IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 14815/1995
 proposto dallo SNALS - Sindacato nazionale lavoratori della scuola  -
 in  persona  del  suo  segretario  generale  e  legale rappresentante
 pro-tempore, prof. Carmine Gallotta, che  agisce  anche  in  proprio,
 della  prof.ssa  Maria  Rosaria  Bove,  nella  qualita'  di docente e
 sostenitrice del COBAS, del prof. Pasquale Ragone, nella sua qualita'
 di direttore didattico,  del  prof.  Giuseppe  Golluscio,  nella  sua
 qualita' di Preside di scuola media, della prof.ssa Gabriella Bonfa',
 nella    sua   qualita'   di   responsabile   amministrativo,   tutti
 rappresentati e difesi dall'avv.  prof. Carlo Rienzi,  unitamente  ai
 dott.  proc.  Michele  Lioi, Stefano Viti, Michele Mirenghi e Giacomo
 Ebner e presso lo studio del primo in Roma, viale delle Milizie n. 9,
 elettoralmente domiciliati, giusta  delega  a  margine  del  ricorso;
 contro  il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri, il Consiglio dei
 Ministri, il Governo, nella persona  del  suo  legale  rappresentante
 pro-tempore  il Presidente del Consiglio, il Ministro per la funzione
 pubblica, il Ministro della pubblica istruzione, l'ARAN (Agenzia  per
 rappresentanza  negoziale  delle  pubbliche  amministrazioni),  e nei
 confronti delle confederazioni sindacale CGIL,  CISL,  UIL,  CISAL  e
 USPPI  e  delle  organizzazioni  sindacali  CGIL  SNS, CISL/SINASCEL,
 UIL/SCUOLA, SIMS/CISL e UNAMS avverse per l'annullamento  ovvero  per
 la  declatoria di nullita', invalidita' e/o inefficacia del contratto
 collettivo 4 agosto 1995 relativo al  comparto  del  personale  della
 "Scuola",   nonche'   di  tutti  gli  atti  presupposti,  connessi  e
 conseguenziali, ivi compresi in particolare:
     il d.P.R. 28 luglio 1995, n. 316 con il quale e' stata  differita
 di  sessanta  giorni  l'abrogazione dell'art. 47, d.lgs n. 29/1993 in
 esito al referendum indetto con d.P.R. 5 aprile 1995;
     il provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21
 luglio 1995 con il quale l'ARAN e' stata autorizzata a  sottoscrivere
 il  contratto  collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola per
 il quadriennio  1994/1997  e  la  sottoscrizione  medesima  da  parte
 dell'ARAN avvenuta il 4 agosto 1995;
     le  direttive  5  settembre 1994 e 1 febbraio 1995 del Presidente
 del Consiglio dell'ARAN;
     la lettera prot. n. 2401/95/12eg del 28 giugno 1995 con la  quale
 l'ARAN  ha  trasmesso  per  l'autorizzazione  il  testo del contratto
 collettivo;
     l'autorizzazione in parte qua espressa dal Consiglio dei Ministri
 nella riunione del 13 luglio 1995;
     la lettera prot. n. 2660 del 18 luglio 1995 dell'ARAN;
     le  circolari  del  Ministero della pubblica istruzione ovvero di
 altri organi amministrativi inerenti il contratto suindicato;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'Amministrazione
 intimata;
   Viste  le  memorie  prodotte  dalle  parti a sostegno delle proprie
 difese;
   Visti gli atti della causa;
   Nominato relatore, per la pubblica udienza del 20  marzo  1996,  il
 consigliere Caro Lucrezio Monticelli;
   Uditi,  in  detta  udienza,  gli  avv.ti  Rienzi  e  Mirenghi per i
 ricorrenti e l'avv. Polizzi per le Amministrazioni resistenti;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con il ricorso in esame gli istanti formulano le richieste indicate
 in epigrafe per i seguenti motivi:
   1.- Illegittimita' derivata dal  CCNL  del  4  agosto  1995  e  dei
 presupposti  atti  autorizzativi alla stipulazione per illegittimita'
 costituzionale del d.lgs. n. 29/1993 e della legge n. 421/1992  nella
 parte  in cui stabiliscono che la disciplina del rapporto di pubblico
 impiego sia dettata da fonti negoziali.
