ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 1, secondo
 comma (ultima parte del primo periodo), 2, commi 2 e 3, e 8,  secondo
 comma,  della  legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del
 diritto  di  sciopero  nei  servizi  pubblici  essenziali   e   sulla
 salvaguardia  dei  diritti della persona costituzionalmente tutelati.
 Istituzione  della  Commissione  di  garanzia  dell'attuazione  della
 legge), promosso con ordinanza emessa il 15 dicembre 1995 dal giudice
 di pace di Roma, nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Onorati
 Rina  ed  altri e il Ministro della funzione pubblica, iscritta al n.
 123 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  2 ottobre 1996 il giudice
 relatore Luigi Mengoni.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Nel corso di un giudizio civile promosso da  Rina  Onorati  e
 altri in opposizione al decreto col quale il Ministro per la funzione
 pubblica   aveva   loro  inflitto  una  sanzione  amministrativa  per
 violazione del provvedimento di precettazione intimato ai docenti  al
 fine  di  assicurare lo svolgimento degli scrutini finali, il giudice
 di pace di Roma, con ordinanza del 15 dicembre 1995, ha sollevato, in
 riferimento agli artt. 3, 39 e 40 della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale degli artt. 1, secondo comma, 2, commi 2
 e 3, e 8, secondo comma, della legge 12 giugno 1990,  n.  146,  nella
 parte  in cui impongono le prestazioni indispensabili individuate dai
 contratti o dagli accordi  collettivi,  nonche'  dai  regolamenti  di
 servizio  emanati in base ad accordi aziendali, a tutti i lavoratori,
 indipendentemente    dall'iscrizione   o   comunque   adesione   alle
 organizzazioni sindacali stipulanti.
   Ad avviso del giudice rimettente, le  norme  impugnate  violano  in
 primo  luogo  l'art.  39,  quarto  comma, della Costituzione, perche'
 delegano  alla  contrattazione  collettiva   l'individuazione   delle
 prestazioni  indispensabili  che  devono essere assicurate in caso di
 sciopero  nei  pubblici  servizi  essenziali,  attribuendo  efficacia
 generale  a contratti collettivi e ad accordi sindacali non stipulati
 dalle rappresentanze unitarie previste dalla norma costituzionale,  e
 percio'  idonei  a spiegare efficacia obbligatoria esclusivamente nei
 confronti  dei  lavoratori  iscritti  alle   associazioni   sindacali
 stipulanti.  Conseguentemente,  nei  rapporti  con  i  lavoratori non
 aderenti, l'ordinanza della pubblica  autorita'  di  cui  all'art.  8
 della  legge  n.  146  del  1990,  diretta a garantire le prestazioni
 indispensabili cosi' individuate, sarebbe illegittima e,  come  tale,
 non  potrebbe  costituire  titolo  per  l'irrogazione  delle sanzioni
 previste dall'art. 9.
   Non si potrebbe sostenere, in contrario, che  il  rinvio  dell'art.
 1,  secondo  comma,  alla  contrattazione  collettiva  ha  un  valore
 meramente  "strumentale".  Il  rinvio,  essendo  puramente   formale,
 conserva  ai  contratti e agli accordi sindacali la qualita' di fonte
 della disciplina delle prestazioni indispensabili.
   In secondo luogo sarebbe violata  la  riserva  di  legge  stabilita
 dall'art.   40  per  la  disciplina  dell'esercizio  del  diritto  di
 sciopero.  La riserva comporta che l'individuazione delle prestazioni
 indispensabili, non potendovi provvedere direttamente la legge,  deve
 essere  rimessa  a  fonti statali subprimarie (regolamenti del potere
 esecutivo)  con  prescrizione  di  criteri  direttivi.  I   contratti
 collettivi,  ai  quali si e' fatto rinvio senza alcuna indicazione di
 princi'pi-guida, non sono uno strumento adatto a garantire i  diritti
 fondamentali  degli  utenti  (terzi)  richiamati  nell'art.  1, primo
 comma, della legge.  Ne' varrebbe obiettare che  una  funzione  super
 partes  e'  affidata alla Commissione di garanzia istituita dall'art.
 12. Invero, qualora  giudichi  inidonee  le  prestazioni  individuate
 dalla contrattazione collettiva, la Commissione ha soltanto poteri di
 proposta,  ma  non  puo'  in  nessun  caso  adottare un provvedimento
 cogente.
   Sarebbe violato, infine, anche  l'art.  3  della  Costituzione.  Il
 lavoratore  iscritto  a  una  associazione sindacale non ammessa alla
 contrattazione collettiva o non iscritto ad alcun  sindacato  sarebbe
 "leso  nella  sua  dignita'  personale  e  sociale"  dalla  normativa
 impugnata, in quanto vincolato a prestazioni ritenute  indispensabili
 non  direttamente  e  concretamente  dalla  legge,  bensi' da accordi
 sindacali ai quali e' completamente estraneo.
