IL GIUDICE PER L'UDIENZA PRELIMINARE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza di promovimento del giudizio di
 incostituzionalita', ex officio, dell'art. 34, secondo comma c.p.p.
   Con ordinanza  n.  5026/1993  g.i.p.  del  12  marzo  1994,  questo
 giudice,  in accogliento della richiesta formulata dal p.m. presso la
 procura   della   Repubblica   di   questo,   tribunale,    disponeva
 l'applicazione  della  misura cautelare della custodia in carcere nei
 confronti di Voluti Alessandro e' la misura cautelare della  custodia
 domiciliare  nei  confronti  di  Castiglia  Giuliano, Chinetti Barone
 Silvia e Ciriminna Saverio, tutti indagati per i reati  di  cui  agli
 artt.  323, 110 c.p.; 353 c.p. ed il solo Voluti, anche, per il reato
 di cui agli artt.  56 e 610 c.p.
   Avverso detta misura proponevano ricorso dinnanzi  al  tribunale  -
 sezione  per il riesame - tutti gli indagati: il tribunale adito, con
 ordinanza del 18 aprile 1994, in accoglimento del  ricorso  annullava
 la   predetta   ordinanza  per  insussistenza  dei  gravi  indizi  di
 colpevolezza  a  carico  degli  indagati,   ordinandone   l'immediata
 liberazione.
   Avverso  tale  statuizione proponeva ricorso per Cassazione il p.m.
 per violazione di legge.
   La S.C., con propria sentenza dell'8 luglio  1994,  annullava,  con
 rinvio  al  tribunale  per un nuovo esame, la decisione impugnata dal
 p.m.
   Il tribunale per  il  riesame,  con  successiva  ordinanza  del  10
 novembre  1994, annullava nuovamente l'ordinanza cautelare emessa dal
 g.i.p.  e della quale si e' succintamente riferito,  ma  per  ragioni
 diverse  da  quelle  poste  a  sostegno  della  precedente  decisione
 adottata  da  altra  sezione  del  tribunale;   in   altri   termini,
 riconosceva  -  diversamente  dal  primo  giudice  di  riesame  -  la
 sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico  di  tutti  gli
 indagati, escludendo pero', in capo agli stessi, la sussistenza delle
 esigenze   cautelari  che  giustificassero  l'adozione  della  misura
 restrittiva nei loro riguardi.
   All'esito delle indagini preliminari, il p.m.  formulava  richiesta
 di rinvio a giudizio nei confronti degli imputati sopra menzionati.
   All'odierna  udienza  preliminare,  previa  costituzione  di  parte
 civile ad opera di alcuni tra i soggetti danneggiati  dal  reato,  le
 parti  formulavano  le rispettive conclusioni di merito (richiesta di
 rinvio a giudizio da parte del p.m. e della parte civile ed emissione
 di sentenza di non luogo a procedere da parte dei difensori di  tutti
 gli indagati).
   In  esito  a dette richieste, questo giudice ritiene di sollevare -
 ex officio - questione di legittimita' costituzionale dell'art.   34,
 comma   secondo,   c.p.p.,   nella   parte   in   cui   non   prevede
 l'incompatibilita' tra il giudice per le indagini preliminari che  si
 sia  pronunciato su una richiesta di applicazione di misure cautelari
 formulata  dal  p.m.  e  lo  stesso  giudice,  chiamato  a  celebrare
 l'udienza preliminare.
   Il  problema,  gia'  affrontato  e  risolto, per la verita' il piu'
 delle volte  in  termini  negativi  da  altri  giudici  investiti  di
 questioni  identiche  (contra  g.u.p.  tribunale  Roma - ordinanza di
 rimessione degli atti alla Corte costituzionale del  18  maggio  1995
 sia  pure  con  riferimento  ad  un  provvedimento ex art. 409 c.p.p.
 adottato dal  g.i.p.  nella  fase  delle  indagini  preliminari),  si
 ripresenta  ancor piu' attuale e fondato alla luce delle recentissime
 sentenze nn.  131/1996 e 155/1996 emesse dalla Corte  costituzionale:
 in   entrambe   dette   decisioni  che  riprendono  e  rafforzano  le
 argomentazioni contenute nella sentenza n. 432/1995, e'  stata  posta
 in  risalto  l'incompatibilita'  tra  il  giudice che ha applicato la
 misura cautelare e quello stesso giudice che,  in  qualsiasi  modo  e
 sotto  altra  veste o funzione, sia stato chiamato a pronunciarsi sul
 merito della vicenda processuale sottoposta al suo esame.