   Poiche'  la  presentazione   lavorativa   richiesta   al   pubblico
 dipendente  consiste  in tutto o in parte nell'esercizio di pubbliche
 funzioni, la posizione soggettiva della pubblica amministrazione  non
 potrebbe  essere  ridotta  al mero interesse economico privatistico a
 conseguire la  prestazione  lavorativa  da  parte  del  dipendente  e
 d'altra  parte  quest'ultimo, al fine di poter esercitare serenamente
 ed obiettivamente la sua funzione, avrebbe l'esigenza di avere  quale
 "datore  di  lavoro"  un'Amministrazione  le cui determinazioni siano
 regolate dall'atto imparziale per antonomasia, la legge, ovvero dalle
 altre norme di diritto oggettivo applicative di essa (i regolamenti),
 e non anche dal contratto collettivo.
   2.- Violazione art. 45 d.lgs. n. 29/1993.  Eccesso  di  potere  per
 falsita'  dei  presupposti  e sviamento di potere. In via subordinata
 violazione  art.  39  della  Costituzione.   In   via   ulteriormente
 subordinata  illegittimita' costituzionale degli artt. 45 e 51 d.lgs.
 n. 29/1993 per violazione dell'art. 39 della Costituzione.
   Poiche'  nel  suo  regime  deliberato  dal  d.lgs.  n.  29/1993  il
 contratto  collettivo  trova  applicazione  nei  confronti di tutti i
 dipendenti del comparto, lo stesso non si  sarebbe  potuto  stipulare
 senza    il    consenso    dell'organismo    sindacale   maggiormente
 rappresentativo nel comparto scuola, e cioe' lo SNALS.
   Se poi si ritenesse che  il  contratto  collettivo  avrebbe  potuto
 essere  siglato in forza dell'art. 45, anche in presenza del dissenso
 di uno degli organismi sindacali legittimati alla  sua  stipulazione,
 sarebbe  allora illegittimo il contratto collettivo (ed i presupposti
 atti autorizzativi) per violazione dell'art.  39  della  Costituzione
 nella  parte  in  cui (art. 1) viene stabilito che esso si applica "a
 tutto il personale ... appartenente al comparto" e  quindi  anche  ai
 lavoratori iscritti ai sindacati non stipulanti.
   Qualora  infine  si  affermasse  che sia proprio l'art. 45 citato a
 consentire  un  siffatto  ambito  di  applicazione,  l'illegittimita'
 costituzionale   della   norma   in   questione   sarebbe   parimenti
 indiscutibile.
   Nel  nostro  assetto  costituzionale  infatti  la  legge  non  puo'
 attribuire  valore  erga  omnes ed un contratto collettivo di diritto
 comune.
   Tale  eccezionale  efficacia   soggettiva   puo'   essere   infatti
 riconosciuta  ad  un  atto  collettivo  avente  e  conservante valore
 negoziale  solamente  a  seguito  dell'attuazione   delle   procedure
 previste dall'art. 39 della Costituzione.
   3.-  Violazione  art.  75  della  Costituzione. Violazione art. 37,
 della legge n. 352/1990; art.  45,  d.lgs.  n.  29/1993.  Eccesso  di
 potere  per  falsita' dei presupposti e sviamento di funzioni. In via
 subordinata illegittimita' del  d.P.R.  n.  316/1995  per  violazione
 dell'art.  37  della  legge  n. 352/1970 ed eccesso di potere. In via
 ulteriormente subordinata illegittimita' costituzionale dell'art. 37,
 della legge n. 352/1970 per violazione  degli  artt.  3  e  75  della
 Costituzione.
   A  seguito del referendum indetto con d.P.R. 5 aprile 1995 e' stato
 abrogato l'art. 47 d.lgs. n. 29/1993 che stabilisce i criteri in base
 ai quali deve essere accertata la maggiore  rappresentativita'  delle
 organizzazioni  sindacali,  requisito  questo richiesto dall'art.  45
 del  medesimo   provvedimento   legislativo   quale   condizione   di
 legittimazione   del   sindacato   alla  stipulazione  del  contratto
 collettivo.
