LA CORTE D'APPELLO
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nelle  cause  riunite  n.
 1183/1993,  1599/1993  e  1288/1993  r.g.,  promosse  dal   Consorzio
 Internazionale  Milanese  per  l'Edilizia  Popolare  (C.I.M.E.P.), in
 persona del presidente in carica, rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Giuseppe  Sampietro  ed  elettivamente domiciliato presso il predetto
 avvocato in Milano, via Carlo Poerio 37, come  da  procura  in  calce
 all'atto  d'appello  contro  la  Cooperativa edificatrice "La Felice"
 s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv., Bruno Donde', presso il cui
 studio e' elettivamente domiciliata, come da procura a margine  della
 comparsa di costituzione;
   e  dal  Ministero  delle  poste e telecomunicazioni, in persona del
 Ministro  in   carica,   rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura
 distrettuale  dello  Stato  di  Milano,  presso  i cui uffici e', per
 legge, domiciliato contro la  Cooperativa  edificatrice  "La  Felice"
 s.r.l., come sopra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata
 e nei confronti del:
     1)  C.I.M.E.P. - Consorzio Internazionale Milanese Per L'Edilizia
 Popolare  -  come  sopra  rappresentato,  difeso   ed   elettivamente
 domiciliato;
     2) comune di Cinisello Balsamo, in persona del sindaco in carica,
 rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Fortunato  Pagano, presso il cui
 studio in Milano e' elettivamente domiciliato,  come  da  procura  in
 calce alla copia dell'atto d'appello;
     3)   ITALPOSTE   -Edilizia  di  Interesse  Pubblico  S.P.A.  (non
 costituita);
   Nonche'  dalla  Cooperativa  edificatrice   "La   Felice"   s.r.l.,
 rappresentata  e  difesa dall'avv. Bruno Donde', presso il cui studio
 e' elettivamente domiciliata, come da  procura  a  margine  dell'atto
 d'appello  contro  il  comune  di  Cinisello  Balsamo, in persona del
 sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Fortunato Pagano,
 presso il cui studio in Milano e' elettivamente domiciliato, come  da
 procura in calce alla copia notificata dell'atto d'appello.
   Esaminati  gli  atti  ed  i  documenti  di  causa; ritenuto che con
 decreto del 29 gennaio  1981  il  sindaco  del  comune  di  Cinisello
 Balsamo ha disposto l'occupazione d'urgenza, a favore del C.I.M.E.P.,
 di  un'area  di proprieta' della Cooperativa edificatrice "La Felice"
 s.r.l. e che l'occupazione ha avuto inizio il  successivo  25  marzo;
 rilevato  che  con  atto  di  citazione  la  predetta  Cooperativa ha
 convenuto davanti al tribunale di Milano  il  menzionato  comune,  il
 C.I.M.E.P.  ed  il Ministero delle poste e telecomunicazioni (essendo
 stato assegnato alla ITALPOSTE  S.P.A.,  in  nome  e  per  conto  del
 Ministero  il diritto di superficie relativamente a mq 6760 dell'area
 occupata);
   Ritenuto che l'attrice  ha  allegato  l'irriversibile  destinazione
 dell'area    all'opera    pubblica,    la    scadenza   del   termine
 dell'occupazione  legittima  e  la  mancata  pronuncia  del   decreto
 d'espropriazione;
   Ritenuto  che la Cooperativa "La Felice" ha chiesto la condanna dei
 convenuti  (oltre  al  pagamento   dell'indennita'   di   occupazione
 d'urgenza)  al  risarcimento  del  danno  subito in conseguenza della
 perdita della  proprieta'  del  terreno  occupato,  verificatosi  per
 accessione invertita;
   Ritenuto  che  i  convenuti  si  sono  costituiti (ad eccezione del
 comune di Cinisello  Balsamo,  rimasto  contumace),  resistendo  alle
 domande dell'attrice;
   Rilevato  che  e' intervenuta volontariamente la Italposte Edilizia
 di Interesse Pubblico S.p.a.;
   Rilevato che con sentenza n. 3646  del  19-26  marzo  1992  l'adito
 tribunale ha condannato in solido il C.I.M.E.P: ed il Ministero delle
 poste  e  telecomunicazioni  a  pagare  alla  Cooperativa "La Felice"
 s.r.l.  la somma di L. 1.280.000.000, nonche' l'ulteriore somma di L.
