IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al
 n.  821  del  ruolo  generale degli affari contenziosi dell'anno 1991
 vertente tra Bonaccorsi Maria, Belmusto Giovanna,  Belmusto  Antonio,
 elettivamente  domiciliati  in  Reggio  Calabria,  via P. Foti n. 21,
 presso lo  studio  dell'avvocato  Alberto  Panuccio  dal  quale  sono
 rappresentati   e  difesi  giusta  procura  a  margine  dell'atto  di
 citazione in riassunzione, attori, contro l'Ente Ferrovie dello Stato
 in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, convenuto.
                           Rilevato in fatto
   Con citazione notificata il 31  luglio  1974  all'azienda  autonoma
 delle  Ferrovie  dello  Stato  in persona del Ministro dei trasporti,
 presso l'Avvocatura distrettuale di Catanzaro, il dr. Matteo Belmusto
 esponeva che il prefetto di  Reggio  Calabria,  con  decreto  del  28
 giugno 1972, n. 5045, div. 4, aveva disposto l'occupazione temporanea
 di  un terreno di sua proprieta' riportato in catasto al foglio 4, p.
 414; che originariamente la superficie prevista per l'occupazione era
 stata fissata  in  mq  3.200,  successivamente  estesa  alla  residua
 proprieta' dell'istante, su richiesta avanzata ai sensi dell'art.  23
 legge 25 giugno 1865, n. 2359.
   Evidenziava  il Belmusto che il decreto gli era stato notificato il
 29 luglio 1972; che l'occupazione era stata gia' eseguita fin dal  13
 marzo   1972   contestualmente   con  la  redazione  del  verbale  di
 consistenza; che  l'Amministrazione,  pur  avendo  eseguito  e  quasi
 portato  a  termine  la costruzione non aveva portato a compimento il
 procedimento di espropriazione; che l'occupazione era ormai  divenuta
 illegittima,  ma  la  costruzione  dell'opera  pubblica  ostava  alla
 restituzione del bene.
   Tanto premesso  l'istante  chiedeva  condannarsi  l'Amministrazione
 convenuta al risarcimento del danno in suo favore.
   Con  successivo  atto di citazione del 28 novembre 1975 il Belmusto
 Matteo conveniva nuovamente innanzi allo stesso Tribunale la predetta
 Amministrazione  ferroviaria,  prendendo  atto  che  nelle  more,   e
 precisamente  il  24  settembre  1975,  era  stato  emesso decreto di
 espropriazione con determinazione dell'indennita' ex art. 16 legge n.
 865/1971, avverso la quale  proponeva  opposizione,  e  chiedendo  il
 valore  venale  del  terreno,  per  l'illegittimita'  e  nullita' del
 decreto ablatorio.
   In entrambe le cause si costituiva  in  giudizio  l'Amministrazione
 convenuta,  rappresentata  dall'Avvocatura  distrettuale dello Stato,
 che concludeva per il rigetto o  la  declaratoria  d'improponibilita'
 della domanda.
   Sulle  cause  riunite con sentenza del 16 dicembre-13 marzo 1982 il
 tribunale  di  Catanzaro  pronunciava  la  propria  incompetenza  per
 materia  a  conoscere  delle  predette  domande,  per  le  quali  era
 competente la Corte d'appello di Catanzaro.
   La  Corte  d'appello,  innanzi  alla  quale  parte  attrice   aveva
 riassunto  la causa, ritenendo di dover parimenti rilevare la propria
 incompetenza, con ordinanza del 4 novembre 1985  rimetteva  gli  atti
 alla  Corte  di  cassazione ai sensi dell'art. 45 c.p.c. Con sentenza
 del 18 novembre 1986 la suprema Corte dichiarava  la  competenza  del
 tribunale  di  Catanzaro  in  ordine alla domanda di risarcimento del
 danno, e della Corte d'appello per quella di opposizione alla stima.
   Nuovamente  riassunte  le  cause  innanzi  agli  uffici  giudiziari
 indicati  dalla  Corte  di cassazione, sopravveniva la legge 5 luglio
 1989, n.  246, di conversione del decreto  8  maggio  1989,  n.  166,
 istitutiva della Corte d'appello di Reggio Calabria: sulle tempestive
 eccezioni  di  parte  convenuta  la Corte d'appello di Catanzaro (con
 sentenza del 5 maggio-15 giugno 1990) ed il  tribunale  di  Catanzaro
 (con  sentenza  del  20-28  dicembre  1990)  dichiaravano  la propria
 incompetenza per territorio, in favore  degli  uffici  giudiziari  di
 Reggio Calabria.
