Ricorso della regione Veneto, in persona del presidente pro-tempore
 della Giunta regionale, on. dott. Giancarlo  Galan,  rappresentata  e
 difesa  come  da  delega a margine del presente atto, ed in virtu' di
 deliberazione  di  g.r.  n.  4181   del   24   settembre   1996,   di
 autorizzazione  a  stare  in  giudizio,  dagli  avv.ti Romano Morra e
 proff. Giuseppe Franco Ferrari e Massimo  Luciani,  ed  elettivamente
 domicilata  presso  lo  studio  di quest'ultimo, in Roma, Lungotevere
 delle Navi n. 30, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per
 la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  del  d.-l.   6
 settembre  1996,  n.  463, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie
 generale n. 210 del 7 settembre 1996, "Interventi urgenti nei settori
 agricoli e fermo biologico della pesca per il 1996" (All. 1),  quanto
 all'art.  2,  commi  1  e  4,  nella  parte in cui si prescrive che i
 bollettini  di  aggiornamento  degli  elenchi   dei   produttori   da
 pubblicarsi   dall'AIMA  entro  il  31  marzo  1996,  senza  adeguata
 partecipazione regionale, costituiscono accertamento definitivo delle
 posizioni individuali, sostituiscono ad  ogni  effetto  i  bollettini
 precedentemente  pubblicati  e vincolano gli acquirenti ai fini della
 trattenuta e del versamento del prelievo supplementare;  all'art.  2,
 comma 2, nella parte in cui tale disposizione abroga l'art. 2-bis del
 d.-l. 23 dicembre 1994, n. 727, convertito con modificazioni in legge
 24  febbraio  1995, n. 46, definitivamente e "a decorrere dal periodo
 1995-1996"; all'art. 2, comma 3, nella parte in cui tale disposizione
 prevede un sistema di ricorsi estremamente oneroso per gli operatori;
 quanto all'art. 3, comma 1, nella  parte  in  cui  il  meccanismo  di
 compensazione  viene  gestito  in  sede  nazionale dall'AIMA, che tra
 l'altro "puo' avvalersi, a tal fine, attraverso  la  stipulazione  di
 apposita  convenzione,  della  collaborazione  di  enti  pubblici  od
 organismi privati", alla stregua dei criteri individuati  e  graduati
 dalle  lettere  a),  b),  c), d), e) penalizzando irragionevolmente e
 retroattivamente la Regione ricorrente; quanto all'art. 3,  comma  2,
 che  introduce  dopo  il comma 12 dell'art. 5 della legge 26 novembre
 1992, n. 468,  un  comma  12-bis  che,  pur  al  fine  di  consentire
 l'eventuale  restituzione  ai  produttori  di  somme trattenute dagli
 acquirenti, conferma  in  capo  all'AIMA  il  potere  di  operare  la
 compensazione   nazionale   sulla   base  delle  dichiarazioni  degli
 acquirenti e dei dati relativi alle situazioni mensili  pure  forniti
 dagli  acquirenti, sostanzialmente aggirando l'istanza regionale, cui
 compete il mero "monitoraggio  del  latte  commercializzato";  quanto
 all'art.  3, comma 3, nella parte in cui tale disposizione, ribadendo
 la disciplina  speciale  e  una  tantum,  introdotta  dai  precedenti
 decreti-legge  pure  impugnati,  impone agli acquirenti di operare il
 versamento del prelievo supplementare  entro  il  30  settembre  1996
 sulla  base  di  elenchi redatti dall'AIMA a seguito di compensazione
 nazionale operata entro il 25  settembre  1996,  con  riferimento  ai
 bollettini  di  aggiornamento di cui all'art.  2, comma 1, sulla base
 di    appositi    elenchi,    penalizzando    irragionevolmente     e
 retroattivamente  la Regione ricorrente; e quanto infine all'art.  3,
 comm 4  e  5  nella  parte  in  cui  il  programma  volontario  della
 produzione  e  la  correlata  redistribuzione  di  quote aggravano la
 predetta penalizzazione.
                               F a t t o
   1.  - Il regime delle c.d. quote latte, finalizzato al contenimento
 della produzione, da anni eccedente nel  mercato  europeo,  e'  stato
 introdotto  in  Italia,  dopo  un lungo contenzioso circa l'effettiva
 entita' della produzione interna  e  la  irrogazione  delle  relative
 sanzioni comunitarie, dalla legge 26 novembre 1992, n. 468.
   Tale testo normativo, dopo avere demandato, all'art. 2, comma 2, la
 redazione  di  elenchi  dei  produttori  titolari  di quota e la loro
 pubblicazione in appositi bollettini all'Azienda  di  Stato  per  gli
 interventi   nel  mercato  agricolo  (AIMA),  all'art.  2,  comma  2,
 limitatamente ai produttori di  associazioni  aderenti  alla  UNALAT,
 dispone  la  articolazione  della  quota  in  due  parti:  l'una (A),
 commisurata alla produzione di  latte  commercializzata  nel  periodo
 1988-1989;   l'altra   (B),   rapportata   alla  maggiore  produzione
 commercializzata nel periodo 1991-1992.
   Poiche' peraltro il regolamento CEE del Consiglio n. 804/68, del 27
 giugno 1968, contemplava la periodica  rideterminazione  delle  quote
 nazionali  spettanti  all'Italia,  i  commi  6-8  dello stesso art. 2
 assegnavano alle Regioni  il  compito  di  vigilare  sulla  effettiva
 produzione  dei  singoli  operatori  e  di  comunicare  all'AIMA  per
 l'aggiornamento del  bollettino  le  eventuali  situazioni  di  quota
 assegnata    superiore    a   quella   effettiva,   e   al   Ministro
 dell'agricoltura e foreste,  acquisito  il  parere  della  Conferenza
 permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato e le Regioni e sentite le
 organizzazioni professionali maggiormente rappresentative, in caso di
 eccedenza delle quantita' attribuite ai produttori alla  stregua  dei
 commi  2  e  3  rispetto  alle  quote  nazionali  individuate in sede
 comunitaria, di stabilire con proprio decreto i criteri generali  per
 il  pieno  allineamento  con  le  quote  nazionali  nell'arco  di  un
 triennio. Lo stesso  comma  8  imponeva  che,  con  riferimento  alle
 riduzioni obbligatorie della quota B, si tenesse conto "dell'esigenza
 di  mantenere  nelle  aree  di  montagna  e  svantaggiate  la maggior
 quantita' di produzione lattiera".
   2. - Il  d.-l.  23  dicembre  1994,  n.  727,  poi  convertito  con
 modificazioni  in  legge  24  febbraio  1995, n. 46 ha poi operato la
 riduzione delle quote B  per  singolo  produttore,  con  l'esclusione
 degli  operatori  delle stalle ubicate nelle zone montane di cui alla
 direttiva del Consiglio CEE 75/268 del 28 aprile 1975, da effettuarsi
 entro il 31 marzo 1995 con operativita' dalla campagna 1995-1996.