   2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale e'  intervenuto
 il    Presidente    del   Consiglio   dei   Ministri,   rappresentato
 dall'Avvocatura  dello  Stato,  chiedendo  che   la   questione   sia
 dichiarata  inammissibile  per  quanto  di  ragione  e  in  ogni caso
 infondata.
   Posto che nel giudizio a  quo  si  controverte  sulla  legittimita'
 delle  sanzioni  irrogate  ai ricorrenti dal Ministro per la funzione
 pubblica a norma degli artt. 8 e 9 della legge n. 146  del  1990,  la
 questione  sarebbe  ammissibile  soltanto  in  relazione a queste due
 norme, non anche agli artt. 1 e 2.
 nel  merito, secondo l'interveniente, l'art. 39 della Costituzione e'
 erroneamente invocato:  nella  specie  non  si  tratta  di  contratti
 collettivi,  bensi'  dell'ordinanza  emessa  dall'autorita'  indicata
 dall'art. 8 della legge, sentite le  organizzazioni  sindacali,  allo
 scopo di garantire le prestazioni indispensabili.
   Non  e'  violata  la  riserva di legge stabilita dall'art. 40 della
 Costituzione  perche'  le   norme   impugnate   non   delegano   alle
 organizzazioni  sindacali  un  potere  di  disciplina  del diritto di
 sciopero, ma soltanto il compito di definire le  prestazioni  la  cui
 continuita'   e'  indispensabile  per  la  salvaguardia  dei  diritti
 fondamentali dei terzi, mentre spetta  all'autorita'  governativa  la
 funzione  di  garanzia  di  tali  prestazioni  mediante  il potere di
 ordinanza attribuito dall'art. 8.
   Tanto meno puo' dirsi violato l'art. 3 della Costituzione  Tutti  i
 lavoratori  addetti  ai  servizi  pubblici  essenziali sono parimente
 soggetti al potere di ordinanza di cui agli artt. 8 e 9  della  legge
 n.  146,  e  comunque  "la parita' di trattamento e l'eguaglianza dei
 cittadini di cui all'art. 3 della Costituzione sono princi'pi che non
 attengono minimamente alla  pari  dignita'  dei  lavoratori  invocata
 nell'ordinanza di rimessione".
                         Considerato in diritto
   1.  -    Il giudice di pace di Roma mette in dubbio la legittimita'
 costituzionale degli artt. 1, secondo comma, 2, commi 2  e  3,  e  8,
 secondo  comma,  della  legge  12 giugno 1990, n. 146, nella parte in
 cui, in caso di sciopero nei servizi pubblici  essenziali,  impongono
 le  prestazioni  indispensabili, individuate dai contratti collettivi
 nel settore privato e dagli accordi collettivi di cui alla  legge  29
 marzo  1983,  n.  93 (ora sostituita in parte qua dagli artt. 45 sgg.
 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) nel settore pubblico,  a  tutti  i
 lavoratori  indipendentemente  dall'appartenenza  alle organizzazioni
 sindacali stipulanti.
   2. - Preliminarmente deve essere respinta l'eccezione  di  parziale
 inammissibilita'  opposta  dall'Avvocatura  dello  Stato in relazione
 agli artt. 1 e 2 della legge  n.  146  del  1990.  L'eccezione  muove
 implicitamente  da  una  premessa  interpretativa  secondo cui, nella
 situazione di pericolo di pregiudizio grave  e  imminente  ipotizzata
 dall'art.  8, l'autorita' ivi indicata sarebbe investita di un potere
 autonomo  di  determinazione  delle  prestazioni  indispensabili.  Si
 argomenta, invece, dall'ultimo inciso del primo comma dell'art. 8 che
 il  contenuto  dell'ordinanza  e'  vincolato  (pur  con un margine di
 discrezionalita'  di  adattamento  alle  circostanze  concrete)  alle
 determinazioni dell'autonomia collettiva ai sensi dell'art. 2.
   Nella  narrativa  di  fatto  il  giudice  a  quo  precisa  che  "le
 prestazioni indispensabili rese obbligatorie dall'ordinanza  opposta,
 emanata  ai sensi dell'art. 8, sono quelle individuate dal protocollo
 d'intesa del 25 luglio 1991". Il  provvedimento  del  Ministro  della
 funzione  pubblica  si  e'  limitato  a  sanzionare il rifiuto di una
 prestazione  riconosciuta,  con  le  procedure  di  cui  all'art.  2,
 indispensabile  allo  scopo  indicato  nell'art.  1, secondo comma, e
 pertanto il coinvolgimento nella questione  di  costituzionalita'  di
 queste  due  norme  insieme  con l'art. 8 appare corretto in punto di
 ammissibilita'.
