Ricorso della regione Veneto, in persona del presidente pro-tempore della Giunta regionale, on. dott. Giancarlo Galan, rappresentata e difesa come da delega a margine del presente atto, ed in virtu' di deliberazione di g.r. n. 4181 del 24 settembre 1996, di autorizzazione a stare in giudizio, dagli avv.ti Romano Morra e proff. Giuseppe Franco Ferrari e Massimo Luciani, ed elettivamente domicilata presso lo studio di quest'ultimo, in Roma, Lungotevere delle Navi n. 30, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.-l. 6 settembre 1996, n. 463, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 210 del 7 settembre 1996, "Interventi urgenti nei settori agricoli e fermo biologico della pesca per il 1996" (All. 1), quanto all'art. 2, commi 1 e 4, nella parte in cui si prescrive che i bollettini di aggiornamento degli elenchi dei produttori da pubblicarsi dall'AIMA entro il 31 marzo 1996, senza adeguata partecipazione regionale, costituiscono accertamento definitivo delle posizioni individuali, sostituiscono ad ogni effetto i bollettini precedentemente pubblicati e vincolano gli acquirenti ai fini della trattenuta e del versamento del prelievo supplementare; all'art. 2, comma 2, nella parte in cui tale disposizione abroga l'art. 2-bis del d.-l. 23 dicembre 1994, n. 727, convertito con modificazioni in legge 24 febbraio 1995, n. 46, definitivamente e "a decorrere dal periodo 1995-1996"; all'art. 2, comma 3, nella parte in cui tale disposizione prevede un sistema di ricorsi estremamente oneroso per gli operatori; quanto all'art. 3, comma 1, nella parte in cui il meccanismo di compensazione viene gestito in sede nazionale dall'AIMA, che tra l'altro "puo' avvalersi, a tal fine, attraverso la stipulazione di apposita convenzione, della collaborazione di enti pubblici od organismi privati", alla stregua dei criteri individuati e graduati dalle lettere a), b), c), d), e) penalizzando irragionevolmente e retroattivamente la Regione ricorrente; quanto all'art. 3, comma 2, che introduce dopo il comma 12 dell'art. 5 della legge 26 novembre 1992, n. 468, un comma 12-bis che, pur al fine di consentire l'eventuale restituzione ai produttori di somme trattenute dagli acquirenti, conferma in capo all'AIMA il potere di operare la compensazione nazionale sulla base delle dichiarazioni degli acquirenti e dei dati relativi alle situazioni mensili pure forniti dagli acquirenti, sostanzialmente aggirando l'istanza regionale, cui compete il mero "monitoraggio del latte commercializzato"; quanto all'art. 3, comma 3, nella parte in cui tale disposizione, ribadendo la disciplina speciale e una tantum, introdotta dai precedenti decreti-legge pure impugnati, impone agli acquirenti di operare il versamento del prelievo supplementare entro il 30 settembre 1996 sulla base di elenchi redatti dall'AIMA a seguito di compensazione nazionale operata entro il 25 settembre 1996, con riferimento ai bollettini di aggiornamento di cui all'art. 2, comma 1, sulla base di appositi elenchi, penalizzando irragionevolmente e retroattivamente la Regione ricorrente; e quanto infine all'art. 3, comm 4 e 5 nella parte in cui il programma volontario della produzione e la correlata redistribuzione di quote aggravano la predetta penalizzazione. F a t t o 1. - Il regime delle c.d. quote latte, finalizzato al contenimento della produzione, da anni eccedente nel mercato europeo, e' stato introdotto in Italia, dopo un lungo contenzioso circa l'effettiva entita' della produzione interna e la irrogazione delle relative sanzioni comunitarie, dalla legge 26 novembre 1992, n. 468. Tale testo normativo, dopo avere demandato, all'art. 2, comma 2, la redazione di elenchi dei produttori titolari di quota e la loro pubblicazione in appositi bollettini all'Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA), all'art. 2, comma 2, limitatamente ai produttori di associazioni aderenti alla UNALAT, dispone la articolazione della quota in due parti: l'una (A), commisurata alla produzione di latte commercializzata nel periodo 1988-1989; l'altra (B), rapportata alla maggiore produzione commercializzata nel periodo 1991-1992. Poiche' peraltro il regolamento CEE del Consiglio n. 804/68, del 27 giugno 1968, contemplava la periodica rideterminazione delle quote nazionali spettanti all'Italia, i commi 6-8 dello stesso art. 2 assegnavano alle Regioni il compito di vigilare sulla effettiva produzione dei singoli operatori e di comunicare all'AIMA per l'aggiornamento del bollettino le eventuali situazioni di quota assegnata superiore a quella effettiva, e al Ministro dell'agricoltura e foreste, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e sentite le organizzazioni professionali maggiormente rappresentative, in caso di eccedenza delle quantita' attribuite ai produttori alla stregua dei commi 2 e 3 rispetto alle quote nazionali individuate in sede comunitaria, di stabilire con proprio decreto i criteri generali per il pieno allineamento con le quote nazionali nell'arco di un triennio. Lo stesso comma 8 imponeva che, con riferimento alle riduzioni obbligatorie della quota B, si tenesse conto "dell'esigenza di mantenere nelle aree di montagna e svantaggiate la maggior quantita' di produzione lattiera". 2. - Il d.-l. 23 dicembre 1994, n. 727, poi convertito con modificazioni in legge 24 febbraio 1995, n. 46 ha poi operato la riduzione delle quote B per singolo produttore, con l'esclusione degli operatori delle stalle ubicate nelle zone montane di cui alla direttiva del Consiglio CEE 75/268 del 28 aprile 1975, da effettuarsi entro il 31 marzo 1995 con operativita' dalla campagna 1995-1996. La legge di conversione n. 46/1995 ha innovato il decreto come segue: a) ha previsto (art. 2, comma 1, lett. O.a)) la riduzione della quota A non in produzione, almeno qualora essa ecceda il 50% della quota A attribuita; b) dopo avere confermato la riduzione della quota B (lett. a)), ha escluso (lett. b)) da entrambe le riduzioni i produttori non solo titolari di stalle ubicate in zone di montagna, ma anche quelli operanti "nelle zone svantaggiate e ad esse equiparate nonche' nelle isole"; c) ha consentito (art. 2, comma 2-bis) che i produttori che abbiano ottenuto, anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 468/1992, l'approvazione di un piano di sviluppo o di miglioramento zootecnico da parte della Regione e che lo abbiano realizzato, possano chiedere la assegnazione di una quota corrispondente all'obiettivo di produzione indicato nel piano medesimo, in sostituzione delle quote A e B. Piu' in generale il d.