   Nella fattispecie non si e' invece tenuto conto che,  pertanto,  il
 requisito   della   maggiore   rappresentativita'  non  sarebbe  piu'
 richiesto ai fini della possibilita' di rendersi parte del  contratto
 o  comunque  esso  non  andrebbe piu' accertato sulla base dei rigidi
 criteri stabiliti dall'art. 47 (che nella sostanza rinviava al d.P.R.
 n. 395/1988 ed alle  conseguenti  direttive)  bensi'  sulla  base  di
 quelli    ben    piu'   elastici   elaborati   dalla   giurisprudenza
 giuslavorista.
   Senonche', il  Governo,  avvalendosi  delle  facolta'  riconosciute
 dall'art.  37  della  legge  n.  352/1970, "ritenuta la necessita' di
 prorogare il termine di entrata in vigore della predetta abrogazione,
 al fine di opportunamente riorganizzare il settore in questione e  di
 evitare soluzioni di continuita'", ha - del tutto ingiustificatamente
 secondo  i  ricorrenti  -  da  un  lato  differito di sessanta giorni
 l'entrata in vigore dell'effetto  abrogativo,  che  e'  stata  quindi
 fissata  al 28 settembre 1995, e, dall'altro, ha autorizzato l'ARAN a
 sottoscrivere il 4 agosto 1995 un testo contrattuale  concordato  con
 organizzazioni  sindacali  la  cui  legittimazione alla trattativa e'
 stata valutata ancora secondo i criteri dell'art. 47.
   Si e' costituita in giudizio l'Amministrazione intimata,  chiedendo
 la riscrizione del ricorso per infondatezza.
                             D i r i t t o
   1.-  Oggetto dell'impugnativa sono il contratto collettivo 4 agosto
 1995 relativo al comparto del personale della "Scuola" e gli atti  ad
 esso    presupposti,   quali   il   provvedimento   di   differimento
 dell'abrogazione dell'art. 47 del  d.lgs.  n.  29/1992  in  esito  al
 referendum  indetto  con  d.P.R.  5  aprile 1995, il provvedimento di
 autorizzazione alla sottoscrizione del contratto e le  direttive  del
 Presidente del Consiglio all'ARAN.
   2.-  I  ricorrenti  sono  lo  SNALS - Sindacato autonomo lavoratori
 della scuola, un preside, un direttore didattico, due docenti  ed  un
 responsabile amministrativo.
   3.-  Si  pone,  in  via  preliminare,  il  problema  di  verificare
 l'ammissibilita' dell'impugnativa sia sotto il profilo oggettivo  sia
 sotto il profilo soggettivo.
   Occorre  al  riguardo  considerare  che  il  d.lgs.  n.  29/1993 ha
 introdotto in materia di contrattazione collettiva per  i  dipendenti
 delle Amministrazioni pubbliche profonde innovazioni.
   In  precedenza,  infatti,  nel regime della legge n. 93/1983 (legge
 quadro sul  pubblico  impiego)  gli  accordi  che  intervenivano  tra
 amministrazioni  e  sindacati non avevano di per se' alcuna efficacia
 esterna ma costituivano solo il presupposto per  l'emanazione  di  un
 atto  amministrativo  di  recepimento,  che  conferiva  alle clausole
 dell'accordo una nuova natura di norme regolamentari,  come  tali  in
 grado di dispiegare efficacia erga omnes.
   Diversa  e', invece, la situazione a seguito dell'entrata in vigore
 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29.
   Tale decreto legislativo ha  inteso  dare  attuazione  all'art.  2,
 (comma  1, lett. a) della legge 23 ottobre 1992 n. 421, secondo cui i
 rapporti di lavoro dei  dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche
 dovevano  essere  ricondotti sotto la disciplina del diritto civile e
 dovevano essere regolati mediante contratti individuali e collettivi.
   In attuazione delle predette disposizioni l'art. 2  del  d.lgs.  n.