   L'incompatibilita' assume, ovviamente, un rilievo maggiore  per  il
 g.i.p.  che,  pronunciandosi  in  tema di liberta' individuale, torni
 poi, sotto la veste di g.u.p., ad esaminare il merito della  vicenda,
 essendo  evidente  il  possibile  conflitto  originato  dalle diverse
 funzioni con le quali e' stata esaminata la vicenda.
   Senza voler immorare sulle argomentazioni attraverso  le  quali  la
 Corte   costituzionale  e'  pervenuta  a  formulare  il  giudizio  di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 34,  secondo  comma,  c.p.p.,
 pare   opportuno  sottolineare  che  nelle  citate  decisioni  si  e'
 particolarmente insistito  sulla  "imparzialita'"  del  giudice  come
 principio cardine del nuovo processo penale, non mancando di rilevare
 come  detto  principio  possa  essere  violato  tutte  le  volte  che
 ricorrono evenienze del  genere.    Ed  ancora,  prosegue  la  Corte,
 l'incompatibilita'  poggia  sulla  esigenza di vincere la c.d. "forza
 della prevenzione" che  sovente  impedisce  al  giudice  di  rivedere
 criticamente   precedenti   decisioni   e   che   appare   certamente
 configurarsi la' dove il giudice, chiamato ad effettuare  valutazioni
 di  merito  sul  piano  della consistenza degli indizi in vista della
 emissione di una misura  cautelare,  torni  poi  ad  occuparsi  dello
 stesso caso sempre sotto un profilo di merito ma con una funzione ben
 diversa.  Ed  infine,  secondo  le prospettazioni della Corte, questa
 valutazione sul piano della consistenza indiziaria appare ancor  piu'
 penetrante  (e  sostanzialmente  equiparabile  ad  una vera e propria
 decisione di merito) alla luce della modifica normativa dell'istituto
 della custodia cautelare introdotta dalla legge n. 332/1995, il quale
 esige un giudizio probabilistico in ordine  alla  colpevolezza  assai
 piu' penetrante rispetto al passato e tale da superare la distinzione
 tra valutazioni di tipo indiziario (rilevanti in sede di applicazione
 di  una  misura  cautelare)  e  giudizio sul merito dell'accusa (vds.
 sent. nn. 432/1995 e 131/1996).
   Ma quel che piu' interessa nella vicenda in esame e' l'affermazione
 della Corte secondo la  quale  qualsiasi  decisione  di  merito  vada
 ricompresa nella locuzione "giudizio" contenuta nell'art. 34, secondo
 comma,  c.p.p.,  senza  che  vi  sia  estranea nemmeno la sentenza di
 applicazione della pena su richiesta che definisce, si', il  giudizio
 ma  che  e'  di  contenuto improprio (in quanto non viene considerata
 sentenza   di   condanna,   fondata   su   una   valutazione    della
 responsabilita' penale).
   Ora,  se  e'  vero  che l'udienza preliminare, tra i suoi possibili
 esiti, puo' annoverare l'emissione di una sentenza  di  non  luogo  a
 procedere   (se   all'istituto   della   udienza   preliminare   deve
 attribuirsi, come pare, un significato concreto e non la veste di  un
 rito  puramente  figurativo),  non  puo'  negarsi  che  anche in tale
 ipotesi si puo' versare in una situazione di incompatibilita' analoga
 a quelle altre sottoposte all'esame della Corte e da questa  ritenuta
 sussistente.