 64.000.000, oltre agli interessi del  10%  annuo  (compresa  in  tale
 percentuale   la   rivalutazione   monetaria)  ed  oltre  alle  spese
 processuali poste a carico dei convenuti e dell' intervenuta;
   Ritenuto che la sopra menzionata sentenza e'  stata  appellata  dal
 C.I.M.E.P.,  dal  predetto  ministero dalla Cooperativa "La Felice" e
 dal comune di Cinisello Balsamo;
   Considerato che la causa all'udienza collegiale  odierna  e'  stata
 assegnata in decisione, si osserva: la legge 28 dicembre 1995 n.  549
 (in   vigore   dal   1   gennaio   1996   ai   sensi   dell'art.   3,
 duecentoquarantaquattresimo    comma),    prevede     all'art.     1,
 sessantacinquesimo  comma,  che  "il  sesto comma dell'art. 5-bis del
 d.-l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modificazioni dalla legge
 8  agosto  1992  n.  359,  e'  sostituito  dal  seguente:  "''6.   Le
 disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi
 in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo,
 l'entita'  dell'indennizzo  e/o del risarcimento del danno, alla data
 di  entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del  presente
 decreto''".
   Il  procuratore  e difensore del comune di Cinisello Balsamo assume
 che il criterio di commisurazione del danno al valore del  bene,  nel
 caso  (di  cui  qui  si  tratta)  di  accessione  invertita  e' ormai
 superato, avendo l'art. 1,  sessantacinquesimo  comma,  della  citata
 legge  esteso anche alla fattispecie in esame (liquidazione dei danni
 per  occupazione  acquistiva).  Il  difensore  e  procuratore   della
 Cooperativa  edificatrice  "La  Felice" s.r.l. fa, del pari, rilevare
 che l'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge 28 dicembre  1995
 n.  549  ha  esteso  i  criteri  di  valutazione  dell'indennita'  di
 esproprio anche alla liquidazione del danno da accessione  invertita;
 sostiene tuttavia che la suddetta disposizione sarebbe da ritenere in
 contrasto  con  gli  artt.  3, primo comma, 28, 42, terzo comma e 97,
 primo comma della Costituzione.
   Si   deve  rilevare  che  l'art.  5-bis  evidenzia  il  riferimento
 all'indennita'  di   espropriazione   conseguente   al   procedimento
 espropriativo  portato  a termine, in ogni sua fase, in conformita' a
 legge; invero, il  primo  comma  concerne  espressamente  il  calcolo
 dell'indennita' di esproprio e presuppone l'ablazione legittima della
 proprieta';  il  secondo comma, disciplina la cessione volontaria che
 puo' avvenire in "ogni fase del procedimento espropriativo" e che  lo
 conclude,   consentendo   al   soggetto  espropriato  di  evitare  la
 decurtazione del 40 per cento dell'importo determinato ai  sensi  del
 primo  comma;  il terzo e il quarto comma riguardano le regole per la
 valutazione "della edificabilita' delle aree" e le norme  applicabili
 (quelle  di  cui  al  titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865, e
 successive  modificazioni  ed  integrazioni)  per  la  determinazione
 dell'indennita'  di  esproprio,  e ove sia stata disposta ed attuata,
 dell'indennizzo per l'occupazione temporanea legittima, nel  caso  di
 procedimento  avente  per  oggetto  aree  agricole  e,  comunque, non
 classificabili come edificabili, ai sensi del terzo comma. Il  quinto
 comma fa riferimento al "regolamento da emanare
  ............  per  la  definizione  dei  criteri  e requisiti per la
 individuazione dell'edificabilita' di fatto .............". Il  sesto
 comma  dell'art.    5-bis,  testo  previgente a quello introdotto con
 l'art. 1, sessantacinquesimo comma, legge n.  549  del  1995,  faceva
 espresso  riferimento all'indennita' di espropriazione, alla quale si
 riferisce anche il settimo comma.    Non  c'e'  dubbio,  quindi,  che
 l'art. 5-bis detta i criteri per il computo dell'indennita' spettante
 al  soggetto  che  abbia  perso  la proprieta' del fondo a seguito di
 procedimento amministrativo culminato nella pronuncia di un  efficace
 decreto  di esproprio o nella stipulazione di un contratto di diritto
 pubblico (nel caso di cessione volontaria) che in  tale  procedimento
 si  inserisce  e  ne  costituisce la fase conclusiva, con conseguente
 inapplicabilita' di tale articolo in tema di risarcimento  del  danno
 da illegittima occupazione acquisitiva (Cass. 4 maggio 1995 n. 4853).