 29/1993  (nel  testo  sostituito  dall'art. 2 della legge 23 dicembre
 1993 n. 546) ha previsto  al  comma  2  "I  rapporti  di  lavoro  dei
 dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche sono disciplinati dalle
 disposizioni del capo I, titolo II del libro V del  codice  civile  e
 dalle  leggi sui rapporti di lavoro subordinato sull'impresa, salvi i
 limiti stabiliti dal presente  decreto  per  il  perseguimento  degli
 interessi  generali  cui  l'organizzazione  e l'azione amministrativa
 sono indirizzate", e, al comma 3, "I rapporti individuali di lavoro e
 di impiego di cui  al  comma  2  sono  regolati  contrattualmente.  I
 contratti  collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalita'
 previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali
 devono conformarsi ai principi di cui all'art. 49, comma 2".
   L'art. 4, comma 1, seconda parte, prevede poi  che,  nelle  materie
 soggette  alla disciplina del codice civile, delle leggi sul lavoro e
 dei contratti collettivi le amministrazioni operano con i poteri  del
 privato   datore  di  lavoro,  adottando  tutte  le  misure  inerenti
 all'organizzazione ed alla gestione dei rapporti di lavoro.
   Con le  norme  sopradescritte  si  e'  intesa  realizzare  la  c.d.
 privatizzazione  del  pubblico  impiego,  ossia  l'eliminazione della
 previgente peculiare disciplina del  rapporto  di  lavoro  presso  le
 amministrazioni   pubbliche   e  la  conseguente  unificazione  della
 regolamentazione di ogni tipo di rapporto di lavoro.
   In  questo  quadro  potrebbe  dubitarsi   dell'ammissibilita'   del
 ricorso, giacche' il contratto collettivo di diritto privato non puo'
 che  avere efficacia per le parti che lo hanno stipulato e per i loro
 rappresentanti e, pertanto, non  sembrerebbe  che  i  ricorrenti  (un
 sindacato  che non ha sottoscritto il contratto ed altri soggetti che
 non risultano aderire ai sindacati sottoscrittori) abbiano  interesse
 all'impugnativa.
   Senonche',   deve  rilevarsi  che,  secondo  quanto  stabilito  dal
 menzionato titolo III del d.lgs. n. 29/1992, il contratto  collettivo
 dei  dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche ha una portata ben
 piu' ampia di un semplice contratto collettivo di diritto privato.
   Infatti l'art. 45 del  d.lgs.  n.  29/1992  (nel  testo  sostituito
 dall'art.  15 del d.lgs. 18 novembre 1993 n. 470) prevede che:
     a)   i   contratti   collettivi  sono  stipulati,  non  gia'  per
 determinate categorie di lavoratori, bensi' per "comparti" (comma 2);
     b) gli stessi sono stipulati, da una parte dall'Agenzia,  per  la
 rappresentenza   negoziale   delle   pubbliche   amministrazioni   e,
 dall'altra, non gia' da  qualunque  sindacato  singolo  o  associato,
 bensi'  "dalle  confederazioni sindacali maggiormente rappresentative
 sul  piano  nazionale,  nonche'  dalle  organizzazioni   maggiormente
 rappresentative  sul piano nazionale nell'ambito del comparto" (comma
 7);
     c) le amministrazioni pubbliche "osservano" gli obblighi  assunti
 con i contratti collettivi di cui "al presente articolo" (comma 9).
   L'art.  49  (nel  testo  sostituito  dall'art.  23  del  d.lgs.  n.
 546/1993) prevede poi al comma 2  che  le  amministrazioni  pubbliche
 garantiscono ai propri dipendenti parita' di trattamento contrattuale
 e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi
 contratti collettivi.
   Dalla  sopra  riportata normativa emerge, dunque, che il sistema e'
 caratterizzato  dall'esistenza,  per  ogni  comparto,  di  un   unico
 contratto    collettivo,   il   quale   viene   cosi'   ad   assumere
 inevitabilmente una sostanziale efficacia erga omnes.
   Ed invero, a parte il fatto che per quanto riguarda il  trattamento
 economico minimo e' espressamente stabilita una operativita' estesa a
 tutti  i dipendenti, non e' ipotizzabile un'altra disciplina generale
 in materia e, dunque, le amministrazioni non possono che applicare  a
 tutto il personale le previsioni del contratto collettivo.
   Data   tale   caratteristica   e'  conseguenzialmente  previsto  un
 rilevante  intervento  pubblicistico  nell'ambito  del   procedimento
 delineato per la formazione del contratto.