   La legge di conversione n. 46/1995  ha  innovato  il  decreto  come
 segue:
     a)  ha  previsto (art. 2, comma 1, lett. O.a)) la riduzione della
 quota A non in produzione, almeno qualora essa ecceda  il  50%  della
 quota A attribuita;
     b)  dopo  avere confermato la riduzione della quota B (lett. a)),
 ha escluso (lett. b)) da entrambe le riduzioni i produttori non  solo
 titolari  di  stalle  ubicate  in  zone  di montagna, ma anche quelli
 operanti "nelle zone svantaggiate e ad esse equiparate nonche'  nelle
 isole";
     c)  ha  consentito  (art.  2,  comma  2-bis) che i produttori che
 abbiano ottenuto, anteriormente all'entrata in vigore della legge  n.
 468/1992,  l'approvazione  di un piano di sviluppo o di miglioramento
 zootecnico da parte  della  Regione  e  che  lo  abbiano  realizzato,
 possano   chiedere   la  assegnazione  di  una  quota  corrispondente
 all'obiettivo   di   produzione   indicato  nel  piano  medesimo,  in
 sostituzione delle quote A e B.
   Piu' in generale il d.-l. n. 727/1994 e la legge n.  46/1995  hanno
 soppresso  la  previa  consultazione  della  Conferenza  tra  Stato e
 Regioni, rimettendo la istruttoria e la predisposizione del piano  di
 rientro esclusivamente all'istanza ministeriale.
     Inoltre,   la   normativa   ha   introdotto   un   meccanismo  di
 autocertificazione delle produzioni, in base al quale gli  acquirenti
 sono  autorizzati  a  considerare  i quantitativi autocertificati dai
 produttori.
   3. - La legge n. 46/1995 insieme con  il  decreto-legge  convertito
 veniva  impugnata  dalla  Regione del Veneto con ricorso rubricato n.
 23/1995  (all.  2),  con   allegazione   di   numerosi   profili   di
 incostituzionalita'.    Codesta  eccellentissima  Corte, a seguito di
 discussione  nella  pubblica  udienza  del  23  novembre  1995,   con
 decisione n. 520 del 28 dicembre 1995 accoglieva il predetto ricorso,
 in  una con quello presentato dalla Regione Lombardia e rubricato con
 n. r.g. 22/1995, sotto il profilo della incostituzionalita' dell'art.
 2, comma 1, della legge, nella parte in cui non vi si contemplava  il
 parere  delle Regioni interessate nel procedimento di riduzione delle
 quote individuali spettanti ai produttori di latte bovino.
   4. - Il Governo e' poi intervenuto nuovamente con  la  decretazione
 di  urgenza nel delicato settore de quo, adottando prima il d.-l.  15
 marzo 1996, n. 124 e poi, reiterando il primo, adottando il d.-l.  16
 maggio 1996, n. 260, impugnati con ricorsi  n.  r.g.  18  e  27/1996,
 pendenti  avanti  la eccellentissima Corte per la decisione, indi con
 il d.-l. 8 luglio 1996, n. 353, del pari  impugnato  con  ricorso  n.
 r.g.  33/1996,  e  pure  esso in attesa di decisione, e infine con il
 decreto-legge  impugnato  con  il  presente  ricorso.   Tale   ultimo
 decreto-legge, in specie:
     a)  demanda  all'AIMA,  entro  il  31  marzo  1996,  questa volta
 "Acquisito da parte del Ministro delle risorse agricole, alimentari e
 forestali  il  parere  del  Comitato   permanente   delle   politiche
 agroalimentari  e  forestali",  la  pubblicazione di un bollettino di
 aggiornamento degli elenchi dei produttori titolari di  quota  e  dei
 quantitativi  loro  spettanti  delle  quote  latte 1995-1996 (art. 2,
 comma 1);
     b) stabilisce che, ai fini della trattenuta e del versamento  del
 prelievo  supplementare per il 1995-1996, gli acquirenti siano tenuti
 all'osservanza esclusivamente delle riultanze del predetto bollettino
 di aggiornamento (art. 2, comma 4);
     c) non si  limita  piu'  a  sospendere  sino  al  31  marzo  1997
 l'efficacia  dell'art. 2-bis del decreto-legge n. 727/1994 convertito
 con modificazioni in legge n. 46/1995 (art. 2, comma  2),  ma  abroga
 definitivamente, a decorrere dal periodo 1995- 1996, tale disciplina;
     d)  detta  disposizioni  sulla  tutela  in via amministrativa dei
 produttori avverso  le  determinazioni  del  predetto  bollettino  di
 aggiornamento (art. 2, comma 3).
   5.  -  La  disciplina  di  cui  all'art.  2 della legge n. 46/1995,
 dichiarata incostituzionale dalla Corte  nella  citata  decisione  n.
 520/1995,  e' ora rchiamata ex novo, in quanto l'art. 2, comma 1, non
 detta nuove e diverse modalita' di  confezionamento  del  bollettino,
 pur  questa  volta  in presenza della previsione di un parere ex post
 del  Comitato  permanente  delle  politiche  agricole,  alimentari  e
 forestali.    Il  parere  di  tale Comitato, istituito nel seno della
 Conferenza Stato-Regioni ai sensi dell'art. 2, comma 6,  della  legge
 n.  491/1993,  non appare sufficiente ad integrare l'intervento della
 Conferenza in sede consultiva, dalla Corte  a  suo  tempo  dichiarato
 indispensabile.
   A prescindere da tale vizio procedurale, la disciplina in questione
 e'  da  se'  sola  sufficiente,  almeno  in  termini  previsionali, a
 determinare il virtuale azzeramento della quota B  nelle  aziende  di
 pianura, e in specie in quelle della Regione ricorrente - ad un primo
 calcolo  la quota B subirebbe infatti un brutale taglio del 74% circa
 - e una rilevante diminuzione della quota A.
   In altre parole, il bollettino di cui all'art. 2, commi 1 e 4,  del
 decreto-legge  impugnato  sostituisce  quelli  preveduti  dal  regime
 normativo precedente, introduce un  tardivo  parere  ex  post,  fuori
 termine  e  -  come detto - insufficiente, del Comitato istituito nel
 seno della conferenza Stato-Regioni, e in piu' assume  una  natura  o
 almeno   una   forza   particolare,  in  quanto  esso  ha  valore  di
 "accertamento definitivo" delle posizioni individuali dei  produttori
 (art.  2,  comma  1:  v.  supra,  punto  4.a)  e  del pari di vincolo
 esclusivo nei confronti degli acquirenti  (e  per  conseguenza  delle
 aspettative  patrimoniali  dei  produttori: art. 2, comma 4, e supra,
 punto 4.b). Inoltre esso interviene a regolamentare con  la  predetta
 peculiare  forza  i  rapporti  produttivi  nel  settore con efficacia
 retroattiva, a campagna 1995/1996 conclusa, con disastrosi effetti su
 interi  patrimoni  aziendali  e,  non   di   mero   riflesso,   sulle
 attribuzioni regionali, dato che l'automatismo degli effetti comporta
 la   virtuale   spoliazione   dei   poteri  regionali  di  indirizzo,
 programmazione e controllo del settore lattiero-caseario.