   Come  e'  noto,  l'occupazione  appropriativa costituisce frutto di
 elaborazione giurisprudenziale secondo cui l'occupazione  illegittima
 (cioe'  senza  valido  titolo  sin dall'inizio, oppure non seguita da
 decreto di esproprio nel periodo in cui si configura come  legittima)
 e la irreversibile destinazione del fondo occupato alla realizzazione
 dell'opera  pubblica  producono, quanto all'acquisto del bene in capo
 alla pubblica amministrazione, gli stessi  effetti  giuridici  di  un
 decreto  di  esproprio;  cio'  vale a dire che l'accessione invertita
 concreta una fattispecie  di  espropriazione  "sostanziale",  termine
 quest'ultimo  che  sottolinea  che  la  vicenda  ablativa avviene con
 violazione delle norme di legge che fissano i casi e i  modi  per  il
 sacrificio della proprieta' privata ai fini di interesse generale.
   Piu' compiutamente, quanto agli effetti complessivi dell'accessione
 invertita,  occorre  osservare  che,  come  ritenuto pure dalla Corte
 suprema di cassazione (con giurisprudenza che ormai si puo'  ritenere
 consolidata)  l'azione  del  privato  volta  ad ottenere una somma di
 denaro corrispondente al valore  del  fondo  perduto  in  seguito  ad
 occupazione  illegittima  ed  irreversibile trasformazione di esso in
 opera pubblica, soggiace  al  termine  quinquennale  di  prescrizione
 stabilito  dall'art.    2947,  primo  comma, c.c.; infatti l'acquisto
 originario della proprieta' in capo alla pubblica amministrazione  e'
 effetto  dell'impossibilita'  di  restituzione  del bene, a sua volta
 dipendente dal comportamento illecito dell'amministrazione  medesima,
 consistente  nella  realizzazione  dell'opera pubblica con violazione
 delle norme che fissano i casi e  i  modi  per  il  sacrificio  della
 proprieta'  privata  ai  fini  di  interesse generale e, pertanto, la
 suddetta azione  inerisce  non  ad  un  credito  di  controvalore  in
 rispondenza   ad   un  lecito  acquisto  della  proprieta'  a  titolo
 originario, ma a credito risarcitorio per fatto illecito (cfr.  Cass.
 4  maggio 1995 n. 4853; Cass. 4 maggio 1995 n. 4862; Cass.  2 ottobre
 1993 n. 9826).  Sia  l'esame  del  precedente  testo,  sia  l'esegesi
 dell'intero  art.  5-bis    conducono  a  ritenere che, con l'art. 1,
 sessantacinquesimo comma, della citata legge n. 549 del 1995,  si  e'
 inteso  stabilire  che  per  la  liquidazione del danno da accessione
 invertita  si  applicano  gli   stessi   criteri   vigenti   per   la
 determinazione  dell'indennita'  di  espropriazione.  La questione di
 costituzionalita' del citato art.  1, sessantacinquesimo comma, legge
 n. 549 del 1995, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 42,  terzo
 comma e 97, primo comma della Costituzione, appare rilevante, ai fini
 della decisione e non manifestamente infondata.