   L'art.  51 d.lgs. n. 29/1993 (nel testo sostituito dall'art. 18 del
 d.lgs.  n.  470/1993),  prevede  infatti   che   l'Agenzia   per   la
 rappresentanza   negoziale   delle   pubbliche   amministrazioni,   a
 conclusione  delle  trattative,   trasmette   il   testo   concordato
 (corredato  da  appositi prospetti relativi al "costo" del contratto)
 al Governo, il quale, nei quindici giorni successivi, si pronuncia in
 senso positivo o negativo, tenendo conto "fra l'altro" degli  effetti
 applicativi  dei  contratti  collettivi  anche decentrati relativi al
 precedente periodo contrattuale e della  conformita'  alle  direttive
 impartite dal Presidente del Consiglio dei Ministri. L'autorizzazione
 e'  poi  sottoposta  al  controllo della Corte dei conti, la quale ne
 verifica la legittimita' e la compatibilita' economica entro quindici
 giorni dalla data di recezione.
   Deve,   inoltre,   evidenziarsi   che   l'eventuale    annullamento
 dell'autorizzazione  non  puo'  poi  che  avere  conseguenze negative
 sull'efficacia del contratto.
   La legge subordina,  infatti,  all'esistenza  di  un'autorizzazione
 l'effettiva     abilitazione     dell'Agenzia     a     rappresentare
 l'amministrazione pubblica.
   Risulta,  dunque,  da  quanto  sopradescritto che la contrattazione
 collettiva prevista dal d.lgs. n. 29/1993 produce effetti su tutto il
 personale della scuola.
   Lo SNALS nella sua qualita' di sindacato istituzionalmente preposto
 alla tutela del personale scolastico e gli  altri  ricorrenti,  tutti
 operanti nel settore, non possono pertanto considerarsi estranei alla
 contrattazione collettiva.
   Non  puo',  quindi,  contestarsi  che  gli  istanti  abbiamo propri
 personali interessi coinvolti dalla contrattazione, anche se  occorre
 verificare  se  questa  sola  circostanza  li abiliti all'impugnativa
 della contrattazione stessa.
   Debbono  al  riguardo   distinguersi   gli   atti   aventi   natura
 privatistica   (quale   il   contratto)  e  gli  atti  aventi  natura
 pubblicistica (quale l'autorizzazione alla sottoscrizione).
   Rispetto ai primi puo' probabilmente  porsi  il  problema  se,  con
 riguardo ad un atto di autonomia collettiva, possa essere richiesta -
 come nella fattispecie - una pronuncia d'invalidita' con effetti erga
 omnes, ovvero se possa solo ottenersi l'eventuale disapplicazione del
 contratto con riferimento a singole concrete controversie (sul potere
 di  disapplicazione di clausole contrattuali collettive per contrasto
 con norme imperative di legge: Cass. 25 maggio 1978 n.  2660).
   Per  quel  che  concerne  gli  atti  pubblicistici,  deve,  invece,
 rilevarsi  che  non  possono  che  applicarsi  i principi generali in
 materia, alla stregua dei quali qualsiasi provvedimento che  leda  in
 modo   attuale  un  interesse  legittimo  puo'  essere  impugnato  ed
 annullato in sede giurisdizionale.
   Con riguardo all'interesse legittimo non  puo'  negarsi  che  nella
 fattispecie i ricorrenti siano titolari di una situazione del genere,
 atteso che la normativa in cui si inserisce l'autorizzazione, essendo
 diretta  a  disciplinare  il  rapporto  di lavoro del personale della
 scuola,  prende  necessariamente  in  particolare  considerazione  la
 posizione  dei  soggetti  operanti  nel settore e dei sindacati, che,
 oltre a stipulare i contratti collettivi, hanno fine istituzionale di
 tutelare gli interessi collettivi del predetto personale.
   Circa l'attualita' dell'interesse va evidenziato  che  gli  effetti
 lesivi lamentati consistono nella possibilita' stessa di stipulare il
 contratto  con  determinati  contenuti  e  tali effetti si verificano
 immediatamente all'atto dell'adozione dell'atto di autorizzazione.