-l. n. 727/1994 e la legge n. 46/1995 hanno soppresso la previa consultazione della Conferenza tra Stato e Regioni, rimettendo la istruttoria e la predisposizione del piano di rientro esclusivamente all'istanza ministeriale. Inoltre, la normativa ha introdotto un meccanismo di autocertificazione delle produzioni, in base al quale gli acquirenti sono autorizzati a considerare i quantitativi autocertificati dai produttori. 3. - La legge n. 46/1995 insieme con il decreto-legge convertito veniva impugnata dalla Regione del Veneto con ricorso rubricato n. 23/1995 (all. 2), con allegazione di numerosi profili di incostituzionalita'. Codesta eccellentissima Corte, a seguito di discussione nella pubblica udienza del 23 novembre 1995, con decisione n. 520 del 28 dicembre 1995 accoglieva il predetto ricorso, in una con quello presentato dalla Regione Lombardia e rubricato con n. r.g. 22/1995, sotto il profilo della incostituzionalita' dell'art. 2, comma 1, della legge, nella parte in cui non vi si contemplava il parere delle Regioni interessate nel procedimento di riduzione delle quote individuali spettanti ai produttori di latte bovino. 4. - Il Governo e' poi intervenuto nuovamente con la decretazione di urgenza nel delicato settore de quo, adottando prima il d.-l. 15 marzo 1996, n. 124 e poi, reiterando il primo, adottando il d.-l. 16 maggio 1996, n. 260, impugnati con ricorsi n. r.g. 18 e 27/1996, pendenti avanti la eccellentissima Corte per la decisione, indi con il d.-l. 8 luglio 1996, n. 353, del pari impugnato con ricorso n. r.g. 33/1996, e pure esso in attesa di decisione, e infine con il decreto-legge impugnato con il presente ricorso. Tale ultimo decreto-legge, in specie: a) demanda all'AIMA, entro il 31 marzo 1996, questa volta "Acquisito da parte del Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali il parere del Comitato permanente delle politiche agroalimentari e forestali", la pubblicazione di un bollettino di aggiornamento degli elenchi dei produttori titolari di quota e dei quantitativi loro spettanti delle quote latte 1995-1996 (art. 2, comma 1); b) stabilisce che, ai fini della trattenuta e del versamento del prelievo supplementare per il 1995-1996, gli acquirenti siano tenuti all'osservanza esclusivamente delle riultanze del predetto bollettino di aggiornamento (art. 2, comma 4); c) non si limita piu' a sospendere sino al 31 marzo 1997 l'efficacia dell'art. 2-bis del decreto-legge n. 727/1994 convertito con modificazioni in legge n. 46/1995 (art. 2, comma 2), ma abroga definitivamente, a decorrere dal periodo 1995- 1996, tale disciplina; d) detta disposizioni sulla tutela in via amministrativa dei produttori avverso le determinazioni del predetto bollettino di aggiornamento (art. 2, comma 3). 5. - La disciplina di cui all'art. 2 della legge n. 46/1995, dichiarata incostituzionale dalla Corte nella citata decisione n. 520/1995, e' ora rchiamata ex novo, in quanto l'art. 2, comma 1, non detta nuove e diverse modalita' di confezionamento del bollettino, pur questa volta in presenza della previsione di un parere ex post del Comitato permanente delle politiche agricole, alimentari e forestali. Il parere di tale Comitato, istituito nel seno della Conferenza Stato-Regioni ai sensi dell'art. 2, comma 6, della legge n. 491/1993, non appare sufficiente ad integrare l'intervento della Conferenza in sede consultiva, dalla Corte a suo tempo dichiarato indispensabile. A prescindere da tale vizio procedurale, la disciplina in questione e' da se' sola sufficiente, almeno in termini previsionali, a determinare il virtuale azzeramento della quota B nelle aziende di pianura, e in specie in quelle della Regione ricorrente - ad un primo calcolo la quota B subirebbe infatti un brutale taglio del 74% circa - e una rilevante diminuzione della quota A. In altre parole, il bollettino di cui all'art. 2, commi 1 e 4, del decreto-legge impugnato sostituisce quelli preveduti dal regime normativo precedente, introduce un tardivo parere ex post, fuori termine e - come detto - insufficiente, del Comitato istituito nel seno della conferenza Stato-Regioni, e in piu' assume una natura o almeno una forza particolare, in quanto esso ha valore di "accertamento definitivo" delle posizioni individuali dei produttori (art. 2, comma 1: v. supra, punto 4.a) e del pari di vincolo esclusivo nei confronti degli acquirenti (e per conseguenza delle aspettative patrimoniali dei produttori: art. 2, comma 4, e supra, punto 4.b). Inoltre esso interviene a regolamentare con la predetta peculiare forza i rapporti produttivi nel settore con efficacia retroattiva, a campagna 1995/1996 conclusa, con disastrosi effetti su interi patrimoni aziendali e, non di mero riflesso, sulle attribuzioni regionali, dato che l'automatismo degli effetti comporta la virtuale spoliazione dei poteri regionali di indirizzo, programmazione e controllo del settore lattiero-caseario. Nella sostanza della disciplina applicata, poi, va ribadito che la Regione ricorrente, a differenza di altre Regioni, non ha mai approvato - come ci si riserva di documentare in vista della pubblica udienza - piani di sviluppo e miglioramento comportanti aumenti di produzione del latte e dunque, a far data dal 12 marzo 1985, non annovera