   Gli  eredi  del Matteo Belmusto, con citazione notificata 25 giugno
 1991 all'Avvocatura distrettuale dello Stato, riassumevano innanzi al
 Tribunale di Reggio Calabria la controversia  avente  ad  oggetto  il
 risarcimento  del  danno,  invocando la condanna dell'Amministrazione
 convenuta  alla  corresponsione  del  valore  di  mercato  del   bene
 occupato,   e   previa   declaratoria   d'illegittimita',   nullita',
 inefficacia del decreto di espropriazione emesso dopo la scadenza del
 termine di occupazione.
   Non  si  costituiva  in  questa  ulteriore  fase  l'Amministrazione
 convenuta,  e  la  causa,  acquisiti gli atti del processo riassunto,
 precisate le conclusioni di parte attrice, veniva posta in  decisione
 all'udienza collegiale del 12 dicembre 1995.
                          Rilevato in diritto
   Secondo   l'ormai   consolidata   giurisprudenza   della  Corte  di
 cassazione  l'occupazione  illegittima  del  suolo   privato   e   la
 costruzione   su   di  esso  di  un'opera  da  parte  della  pubblica
 amministrazione, determinano, per l'impossibilita' della restituzione
 al proprietario (cui segue l'effetto dell'acquisto dell'immobile alla
 mano pubblica) un danno nella sfera  giuridica  del  privato  la  cui
 azione  per  il conseguimento del valore ha natura risarcitoria (cfr.
 Cass. S.U. 25 novembre 1992 n.  12546).  Da  tale  ricostruzione  del
 fenomeno  della  c.d.  occupazione acquisitiva e dalla conseguenziale
 disciplina  questo  tribunale  non  ritiene  di   discostarsi   nella
 decisione del caso de quo.
   In   particolare,   giova  rilevare  con  specifico  riferimento  a
 quest'ultimo,   che    deve    ritenersi    certamente    illegittima
 l'irreversibile  destinazione  del fondo ad opera pubblica proseguita
 oltre la scadenza del  provvedimento  autorizzativo  dell'occupazione
 temporanea  d'urgenza;  non puo' neppure ritenersi tempestivamente ed
 efficacemente  completata   la   procedura   espropriativa   per   il
 consolidato  l'orientamento della suprema Corte di cassazione secondo
 il quale l'illecito si perfeziona nel momento in cui scade il termine
 dell'occupazione temporanea senza che sia intervenuto  il  definitivo
 provvedimento   espropriativo,   che  sarebbe,  se  emesso  in  epoca
 successiva a quel momento, inutiliter dato ed inidoneo a  trasformare
 in  legittima  acquisizione  in capo alla p.a.   quell'acquisto ormai
 intervenuto a titolo  originario  e  come  conseguenza  dell'illecito
 (cfr.  Cass. Sez. Un. 10 giugno 1988 n. 3940, e successivamente Cass.
 Sez. I, 3 maggio 1991 n. 4848).
   Ritenuto pertanto:
     che nella controversia de qua dovrebbe farsi  applicazione  della
 norma  di  cui all'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n.
 549, entrata in vigore nelle more tra l'udienza di discussione  e  la
 presente decisione;
     che   l'applicazione   della  norma  predetta  (e  quindi,  delle
 disposizioni di cui all'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n.  333,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, del
 quale  la stessa ha sostituito il comma 6) anche nei giudizi pendenti
 consegue all'espressa previsione  contenuta  nella  norma  della  sua
 applicazione   in  tutti  i  casi  in  cui  "non  sono  stati  ancora
 determinati in via definitiva il  prezzo,  l'entita'  dell'indennizzo
 e/o del risarcimento del danno ...";
     che,  appunto,  nel  caso  di  specie,  trattasi  di  determinare
 giudizialmente l'entita' del risarcimento del  danno  spettante  agli
 attori per l'occupazione illegittima di cui sopra;
     che, a seguito dell'entrata in vigore della norma di cui all'art.
 1,  comma 65, della legge n. 549/1995, il tribunale dovrebbe adottare
 per la liquidazione dei danni di cui  gli  attori  hanno  chiesto  il
 risarcimento  i  criteri, gia' dettati per il calcolo dell'indennita'
 di espropriazione, di  cui  all'art.  5-bis  del  d.-l.  n.  333/1992
 succitato,  piuttosto  che  quello, seguito in precedenza, del valore
 venale del bene;
     che  e',  quindi,  rilevante   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995,
 n. 549, cosi' come sostitutivo del comma 6, dell'art. 5-bis del d.-l.