   Nella sostanza della disciplina applicata, poi, va ribadito che  la
 Regione  ricorrente,  a  differenza  di  altre  Regioni,  non  ha mai
 approvato - come ci si riserva di documentare in vista della pubblica
 udienza - piani di sviluppo e miglioramento  comportanti  aumenti  di
 produzione  del  latte  e  dunque,  a far data dal 12 marzo 1985, non
 annovera operatori in grado di  avvalersi  della  sostituzione  delle
 quote  A  e B con i piu' favorevoli obiettivi dei piani di sviluppo e
 miglioramento.
   Per sovrammercato,  la  introduzione  in  via  di  urgenza  di  una
 disciplina  sfavorevole nella sostanza e con efficacia retroattiva si
 accompagna alla individuazione (art. 2, comma 3 e supra,  punto  4.d)
 di  un  regime di autotutela da ricorso estremamente penalizzante per
 gli operatori.
   Di parzialmente nuova formulazione e' poi l'art. 3, i cui primi tre
 commi  introducono  irragionevoli   e   retroattivi   meccanismi   di
 compensazione,   estremamente   penalizzanti  degli  interessi  della
 Regione ricorrente.
   In particolare, il comma 3, prescrivendo, limitatamente al  periodo
 1995-1996,  il  versamento  del  prelievo supplementare dovuto "sulla
 base  di  appositi  elenchi  redatti  dall'AIMA   a   seguito   della
 compensazione  nazionale". La conseguenza e' la grave riduzione della
 possibilita' di procedere a compensazioni relative alla quota  B  per
 quelle  regioni  che, correttamente, come e' stato per la ricorrente,
 non  hanno  adottato,  successivamente  all'entrata  in  vigore   del
 Regolamento CEE 797/1985 e a quello successivo 2328/1991, alcun piano
 contenente     previsioni     di    incremento    della    produzione
 lattiero-casearia,  a  tutto  vantaggio di quelle Regioni che si sono
 gia' rese responsabili di illecito comunitario nella approvazione  di
 piani in aumento.
   L'art.  3 contempla poi un programma volontario di abbandono totale
 o parziale della produzione lattiera, previa  corresponsione  di  una
 indennita'  (cfr.  comma  4),  nonche'  la successiva redistribuzione
 delle quote stesse ai produttori che ne facciano  richiesta,  secondo
 specifici criteri di priorita', la cui applicazione deve in ogni caso
 assicurare   "che  almeno  il  50  per  cento  dei  quantitativi  sia
 attribuito nella regione o nella provincia autonoma  di  provenienza"
 (cfr. comma 5).
   In specie, vengono individuate le seguenti categorie:
     a)  giovani  agricoltori  di cui all'art. 4, comma 2, del decreto
 ministeriale n. 762 del 27 dicembre 1994;
     b) produttori con azienda ubicata nelle zone montane, di cui alla
 direttiva n. 75/268/CEE del Consiglio del 28 aprile 1975;
     c) produttori a  cui  e'  stata  ridotta  la  quota  B  ai  sensi
 dell'art.    2  della  legge  n.  46 del 1995, nei limiti della quota
 ridotta.
   Con il risultato  di  aggravare  ulteriormente  la  gia'  esistente
 irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra Regioni e tra singoli
 produttori.
   Le disposizioni di cui in epigrafe sono dunque  illegittime  per  i
 seguenti
                              M o t i v i
   1.  -  Occorre in limine rilevare che con il presente ricorso viene
 impugnato un decreto-legge, eppercio' un atto provvisorio  con  forza
 di  legge ai sensi dell'art. 77 della Costituzione. Non e' dato, allo
 stato,  divinare  il  futuro  delle  previsioni  normative  in   esso
 contenute:   non si puo' - cioe' - sapere se l'atto verra' convertito
 in legge, se in mancanza di  conversione  vi  sara'  sanatoria  degli
 effetti  comunque  prodotti  medio  tempore,  oppure  se  il  decreto
 decadra' senza alcun ulteriore intervento.
   E' dunque necessario sin d'ora  richiedere  che,  nell'eventualita'
 della   sanatoria   del  decreto  non  convertito,  le  questioni  di
 costituzionalita'  sollevate  con   il   presente   ricorso   vengano
 trasferite,  conformemente  al  principio  fissato  dalla sentenza n.
 84/1996,  sulla  legge  di  sanatoria.    Analogo  trasferimento   si
 richiede,   peraltro,   nell'eventualita'   che   il   decreto  venga
 semplicemente reiterato. Come la citata sentenza n. 84 ha  affermato,
 infatti,  cio'  che conta, nel giudizio di costituzionalita', sono le
 norme impugnate, non gia' le disposizioni che le "veicolano".
   Come prospetta  la  stessa  ordinanza  n.  130  del  1996,  ed  ora
 confermano   implicitamente   la   successiva  ordinanza  n.  197  ed
 esplicitamente la sentenza n. 270, il principio posto alla  base  del
 trasferimento  sulla  legge  di  sanatoria  deve  essere alla base, a
 fortiori  del  trasferimento  sull'eventuale  decreto   "reiterante",
 attesa  l'indubbia  continuita'  di  contenuto  normativo  che  - per
 definizione - lega l'atto reiterante all'atto reiterato. Cosi' stando
 le cose, anzi, si puo' rilevare come  il  decreto-legge  in  epigrafe
 venga   ora   impugnato  per  mero  tuziorismo  (atteso  che  sarebbe
 sufficiente  il  trasferimento  delle  questioni  gia'  sollevate  in
 riferimento  ai decreti-legge nn. 124/1996, 260/1996 e 353/1996 - qui
 reiterati - per definire la controversia di che trattasi), e comunque
 nella  misura  in cui si ritenesse che le innovazioni alla disciplina
 dei precedenti decreti siano sostanziali.
   2. - Nel merito, si deve, in primo luogo, lamentare:
   2.1. - Violazione degli artt. 77, 117 e 118 della Costituzione.
   Nella parte che qui interessa, l'impugnato  decreto  risulta  privo
 dei requisiti essenziali della straordinarieta', necessita' e urgenza
 che,  ai  sensi  dell'art.  77  della  Costituzione,  condizionano la
 legittimita' dell'adozione di decreti- legge da  parte  del  Governo.
 Nessuna  delle  previsioni  del  decreto  in  materia  di  produzione
 lattiera, invero, appare - almeno legittimamente (v. quanto si dira',
 sul punto, al n. 3.1. del presente ricorso) finalizzata allo scopo di
 fronteggiare situazioni cosi' chiaramente  segnate  dall'urgenza,  da
 richiedere  l'intervento  di  un  atto adottato ai sensi dell'art. 77
 della Costituzione e non il ricorso al normale  iter  legislativo  di
 cui agli artt. 70 e seguenti. Si tratta infatti di aggiustamenti (per
 giunta illegittimi) o di peggioramenti delle previsioni dettate dalla
 legge  26  novembre  1992, n. 468, e dalla legge 24 febbraio 1995, n.
 46, dei quali non  e'  dato  rinvenire,  in  alcun  modo,  l'urgenza.