operatori in grado di avvalersi della sostituzione delle quote A e B con i piu' favorevoli obiettivi dei piani di sviluppo e miglioramento. Per sovrammercato, la introduzione in via di urgenza di una disciplina sfavorevole nella sostanza e con efficacia retroattiva si accompagna alla individuazione (art. 2, comma 3 e supra, punto 4.d) di un regime di autotutela da ricorso estremamente penalizzante per gli operatori. Di parzialmente nuova formulazione e' poi l'art. 3, i cui primi tre commi introducono irragionevoli e retroattivi meccanismi di compensazione, estremamente penalizzanti degli interessi della Regione ricorrente. In particolare, il comma 3, prescrivendo, limitatamente al periodo 1995-1996, il versamento del prelievo supplementare dovuto "sulla base di appositi elenchi redatti dall'AIMA a seguito della compensazione nazionale". La conseguenza e' la grave riduzione della possibilita' di procedere a compensazioni relative alla quota B per quelle regioni che, correttamente, come e' stato per la ricorrente, non hanno adottato, successivamente all'entrata in vigore del Regolamento CEE 797/1985 e a quello successivo 2328/1991, alcun piano contenente previsioni di incremento della produzione lattiero-casearia, a tutto vantaggio di quelle Regioni che si sono gia' rese responsabili di illecito comunitario nella approvazione di piani in aumento. L'art. 3 contempla poi un programma volontario di abbandono totale o parziale della produzione lattiera, previa corresponsione di una indennita' (cfr. comma 4), nonche' la successiva redistribuzione delle quote stesse ai produttori che ne facciano richiesta, secondo specifici criteri di priorita', la cui applicazione deve in ogni caso assicurare "che almeno il 50 per cento dei quantitativi sia attribuito nella regione o nella provincia autonoma di provenienza" (cfr. comma 5). In specie, vengono individuate le seguenti categorie: a) giovani agricoltori di cui all'art. 4, comma 2, del decreto ministeriale n. 762 del 27 dicembre 1994; b) produttori con azienda ubicata nelle zone montane, di cui alla direttiva n. 75/268/CEE del Consiglio del 28 aprile 1975; c) produttori a cui e' stata ridotta la quota B ai sensi dell'art. 2 della legge n. 46 del 1995, nei limiti della quota ridotta. Con il risultato di aggravare ulteriormente la gia' esistente irragionevole disparita' di trattamento tra Regioni e tra singoli produttori. Le disposizioni di cui in epigrafe sono dunque illegittime per i seguenti M o t i v i 1. - Occorre in limine rilevare che con il presente ricorso viene impugnato un decreto-legge, eppercio' un atto provvisorio con forza di legge ai sensi dell'art. 77 della Costituzione. Non e' dato, allo stato, divinare il futuro delle previsioni normative in esso contenute: non si puo' - cioe' - sapere se l'atto verra' convertito in legge, se in mancanza di conversione vi sara' sanatoria degli effetti comunque prodotti medio tempore, oppure se il decreto decadra' senza alcun ulteriore intervento. E' dunque necessario sin d'ora richiedere che, nell'eventualita' della sanatoria del decreto non convertito, le questioni di costituzionalita' sollevate con il presente ricorso vengano trasferite, conformemente al principio fissato dalla sentenza n. 84/1996, sulla legge di sanatoria. Analogo trasferimento si richiede, peraltro, nell'eventualita' che il decreto venga semplicemente reiterato. Come la citata sentenza n. 84 ha affermato, infatti, cio' che conta, nel giudizio di costituzionalita', sono le norme impugnate, non gia' le disposizioni che le "veicolano". Come prospetta la stessa ordinanza n. 130 del 1996, ed ora confermano implicitamente la successiva ordinanza n. 197 ed esplicitamente la sentenza n. 270, il principio posto alla base del trasferimento sulla legge di sanatoria deve essere alla base, a fortiori del trasferimento sull'eventuale decreto "reiterante", attesa l'indubbia continuita' di contenuto normativo che - per definizione - lega l'atto reiterante all'atto reiterato. Cosi' stando le cose, anzi, si puo' rilevare come il decreto-legge in epigrafe venga ora impugnato per mero tuziorismo (atteso che sarebbe sufficiente il trasferimento delle questioni gia' sollevate in riferimento ai decreti-legge nn. 124/1996, 260/1996 e 353/1996 - qui reiterati - per definire la controversia di che trattasi), e comunque nella misura in cui si ritenesse che le innovazioni alla disciplina dei precedenti decreti siano sostanziali. 2. - Nel merito, si deve, in primo luogo, lamentare: 2.1. - Violazione degli artt. 77, 117 e 118 della Costituzione. Nella parte che qui interessa, l'impugnato decreto risulta privo dei requisiti essenziali della straordinarieta', necessita' e urgenza che, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione, condizionano la legittimita' dell'adozione di decreti- legge da parte del Governo. Nessuna delle previsioni del decreto in materia di produzione lattiera, invero, appare - almeno legittimamente (v. quanto si dira', sul punto, al n. 3.1. del presente ricorso) finalizzata allo scopo di fronteggiare situazioni cosi' chiaramente segnate dall'urgenza, da richiedere l'intervento di un atto adottato ai sensi dell'art. 77 della Costituzione e non il ricorso al normale iter legislativo di cui agli artt. 70 e seguenti. Si tratta infatti di aggiustamenti (per giunta illegittimi) o di peggioramenti delle previsioni dettate dalla legge 26 novembre 1992, n. 468, e dalla legge 24 febbraio 1995, n. 46, dei quali non e' dato rinvenire, in alcun modo, l'urgenza. Urgenza che, del resto, e' smentita gia' dal solo fatto che le previsioni dettate del decreto-legge impugnato riguardano una campagna lattiera gia' conclusa. In realta', ci troviamo qui di fronte all'ennesimo episodio di illegittimo esercizio di un potere che la Costituzione ha concepito come eccezionale ("straordinario"), e che invece viene sempre piu' frequentemente impiegato come strumento "ordinario" di produzione normativa primaria. Mancano percio' del tutto quei presupposti costituzionali della decretazione d'urgenza la cui carenza e', dalla piu' recente giurisprudenza costituzionale, ritenuta censurabile (sentenza n. 29/1995), specie quando sia evidente e conclamata (sententenza n. 165/1995), come nella specie e'. Va qui precisato che la Regione ricorrente non lamenta la pura e semplice violazione dell'art. 77 della Costituzione, bensi' anche e soprattutto la lesione delle competenze costituzionali che ad essa sono riconosciute. E' infatti anche attraverso la violazione dell'art. 77 della Costituzione da parte del decreto-legge impugnato che tale lesione si e' consumata, poiche' il Governo, illegittimamente esercitando le facolta' di cui all'art. 77 della Costituzione, ha finito - come appresso si dimostrera' - per sottrarre alla Regione il potere di regolare un settore come quello della produzione lattiera, che la Costituzione, in una con la normativa ordinaria di trasferimento delle funzioni, sine dubio le affida nell'ambito della materia "agricoltura". Di qui, l'ammissibilita' della relativa censura (cfr. sentenze nn. 32/1960; 64 e 183/1987; 272 e 302/1988; 87/1996). Va infine sottolineato che il decreto impugnato si occupa del profilo del rapporto Stato-Regione nel procedimento di riduzione delle quote individuali spettanti ai produttori di latte bovino solo per aggiungere al comma 1 dell'art. 2 che il parere del Comitato permanente delle "politiche agroalimentari e forestali" ha ad oggetto "i criteri per la riduzione delle quote individuali previste dall'art. 2, comma 1, della legge 24 febbraio 1995, n. 46". Tale espressione non e' che una addizione meramente formale al dato del precedente art. 2 del d.-l. n. 353/1996, per il resto immutato. Resta dunque intatta l'alternativa gia' prospettata nei precedenti ricorsi in subjecta materia, ricordato in narrativa: gli atti di cui all'art. 2, comma 1 (e cioe' i bollettini) sono atti di indirizzo generale, e allora per essi e' necessario l'intervento della Conferenza Stato-Regioni nel suo plenum (e non gia' nella versione dimidiata del Comitato); ovvero, essi sono "provvedimenti specifici" (secondo la formula della sentenza n. 520/1995), e allora occorre il parere delle sinole Regioni interessate. In entrambi i casi, dunque, lo strumento consultivo previsto dal decreto-legge, oltre che tardivo, e' insufficiente ed illegittimo. Poiche' comunque nel frattempo il noto e temuto bollettino e' stato pubblicato, non si vede il senso della previsione in questione. 3.1. - Specificamente viziati da illegittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 11, 47, 117 e 118 della Costituzione, sono poi i commi 1 e 4 dell'art. 2 del d.-l. n. 463/1996. Il comma 1 prescrive che l'AIMA deve pubblicare appositi bollettini "di aggiornamento" degli elenchi dei produttori titolari di quota nonche' delle quote di loro spettanza per il periodo 1995-1996 "entro il 31 marzo 1996". Tali bollettini costituiscono accertamento definitivo delle posizioni individuali, e sostituiscono "ad ogni effetto" i bollettini che l'AIMA ha precedentemente pubblicato per il periodo di riferimento. A sua volta, il comma 4 dispone che gli acquirenti del latte prodotto, ai fini della trattenuta e del versamento del prelievo supplementare, devono considerare esclusivamente le quote individuali risultanti dai bollettini di cui al comma 1. Come si evince gia' da una prima lettura, tali disposizioni introducon o nel nostro ordinamento, ancorche' ad hoc e per la sola campagna 1995-1996, una categoria del tutto speciale di bollettini, i cui effetti sul settore lattiero-caseario e sul governo dello stesso da parte delle Regioni sono devastanti. I bollettini di cui trattasi sono infatti la sola fonte di individuazione delle posizioni dei singoli produttori per la campagna 1995-1996, e posseggono valore definitivo, nonche' sostitutivo di qualunque altra precedente determinazione. Tali bollettini, pero', riguardano - illogicamente - una campagna che si e' gia' conclusa al momento in cui le disposizioni impugnate sono divenute operative. Conseguentemente, i loro effetti sono da considerarsi retroattivi. La campagna di produzione del latte non coincide infatti con l'anno solare, ma va dal 1 aprile al 31 marzo. Sin dall'inizio, dunque, sin dal primo decreto della catena della reiterazione, i bollettini di cui all'art. 2, commi 1 e 4, erano concepiti come atti destinati a produrre effetti pro praeterito tempore (e cioe' per la campagna 1995-1996 ormai conclusa), ed anzi era addirittura (non semplicemente prevedibile ma) scontato che la loro pubblicazione non avrebbe potuto praticamente intervenire nel brevissimo spatium temporis intercorrente fra l'entrata in vigore del primo decreto impugnato n. 124/1996 (17 marzo) e il successivo 31 marzo, data di conclusione della campagna 1995-1996. A piu' forte ragione tale lagnanza vale avverso il d.-l. n. 463/1996, entrato in vigore il 7 settembre. In realta', il nuovo strumento introdotto dal decreto ("nuovo" perche', nonostante il nomen iuris di "bollettino", produce effetti assolutamente inediti) era dall'origine - appunto - destinato ad operare solo per il passato, senza alcuna possibilita' di utilizzazione per il futuro. In questo modo si determina una pluralita' di violazioni delle menzionate previsioni costituzionali. Anzitutto, viene violato, in una con gli artt. 117 e 118 della Costituzione (che definiscono l'ambito di attribuzioni delle Regioni) e con l'art. 41 (che impone il controllo e l'indirizzo della produzione privata solo a fini sociali, che sono pero' qui del tutto assenti, come puo' facilmente evincersi da quanto appresso si considera), l'art. 11 della Costituzione atteso che la ricordata scansione temporale delle campagne di produzione del latte e' fissata dal Regolamento CEE n. 804/1968. Disciplinare retroattivamente, a