo  a  tutela delle loro ragioni ma non anche la legittimazione
 ad essere citati in giudizio come contraddittori necessari (Cass.  n.
 26  ottobre  1955, n. 3500; 9 dicembre 1960, n. 2993). In definitiva,
 sia  per  la  mancanza  di   una   previsione   normativa   espressa,
 corrispondente  agli  artt.  247 e 248 c.c., sia per il carattere non
 inscindibile   dell'accertamento   da   compiersi,   che    coinvolge
 direttamente   solo  il  rapporto  tra  riconosciuto  e  l'autore  di
 riconoscimento, deve escludersi la necessita' dell'instaurazione  del
 contraddittorio  con  gli  altri  soggetti,  pur interessati (come la
 madre o il soggetto  al  quale  potrebbe  attribuirsi  la  paternita'
 naturale),  atteso  che  anche  senza la presenza in giudizio di tali
 soggetti  detto  accertamento  puo'   comunque   essere   validamente
 effettuato e la sentenza utilmente emessa.
   2.  - Nel merito, l'impugnazione proposta ex art. 263 c.c. - avente
 ad oggetto il riconoscimento naturale del minore Caterino Raffaele da
 parte di Caterino Aldo - risulta fondata.
   E'  principio  comunemente  ricevuto  in  giurisprudenza   che   la
 dimostrazione  dell'impossibilita'  che  il  soggetto,  il  quale  ha
 effettuato il riconoscimento, sia il padre del soggetto  riconosciuto
 come  figlio,  puo'  essere  data con qualsiasi mezzo di prova, anche
 presuntivo; e tale prova negativa, al contrario  di  quella  positiva
 (che  esige  il  raggiungimento di un elevato grado di probabilita'),
 non richiede una pluralita' di esami ematologici e genetici, eseguiti
 in base a diversi tipi di indagine anche in  combinazione  tra  loro,
 dovendosi ritenere di per se' acquisita in presenza anche di uno solo
 di  detti esami, quando risulti nel patrimonio genetico del figlio un
 gene  assente  nella  madre   e   nel   preteso   padre,   e   quindi
 necessariamente trasmesso da altro soggetto (Cass. n. 2820/1991).
   Nella  fattispecie,  la  falsita'  del  riconoscimento impugnato si
 evince anzitutto dall'approfondita attivita'  istruttoria  effettuata
 dal tribunale per i minorenni.
   In  proposito, possono certamente condividersi i risultati ai quali
 sono pervenute le indagini tecniche espletate dai c.t.u. nominati  in
 detta sede, le cui conclusioni si fondano su analitiche e convincenti
 argomentazioni   e  sull'applicazione  alla  fattispecie  di  criteri
 tecnici corretti ed esatti.
   La prima consulenza effettuata dai dott. De Dominicis e Mancini  ha
 rilevato,  a  seguito  dell'analisi  del sistema HLA che consente una
 valutazione precisa ed affidabile dei patrimoni genetici dei soggetti
 esaminati, una assoluta incompatibilita' tra il  patrimonio  genetico
 del  Caterino  Aldo  e quello del minore Caterino Raffaele.  Anche la
 successiva consulenza d'ufficio espletata dal prof. Farzati, compiuta
 quando il bambino aveva oltre sei mesi, e' pervenuta alla conclusione
 che, pur  non  essendovi  evidenza  di  incompatibilita'  tra  i  due
 soggetti  relativamente  ai  sistemi  ematici  esplorati,  il diverso
 corredo antigeno relativo al sistema HLA presente  nei  due  soggetti
 esaminati  rende  incompatibile  l'ipotesi  che  vi  possa essere una
 relazione di paternita' tra gli stessi. Peraltro, a  fronte  di  tali
 univoche risultanze tecniche, entrambi i consulenti di parte non sono
 stati  in  grado di sostenere positivamente la conclusione opposta ma
 si sono limitati ad affermare che "non e' possibile escludere" (dott.