   Si    e'    gia'   osservato   che   la   disposizione   (art.   1,
 sessantacinquesimo comma, legge citata) della  cui  costituzionalita'
 si  dubita,ha  stabilito  per la liquidazione del danno da accessione
 invertita si applicano i criteri dettati dall'art. 5-bis    d.-l.  11
 luglio 1992 n. 333 (convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto
 1992 n. 359) per la determinazione dell'indennita' di espropriazione.
   Sulla  rilevanza  della  questione di costituzionalita' non possono
 sorgere dubbi; basta considerare, infatti, che prima dell'entrata  in
 vigore  dell'art.  l,  sessantacinquesimo  comma,  legge  n.  549, la
 liquidazione del danno da cessione invertita andava effettuata per un
 ammontare corrispondente al valore di mercato  del  fondo  alla  data
 della   perdita   della   proprieta'  da  parte  del  privato  e  del
 contemporaneo acquisto della proprieta' stessa a  titolo  originario,
 da parte della pubblica amministrazione, dipendente dal comportamento
 illecito (art.  2043 c.c.) dell'amministrazione medesima.
   Invece,  secondo il disposto dell'art. 1, sessantacinquesimo comma,
 legge n. 549 del 1995 (in vigore dal 1 gennaio 1996) la  liquidazione
 del  danno, in questa causa, va effettuata in base ai criteri dettati
 dall'art. 5-bis  legge n. 359 del 1992; in definitiva va liquidato un
 importo pari a circa un terzo del valore venale.
   Si osserva ora che la questione di  costituzionalita'  si  appalesa
 tutt'altro che manifestamente infondata.
   Invero  la  Corte  costituzionale  con  sentenza  n.  442  del 2-16
 dicembre 1993 (in Gazzetta Ufficiale del 22 dicembre 1993 prima serie
 speciale - n. 52), nel ritenere non fondata la censura mossa all'art.
 5-bis
  per disparita' di trattamento (art. 3  della  Costituzione)  tra  la
 fattispecie  dell'espropriazione  delle  aree  edificabili  e  quella
 dell'accessione invertita, ha rilevato che si trattava di fattispecie
 assolutamente divaricate e non comparabili, essendo caratterizzata la
 prima, dalla sussistenza di un procedimento secundum legem (ossia dal
 rispetto dei presupposti  formali  e  sostanziali  che  rappresentano
 altrettante  garanzie  per  il  proprietario espropriato) "e, quindi,
 vengono in rilievo le  opzioni  (discrezionali)  del  legislatore  in
 ordine  al  criterio di calcolo dell'indennita' di espropriazione; la
 seconda  ipotesi  (accessione  invertita) si colloca fuori dai canoni
 della  legalita'  perche'  e'  la  stessa  realizzazione   dell'opera
 pubblica sull'area occupata, ma non espropriata, ad impedire di fatto
 la   retrocessione   ed   a  comportare  l'effetto  traslativo  della
 proprieta' del suolo per accessione all'opera stessa) "e, quindi, ben
 puo' operare il diverso principio secondo cui chi ha subito un  danno
 per  effetto di un'attivita' illecita ha diritto ad un pieno ristoro.
 Per altro verso e' giustificato che l'ente espropriante il quale  non
 faccia   ricorso  ad  un  legittimo  procedimento  espropriativo  per
 acquisire l'area edificabile, subisca  conseguenze  piu'  gravose  di
 quelle  previste  ove invece sia rispettoso dei presupposti formali e
 sostanziali prescritti dalla legge perche' si determini l'effetto  di
 ablazione  dell'area  (cosi',  sentenza  citata, punto ''3-4....'')".
 Quanto sopra premesso, si puo' rilevare che  il  legislatore  con  la
 norma  censurata  ha  equiparato,  riguardo all'accessione invertita,
 "fattispecie assolutamente divaricate  e  non  comparabili;  infatti,
 prescrivendo  che  per  la  liquidazione  del  danno si applicano gli
 stessi principi vigenti  per  la  determinazione  dell'indennita'  di
 espropriazione, ha stabilito che la pubblica amministrazione che pone
 in  essere  un  comportamento  lesivo  di  un  diritto  soggettivo e'
 obbligata a risarcire non gia' l'intero danno provocato  al  privato,
 ma  a corrispondergli, a titolo risarcitorio, un importo pari a circa
 un terzo del pregiudizio subito.