 Urgenza  che,  del  resto,  e'  smentita  gia'  dal solo fatto che le
 previsioni  dettate  del  decreto-legge  impugnato   riguardano   una
 campagna lattiera gia' conclusa.
   In  realta',  ci  troviamo  qui  di fronte all'ennesimo episodio di
 illegittimo esercizio di un potere che la Costituzione  ha  concepito
 come  eccezionale  ("straordinario"),  e che invece viene sempre piu'
 frequentemente impiegato come  strumento  "ordinario"  di  produzione
 normativa primaria.
   Mancano  percio'  del  tutto  quei presupposti costituzionali della
 decretazione  d'urgenza  la  cui  carenza  e',  dalla  piu'   recente
 giurisprudenza  costituzionale,  ritenuta  censurabile  (sentenza  n.
 29/1995), specie quando sia evidente  e  conclamata  (sententenza  n.
 165/1995), come nella specie e'.
   Va  qui  precisato  che la Regione ricorrente non lamenta la pura e
 semplice violazione dell'art. 77 della Costituzione, bensi'  anche  e
 soprattutto  la  lesione  delle competenze costituzionali che ad essa
 sono  riconosciute.  E'  infatti  anche  attraverso   la   violazione
 dell'art.  77 della Costituzione da parte del decreto-legge impugnato
 che   tale   lesione   si   e'   consumata,   poiche'   il   Governo,
 illegittimamente esercitando le facolta' di  cui  all'art.  77  della
 Costituzione,  ha  finito  -  come  appresso  si  dimostrera'  -  per
 sottrarre alla Regione il potere di regolare un settore  come  quello
 della  produzione  lattiera,  che  la  Costituzione,  in  una  con la
 normativa ordinaria di trasferimento delle funzioni,  sine  dubio  le
 affida   nell'ambito   della   materia   "agricoltura".      Di  qui,
 l'ammissibilita' della relativa censura (cfr. sentenze nn.   32/1960;
 64 e 183/1987; 272 e 302/1988; 87/1996).
   Va  infine  sottolineato  che  il  decreto  impugnato si occupa del
 profilo del rapporto  Stato-Regione  nel  procedimento  di  riduzione
 delle  quote individuali spettanti ai produttori di latte bovino solo
 per aggiungere al comma 1 dell'art. 2  che  il  parere  del  Comitato
 permanente delle "politiche agroalimentari e forestali" ha ad oggetto
 "i   criteri  per  la  riduzione  delle  quote  individuali  previste
 dall'art. 2, comma 1, della legge 24 febbraio 1995, n. 46".
   Tale espressione non e' che una addizione meramente formale al dato
 del  precedente  art. 2 del d.-l. n. 353/1996, per il resto immutato.
 Resta dunque intatta l'alternativa gia'  prospettata  nei  precedenti
 ricorsi  in subjecta materia, ricordato in narrativa: gli atti di cui
 all'art. 2, comma 1 (e cioe' i bollettini)  sono  atti  di  indirizzo
 generale,   e  allora  per  essi  e'  necessario  l'intervento  della
 Conferenza Stato-Regioni nel suo plenum (e non  gia'  nella  versione
 dimidiata  del Comitato); ovvero, essi sono "provvedimenti specifici"
 (secondo la formula della sentenza n. 520/1995), e allora occorre  il
 parere delle sinole Regioni interessate.
   In  entrambi  i  casi, dunque, lo strumento consultivo previsto dal
 decreto-legge, oltre che tardivo, e' insufficiente ed illegittimo.
   Poiche' comunque nel frattempo il noto e temuto bollettino e' stato
 pubblicato, non si vede il senso della previsione in questione.
   3.1. - Specificamente viziati da illegittimita' costituzionale, per
 violazione degli artt. 11, 47, 117 e 118 della Costituzione, sono poi
 i commi 1 e 4 dell'art. 2 del d.-l. n. 463/1996.
   Il comma 1 prescrive che l'AIMA deve pubblicare appositi bollettini
 "di aggiornamento" degli elenchi dei  produttori  titolari  di  quota
 nonche' delle quote di loro spettanza per il periodo 1995-1996 "entro
 il   31  marzo  1996".  Tali  bollettini  costituiscono  accertamento
 definitivo delle posizioni  individuali,  e  sostituiscono  "ad  ogni
 effetto" i bollettini che l'AIMA ha precedentemente pubblicato per il
 periodo  di  riferimento.  A  sua  volta,  il comma 4 dispone che gli
 acquirenti del  latte  prodotto,  ai  fini  della  trattenuta  e  del
 versamento    del    prelievo   supplementare,   devono   considerare
 esclusivamente le quote individuali risultanti dai bollettini di  cui
 al  comma  1.    Come  si  evince  gia'  da  una  prima lettura, tali
 disposizioni introducon  o nel nostro ordinamento, ancorche' ad hoc e
 per la sola campagna 1995-1996, una categoria del tutto  speciale  di
 bollettini, i cui effetti sul settore lattiero-caseario e sul governo
 dello  stesso da parte delle Regioni sono devastanti. I bollettini di
 cui trattasi sono infatti  la  sola  fonte  di  individuazione  delle
 posizioni  dei  singoli  produttori  per  la  campagna  1995-1996,  e
 posseggono valore definitivo, nonche' sostitutivo di qualunque  altra
 precedente determinazione.
   Tali  bollettini,  pero', riguardano - illogicamente - una campagna
 che si e' gia' conclusa al momento in cui le  disposizioni  impugnate
 sono  divenute  operative.  Conseguentemente,  i loro effetti sono da
 considerarsi retroattivi. La campagna di  produzione  del  latte  non
 coincide  infatti  con l'anno solare, ma va dal 1 aprile al 31 marzo.
 Sin dall'inizio, dunque, sin dal primo  decreto  della  catena  della
 reiterazione,  i  bollettini  di  cui  all'art. 2, commi 1 e 4, erano
 concepiti come atti  destinati  a  produrre  effetti  pro  praeterito
 tempore  (e  cioe' per la campagna 1995-1996 ormai conclusa), ed anzi
 era addirittura (non semplicemente prevedibile ma)  scontato  che  la
 loro  pubblicazione  non  avrebbe potuto praticamente intervenire nel
 brevissimo spatium temporis intercorrente fra l'entrata in vigore del
 primo decreto impugnato n. 124/1996 (17 marzo)  e  il  successivo  31
 marzo,  data  di  conclusione della campagna 1995-1996.  A piu' forte
 ragione tale lagnanza vale avverso il d.-l. n. 463/1996,  entrato  in
 vigore il 7 settembre.  In realta', il nuovo strumento introdotto dal
 decreto  ("nuovo" perche', nonostante il nomen iuris di "bollettino",
 produce effetti assolutamente inediti) era dall'origine -  appunto  -
 destinato  ad  operare solo per il passato, senza alcuna possibilita'
 di  utilizzazione  per  il  futuro.   In questo modo si determina una
 pluralita' di violazioni delle menzionate previsioni  costituzionali.