 Gifuni) e che "non e' peregrina" (prof. Sciaudone) la  paternita'  di
 Caterino Aldo nei riguardi del piccolo Raffaele.
   Tali   rilievi   pertanto  non  appaiono  idonei  ad  inficiare  la
 conclusione - espressa in termini di assoluta certezza - della  netta
 incompatibilita', quanto al patrimonio genetico, dei gruppi sanguigni
 in  esame,  conclusione  cui sono pervenuti i consulenti d'ufficio in
 modo convergente (assoluta discordanza tra i loci A e B e la mancanza
 nel  padre  del  locus C), di talche' non si ravvisa la necessita' di
 disporre altra consulenza d'ufficio.
   E cio' anche perche' tale conclusione trova  conforto  nelle  altre
 risultanze processuali, tra cui le dichiarazioni rese nel corso delle
 indagini  penali  dalla madre del minore (Bonavita Maria) sulla reale
 paternita' dello  stesso,  nonche'  la  scarsa  attendibilita'  della
 versione  dei  fatti  resa  dal Caterino al tribunale per i minorenni
 circa una presunta relazione avuta con la madre  del  bambino,  della
 quale  non  e'  stato  nemmeno  in  grado  di  riferire  il  cognome,
 l'abitazione ne' altre concrete condizioni di vita, oltre che per  il
 rilievo   secondo   cui  la  falsa  attribuzione  al  Caterino  della
 paternita' del minore risulta perfettamente plausibile,  anche  sotto
 il  profilo  logico,  alla  luce della situazione del predetto ("Sono
 sposato da tredici anni, mia moglie ha 41 anni e  non  ha  mai  fatto
 domanda di adozione").
   In  ogni  caso, poi, la falsita' del riconoscimento in questione e'
 stata accertata definitivamente in sede penale dove  il  Caterino  e'
 stato assolto per difetto dell'elemento soggettivo (che invece nessun
 rilievo esplica ai fini del presente giudizio), sul presupposto della
 obiettiva  non  veridicita' del riconoscimento operato ed a causa del
 dubbio in ordine alla effettiva  conoscenza  da  parte  del  predetto
 della   contestata   falsita'.  Ne'  del  resto  contrasta  con  tale
 conclusione la decisione emessa dalla Corte di  appello  sez.  per  i
 minorenni  in  data  24 novembre 1988, invocata dal convenuto, con la
 quale era stata disposta la  revoca  dell'allontanamento  del  minore
 dalla  famiglia  del  Caterino in attesa del presente giudizio, posto
 che anche in tale decisione si condivide il giudizio di falsita'  del
 riconoscimento  ma  si  adotta  un  simile  provvedimento  di  natura
 provvisoria solo per evitare  un  trauma  psichico  al  minore  ormai
 perfettamente inserito in detta famiglia.
   In  altri  termini,  l'unica  ricostruzione  dei  fatti logicamente
 attendibile ed aderente alle univoche risultanze istruttorie, conduce
 ad un giudizio di falsita' del  riconoscimento  effettuato,  giudizio
 espresso  concordemente sia dal tribunale e dalla Corte d'appello per
 i minorenni sia dal tribunale penale ordinario.
   3. - Deve pero' considerarsi che  l'accoglimento  dell'impugnazione
 determinerebbe  inevitabilmente  l'allontanamento  del  minore  dalla
 famiglia in cui egli e' cresciuto e che tale effetto della  decisione
 risulterebbe  senza dubbio fortemente pregiudizievole per l'interesse
 del minore medesimo. Non vi e' dubbio invero  che  tale  pregiudizio,
 gia'
 ravvisato  dalla  Corte  d'appello  sez.  minorenni quando il bambino
 aveva circa due anni, si rivela ancor piu'  drammatico  oggi  che  il
 bambino  ha  quasi  dieci  anni  e  riconosce  da sempre, come propri
 genitori il Caterino e la moglie di quest'ultimo, con i quali  si  e'
 consolidato  un  legame affettivo profondo. Il forzoso allontanamento
 dall'ambiente familiare  in  cui  il  minore  e'  oggi  perfettamente
 inserito,  rappresenterebbe  certamente  un atto di violenza nei suoi
 confronti  che,  incidendo  sui  rapporti  affettivi  con  le  figure
 genitoriali   e  sul  suo  corretto  sviluppo  psicologico,  potrebbe
 provocargli notevoli traumi psichici e rischia di  pregiudicarne,  in
 modo  anche irreversibile, gli equilibri affettivi, l'educazione e la
 collocazione sociale.