campagna da tempo conclusa, le posizioni individuali dei singoli produttori significa violare la lettera e lo spirito della normativa comunitaria. Questa, infatti, prevedendo una certa periodizzazione delle campagne di produzione del latte, intende far si' che si realizzi una gestione corretta e programmata della produzione lattiera medesima, che deve essere calibrata proprio su detta periodizzazione. Sconvolgimenti a posteriori della disciplina di settore come quello determinato dalle disposizioni impugnate sono dunque radicalmente contrari alla normativa comunitaria (e conseguentemente all'ordine costituzionale dei rapporti fra Stato e Regioni, che quella normativa contribuisce a definire). E' proprio allo scopo di assicurare quella corretta e programmata gestione, del resto, che l'art. 4, comma 2, della legge n. 468/1992 aveva previsto in via generale che i bollettini fossero pubblicati entro il 31 gennaio di ciascun anno: che senso avrebbe avuto una pubblicazione successiva alla conclusione della campagna, quando i produttori hanno gia' determinato i loro obiettivi, ovvero li hanno gia' raggiunti? Coerentemente, invero, la stessa disposizione normativa prevedeva (e prevede) che i bollettini da pubblicarsi "entro il 31 gennaio di ciascun anno" contenessero "gli elenchi aggiornati dei produttori titolari di quota e dei quantitativi ad essi spettanti nel periodo avente inizio il 1 aprile successivo". Il bollettino aveva dunque (ed ha) la (ovvia) funzione di determinare le quote spettanti per il futuro, non certo quella di riferirsi a quantitativi relativi al passato. Le disposizioni impugnate determinano dunque una vera e propria deroga alla previsione generale della legge n. 468/1992, ma senza alcuna giustificazione razionale e in spregio della stessa normativa comunitaria. Violati, parallelamente, sono, di nuovo, in una con l'art. 41 della Costituzione, gli artt. 117 e 118. Le Regioni, alle quali la stessa sentenza n. 520/1995 riconosce un ruolo preminente nel governo del settore lattiero-caseario, sono totalmente spossessate delle loro attribuzioni programmatorie dagli effetti retroattivi dei nuovi bollettini, che determinano conseguenze del tutto incontrollabili sia per i produttori che per l'Ente territoriale preposto - come detto - al governo del settore. Il paradosso di uno strumento concepito quale mezzo di programmazione (il bollettino) che si trasfigura in mezzo di registrazione di realta' pregresse (il nuovo bollettino creato dal primo e dal quarto comma dell'art. 2) e' evidente. Ed e' un paradosso che determina una palese illegittimita' costituzionale, nella misura in cui da esso consegue la sottrazione alle Regioni di qualunque facolta' di governo e programmazione della produzione lattiera, che viene assunta come un dato, riferito al passato, e non come un obiettivo proiettato (come dovrebbe essere) nel futuro. Cosi' stando le cose, si potrebbe anche osservare che, ove all'impugna to decreto fosse stata davvero sottesa un'urgenza, questa non avrebbe potuto che stare nell'intenzione di determinare effetti retroattivi su di una campagna di produzione lattiera gia' da tempo conclusa: proprio questa, e non altra, e' infatti la conseguenza della previsione normativa qui censurata. Cio', pero', in aperta violazione della Costituzione e delle norme interposte che ne integrano le previsioni (in particolare, del menzionato Regolamento CEE n. 804/68 e della legge n. 468/1992), perche' - come si e' rilevato - la disciplina retroattiva della campagna 1995-1996 ha leso le attribuzioni regionali e violato i precetti comunitari. Se urgenza davvero vi era, dunque, era un'urgenza incostituzionale, eppercio' non assumibile quale legittimo fondamento dell'uso di un potere di decretazione d'urgenza. Tanto, ad ulteriore conferma delle censure gia' formulate, in riferimento agli artt. 77, 117 e 118, al punto n. 2.1. del presente ricorso. 3.2. - Violazione degli artt. 3, 24, 113 della Costituzione, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione. L'art. 2, terzo comma, del decreto-legge impugnato definisce un discutibile - sotto tutti i profili - regime di ricorsi. Le sue lacune e piu' ancora i suoi sviamenti di potere legislativo sono molteplici e gravissimi, proprio per i loro effetti sulle prerogative regionali. Si considerino infatti le seguenti anomalie: il dies a quo dei ricorsi amministrativi in opposizione da proporre all'AIMA e' incerto, non essendo chiaro se la pubblicazione menzionata nel terzo comma dell'art. 2 sia la diffusione del bollettino a cura della Regione (la conoscenza degli operatori non puo' certo avere luogo nello stesso giorno) o la riproduzione di esso in Bollettino ufficiale della Regione; il termine assegnato e' brevissimo, ben piu' di quanto non contempli la revisione dei rimedi amministrativi operata con d.P.R. n. 1199/1971; il ricorso giurisdizionale sembra essere possibile, sia in caso di silenzio-rigetto da parte dell'AIMA che di reiezione esplicita, solo dopo la pronuncia sul ricorso amministrativo in opposizione, con il risultato che si tenta di operare una restrizione neppure troppo occulta della tutela giurisdizionale, in spregio non solo alle disposizioni costituzionali citate in epigrafe, ma altresi' ai principi della riforma del processo amministrativo operata con legge n. 1024/1971. E' chiaro trattarsi di misura sostanzialmente ritorsiva a seguito delle massicce soccombenze giudiziali subite sin qui da AIMA, EIMA e MIRAAF avanti i giudici amministrativi di primo grado come di appello, sia in sede cautelare che di merito. In altri termini, sembra reintrodotto il superato principio della definitivita' dell'atto amministrativo quale presupposto dell'impugnazione giurisdizionale; l'eliminazione della autocertificazione prevista dall'art. 2-bis della legge n. 46/1995 (secondo comma dell'art. 2) esclude che la proposizione del ricorso in opposizione