   Non  si  ignora  che, secondo i principi piu' volte affermati dalla
 Corte  costituzionale  (vds.  sentenze  nn.  401/1991,   124/1992   e
 432/1995) e condivisi da parte di altri g.u.p. investiti di questioni
 analoghe  (vds.  ordinanza g.u.p. tribunale Napoli e ordinanza g.u.p.
 tribunale Roma del 4 ottobre 1994) l'udienza preliminare implica  non
 tanto  un  giudizio  di  merito  sui  fatti oggetto del procedimento,
 quanto una valutazione in  ordine  alle  condizioni  legittimanti  il
 rinvio  a  giudizio degli imputati, a nulla valendo, in contrario, il
 fatto che l'udienza preliminare potrebbe concludersi con una sentenza
 di non luogo a  procedere  ex  art.  425  c.p.p.,  che  non  basta  a
 trasformare  l'udienza  medesima  in  un  giudizio  anticipato  sulla
 responsabilita'; ne' si ignora che la sentenza ex art. 425 c.p.p.  e'
 una  decisione  pur  essa  impropria, soggetta come e' a revoca e che
 secondo un'autorevole opinione  acquista  i  connotati  di  una  c.d.
 "decisione  processuale".    Ne',  infine,  si  ignora  che  la Corte
 costituzionale,  in  tutte  le   sue   precedenti   decisioni   abbia
 circoscritto  l'incompatibilita'  a  parametri rigorosamente definiti
 (precisando che l'udienza preliminare non conduce ad una decisione di
 merito  e  che  e'  indispensabile  una  valutazione "non formale, ma
 contenutistica"  in  ordine  alla  sussistenza  degli  elementi   che
 giustificano l'assoggettamento dell'imputato al giudizio di merito).
   Ma, a ben vedere e facendo tesoro delle ricordate pronunce nn.  131
 e  155  del  1996,  nonche'  della  sentenza n. 432/1995, la Corte ha
 inteso fissare il principio  generale  che  qualsiasi  pronuncia  che
 implichi  un  giudizio  puo'  determinare eventuali incompatibilita'.
 Ora appare incontrovertibile che tale principio  coinvolga  qualsiasi
 decisione  che  implichi  una  valutazione,  fondata sulle risultanze
 acquisite agli atti del  procedimento,  di  carattere  contenutistico
 (nel  senso,  cioe', di un giudizio di merito) nel cui ambito rientra
 certamente  la  sentenza  ex  art.  425  c.p.p.   che,   dell'udienza
 preliminare, rappresenta uno dei possibili sbocchi.
   Si   tratta,  come  e'  noto,  di  una  pronuncia  che  esclude  la
 sussistenza di qualsiasi responsabilita' in capo all'imputato e che -
 seppure soggetta a revoca -  e'  anch'essa  assoggettata  ai  normali
 rimedi   previsti   per   tutte  le  sentenze  (e',  in  particolare,
 ricorribile per Cassazione).
   Si potrebbe obiettare che trattandosi di una valutazione  residuale
 che  abbraccia  solo  un  giudizio  di  non  responsabilita'  penale,
 l'incompatibilita' non si configurerebbe perche', anzi, una decisione
 del genere implica il superamento di quella barriera costituita dalla
 "forza della prevenzione" che si  pone  come  un  grave  limite  alla
 imparzialita' e terzieta' del giudice.
   Ma  eventuali cause di incompatibilita' per la violazione di uno di
 detti principi vanno risolte a monte e prevenute proprio per  evitare
 che  esse possano in qualche modo insorgere e far apparire il giudice
 in una posizione non neutra  ed  ancorata  a  precedenti  valutazioni
 dallo stesso espresse.