 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge  8
 agosto  1992,  n.  359,  che  il  Collegio ritiene di dover esaminare
 d'ufficio a norma dell'art. 23, comma terzo,  della  legge  11  marzo
 1953, n.  87;
   Ritenuto altresi':
     che,  secondo  la ricostruzione della fattispecie dell'accessione
 invertita  (o  occupazione  acquisitiva),  l'acquisto  in  capo  alla
 pubblica   amministrazione   "del   nuovo   bene   risultante   dalla
 trasformazione del precedente si configura ... come  una  conseguenza
 ulteriore,  eziologicamente  dipendente  non  dall'illecito  ma dalla
 situazione  di  fatto  -  realizzazione   dell'opera   pubblica   con
 conseguente  non  restituibilita' del suolo in essa incorporato - che
 trova il suo antecedente storico nella illecita occupazione  e  nella
 illecita  destinazione  del fondo alla costruzione dell'opera stessa"
 (Corte costituzionale 17-23 maggio 1995, n.  188),  sicche'  l'intera
 fattispecie  viene  attratta  nell'ambito dell'illecito, nel quale la
 somma di denaro che  la  p.a.  e'  tenuta  a  pagare  al  privato  in
 conseguenza  della  perdita  da  lui  subita,  "costituisce  non gia'
 controvalore, ma reintegrazione patrimoniale a  titolo  risarcitorio,
 di  cui il valore del bene non e' che un parametro di determinazione"
 (Corte cass. S.U. n. 12546/1992 cit.);
     che, pertanto, la fattispecie in esame e'  assolutamente  diversa
 da   quella  dell'espropriazione  di  aree  edificabili  (cfr.  Corte
 costituzionale 16  dicembre  1993,  n.  442),  la  quale  presuppone,
 invece,   che  l'ente  espropriante  abbia  seguito  un  procedimento
 legittimo, in esito al quale soltanto e' consentita la corresponsione
 al privato di un'indennita' che, seppure  congrua,  seria,  adeguata,
 puo' non essere esattamente commisurata al valore venale del bene;
     che  la  diversita'  tra  le  fattispecie  e' resa evidente dalla
 circostanza  che  nel  caso  dell'espropriazione  l'ordinamento   non
 reagisce  ad  un danno, da risarcire, ma tende a  garantire un giusto
 corrispettivo al soggetto  che  si  e'  visto  sottrarre  un  proprio
 diritto per i motivi d'interesse generale sottesi all'espropriazione;
     che,  viceversa,  nell'ipotesi dell'occupazione acquisitiva vi e'
 l'esigenza di reagire ad un fatto che  determina  una  lesione  della
 sfera  giuridica  individuale,  considerata  sotto  il  profilo della
 lesione  della  proprieta',  e  che  e'  illecito  perche'  posto  in
 "violazione  -  certamente consapevole - delle norme che stabiliscono
 in quali casi e con quali procedimenti la proprieta' di  un  immobile
 privato  puo'  essere  autoritativamente  sacrificata per esigenze di
 pubblico interesse,  ai  sensi  dell'art.  42,  terzo  comma,  Cost.,
 nonche'  delle  norme che consentono la temporanea compressione della
 facolta' di godimento dei beni privati" (Corte cass. S.U. 26 febbraio
 1983 n.  1464); pertanto, il risarcimento risponde in tale caso  alla
 finalita'   tradizionale   di   compensazione   pecuniaria  di  danni
 patrimoniali e quindi la relativa liquidazione dovrebbe rispettare la
 regola dell'equivalenza tra danno cagionato e danno da risarcire;
     che la norma  di  cui  all'art.  1,  comma  65,  della  legge  n.
 549/1995,   equiparando   gli  effetti  economico-patrimoniali  della
 perdita del bene per  fatto  illecito  a  quelli  dell'espropriazione
 secundum  legem, appare illegittima per violazione della norma di cui
 all'art. 3, primo comma, della Costituzione sia perche', in contrasto
 col principio di ragionevolezza, si vengono a trattare in modo uguale
 situazioni  diverse,  sia  perche'  il  legislatore,  attribuendo  al
 rapporto  la  qualificazione  giuridica  propria  dell'illecito,  nel
 presupposto che esso corrisponda nella sua sostanza a  quella  (tanto
 e'  vero  che  fa espresso riferimento al "risarcimento del danno" in
 aggiunta ed in alternativa all'indennizzo), finisce per  assoggettare
 il   rapporto  cosi'  qualificato  ad  una  disciplina  completamente
 diversa, quale e' quella dettata in materia di espropriazione di aree
 edificabili;  con  l'ulteriore   ingiustificata   sperequazione   che
 identiche  saranno  le conseguenze per l'ente espropriante che faccia
 ricorso ad un  legittimo  procedimento  espropriativo  e  quello  che
 invece ponga in essere un'attivita' illecita;
     che  anzi,  a ben vedere, maggiori vantaggi appaiono derivare per
 la p.a. che abbia agito illegittimamente,  perche'  il  conseguimento
 della   proprieta'   dell'immobile   trasformato   avviene  senza  il