   3. - Nel merito la questione non e' fondata.
   La  violazione  dell'art.  39, quarto comma, della Costituzione, e'
 affermata sul presupposto che l'art. 1, secondo comma, della legge n.
 146 opererebbe un rinvio  formale  ai  contratti  collettivi  e  agli
 accordi  sindacali  per  il  pubblico  impiego come fonti regolatrici
 delle prestazioni indispensabili, delle modalita' e  delle  procedure
 di   erogazione  e  delle  altre  misure  dirette  a  consentire  gli
 adempimenti di cui all'art. 2, primo comma, "con la  conseguenza  che
 detti  contratti  e accordi vengono surrettiziamente ad acquisire, in
 forza di legge, efficacia erga omnes". Ma il paragone con la legge 14
 luglio 1959,  n.  741,  suggerito  con  il  ripetuto  richiamo  della
 sentenza  n.  106 del 1962 di questa Corte, non e' calzante ed e' poi
 contraddetto dallo stesso giudice rimettente quando  precisa  che  la
 legge  n.  146  del  1990  attribuisce efficacia generale non solo ai
 contratti e agli accordi vigenti al  momento  della  sua  entrata  in
 vigore (ai quali era limitato il rinvio della legge n. 741 del 1959),
 ma anche ai contratti e agli accordi successivi.
   Nemmeno possono essere richiamate come modello interpretativo della
 norma  in  esame le leggi che delegano alla contrattazione collettiva
 funzioni   di   produzione   normativa   con   efficacia    generale,
 configurandola  come  fonte  di  diritto  extra  ordinem  destinata a
 soddisfare  esigenze  ordinamentali  che  avrebbero   dovuto   essere
 adempiute  dalla  contrattazione  collettiva  prevista dall'inattuato
 art. 39, quarto comma, della Costituzione.  L'uso di  questo  modello
 e'  giustificato  quando  si tratta di materie del rapporto di lavoro
 che esigono  uniformita'  di  disciplina  in  funzione  di  interessi
 generali  connessi  al  mercato  del  lavoro,  come il lavoro a tempo
 parziale (art. 5, terzo comma, del d.-l. 30  ottobre  1984,  n.  726,
 convertito  in  legge  19  dicembre  1984,  n.  863),  i contratti di
 solidarieta' (art. 2 del decreto-legge  citato),  la  definizione  di
 nuove  ipotesi  di  assunzione  a  termine  (art.  23  della legge 28
 febbraio 1987, n. 56, sull'organizzazione del  mercato  del  lavoro),
 ecc.  Nel nostro caso, oggetto della contrattazione collettiva non e'
 un conflitto di interessi tra  imprenditori  e  lavoratori  incidente
 sull'assetto  generale  del  mercato  del  lavoro  (maggiore o minore
 elasticita' dei modi d'impiego della mano d'opera,  mantenimento  dei
 livelli  di  occupazione  ecc.), bensi' il conflitto tra i lavoratori
 addetti ai pubblici servizi essenziali e gli utenti (terzi) in ordine
 alla misura entro cui l'esercizio del diritto di sciopero deve essere
 mantenuto   per   contemperarlo   con   i   diritti   della   persona
 costituzionalmente garantiti.
   A questo fine la legificazione del contratto collettivo non era una
 via   percorribile,   ne'  dal  punto  di  vista  della  legittimita'
 costituzionale, mancando i  presupposti  in  presenza  dei  quali  e'
 consentita  la  delega  alla  contrattazione  collettiva  di funzioni
 paralegislative, ne' dal punto di vista dell'orientamento della legge
 n. 146 a fondare la regolamentazione dello sciopero su  una  base  di
 consenso   la   piu'  ampia  possibile,  e  quindi  ad  allargare  il
 procedimento, oltre che ai datori di lavoro e alle rappresentanze dei
 lavoratori delle singole imprese  o  amministrazioni  erogatrici  dei
 servizi,  anche  alle organizzazioni degli utenti e all'intervento di
 un autorita' super partes esponente dell'interesse pubblico generale.
 Percio' l'atto conclusivo del procedimento e' individuato dalla legge
 nel regolamento di servizio  da  emanarsi  dalle  singole  imprese  o
 amministrazioni  in base a un accordo con le rappresentanze sindacali
 aziendali  o  con le rappresentanze del personale, che deve recepire,
 con gli opportuni adattamenti alle singole strutture  erogatrici,  il
 codice  di comportamento negoziato al livello della contrattazione di
 categoria o di comparto.