   Ne'  a  cio'  potrebbe ovviarsi con il ricorso all'adozione ex art.
 44, lett. c) della legge  n.  184/1983,  come  ritenuto  dalla  Corte
 d'appello  nella decisione sopra citata; infatti, l'applicabilita' di
 tale istituto all'ipotesi in esame  e'  quantomeno  dubbia  sotto  il
 profilo    giuridico,    ed   e'   comunque   pur   sempre   soltanto
 un'eventualita', affidata all'iniziativa di terzi e alla  valutazione
 positiva  di  altra  autorita' giudiziaria, senza considerare poi che
 non eviterebbe il distacco del minore dalla famiglia in cui si  trova
 attualmente quanto meno nel non breve periodo di tempo necessario per
 l'esaurimento della pratica di adozione.
   Neppure  autorizza una diversa conclusione la possibile valutazione
 negativa della condotta del Caterino, peraltro  attenuata  dall'esito
 del giudizio penale (che ha dubitato dell'esistenza di una sua dolosa
 preordinazione   al   falso  riconoscimento),  dato  che  anche  tale
 apprezzamento appare soccombente rispetto al preminente interesse del
 minore alla conservazione del suo  attuale  ambiente  familiare  dove
 risulta assistito e curato in modo adeguato.
   Detto  interesse,  ad  avviso  del  Collegio,  non  puo' non essere
 valutato  anche  al  momento  della  decisione  che   altrimenti   si
 risolverebbe  nella mera "certificazione" della corrispondenza tra il
 dato naturale e la situazione giuridica, senza alcuna  considerazione
 dell'esigenza  di  tutela  del  minore  che  trova  invece  un solido
 fondamento a livello  costituzionale  nei  principi  stabiliti  dagli
 artt. 2, 3, 30 e 31.  Al contrario di quanto suggerito dal convenuto,
 l'evidente  lacuna  normativa dell'art. 263 c.c. puo' essere superata
 unicamente attraverso l'intervento della Corte costituzionale  e  non
 anche   tramite   un'inammissibile   operazione   interpretativa  che
 finirebbe per assumere carattere decisamente creativo  (cfr.,  quanto
 alla  dichiarazione  giudiziale  di paternita' o maternita' naturale,
 Corte cost.  20 luglio 1990, n. 341). Solo  tale  intervento,  cioe',
 potrebbe  attribuire  al tribunale il potere di valutare, nel merito,
 la rispondenza dell'azione all'interesse del minore  (al  di  la'  di
 quanto  ritenuto  al  momento  della  nomina del curatore speciale) e
 consentire    di    conseguenza    di    rigettare    o    dichiarare
 l'inammissibilita'  della stessa nell'ipotesi in cui, pur sussistendo
 - come nel caso concreto - tutti i presupposti normativi, gli effetti
 dell'accoglimento potrebbero rivelarsi pregiudizievoli per il  minore
 medesimo  (valutazione  questa  non  preclusa di per se' al tribunale
 ordinario che del resto e' chiamato normalmente ad esprimere  giudizi
 analoghi per l'affidamento dei minori nei procedimenti di separazione
 e divorzio).
   Stante  quindi  la  rilevanza  e  la non manifesta infondatezza del
 dubbio  di  costituzionalita'  sopra   illustrato,   si   impone   la
 sospensione  del  presente processo e la trasmissione degli atti alla
 Corte  costituzionale,  con  gli  adempimenti  di  rito  indicati  in
 dispositivo.