   Ne' d'altra parte puo' ritenersi che debba attendersi  la  concreta
 applicazione   del   contratto,   giacche'   le   vicende   sucessive
 all'autorizzazione hanno tutte  natura  privatistica  e  non  possono
 quindi   in   alcun  modo  condizionare  l'impugnabilita'  dell'unico
 provvedimento amministrativo posto in essere.
   4.- Stabilita, dunque, l'ammissibilita' del ricorso deve ora essere
 esaminato il merito dello stesso.
   La principale censura mossa dai ricorrenti e' diretta  a  porre  in
 discussione   la   stessa   possibilita'   prevista  dalla  legge  di
 regolamentare  il   rapporto   di   lavoro   dei   dipendenti   delle
 amministrazioni  pubbliche  mediante  contratti collettivi di diritto
 privato.
   Piu' specificatamente tale possibilita' viene contestata sia  sotto
 il  profilo  generale  di  porre  il  dubbio  la  legittimita'  della
 privatizzazione nel suo complesso sia sotto il profilo  peculiare  di
 criticare la previsione di un contratto collettivo di diritto privato
 valido erga omnes.
   Diviene,   pertanto,   rilevante,   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale delle norme di  legge  che  prescrivono  quanto  sopra
 giacche'  e'  sulla bae di tali norme di legge che sono stati emanati
 gli atti impugnati in questa sede.
   Sotto il primo profilo, fondati dubbi sulla  costituzionalita'  dei
 citati  artt. 2, comma 1 lett. a) della legge 23 ottobre 1992 n. 421,
 art. 2, commi 2 e 3, e 4, comma 1 seconda parte del d.lgs. 3 febbraio
 1993, n. 29, che, nel disporre la  privatizzazione  del  rapporto  di
 pubblico  impiego,  sembrano  porsi  in contrasto con l'art. 97 della
 Costituzione.
   Si richiamano sull'argomento le seguenti considerazioni svolte  nel
 parere  reso  in  data  31  agosto  1992  dall'Adunanza  generale del
 Consiglio di Stato in merito al disegno di  legge  delega  sulla  cui
 base il Governo ha emanato il d.lgs. n. 29/1993.
   ...La  diversita'  strutturale  fra  l'impiego pubblico e il lavoro
 privato  che  giustifica  una  piu'  o  meno  estesa,   ma   comunque
 ineliminabile,  diversita'  di  regime,  deriva  da  cio, che in gran
 numero di casi la "prestazione lavorativa"  richiesta  al  dipendente
 pubblico  consiste,  in tutto o in parte, nell'esercizio di pubbliche
 funzioni.
   In altre  parole,  l'instaurazione  del  rapporto  non  fa  nascere
 soltanto   un   rapporto   sinallagmatico   rientrante  nello  schema
 privatistico do ut facias, o in quello della locatio operarum, ma  ha
 anche la valenza dell'investitura di una funzione....
   In  tutti  questi  casi,  pare  impossibile  ridurre  la  posizione
 soggettiva  della  pubblica  amministrazione  ad  un  mero  interesse
 economico-privatistico a conseguire l'effettuazione della prestazione
 lavorativa   da   parte   del   dipendente;   laddove  e'  preminente
 l'interesse, pubblicistico e generale, al  corretto  esercizio  delle
 pubbliche  funzioni a vantaggio della collettivita'. Il che comporta,
 necessariamente, poteri di disciplina, di direttiva, di sindacato, di
 organizzazione; in una parola, poteri di supremezia che  condizionano
 la   posizione   soggettiva  del  dipendente,  degradando  spesso  ad
 interessi legittimi quelli  che  in  ambito  privatistisco  sarebbero
 diritti  soggettivi.  Senza contare il ben diverso rilievo penale che
 assume la violazione dei doveri o l'abuso dei  poteri  connessi  alla
 funzione.
   Ma,   anche   quando   la   prestazione   lavorativa  non  comporta
 l'esercizio, in alcuna forma, di pubbliche funzioni, sta di fatto che
 la pubblica amministrazione opera per il conseguimento  di  interessi
 che  trascendono  la soggettivita' delle persone fisiche che ne hanno
 pro-tempore la rappresentanza; interessi dei quali queste ultime  non
 possono  liberamente  disporre. Come non ne puo' disporre, del resto,
 la stessa p.a.