 Anzitutto,  viene  violato,  in  una  con  gli  artt. 117 e 118 della
 Costituzione (che definiscono l'ambito di attribuzioni delle Regioni)
 e con  l'art.  41  (che  impone  il  controllo  e  l'indirizzo  della
 produzione  privata solo a fini sociali, che sono pero' qui del tutto
 assenti,  come  puo'  facilmente  evincersi  da  quanto  appresso  si
 considera),  l'art.  11  della  Costituzione  atteso che la ricordata
 scansione temporale delle campagne di produzione del latte e' fissata
 dal Regolamento CEE n.  804/1968.  Disciplinare  retroattivamente,  a
 campagna  da  tempo  conclusa,  le  posizioni individuali dei singoli
 produttori significa violare la lettera e lo spirito della  normativa
 comunitaria.  Questa,  infatti,  prevedendo una certa periodizzazione
 delle campagne di produzione  del  latte,  intende  far  si'  che  si
 realizzi   una  gestione  corretta  e  programmata  della  produzione
 lattiera  medesima,  che  deve  essere  calibrata  proprio  su  detta
 periodizzazione.  Sconvolgimenti  a  posteriori  della  disciplina di
 settore come quello determinato  dalle  disposizioni  impugnate  sono
 dunque   radicalmente   contrari   alla   normativa   comunitaria  (e
 conseguentemente all'ordine costituzionale dei rapporti fra  Stato  e
 Regioni,  che  quella  normativa contribuisce a definire). E' proprio
 allo scopo di assicurare quella corretta e programmata gestione,  del
 resto,  che l'art. 4, comma 2, della legge n. 468/1992 aveva previsto
 in via generale che i  bollettini  fossero  pubblicati  entro  il  31
 gennaio  di  ciascun  anno: che senso avrebbe avuto una pubblicazione
 successiva alla conclusione della campagna, quando i produttori hanno
 gia' determinato i loro obiettivi, ovvero li  hanno  gia'  raggiunti?
 Coerentemente,  invero, la stessa disposizione normativa prevedeva (e
 prevede) che i bollettini da pubblicarsi  "entro  il  31  gennaio  di
 ciascun  anno"  contenessero  "gli  elenchi aggiornati dei produttori
 titolari di quota e dei quantitativi ad essi  spettanti  nel  periodo
 avente inizio il 1 aprile successivo". Il bollettino aveva dunque (ed
 ha)  la  (ovvia)  funzione  di  determinare le quote spettanti per il
 futuro, non certo quella di  riferirsi  a  quantitativi  relativi  al
 passato.  Le  disposizioni  impugnate  determinano  dunque una vera e
 propria deroga alla previsione generale della legge n.  468/1992,  ma
 senza  alcuna  giustificazione  razionale  e  in spregio della stessa
 normativa comunitaria.
   Violati, parallelamente, sono, di nuovo, in una con l'art. 41 della
 Costituzione, gli artt. 117 e 118. Le Regioni, alle quali  la  stessa
 sentenza  n.  520/1995  riconosce un ruolo preminente nel governo del
 settore lattiero-caseario, sono  totalmente  spossessate  delle  loro
 attribuzioni  programmatorie  dagli  effetti  retroattivi  dei  nuovi
 bollettini, che determinano conseguenze del tutto incontrollabili sia
 per i produttori che per l'Ente territoriale preposto - come detto  -
 al governo del settore. Il paradosso di uno strumento concepito quale
 mezzo di programmazione (il bollettino) che si trasfigura in mezzo di
 registrazione  di  realta'  pregresse (il nuovo bollettino creato dal
 primo e dal quarto comma dell'art. 2) e' evidente. Ed e' un paradosso
 che determina una palese illegittimita' costituzionale, nella  misura
 in  cui  da  esso  consegue  la sottrazione alle Regioni di qualunque
 facolta' di governo e programmazione della produzione  lattiera,  che
 viene  assunta  come  un  dato,  riferito  al  passato, e non come un
 obiettivo proiettato (come dovrebbe essere) nel futuro.  Cosi' stando
 le cose, si potrebbe anche osservare che, ove all'impugna  to decreto
 fosse stata davvero sottesa un'urgenza, questa non avrebbe potuto che
 stare  nell'intenzione  di  determinare effetti retroattivi su di una
 campagna di produzione lattiera gia'  da  tempo  conclusa:    proprio
 questa,  e  non  altra,  e'  infatti  la conseguenza della previsione
 normativa qui censurata. Cio',  pero',  in  aperta  violazione  della
 Costituzione  e delle norme interposte che ne integrano le previsioni
 (in particolare, del menzionato Regolamento CEE  n.  804/68  e  della
 legge  n.  468/1992),  perche'  - come si e' rilevato - la disciplina
 retroattiva  della  campagna  1995-1996  ha  leso   le   attribuzioni
 regionali e violato i precetti comunitari. Se urgenza davvero vi era,
 dunque,  era  un'urgenza  incostituzionale,  eppercio' non assumibile
 quale legittimo fondamento dell'uso  di  un  potere  di  decretazione
 d'urgenza. Tanto, ad ulteriore conferma delle censure gia' formulate,
 in  riferimento  agli  artt.  77,  117  e  118,  al punto n. 2.1. del
 presente ricorso.
   3.2. - Violazione degli artt. 3, 24,  113  della  Costituzione,  in
 riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione.
   L'art.  2,  terzo  comma,  del decreto-legge impugnato definisce un
 discutibile - sotto tutti i profili - regime di ricorsi.
   Le sue lacune e piu' ancora i suoi sviamenti di potere  legislativo
 sono  molteplici  e  gravissimi,  proprio  per  i  loro effetti sulle
 prerogative regionali.
   Si considerino infatti le seguenti anomalie:
     il dies a  quo  dei  ricorsi  amministrativi  in  opposizione  da
 proporre  all'AIMA e' incerto, non essendo chiaro se la pubblicazione
 menzionata  nel  terzo  comma  dell'art.  2  sia  la  diffusione  del
 bollettino  a  cura  della Regione (la conoscenza degli operatori non
 puo' certo avere luogo nello stesso giorno) o la riproduzione di esso
 in Bollettino ufficiale della Regione;
     il termine assegnato  e'  brevissimo,  ben  piu'  di  quanto  non
 contempli  la  revisione dei rimedi amministrativi operata con d.P.R.