   Orbene, come gia' osservato, nel caso di occupazione  appropriativa
 (o  accessione  invertita),  l'azione  del privato inerisce non ad un
 credito di controvalore in rispondenza ad un  lecito  acquisto  della
 proprieta'  a  titolo  originario,  ma ad un credito risarcitorio per
 fatto illecito  aquiliano  (art.  2043  c.c.).  Ne  consegue  che  la
 disparita'  di  trattamento  e  l'irrazionalita'  della  disposizione
 censurata (in riferimento all'art. 3, primo comma della Costituzione)
 e'  desumibile  innanzi  tutto,  sotto  il  profilo   delle   diverse
 conseguenze  giuridiche  del fatto illecito nel caso che responsabile
 del  comportamento  antigiuridico  sia  la  p.a.  e   nel   caso   di
 responsabilita'   aquiliana  facente  capo  a  soggetto  diverso.  In
 quest'ultima ipotesi l'autore  del  fatto  illecito  e'  obbligato  a
 risarcire   al  danneggiato  l'intero  pregiudizio  subito,  cioe'  a
 ristorarlo di tutte le conseguenze pregiudizievoli (almeno di  natura
 patrimoniale)  derivanti  dal fatto contra ius"; nella prima ipotesi,
 invece, la pubblica amministrazione, pur vertendosi sempre in tema di
 danno da illecito aquiliano, si avvale della  norma  (ingiustificata,
 in   base   al  principio  di  uguaglianza),  secondo  cui  l'obbligo
 risarcitorio e' limitato a circa un terzo del danno cagionato.
   Si  deve  rilevare  anche  che  la  disparita'  di  trattamento   e
 l'irrazionalita'  del citato art. 1, sessantacinquesimo comma, sembra
 configurarsi anche sotto un ulteriore profilo, cioe'  quello  che  il
 legislatore   prevede   e   disciplina  in  modo  uguale  fattispecie
 diseguali. Infatti, mentre nel caso di espropriazione secundum  legem
 il  privato  assoggettato alla procedura ablativa viene privato della
 proprieta' del fondo nel rispetto dei principi formali e  sostanziali
 ed  a  seguito di un procedimento che si conclude con la pronuncia di
 un decreto di esproprio, in conformita'  a  norme  di  legge  la  cui
 osservanza  costituisce  una  garanzia  di  legalita',  nel  caso  di
 accessione invertita (o espropriazione sostanziale) l'ablazione della
 proprieta' e' conseguenza di un comportamento illecito della pubblica
 amministrazione, fonte dell'obbligazione di risarcimento del danno.
   Tuttavia   l'ente  espropriante,  sia  che  faccia  ricorso  ad  un
 legittimo procedimento espropriativo, sia che non vi  faccia  ricorso
 ed  acquisisca  l'area  in  conseguenza  di  un  fatto  illecito,  e'
 obbligato  allo  stesso  modo;  in  entrambi  i  casi  e'  tenuto   a
 corrispondere  la  stessa somma; inoltre, il proprietario espropriato
 non gia' a seguito di procedimento espropriativo conforme a legge, ma
 a seguito di illecito della p.a.   (c.d. espropriazione  sostanziale)
 non  ha  diritto  al  risarcimento  dell'intero  danno subito, ma, in
 definitiva, ad un'indennita' di espropriazione (pari a circa un terzo
 del valore del bene), cosi' come il proprietario ablato a conclusione
 di un procedimento promosso  e  concluso  nel  rispetto  delle  norme
 formali e sostanziali che lo disciplinano.
   L'art.  l,  sessantacinquesimo  comma,  della legge n. 549 del 1995
 pone  anche   una   non   manifestamente   infondata   questione   di
 costituzionalita' anche in riferimento all'art. 42, terzo comma della
 Costituzione,  ai sensi del quale la proprieta' privata "puo' essere,
 nei casi previsti dalla legge, e salvo  indennizzo,  espropriata  per
 motivi d'interesse generale".