   Dunque, anche a voler prendere atto dei confini fluidi e  variabili
 fra  pubblico  e  privato,  il  rapporto  di  impiego  dei dipendenti
 pubblici, considerato nel suo complesso,  difficilmente  puo'  essere
 qualificato  come  attinente ad singulorum utilitatem, come in fondo,
 lo stesso disegno di legge riconosce.
   La' dove esiste il  potere  discrezionale  dell'amministrazione  di
 organizzarsi,  di  assicurare  il  buono e imparziale andamento della
 gestione pubblica e,  quindi,  non  solo  di  procedere  alla  scelta
 oculata  di  coloro  che  vogliono  e  agiscono in suo nome e per suo
 conto,  (art.    97,  comma 3 della Costituzione), o di distribuire i
 funzionari negli uffici a seconda delle loro attribuzioni  e  secondo
 le  loro  responsabilita'  (art.  97, comma 2 della Costituzione), ma
 anche di trasferirli per ragioni di opportunita',  di  distaccarli  o
 comandarli    presso    le   altre   Amministrazioni   nell'interesse
 dell'Amministrazione di provenienza, di sospendere o interrompere  il
 rapporto  per  scarso  rendimento dell'impiegato o per altre carenze,
 ecc., non sembra vi sia possibilita' e convenienza di  adottare,  sia
 pure  parzialmente,  la disciplina privatistica del lavoro, la quale,
 attiene solamente a rapporti di dare e avere, di fare e di  dare,  di
 dirigere  con  efficienza e di eseguire con esattezza, nell'ambito di
 un'attivita' impreditoriale guidata dalle regole del mercato.
   Non pare, dunque, che, con  metodo  nominalistico,  sia  consentito
 dichiarare  privato  cio'  che  e' conglobato nel pubblico e, quindi,
 affievolire o separare la valutazione del pubblico interesse  che  e'
 fondamento  dell'attivita'  amministrativa,  in  modo  che coloro che
 operano come organi dell'Ente pubblico si trasformino, in tutto o  in
 parte,  da  pubblici  dipendenti e funzionari, in lavoratori privati,
 soggetti alle regole vigenti in  settori  estranei  alla  cura  degli
 interessi della collettivita'.
   In  altri  termini,  la  trasformazione del rapporto da pubblico in
 privato  non  puo'  essere  del  tutto   liberamente   disposta   dal
 Legislatore,  trattandosi  di  qualificazioni  che  discendono  dalla
 natura oggettiva dei rapporti e degli interessi che  in  questi  sono
 implicati,   e   che   hanno   riscontro   nelle   stesse   strutture
 pubblicistiche nelle quali strumentalmente si inseriscono.
   Per  quanto  concerne  il   secondo   profilo   si   appalesa   non
 manifestamente  infondata  la  questione  di  costituzionalita' degli
 artt. 45, commi 2, 7 e 9 e art. 49, comma 2  del  d.lgs.  3  febbraio
 1993 n. 29 per contrasto con l'art. 39 comma 4 della Costituzione.
   Ed  invero  tale  norma  prevede  che "I sindacati registrati hanno
 personalita'  giuridica.  Possono,  rappresentati  unitariamente   in
 proporzione  dei  loro  iscritti,  stipulare  contratti collettivi di
 lavoro con efficacia obbligatoria per  tutti  gli  appartenenti  alle
 categorie alle quali il contratto si riferisce".
   Le  predette  disposizioni  del  d.lgs. n. 29/1993, che si e' prima
 precisato, prevedono invece una efficacia  erga  omnes  di  controllo
 collettivi  di  diritto privato stipulato in assenza delle condizioni
 indicate  dall'art.  39   della   Costituzione   (registrazione   dei
 sindacati,  rappresentanza  unitaria  in  proporzione degli iscritti,
 ecc.).
   Stante il carattere assorbente, che  assumono  le  censure  che  si
 fondano  sulle  predette  questioni di costituzionalita', il giudizio
 deve  essere  sospeso  in  attesa  di  una  pronuncia   della   Corte
 costituzionale in proposito.