 n. 1199/1971;
     il ricorso giurisdizionale sembra essere possibile, sia  in  caso
 di  silenzio-rigetto  da  parte dell'AIMA che di reiezione esplicita,
 solo dopo la pronuncia sul ricorso amministrativo in opposizione, con
 il risultato che si tenta di operare una restrizione  neppure  troppo
 occulta  della  tutela  giurisdizionale,  in  spregio  non  solo alle
 disposizioni  costituzionali  citate  in  epigrafe,  ma  altresi'  ai
 principi  della riforma del processo amministrativo operata con legge
 n. 1024/1971. E' chiaro trattarsi di misura sostanzialmente ritorsiva
 a seguito delle massicce soccombenze giudiziali  subite  sin  qui  da
 AIMA,  EIMA  e  MIRAAF avanti i giudici amministrativi di primo grado
 come di appello, sia in sede cautelare  che  di  merito.    In  altri
 termini,    sembra   reintrodotto   il   superato   principio   della
 definitivita'    dell'atto    amministrativo    quale     presupposto
 dell'impugnazione giurisdizionale;
     l'eliminazione  della autocertificazione prevista dall'art. 2-bis
 della legge n. 46/1995 (secondo comma dell'art.  2)  esclude  che  la
 proposizione   del   ricorso  in  opposizione  possa  consentire  pur
 provvisoriamente la percezione da parte dei produttori  del  compenso
 corrisposto  dagli  acquirenti  pur  con riferimento - si badi - alla
 campagna gia'  conclusa,  sicche'  chi  vanta  crediti  per  consegne
 operate  legittimamente  in  tempi  in  cui la disciplina retroattiva
 sfavorevole  non  era  vigente non ha alcuna speranza di riscuoterli,
 nonostante la proposizione del rimedio amministrativo;
     infine, poiche' gli accertamenti  da  effettuare  a  seguito  dei
 ricorsi  in  opposizione e dei ricorsi giurisdizionali amministrativi
 richiederanno tempi medio-lunghi, le compensazioni previste dall'art.
 3 dello stesso decreto impugnato non potranno essere  effettuate  nei
 tempi  stabiliti  dal  secondo  comma  (ancor  piu'  brevi  di quelli
 preveduti dal decreto-legge n. 353/1996). Gli operatori si troveranno
 dunque nell'alternativa, distruttiva dei loro diritti di  difesa,  di
 non  impugnare  per  incassare le compensazioni, anche in presenza di
 errori o abusi, o di impugnare, correndo il rischio di restare  privi
 di  incassi  per mesi o per anni, pur con riferimento a consegne gia'
 eseguite nella campagna conclusa.
   Le gravi disfunzioni processuali sopra sommariamente descritte  non
 potranno  non  trasformarsi in elementi di ulteriore lesivita' per le
 Regioni della disciplina  contestata;  queste  ultime,  gia'  private
 ancora  una  volta  di  qualunque  potere  di  intervento,  pur  solo
 consultivo, sui tagli da operare, dovranno cosi' subire anche  l'onta
 della  impossibilita'  virtuale di governare sul piano programmatorio
 un comparto della politica agraria che non potra' non venire percorso
 da un contenzioso capillare, diffuso e squassante.
   4.1. - Violazione degli artt. 11, 5, 117 e 118  della  Costituzione
 sotto  il  profilo  della  contrarieta'  a  norme comunitarie e della
 invasione della sfera  di  competenza  legislativa  e  amministrativa
 regionale.
   Il  decreto impugnato, non introducendo alcun nuovo criterio per il
 riparto dei tagli alla sovrapproduzione nazionale di latte, non  puo'
 non  sottendere  il  richiamo  alla disciplina contenuta nell'art.  2
 della legge n. 46/1995, pur calandola in uno strumento amministrativo
 (il "nuovo" bollettino) dotato - come si e'  detto  -  di  una  forza
 assolutamente peculiare. Ne deriva che devono essere riproposte (come
 gia'  si e' fatto in occasione dell'impugnazione del decreto-legge n.
 124/1996, del decreto-legge  n.  260/1996,  e  del  decreto-legge  n.
 353/l996) in questa nuova ottica censure a suo tempo formulate contro
 l'art.  2  della  legge  n.  46/1995, e ora rilegittimate e dotate di
 nuovo vigore, nonostante la decisione n. 520/1995,  anche  alla  luce
 della  retroattivita'  contestata sub 3.1.  La Regione ricorrente non
 ha adottato, dopo il 12 marzo 1995, data di  entrata  in  vigore  del
 Regolamento   CEE  797/1985,  che  insieme  al  successivo  2328/1991
 disciplina i piani  di  sviluppo  e  di  miglioramento,  alcun  piano
 contenente     previsioni     di    incremento    della    produzione
 lattiero-casearia.  Tale  correttezza  di  comportamento  viene  cosi
 penalizzata,  e al contrario l'illecito comunitario commesso da altre
 Regioni viene premiato, anziche' sanzionato.  Si violano cosi' l'art.
 11 della Costituzione, e gli artt. 5, 117 e  118,  sotto  il  profilo
 della  competenza legislativa e amministrativa regionale, a suo tempo
 correttamente esercitata nel rispetto degli obblighi comunitari e ora
 penalizzata sia per il futuro che per il passato dal premio accordato
 ad altre Regioni, gia' responsabili  di  illecito  comunitario  nella
 approvazione   di   piani   in   aumento.   Si   intende  documentare
 specificamente  che  il  Ministero  dell'agricoltura  a   suo   tempo
 richiamo'  espressamente  le  Regioni,  e in specie la ricorrente, al
 rispetto del divieto di approvazione di piani in aumento. Sicche' ora
 il comportamento dell'Esecutivo non si limita a tenere conto  di  uno
 stato  di  fatto,  ma  legalizza con un nuovo illecito comunitario un
 precedente illecito, dandogli dignita' di presupposto fattuale da cui
 trarre le mosse. Ne' l'aspettativa della  Regione  ricorrente  e  dei
 suoi  produttori  al  rispetto  della  legalita'  da parte di tutti i
 soggetti  coinvolti  nella  disciplina   di   settore   puo'   venire
 prospettata come generico affidamento travolgibile, per giunta in via
 di  urgenza  e  in  forma  retroattiva  (su  tale problema, valgano i
 principi   che   la   piu'   recente   giurisprudenza   di    codesta
 eccellentissima Corte ha fissato in tema di leggi di sanatoria).
   4.2.  -  Violazione  degli  artt.  3  e  41  della Costituzione, in
 riferimento agli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione.
   L'illegittimita'   costituzionale   prospettata   sub   4.1.   puo'
 configurarsi anche come violazione degli artt. 3 e 41, in riferimento
 agli  artt.   5, 117 e 118 della Costituzione, per la discriminatoria
 quanto ingiustificata penalizzazione  degli  operatori  agricoli  del
 settore  lattiero-caseario  della  Regione ricorrente, non fondata su
 alcun ragionevole parametro classificatorio, ed anzi imperniata su di
 un parametro espressamente vietato e configurato  come  un  disvalore
 dalla   normativa   comunitaria.      La  compressione  o  peggio  la
 soppressione della  attivita'  produttiva  pregiudica  non  solo  gli
 stessi   operatori   colpiti,   ma  anche,  e  non  di  riflesso,  la
 effettivita' della funzione legislativa e  amministrativa  regionale,
 vanificata nella sua sostanza.
   4.3.  -  Violazione  degli  artt.  5, 117 e 118 della Costituzione,
 anche con riferimento all'art.  2,  settimo  comma,  della  legge  n.
 468/1992.  Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato
 e Regioni.