   Orbene, non sembra dubbio che la riserva di legge si riferisca pure
 ai presupposti sostanziali, ai modi e alle forme previste dalle norme
 ordinarie   vigenti   che   delineano   un  procedimento  finalizzato
 all'ablazione della proprieta' privata e che si articola  in  diverse
 fasi  e  si  conclude  con  il  decreto  di  esproprio (oppure con la
 cessione volontaria che ne tiene luogo) e per effetto  del  quale  si
 verifica  il  trasferimento della proprieta' del terreno in capo alla
 pubblica amministrazione e, piu' precisamente, all'ente espropriante.
   Quindi,  il  terzo  comma  dell'art.  42  della  Costituzione,  nel
 prevedere che la proprieta' privata puo' essere espropriata, nei casi
 stabiliti  dalla  legge,  per  motivi  di  interesse generale e salvo
 indennizzo, si riferisce all'espropriazione effettuata in base ad  un
 procedimento   conforme  a  legge  ed  idoneo  a  produrre  l'effetto
 dell'esproprio. Infatti, la  citata  norma  costituzionale  fa  salvo
 l'indennizzo,  vale  a dire l'indennita' di esproprio. Cio' significa
 che la norma presuppone ed esige che l'attivita' della p.a. si svolga
 nell'ambito ed attraverso una serie di atti  connotati  non  solo  da
 legittimita', ma anche da liceita' e dunque non lesivi del diritto di
 proprieta' del privato che, pur assoggettato al procedimento ablatrio
 ed  affievolito,  in  presenza delle condizioni previste dalla legge,
 viene acquisito dall'espropriante  solo  a  seguito  del  decreto  di
 esproprio;  "pronunciata  l'espropriazione  e  trascritto il relativo
 provvedimento, tutti i diritti  relativi  agli  immobili  espropriati
 possono essere fatti valere esclusivamente sull'indennita'" (art. 14,
 legge  22  ottobre  1971  n.  865  e  successive  modificazioni,  che
 riproduce il principio gia' dettato dall'art.    52,  secondo  comma,
 della legge 25 giugno 1865 n. 2359).
   L'art.  1,  sessantacinquesimo  comma,,  legge n. 549 del 1995, nel
 prevedere che nel caso di accessione invertita, il privato ha diritto
 ad una somma corrispondente all'indennizzo previsto dall'art. 5-bis ,
 legge n. 359 del 1992 (che presuppone  l'ablazione  della  proprieta'
 secondo legge), in definitiva viene ad equiparare all'ablazione della
 proprieta'  privata  per  effetto  della  pronuncia  del  decreto  di
 espropriazione, la  c.d.  espropriazione  sostanziale  (o  accessione
 invertita)  che,  per le caratteristiche contra ius che la connotano,
 non  ha  nulla  a  che  vedere (fatta eccezione per l'ablazione della
 proprieta') con l'esproprio "salvo indennizzo", previsto  dal  citato
 terzo  comma  dell'art.    42 della Costituzione, sicche' la suddetta
 equiparazione sembra non conforme alla citata norma costituzionale.
   L'art. 1, sessantacinquesimo comma, legge n. 549 non sembra neppure
 conforme al  precetto  dettato  dal  l'art.  97,  primo  comma  della
 Costituzione,  ai  sensi del quale i pubblici uffici sono organizzati
 secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati  il  buon
 andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione.
   Come  e'  stato  osservato  anche dalla dottrina, oltre ai principi
 della buona amministrazione e di imparzialita',  un  altro  principio
 essenziale   dell'azione  amministrativa  si  desume  dalle  numerose
 riserve di legge enunciate nella Costituzione (artt. 13 e segg.,  art
 24  e 113); esso e' il principio di legalita' del quale costituiscono
 alcune specificazioni gli articoli suddetti, l'art. 42, terzo comma e
 il primo comma dell'art. 97 citato.