possa consentire pur provvisoriamente la percezione da parte dei produttori del compenso corrisposto dagli acquirenti pur con riferimento - si badi - alla campagna gia' conclusa, sicche' chi vanta crediti per consegne operate legittimamente in tempi in cui la disciplina retroattiva sfavorevole non era vigente non ha alcuna speranza di riscuoterli, nonostante la proposizione del rimedio amministrativo; infine, poiche' gli accertamenti da effettuare a seguito dei ricorsi in opposizione e dei ricorsi giurisdizionali amministrativi richiederanno tempi medio-lunghi, le compensazioni previste dall'art. 3 dello stesso decreto impugnato non potranno essere effettuate nei tempi stabiliti dal secondo comma (ancor piu' brevi di quelli preveduti dal decreto-legge n. 353/1996). Gli operatori si troveranno dunque nell'alternativa, distruttiva dei loro diritti di difesa, di non impugnare per incassare le compensazioni, anche in presenza di errori o abusi, o di impugnare, correndo il rischio di restare privi di incassi per mesi o per anni, pur con riferimento a consegne gia' eseguite nella campagna conclusa. Le gravi disfunzioni processuali sopra sommariamente descritte non potranno non trasformarsi in elementi di ulteriore lesivita' per le Regioni della disciplina contestata; queste ultime, gia' private ancora una volta di qualunque potere di intervento, pur solo consultivo, sui tagli da operare, dovranno cosi' subire anche l'onta della impossibilita' virtuale di governare sul piano programmatorio un comparto della politica agraria che non potra' non venire percorso da un contenzioso capillare, diffuso e squassante. 4.1. - Violazione degli artt. 11, 5, 117 e 118 della Costituzione sotto il profilo della contrarieta' a norme comunitarie e della invasione della sfera di competenza legislativa e amministrativa regionale. Il decreto impugnato, non introducendo alcun nuovo criterio per il riparto dei tagli alla sovrapproduzione nazionale di latte, non puo' non sottendere il richiamo alla disciplina contenuta nell'art. 2 della legge n. 46/1995, pur calandola in uno strumento amministrativo (il "nuovo" bollettino) dotato - come si e' detto - di una forza assolutamente peculiare. Ne deriva che devono essere riproposte (come gia' si e' fatto in occasione dell'impugnazione del decreto-legge n. 124/1996, del decreto-legge n. 260/1996, e del decreto-legge n. 353/l996) in questa nuova ottica censure a suo tempo formulate contro l'art. 2 della legge n. 46/1995, e ora rilegittimate e dotate di nuovo vigore, nonostante la decisione n. 520/1995, anche alla luce della retroattivita' contestata sub 3.1. La Regione ricorrente non ha adottato, dopo il 12 marzo 1995, data di entrata in vigore del Regolamento CEE 797/1985, che insieme al successivo 2328/1991 disciplina i piani di sviluppo e di miglioramento, alcun piano contenente previsioni di incremento della produzione lattiero-casearia. Tale correttezza di comportamento viene cosi penalizzata, e al contrario l'illecito comunitario commesso da altre Regioni viene premiato, anziche' sanzionato. Si violano cosi' l'art. 11 della Costituzione, e gli artt. 5, 117 e 118, sotto il profilo della competenza legislativa e amministrativa regionale, a suo tempo correttamente esercitata nel rispetto degli obblighi comunitari e ora penalizzata sia per il futuro che per il passato dal premio accordato ad altre Regioni, gia' responsabili di illecito comunitario nella approvazione di piani in aumento. Si intende documentare specificamente che il Ministero dell'agricoltura a suo tempo richiamo' espressamente le Regioni, e in specie la ricorrente, al rispetto del divieto di approvazione di piani in aumento. Sicche' ora il comportamento dell'Esecutivo non si limita a tenere conto di uno stato di fatto, ma legalizza con un nuovo illecito comunitario un precedente illecito, dandogli dignita' di presupposto fattuale da cui trarre le mosse. Ne' l'aspettativa della Regione ricorrente e dei suoi produttori al rispetto della legalita' da parte di tutti i soggetti coinvolti nella disciplina di settore puo' venire prospettata come generico affidamento travolgibile, per giunta in via di urgenza e in forma retroattiva (su tale problema, valgano i principi che la piu' recente giurisprudenza di codesta eccellentissima Corte ha fissato in tema di leggi di sanatoria). 4.2. - Violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione, in riferimento agli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione. L'illegittimita' costituzionale prospettata sub 4.1. puo' configurarsi anche come violazione degli artt. 3 e 41, in riferimento agli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, per la discriminatoria quanto ingiustificata penalizzazione degli operatori agricoli del settore lattiero-caseario della Regione ricorrente, non fondata su alcun ragionevole parametro classificatorio, ed anzi imperniata su di un parametro espressamente vietato e configurato come un disvalore dalla normativa comunitaria. La compressione o peggio la soppressione della attivita' produttiva pregiudica non solo gli stessi operatori colpiti, ma anche, e non di riflesso, la effettivita' della funzione legislativa e amministrativa regionale, vanificata nella sua sostanza. 4.3. - Violazione degli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, anche con riferimento all'art. 2, settimo comma, della legge n. 468/1992. Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. Nella decisione n. 520/1995, piu' volte citata, codesta eccellentissima Corte ha ritenuto non incostituzionale la mancata previsione nella legge n. 46/1995 del necessario coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni, atteso che essa va coinvolta soltanto per la determinazione degli indirizzi generali della legislazione da adottare. La Corte ha pero' dichiarato incostituzionale la mancata previsione "di qualsivoglia partecipazione regionale al procedimento di riduzione delle quote individuali", anche alla luce della precedente diretta preposizione delle Regioni stesse, ad opera dell'art. 2, secondo comma, della legge n. 468/1992, alla procedura di riduzione. In altre parole, la Corte ha ritenuto che la presenza regionale dovesse essere garantita non tanto "a monte" dell'intervento legislativo, giacche' la consultazione e' prescritta solo sui lineamenti generali e non sui singoli testi di legge, quanto piuttosto - e imprescindibilmente - "a valle" dell'intervento legislativo, una volta che debba darglisi attuazione mediante la adozione del bollettino che poi le Regioni sono tenute a divulgare. Orbene, la statuizione della Corte ha bensi' avuto l'effetto di introdurre additivamente nell'art. 2 della legge n. 46/1995 il parere regionale non originariamente inclusovi dal legislatore statale. Ma tale inserimento valeva per il procedimento ordinario di produzione del bollettino. Nel caso di specie, invece, i decreti nn. 124/1996, 260/1996 e 353/1996 ed oggi il decreto-legge n. 463/l996, hanno previsto la adozione di un bollettino unico nel suo genere, dotato - come si e' detto - di una forza speciale (essendo conclusivo per i produttori e definitivo per gli acquirenti) e addirittura assoggettato ad una tutela rafforzata contro impugnative dei soggetti da esso pregiudicati. Come gia' rilevato, rispetto a tale specie di bollettino, ridisciplinato nel procedimento, nella forza, negli effetti, nella tutela, il legislatore governativo avrebbe dunque dovuto prevedere, secondo il facilmente comprensibile precetto della Corte, l'intervento partecipativo regionale in vista dell'adozione del bollettino, cioe' appunto a valle del decreto-legge, ma per effetto delle previsioni da contenersi in esso, in vista del riparto dei tagli da praticare. Viceversa, il legislatore, ricadendo nel suo comportamento di sempre, non ha previsto alcun individualizzato intervento regionale in tale fase. Gia' in riferimento ai dd.-ll. nn. 124/1996, 260/1996 e 353/1996, precedentemente impugnati, a tale titolo non valeva la seduta del Comitato permanente per le politiche agricole, alimentari e forestali del 15 febbraio 1995, in cui il Ministro ha semplicemente preannunciato il ricorso ad un nuovo decreto-legge, il cui testo era predisposto in versione diversa da quella poi emanata, senza fornire alcuna indicazione sulle operazioni da porre concretamente in essere. Con cio' il Ministro non solo non ha adempiuto all'onere di informazione della Conferenza Stato-Regioni circa i lineamenti generali della politica legislativa, ma comunque non ha soddisfatto le prescrizioni della Corte quanto al procedimento di riduzione. Il che e' fattualmente confermato dalla avvenuta predisposizione di un bollettino, durante la elaborazione del quale le Regioni, e in specie la ricorrente e le altre interessate dai tagli, non sono state consultate ad alcun titolo. Ne' - si ribadisce - tale parere individuale avrebbe potuto essere surrogato da sedi di consultazione collegiale quali il Comitato permanente (v. a tal proposito il verbale della seduta del 25 gennaio 1995 dal quale si evince che il parere e' stato reso, con l'astensione oltretutto dell'Assessore della Regione Lombardia, piu' con riferimento al d.-l. da adottarsi (ancorche' poi adottato in ben diversa stesura), che non ai criteri per la riduzione delle quote). In riferimento al d.-l. n. 260/1996, il governo non ha proceduto neppure all'adozione del menzionato - e censurato - procedimento. Nel decreto-legge n. 353/l996, la previsione la cui assenza era a suo tempo lamentata nei primi ricorsi avverso il decreto-legge n. 124/1996 e il decreto-legge n. 260/1996, e' comparsa, tardivamente quanto inefficacemente, ed e' stata ribadita nel d.-l. ora impugnato. Tardivamente, perche' il termine per il bollettino era ed e' scaduto ed esso, pur in ritardo ulteriore, e' stato effettivamente pubblicato, senza che il parere prescritto ora per allora sia stato reso; inefficacemente perche' non si vede che effetto la previsione possa produrre, data la tardivita' di essa rispetto al bollettino. Salvo che il legislatore governativo non abbia avuto in occasione del d.-l. n. 353/1996, e tuttora non abbia, l'ingenuita' (o la cattiva coscienza) di ritenere che il parere possa essere espresso ora per allora in funzione di sanatoria, che a livello di procedimenti costituzionalmente disciplinati non dovrebbe essere ammissibile. 5. - Violazione degli artt. 3, 97, 11, 41, 117 e 118 della Costituzione. Quanto all'art. 3, il decreto-legge n. 463/l996 contempla, al terzo comma, limitatamente alla stagione 1995-1996 gia' conclusa, il versamento del prelievo supplementare dovuto, sulla base di elenchi redatti dall'AIMA a seguito della compensazione nazionale. Parallelamente, l'art. 3, primo comma, sostituendo l'art. 5, dodicesimo comma, della legge n. 468/1992, prevede che "qualora si determinino le condizioni per l'applicazione della compensazione nazionale" essa e' disposta dall'AIMA. Non e' dato comprendere cosa il caotico e contraddittorio, piu' ancora che rapsodico, legislatore nazionale abbia cosi' voluto significare. La lettera del decreto impugnato sembrerebbe mostrare che egli abbia inteso che, cosi' come era previsto dalla legge n. 468/1992, la compensazione nazionale sia meramente eventuale: tale compensazione e' infatti destinata a compiersi solo "qualora" se ne determinino le "condizioni". Non si puo' pero' trascurare che il 26 agosto e' stato pubblicato il decreto-legge n. 440/1996, con il quale la compensazione nazionale e' rimasta la sola ammessa. Che si e' inteso dunque fare? Si e' voluto abrogare cio' che si era da pochissimi giorni previsto? Ci si e' ricreduti? Ci si e' semplicemente "dimenticati" di cio' che solo pochi giorni prima s'era fatto? In realta', si e' creata una enorme confusione, in violazione dei principi costituzionali di efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione, determinando l'impossibilita' per gli enti di governo del settore - in primis per le Regioni - di agire sulla base di un quadro normativo chiaro. Delle due, comunque, l'una: o qui si e' inteso confermare quanto previsto dal d.