   Nella   decisione   n.   520/1995,   piu'   volte  citata,  codesta
 eccellentissima Corte ha ritenuto  non  incostituzionale  la  mancata
 previsione nella legge n. 46/1995 del necessario coinvolgimento della
 Conferenza  Stato-Regioni,  atteso che essa va coinvolta soltanto per
 la determinazione degli  indirizzi  generali  della  legislazione  da
 adottare.  La  Corte  ha pero' dichiarato incostituzionale la mancata
 previsione "di qualsivoglia partecipazione regionale al  procedimento
 di   riduzione  delle  quote  individuali",  anche  alla  luce  della
 precedente  diretta  preposizione  delle  Regioni  stesse,  ad  opera
 dell'art.  2,  secondo comma, della legge n. 468/1992, alla procedura
 di riduzione. In altre parole, la Corte ha ritenuto che  la  presenza
 regionale    dovesse   essere   garantita   non   tanto   "a   monte"
 dell'intervento legislativo, giacche' la consultazione e'  prescritta
 solo sui lineamenti generali e non sui singoli testi di legge, quanto
 piuttosto   -  e  imprescindibilmente  -  "a  valle"  dell'intervento
 legislativo, una volta che  debba  darglisi  attuazione  mediante  la
 adozione del bollettino che poi le Regioni sono tenute a divulgare.
   Orbene,  la  statuizione  della  Corte ha bensi' avuto l'effetto di
 introdurre additivamente nell'art. 2 della legge n. 46/1995 il parere
 regionale non originariamente inclusovi dal legislatore statale.
   Ma  tale  inserimento  valeva  per  il  procedimento  ordinario  di
 produzione  del bollettino. Nel caso di specie, invece, i decreti nn.
 124/1996, 260/1996 e 353/1996 ed oggi il decreto-legge  n.  463/l996,
 hanno  previsto  la  adozione  di un bollettino unico nel suo genere,
 dotato - come si e' detto - di una forza speciale (essendo conclusivo
 per i produttori e  definitivo  per  gli  acquirenti)  e  addirittura
 assoggettato ad una tutela rafforzata contro impugnative dei soggetti
 da  esso pregiudicati.  Come gia' rilevato, rispetto a tale specie di
 bollettino,  ridisciplinato  nel  procedimento,  nella  forza,  negli
 effetti,  nella  tutela,  il  legislatore  governativo avrebbe dunque
 dovuto prevedere, secondo il facilmente comprensibile precetto  della
 Corte,  l'intervento  partecipativo  regionale in vista dell'adozione
 del bollettino, cioe' appunto  a  valle  del  decreto-legge,  ma  per
 effetto  delle previsioni da contenersi in esso, in vista del riparto
 dei tagli da praticare.  Viceversa, il legislatore, ricadendo nel suo
 comportamento di  sempre,  non  ha  previsto  alcun  individualizzato
 intervento regionale in tale fase. Gia' in riferimento ai dd.-ll. nn.
 124/1996,  260/1996  e  353/1996,  precedentemente  impugnati, a tale
 titolo non valeva la seduta del Comitato permanente per le  politiche
 agricole,  alimentari  e  forestali  del  15 febbraio 1995, in cui il
 Ministro ha  semplicemente  preannunciato  il  ricorso  ad  un  nuovo
 decreto-legge,  il  cui  testo era predisposto in versione diversa da
 quella poi emanata, senza fornire alcuna indicazione sulle operazioni
 da porre concretamente in essere. Con cio' il Ministro non  solo  non
 ha adempiuto all'onere di informazione della Conferenza Stato-Regioni
 circa  i  lineamenti generali della politica legislativa, ma comunque
 non ha soddisfatto le prescrizioni della Corte quanto al procedimento
 di riduzione.
   Il che e' fattualmente confermato dalla avvenuta predisposizione di
 un bollettino, durante la elaborazione del quale  le  Regioni,  e  in
 specie la ricorrente e le altre interessate dai tagli, non sono state
 consultate ad alcun titolo.
   Ne'  - si ribadisce - tale parere individuale avrebbe potuto essere
 surrogato da sedi  di  consultazione  collegiale  quali  il  Comitato
 permanente (v. a tal proposito il verbale della seduta del 25 gennaio
 1995   dal  quale  si  evince  che  il  parere  e'  stato  reso,  con
 l'astensione oltretutto dell'Assessore della Regione Lombardia,  piu'
 con riferimento al d.-l.  da adottarsi (ancorche' poi adottato in ben
 diversa  stesura),  che non ai criteri per la riduzione delle quote).
 In riferimento al d.-l.   n. 260/1996, il governo  non  ha  proceduto
 neppure all'adozione del menzionato - e censurato - procedimento.
   Nel  decreto-legge  n. 353/l996, la previsione la cui assenza era a
 suo tempo lamentata nei primi ricorsi  avverso  il  decreto-legge  n.
 124/1996  e  il  decreto-legge n. 260/1996, e' comparsa, tardivamente
 quanto inefficacemente, ed e' stata ribadita nel d.-l. ora impugnato.
   Tardivamente, perche' il  termine  per  il  bollettino  era  ed  e'
 scaduto  ed  esso,  pur in ritardo ulteriore, e' stato effettivamente
 pubblicato, senza che il parere prescritto ora per allora  sia  stato
 reso;  inefficacemente  perche' non si vede che effetto la previsione
 possa produrre, data la tardivita' di essa  rispetto  al  bollettino.
 Salvo che il legislatore governativo non abbia avuto in occasione del
 d.-l.  n.  353/1996,  e tuttora non abbia, l'ingenuita' (o la cattiva
 coscienza) di ritenere che il parere possa essere  espresso  ora  per
 allora  in  funzione  di  sanatoria,  che  a  livello di procedimenti
 costituzionalmente disciplinati non dovrebbe essere ammissibile.
   5. - Violazione degli  artt.  3,  97,  11,  41,  117  e  118  della
 Costituzione.
   Quanto all'art. 3, il decreto-legge n. 463/l996 contempla, al terzo
 comma,  limitatamente  alla  stagione  1995-1996  gia'  conclusa,  il
 versamento del prelievo supplementare dovuto, sulla base  di  elenchi
 redatti   dall'AIMA   a   seguito   della   compensazione  nazionale.
 Parallelamente,   l'art.   3,  primo  comma,  sostituendo  l'art.  5,
 dodicesimo comma, della legge n. 468/1992, prevede  che  "qualora  si
 determinino  le  condizioni  per  l'applicazione  della compensazione
 nazionale" essa e' disposta dall'AIMA.
   Non e' dato comprendere cosa il  caotico  e  contraddittorio,  piu'
 ancora  che  rapsodico,  legislatore  nazionale  abbia  cosi'  voluto
 significare.  La lettera del decreto impugnato  sembrerebbe  mostrare
 che  egli  abbia  inteso  che, cosi' come era previsto dalla legge n.
 468/1992, la compensazione nazionale sia  meramente  eventuale:  tale
 compensazione  e'  infatti destinata a compiersi solo "qualora" se ne
 determinino le "condizioni".
   Non si puo' pero' trascurare che il 26 agosto e'  stato  pubblicato
 il decreto-legge n. 440/1996, con il quale la compensazione nazionale
 e'  rimasta  la  sola  ammessa.   Che si e' inteso dunque fare? Si e'
 voluto abrogare cio' che si era da pochissimi giorni previsto? Ci  si
 e'  ricreduti?  Ci si e' semplicemente "dimenticati" di cio' che solo
 pochi giorni prima s'era fatto?