 preventivo  adempimento  delle  complesse  procedure  cui  la   legge
 sottopone   l'espropriazione   secundum  legem,  senza  che  da  tale
 inosservanza scaturisca per l'acquirente l'obbligo  di  corrispondere
 un   risarcimento   maggiore   dell'indennita'  per  l'espropriazione
 legittimamente   operata;   infine   beneficiando   di   un   termine
 prescrizionale  assai  piu'  breve (quinquennale ex art.   2947 c.c.,
 invece che decennale) da opporre al titolare del bene espropriato che
 reclami  il  pagamento  di  quanto  dovutogli  in  conseguenza  della
 perdita;
     che  la  questione  di legittimita' costituzionale della norma in
 discorso nemmeno appare manifestamente infondata con riferimento alla
 norma di cui all'art. 42, comma terzo, della Costituzione, in  quanto
 vanifica  la  limitazione,  contenuta  in  tale  norma, del potere di
 esproprio della p.a. ai soli casi previsti dalla legge:  ed,  invero,
 sebbene   sia   possibile  la  coesistenza  nell'ordinamento  di  una
 pluralita' di modelli espropriativi, tuttavia  perche'  all'integrale
 ristoro    del    sacrificio   subito   dal   privato   per   effetto
 dell'espropriazione possa sostituirsi l'indennizzo (cosi' come  ormai
 univocamente  inteso nel senso di congruo ristoro) e' necessario, per
 il  disposto  della  norma  costituzionale  suddetta,  che  l'ipotesi
 ablativa  sia legislativamente configurata in conformita' allo schema
 traslativo presupposto da tale norma;
   Ritenuto infine:
     che effettivamente non e' precluso  al  legislatore,  nell'ambito
 della  figura  generale del risarcimento, derogare al principio della
 riparazione integrale del danno sofferto (di cui all'art.  1223  cod.
 civ.,  richiamato,  per  i fatti illeciti, dall'art. 2056 cod. civ.),
 disponendo per  legge  il  limite  massimo  del  risarcimento  ovvero
 determinando legislativamente il quantum dovuto;
     che  tuttavia la deroga al regime ordinario nella fattispecie che
 ci  occupa  appare  di   dubbia   legittimita'   costituzionale   con
 riferimento  alla  norma di cui all'art. 3, comma primo, nonche' alla
 disciplina  di  cui  all'art.  42,  secondo  e  terzo  comma,   della
 Costituzione,  dal  momento che, prevedendo l'ordinamento un apposito
 procedimento nell'ambito del  quale  va  operata  la  mediazione  tra
 l'interesse generale sotteso all'espropriazione e l'interesse privato
 espresso dalla proprieta' privata, quando la p.a. si trova ad operare
 al  di  fuori  di  tale  procedimento,  mentre  e' compatibile con la
 disciplina suddetta il mancato adempimento della pretesa restitutoria
 (in attuazione della funzione sociale della  proprieta':  cfr.  Corte
 cost.   31   luglio  1990  n.  384),  non  trova  alcuna  ragionevole
 giustificazione la mancata integrale tutela risarcitoria:  ed invero,
 in  tale  caso la completa ed adeguata valutazione degli interessi in
 gioco  presuppone  l'integrale  risarcimento  del  danno  subito  dal
 privato,   risolvendosi   la   diversa   soluzione   legislativa   in
 un'ulteriore limitazione apportata alla  proprieta'  privata  che  si
 traduce  - non essendo finalizzata ad assicurarne la funzione sociale
 (cfr. art. 42, comma secondo, Cost.) ed operando al di fuori  di  una
 procedura  espropriativa  (cfr.  art.  42,  comma  terzo, Cost.) - in
 un'ingiustificata compressione del diritto;
     che tale irragionevolezza e' ancora piu' evidente ove si  compari
 la  posizione di chi subisce l'occupazione acquisitiva con quella del
 proprietario del suolo su cui venga costruito l'altrui edificio (art.
 938  c.c.):  a  prescindere,  infatti,  dal   quantum   spettante   a
 quest'ultimo   -   di   sicuro   non  necessariamente  estensibile  a
 fattispecie simili -, e' pur vero  che  il  fenomeno  dell'accessione
 invertita,   contemplato   appunto  dall'art.  938  c.c.  e  posto  a
 fondamento della stessa occupazione acquisitiva, importa un integrale
 ristoro   del   pregiudizio   economico   sofferto    dall'originario
 proprietario,  e che tale ristoro e' invece escluso in radice - e per
 definizione - dalla norma della cui  legittimita'  costituzionale  si
 dubita;
   Ritenuta  pertanto la non manifesta infondatezza della questione di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 65, della  legge  28
 dicembre  1995,  n. 549, cosi' come sostitutivo del comma 6 dell'art.
 5-bis  del  d.-l.  11  luglio   1992,   n.   333,   convertito,   con
 modificazioni,  dalla  legge 8 agosto 1992, n. 359, per contrasto con
 l'art. 3, primo comma, e con l'art. 42, secondo e terzo comma,  della
 Costituzione;