-l. n. 440/1996, oppure si e' inteso ritornare alla disciplina previgente. Nel primo caso, la relativa previsione deve considerarsi illegittima per i motivi gia' evidenziati dalla Regione Veneto in sede di ricorso avverso tale provvedimento legislativo. Come in quella sede si e' sostenuto (e riportiamo qui testualmente le relative considerazioni), invero, la soppressione del livello provinciale di compensazione, non sostituito da alcuna istanza regionale, non solo opera l'ennesimo by-pass del governo regionale, ma reca ancor piu' grave pregiudizio agli interessi degli agricoltori della Regione ricorrente - piu' si innalza infatti, il livello della compensazione, meno e' probabile che le eccedenze locali possano trovare aggiustamento e compensazione senza danno per la produzione complessiva a livello provinciale e regionale - e, in modo non indiretto ne' riflesso ma (come rilevo' gia' la sentenza n. 520 del 1995) immediato, all'interesse stesso della Regione ricorrente ad esercitare le proprie potesta' programmatorie del settore. Si rifletta invece su come sarebbe piu' semplice e snello il procedimento di compensazione se esso fosse affidato alle Regioni, come livello di programmazione e come Enti. Ciascuna opererebbe per proprio conto e dovrebbe garantire risultati che in sede nazionale avrebbero al massimo bisogno di essere coordinati. Si badi: imboccare tale strada non sarebbe meramente opportuno o conveniente (cio' che puo' non rilevare nel giudizio di costituzionalita'), ma e' costituzionalmente necessario, per porre rimedio ad una situazione ormai paradossale, che vede interventi normativi del Governo, adottati a fini correttivi, determinare illegittimita' ed incoerenze ancor piu' gravi e palesi di quelle pregresse, cui si sarebbe voluto, nelle intenzioni, rimediare. Tornando all'alternativa prima prospettata: se si e' inteso, qui, tornare invece alla disciplina previgente, confermando cioe' un doppio livello di compensazione, nel quale a quello sulla base provinciale gestito dalle APL si affianca, o piuttosto si sovrappone, quello nazionale, deve dirsi che i guasti prodotti dalle quote e dai loro meccanismi attuativi, a seguito della legge n. 46/1995, vengono aggravati. I produttori veneti, infatti, gia' penalizzati dal legislatore nazionale per le modalita' di riparto dei tagli della produzione giudicate proceduralmente scorrette da codesta eccellentissima Corte nella sentenza n. 520/1995, si ritroveranno in una condizione di molto minore (se non inesistente) probabilita', rispetto a quelli di altre Regioni avvantaggiate o meno penalizzate, di operare una pur limitata compensazione relativa alla quota B (ridotta a seguito della legge n. 46/1995), a vantaggio di altre Regioni in cui, pur avendo i relativi produttori superato, spesso di gran lunga, la somma delle quote A e B senza subire peraltro alcuna riduzione per effetto della legge n. 46/1995, i margini di compensazione sono molto piu' elevati. Col risultato che la irragionevole disparita' di trattamento tra Regioni e tra singoli produttori si aggrava: la casuale appartenenza alla associazione di una zona produttiva ha effetti sulla compensazione, a prescindere da ogni ragionevole correlazione con l'effettiva differenza, su base individuale e/o regionale, tra quota assegnata in base alle norme comunitarie e eccedenza prodotta. Con il che, identici comportamenti produttivi degli operatori e comportamenti amministrativi delle Regioni (all'atto della approvazione di piani in aumento) sono trattati diversamente in modo casuale o addirittura penalizzante. Di qui, oltre che la violazione degli artt. 3 e 97, la lesione dei principi del diritto comunitario e della sfera di competenze legislative e amministrative regionali. Si aggiunga che, anche sotto questo profilo, la retroattivita' di una disciplina che interviene ad anno di riferimento concluso ha effetti abnormi e aggrava la gia' patente irragionevolezza. L'art. 3, quinto comma, sempre nella stessa ottica e incorrendo nelle stesse illegittimita', introduce infine una redistribuzione di quote, a titolo oneroso, secondo priorita' penalizzanti per il Veneto e per i suoi produttori. Con il risultato dell'ulteriore aggravamento degli squilibri descritti. 6. - In estrema sintesi, il provvedimento legislativo qui impugnato, nella parte che interessa, e' ispirato alla ratio di individuare, quale strumento attuativo delle contestate scelte di merito contenute nell'art. 2 della legge n. 46/1995, un bollettino assolutamente unico nel suo genere e munito di caratteri del tutto speciali: la retroattivita' rispetto alla campagna ormai conclusa (art. 2, comma primo), la definitivita' rispetto ai produttori (ibidem) e agli acquirenti (quarto comma), la non definitivita' nel senso amministrativo del termine (per impugnarlo giurisdizionalmente occorre infatti avere previamente esperito il rimedio amministrativo in opposizione avanti l'AIMA: terzo comma), la non sostituibilita' con strumenti autocertificativi precedentemente introdotti dal Governo sempre in via di urgenza (secondo comma), la capacita' di precludere persino le compensazioni dovute in base alla disciplina comunitaria se l'operatore lo abbia attaccato con impugnazioni, per tutta la durata di tempo necessaria per definirle. Per altro verso, si prevede una disciplina della compensazione e delle quote latte (art. 3) del tutto dimentica delle esigenze e delle attribuzioni regionali. Per tutto questo, le previsioni del decreto impugnato che riguardano la produzione lattiera appaiono complessivamente e nella loro integrita' costituzionalmente illegittime per i vizi sopra esposti.