   Ritiene  allora  questo  giudice  che  l'udienza  preliminare abbia
 progressivamente assunto i connotati di  giudizio  di  merito,  anche
 sulla  spinta  delle esigenze deflattive poste alla base del processo
 penale attuale (cosi', ord. g.u.p. Roma del 18 maggio  1995  citata),
 tanto  che  l'imputato  si  attende  da parte del giudice chiamato ad
 esaminare  la  fondatezza,  o  meno,  della  richiesta  di  rinvio  a
 giudizio,  un esame scrupoloso ed approfondito di tutti gli atti (che
 se carente, svuoterebbe di contenuto l'istituto): d'altra  parte  non
 e'  chi  non  veda  la profonda analogia tra una sentenza ex art. 425
 c.p.p. ed una  sentenza  di  assoluzione  pronunciata  a  seguito  di
 richiesta  di rito abbreviato, quando entrambe si fondino su un esame
 degli atti senza che nulla debba o possa aggiungersi nella successiva
 fase dibattimentale.
   Peraltro, se e' vero che in molti  casi  l'udienza  preliminare  e'
 destinata  a  risolversi  in  una  pronuncia c.d. "interlocutoria" di
 rinvio a giudizio, e' innegabile che la sentenza ex art.  425  c.p.p.
 costituisca  oggi ben piu' di una ipotesi residuale, specie alla luce
 delle modifiche apportate con la legge 8  aprile  1993  n.  105,  che
 sopprimendo  l'inciso  "evidente"  contenuto  nel  vecchio  testo  ha
 aumentato il potere decisorio del g.u.p.  finendo  con  il  conferire
 alla  decisione un significato non piu' processuale, quanto di merito
 pieno, cui e' correlato il potere-dovere per il giudice  di  svolgere
 il  controllo  di  responsabilita'  dell'imputato  secondo gli stessi
 parametri di valutazione del giudice  del  dibattimento  (cosi,  App.
 Napoli 8 marzo 1995).
   La  progressiva  espansione  dell'udienza  preliminare  sino ad una
 sostanziale  coincidenza  con  l'udienza  dibattimentale   (vds.   in
 proposito  le  innovazioni  legislative  in  tema  di sospensione dei
 termini  di  custodia  cautelare  applicate   anche   per   l'udienza
 preliminare),   induce   questo   giudice   a   rivedere  il  proprio
 convicimento che, in occasione di analoga questione sottoposta al suo
 esame su impulso di  parte  (eccezione  di  illegittimita'  sollevata
 dalla  difesa),  lo aveva indotto a ritenere manifestamente infondata
 la questione (proc. penale contro Giammarinaro  Giuseppe),  anche  in
 considerazione di una parallela e progressiva espansione del concetto
 di  giudizio  che,  implicando  una  valutazione contenutistica degli
 atti, deve inevitabilmente ricomprendere  l'udienza  preliminare,  in
 relazione  al  possibile  esito  di  una  sentenza  di  non  luogo  a
 procedere.
   L'incompatibilita' di cui sopra si  risolve  nella  violazione,  ad
 avviso  dell'ufficio  remittente, delle regole costituzionali dettate
 dagli artt. 3, 25, 76 e 77: in particolare, l'art. 3 sembra incrinato
 dalla   denunciata   e    non    prevista    incompatibilita'    che,
 inevitabilmente,  si  riflette  negativamente  sulla  uguaglianza dei
 cittadini dinnanzi alla legge; del pari, l'art. 25 Cost. appare posto
 in discussione  potendosi  ravvisare  una  violazione  del  principio
 costituzionale  della imparzialita', in quanto l'imputato e' chiamato
 a  rispondere  davanti  ad  un  giudice  che  ha  gia'  espresso  una
 valutazione fortemente significativa e che si e' quindi privato della
 sua  qualita' di giudice naturale, precostituito per legge e per casi
 generali. Ed anche gli arrt. 76 e  77  Cost.  risultano  pretermessi,
 posto  che  la  mancata  previsione  della  incompatibilita'  di  cui
 all'art. 34, secondo comma c.p.p., incide sulla divisione dei  poteri
 tra  organo  giudicante  ed  organo  requirente e, di riflesso, sulla
 terzieta'  del  giudice  che  appare  visibilmente  compromessa   per
 l'identita'  fisica  del  giudice  che  si  pronuncia  su  una misura
 coercitiva, rispetto al giudice chiamato a pronunciarsi  in  sede  di
 udienza preliminare.