   In realta', si e' creata una enorme confusione, in  violazione  dei
 principi costituzionali di efficienza e buon andamento della pubblica
 amministrazione,   determinando  l'impossibilita'  per  gli  enti  di
 governo del settore - in primis per le Regioni - di agire sulla  base
 di  un  quadro normativo chiaro. Delle due, comunque, l'una: o qui si
 e' inteso confermare quanto previsto dal d.-l. n. 440/1996, oppure si
 e' inteso ritornare alla disciplina previgente. Nel  primo  caso,  la
 relativa  previsione  deve considerarsi illegittima per i motivi gia'
 evidenziati dalla Regione Veneto in  sede  di  ricorso  avverso  tale
 provvedimento  legislativo.  Come  in  quella sede si e' sostenuto (e
 riportiamo qui testualmente le relative considerazioni),  invero,  la
 soppressione del livello provinciale di compensazione, non sostituito
 da  alcuna  istanza  regionale, non solo opera l'ennesimo by-pass del
 governo  regionale,  ma  reca  ancor  piu'  grave  pregiudizio   agli
 interessi  degli  agricoltori  della  Regione  ricorrente  -  piu' si
 innalza infatti, il livello della compensazione,  meno  e'  probabile
 che le eccedenze locali possano trovare aggiustamento e compensazione
 senza  danno  per  la  produzione complessiva a livello provinciale e
 regionale - e, in modo non indiretto ne' riflesso  ma  (come  rilevo'
 gia'  la  sentenza  n.  520 del 1995) immediato, all'interesse stesso
 della  Regione  ricorrente  ad   esercitare   le   proprie   potesta'
 programmatorie del settore.
   Si  rifletta  invece  su  come  sarebbe  piu'  semplice e snello il
 procedimento di compensazione se esso fosse  affidato  alle  Regioni,
 come  livello  di programmazione e come Enti. Ciascuna opererebbe per
 proprio conto e dovrebbe garantire risultati che  in  sede  nazionale
 avrebbero  al  massimo  bisogno  di  essere  coordinati.    Si  badi:
 imboccare tale strada non sarebbe meramente opportuno  o  conveniente
 (cio' che puo' non rilevare nel giudizio di costituzionalita'), ma e'
 costituzionalmente  necessario,  per  porre rimedio ad una situazione
 ormai  paradossale,  che  vede  interventi  normativi  del   Governo,
 adottati  a fini correttivi, determinare illegittimita' ed incoerenze
 ancor piu' gravi e palesi di quelle pregresse, cui si sarebbe voluto,
 nelle intenzioni, rimediare.
   Tornando  all'alternativa  prima prospettata: se si e' inteso, qui,
 tornare invece  alla  disciplina  previgente,  confermando  cioe'  un
 doppio  livello  di  compensazione,  nel  quale  a  quello sulla base
 provinciale gestito dalle APL si affianca, o piuttosto si sovrappone,
 quello nazionale, deve dirsi che i guasti prodotti dalle quote e  dai
 loro  meccanismi attuativi, a seguito della legge n. 46/1995, vengono
 aggravati.   I  produttori  veneti,  infatti,  gia'  penalizzati  dal
 legislatore  nazionale  per  le  modalita' di riparto dei tagli della
 produzione   giudicate   proceduralmente   scorrette    da    codesta
 eccellentissima  Corte nella sentenza n. 520/1995, si ritroveranno in
 una condizione di molto minore  (se  non  inesistente)  probabilita',
 rispetto  a quelli di altre Regioni avvantaggiate o meno penalizzate,
 di operare una pur  limitata  compensazione  relativa  alla  quota  B
 (ridotta  a  seguito  della  legge  n. 46/1995), a vantaggio di altre
 Regioni in cui, pur avendo i relativi produttori superato, spesso  di
 gran  lunga,  la somma delle quote A e B senza subire peraltro alcuna
 riduzione  per  effetto  della  legge  n.  46/1995,  i   margini   di
 compensazione  sono  molto  piu'  elevati.    Col  risultato  che  la
 irragionevole disparita' di trattamento tra  Regioni  e  tra  singoli
 produttori  si  aggrava: la casuale appartenenza alla associazione di
 una zona produttiva ha effetti sulla compensazione, a prescindere  da
 ogni  ragionevole  correlazione  con  l'effettiva differenza, su base
 individuale e/o regionale, tra quota assegnata  in  base  alle  norme
 comunitarie  e eccedenza prodotta. Con il che, identici comportamenti
 produttivi  degli  operatori  e  comportamenti  amministrativi  delle
 Regioni  (all'atto  della  approvazione  di  piani  in  aumento) sono
 trattati diversamente in modo casuale o addirittura penalizzante.  Di
 qui, oltre che la violazione degli artt.  3  e  97,  la  lesione  dei
 principi   del  diritto  comunitario  e  della  sfera  di  competenze
 legislative e amministrative regionali.
   Si aggiunga che, anche sotto questo profilo, la  retroattivita'  di
 una  disciplina  che  interviene  ad  anno di riferimento concluso ha
 effetti abnormi e aggrava la gia' patente irragionevolezza.    L'art.
 3, quinto comma, sempre nella stessa ottica e incorrendo nelle stesse
 illegittimita',  introduce  infine  una  redistribuzione  di quote, a
 titolo oneroso, secondo priorita' penalizzanti per il Veneto e per  i
 suoi  produttori.  Con il risultato dell'ulteriore aggravamento degli
 squilibri descritti.
   6.  -  In  estrema  sintesi,  il  provvedimento   legislativo   qui
 impugnato,  nella  parte  che  interessa,  e'  ispirato alla ratio di
 individuare, quale strumento attuativo  delle  contestate  scelte  di
 merito  contenute  nell'art.  2 della legge n. 46/1995, un bollettino
 assolutamente unico nel suo genere e munito di  caratteri  del  tutto
 speciali:  la  retroattivita'  rispetto  alla campagna ormai conclusa
 (art. 2,  comma  primo),  la  definitivita'  rispetto  ai  produttori
 (ibidem)  e  agli acquirenti (quarto comma), la non definitivita' nel
 senso amministrativo del termine (per impugnarlo  giurisdizionalmente
 occorre  infatti avere previamente esperito il rimedio amministrativo
 in opposizione avanti l'AIMA: terzo comma),  la  non  sostituibilita'
 con   strumenti   autocertificativi  precedentemente  introdotti  dal
 Governo sempre in via di urgenza (secondo  comma),  la  capacita'  di
 precludere  persino  le  compensazioni dovute in base alla disciplina
 comunitaria se l'operatore lo abbia attaccato con  impugnazioni,  per
 tutta  la durata di tempo necessaria per definirle.  Per altro verso,
 si prevede una disciplina della compensazione  e  delle  quote  latte
 (art.  3)  del  tutto  dimentica  delle esigenze e delle attribuzioni
 regionali.  Per tutto questo, le previsioni del decreto impugnato che
 riguardano la produzione lattiera appaiono complessivamente  e  nella
 loro  integrita'  costituzionalmente  illegittime  per  i  vizi sopra
 esposti.