   Quando  sia  stata  raggiunta  un'intesa  a  entrambi   i   livelli
 contrattuali  e  la  Commissione  di  garanzia non abbia espresso una
 valutazione di inidoneita', fonte diretta dell'obbligo dei lavoratori
 di  effettuare  le  prestazioni  riconosciute  indispensabili  e'  il
 regolamento  di  servizio  in  quanto atto di esercizio (a formazione
 "procedimentalizzata" e quindi  a  contenuto  vincolato)  del  potere
 direttivo  del  datore  di  lavoro.  Se  manca  l'accordo  a  livello
 d'impresa, senza il quale non puo' essere emanato il regolamento,  le
 prestazioni  indispensabili  -  che  il datore di lavoro e' tenuto ad
 assicurare  in  ogni  circostanza  -  saranno  da   lui   determinate
 unilateralmente  caso  per caso mediante specifici ordini di servizio
 conformi alle indicazioni generali dell'intesa intervenuta al livello
 superiore della contrattazione collettiva oppure, se  la  Commissione
 le abbia giudicate negativamente, alla proposta presentata alle parti
 ai sensi dell'art. 13.
   Infine,  qualora  un accordo non sia stato concluso in nessuna sede
 contrattuale, oppure le prestazioni concordate siano state  giudicate
 inidonee  dall'organo  di  garanzia, supplisce il potere di ordinanza
 dell'autorita' designata  dall'art.  8,  che  dovra'  adeguarsi  alla
 proposta  della  Commissione,  se  gia'  formulata.  In  nessun caso,
 dunque, l'obbligo dei singoli lavoratori e' un  effetto  direttamente
 collegabile al contratto collettivo.
   L'estraneita' dei contratti e degli accordi in esame alla categoria
 del contratto collettivo prefigurato dall'art. 39 della Costituzione,
 direttamente  incidente  sulla disciplina dei rapporti individuali di
 lavoro, e' confermata dall'assoggettamento del  loro  contenuto  alla
 valutazione  di  idoneita'  (cioe'  di congruita' allo scopo indicato
 dall'art. 1, secondo comma) da parte dell'organo di  garanzia.  Nella
 sua  funzione  tipica  di  mezzo  di  composizione  del  conflitto di
 interessi tra datori e prestatori di lavoro, il contratto  collettivo
 e' "impermeabile a qualsiasi controllo di razionalita'" (Cass., s.u.,
 n.  4570  del  1996),  il cui referente non potrebbe essere se non un
 parametro di ragionevolezza estrinseco al contratto e sovrapposto  ai
 valori espressi dal regolamento voluto dalle parti (cfr. Cass., s.u.,
 n.  6031  del  1993).  Ne' vale a sminuire la rilevanza giuridica del
 giudizio  di  idoneita'  l'obiezione  che  la  Commissione  non  puo'
 adottare  nessun provvedimento cogente. Essa non ha poteri correttivi
 o modificativi degli accordi stipulati, ma una  valutazione  negativa
 li  priverebbe  di  efficacia  e,  se  le  parti  non accettassero la
 proposta della Commissione, giustificherebbe l'intervento del  potere
 di ordinanza della pubblica autorita'.
   4. - Neppure e' violato l'art. 40 della Costituzione. La riserva di
 legge  non  esclude che la determinazione di certi limiti o modalita'
 di esercizio del diritto di sciopero possa essere rimessa non solo  a
 fonti  statali  subprimarie, ma anche alla contrattazione collettiva,
 purche' con condizioni che garantiscano le finalita' per le quali  la
 riserva  e' stata disposta. Non essendo possibile formulare direttive
 uniformi per l'individuazione  delle  prestazioni  indispensabili  in
 caso  di  sciopero  nei pubblici servizi essenziali, tali prestazioni
 variando  a  seconda  del  tipo  di  servizio  e  dell'organizzazione
 imprenditoriale  o amministrativa che lo eroga, la definizione legale
 dei fondamenti della disciplina non puo' andare oltre  a  indicazioni
 del  tipo  di  quelle  dell'art. 1 della legge n. 146, che delinea il
 quadro di riferimento del bilanciamento di beni e interessi  affidato
 alla  contrattazione  collettiva.  Percio'  la  fissazione ex ante di
 criteri  contenutistici  da  parte  della  legge  e'  surrogata   dal
 controllo  successivo,  demandato  a  un  organo  pubblico,  che deve
 verificare l'idoneita' degli accordi collettivi rispetto  allo  scopo
 indicato dall'art. 1, secondo comma.
   5.  -  Le  considerazioni  svolte  nei  numeri  precedenti  rendono
 inattendibile anche la censura riferita all'art. 3 della Costituzione
 Il procedimento  di  ricognizione  delle  prestazioni  indispensabili
 definito  dalla  legge  n.  146  e'  uno  strumento di eguaglianza di
 trattamento dei lavoratori, non di discriminazione.