   Si  puo'  aggiungere  che  il  principio  di  legalita'  non   solo
 costituisce uno dei principi cardine dell'ordinamento costituzionale,
 ma,  nel contesto dell'art. 97 ed in relazione alle finalita' da esso
 perseguite, tale principio assume una rilevanza peculiare. Invero  il
 principio    di   imparzialita'   dell'azione   amministrativa   (che
 costituisce negazione di quello dell'arbitrio) si ridurrebbe  ad  una
 enunciazione  meramente teorica se non fosse ancorato al principio di
 legalita' (salve, ovviamente, nell'ambito consentito dalle leggi,  le
 opzioni  discrezionali  della  p.a.); inoltre nemmeno il principio di
 buon andamento dell'amministrazione  potrebbe  essere  assicurato  se
 esso  non  fosse  improntato a criteri di legge ma a mere valutazioni
 soggettive.
   Considerato, dunque,  che  il  principio  di  legalita'  permea  il
 precetto  dettato  dall'art. 97, primo comma, della Costituzione, non
 si puo' certo ritenere che la norma censurata si armonizzi  con  tale
 principio;  piuttosto,  l'art. 1, sessantacinquesimo comma,, legge n.
 549  del  1995  puo'  essere  idoneo  a  stimolarne   (in   tema   di
 espropriazione  per pubblica utilita', per quel che qui interessa) la
 violazione. Infatti non si puo' non considerare  che  il  piu'  volte
 citato  sessantacinquesimo  comma,  equipara  il caso dell'accessione
 invertita e quello in cui la privazione della proprieta'  costituisce
 l'effetto  della  pronuncia  di un decreto di esproprio, con riguardo
 all'onere  economico  posto  a   carico   dell'espropriante   ed   al
 correlativo  diritto  spettante  al  privato  per  la  perdita  della
 proprieta' dell'area. In entrambi i casi il proprietario, privato del
 suo  diritto  sul  bene,  ha  diritto  ad  una  somma  corrispondente
 all'indennita'  di  espropriazione  da  calcolare  secondo  i criteri
 previsti dall'art. 5-bis  della legge n. 359 del 1992. Tuttavia, come
 piu' volte sottolineato, si tratta di fattispecie  assolutamente  non
 comparabili   perche',  nell'ipotesi  di  procedimento  espropriativo
 svoltosi  nel  rispetto  dei  presupposti   formali   e   sostanziali
 (stabiliti  anche  a  garanzia  dell'espropriato)  l'ablazione  della
 proprieta' si verifica in conformita'  a  legge  e  per  effetto  del
 provvedimento  di  espropriazione,  mentre,  nel caso dell'accessione
 invertita, l'azione della pubblica amministrazione si pone fuori  dai
 canoni  di legalita' e comporta la lesione del diritto soggettivo del
 privato,  fonte  dell'obbligazione   di   risarcimento   del   danno.
 Predeterminata  l'obbligazione  risarcitoria nella corresponsione non
 gia'  di  una  somma  pari  all'intero ammontare del danno subito dal
 privato, ma equivalente all'indennita' calcolata in base ai parametri
 dell'art. 5-bis  (e pari ad un terzo circa del valore del  bene),  la
 norma sospettata di incostituzionalita', in definitiva, sembra idonea
 ad incrinare lo stesso principio di legalita'.
   Basta  considerare  i  numerosi casi di accessione invertita che e'
 dato  cogliere  nell'  esperienza  giudiziaria  per  pervenire   alla
 conclusione   che   con   la   disciplina   introdotta  dall'art.  1,
 sessantacinquesimo comma, legge n. 549 del 1995,  non  solo  si  sono
 equiparate  fattispecie  incomparabili,  ma  anche  si  e'  posto  un
 fondamento normativo che  lascia  prevedere  una  moltiplicazione  di
 fattispecie  caratterizzate  dall'ablazione del diritto di proprieta'
 contra   legem.   Infatti,   tenuto    conto    che    l'obbligazione
 dell'amministrazione   espropriante   viene  a  coincidere,  nel  suo
 ammontare, sia quando la proprieta' del  terreno  venga  acquisita  a
 seguito   di  espropriazione  conforme  a  legge,  sia  quando  venga
 acquisita per effetto  di  occupazione  appropriativa  (o  accessione
 invertita),  il rispetto del principio di legalita', sotto il profilo
 suddetto, potrebbe apparire irrilevante.