IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nella causa iscritta al n.
 3192/89 r.g., passata in  decisione  all'udienza  collegiale  del  19
 dicembre  1995,  avente ad oggetto: risarcimento danni, tra Giovanni,
 Nicola,  Alberto  Romano;   Anna   Maria   Romano   Liccardi;   tutti
 rappresentati  e  difesi  dagli avvocati Vittorio De Buono e Giovanni
 Romano (che ai sensi dell'art. 86 c.p.c. sta  anche  in  giudizio  di
 persona)  elettivamente  domiciliati  in  Benevento, alla piazza Arco
 Traiano, presso lo studio dell'avv. Mario Bovio, attori, e il  comune
 di   Pietradefusi,  in  persona  del  sindaco  pro-tempore  convenuto
 contumace.
                       Svolgimento del processo
   Con atto di citazione notificato in data 21 ottobre 1989, i germani
 Giovanni, Nicola,  Alberto  Romano  e  Anna  Maria  Romano  Liccardi,
 premesso  che il comune di Pietradefusi, con decreto sindacale del 23
 giugno 1980, aveva proceduto all'occupazione di mq  3400  di  terreno
 facenti  parte del fondo di loro proprieta', sito in Pietradefusi, di
 natura seminativo-arborato di 1  classe,  contrassegnato  in  catasto
 alla partita 1873, foglio 15, p.lla n. 278, esponeva che la procedura
 espropriativa
  non era stata portata a compimento, e che, dunque, l'occupazione era
 divenuta  abusiva  ed  illegittima,  con  il  conseguente obbligo del
 citato comune di risarcire i danni e pagare le relative indennita'.
   Nel corso dell'istruzione, il g.i., verificata la ritualita'  della
 citazione,  dichiarava  la contumacia del comune convenuto; nominava,
 altresi', un c.t.u.  al  fine  di:  determinare  l'esatta  superficie
 occupata,  accertare l'epoca della realizzazione dell'opera pubblica;
 determinare  il  valore  venale  del  suolo  occupato,   nonche'   le
 indennita'  spettanti  per  i  periodi  di  occupazione  legittima ed
 illegittima.
   Precisate le conclusioni  di  cui  in  epigrafe,  la  causa  veniva
 rimessa  al  collegio  che,  all'udienza  del  19  dicembre  1995, si
 riservava la decisione.
   Successivamente, e' entrata in vigore la legge n. 549/1995, che  ha
 modificato  l'art. 5-bis del decreto-legge n. 333/1992, prevedendo un
 nuovo criterio di risarcimento  dei  danni  per  le  "occupazioni  di
 fatto"; la decisione deve, dunque, adeguarsi allo jus superveniens.
                        Motivi della decisione
   Rileva il tribunale che nelle more del presente giudizio, in virtu'
 della  modifica  apportata  dall'art.  1,  comma  65,  della legge 28
 dicembre 1995, n. 549  "Misure  di  razionalizzazione  della  finanza
 pubblica"  entrata  in  vigore  dal  1  gennaio  1996  come  previsto
 dall'art. 244), e' stata estesa l'applicazione del criterio legale di
 determinazione delle indennita' espropriative di cui  all'art.  5-bis
 del  decreto-legge  n.  333/1992  conv.  con modifiche nella legge n.
 359/1992 anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza  di
 illegittime occupazioni acquisitive.
   Come  e'  noto, l'art. 5-bis citato nel testo previgente disponeva,
 tra l'altro (comma 1) che, fino  all'approvazione  di  una  "organica
 disciplina    per   tutte   le   espropriazioni"   preordinate   alla
 realizzazione  di  opere  di  pubblica  utilita',  la  misura   delle
 indennita' espropriative sarebbe stata determinata con il criterio di
 cui all'art. 13/III della legge n. 2892 del 1895, sostituendo in ogni
 caso  ai  fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale
 rivalutato di cui all'art.  24 e segg. del testo  unico  22  dicembre
 1986,  n.  917 (in pratica operando la media aritmetica tra il valore
 venale del suolo e la rendita catastale rivalutata degli ultimi dieci
 anni), riducendo poi l'importo ottenuto del  40%  (salvi  i  casi  di
 cessione  volontaria e quelli equiparati, a seguito della sentenza n.
 283/1993 della Corte costituzionale).
   Il sesto comma dell'articolo citato escludeva dall'applicazione dei
 criteri indennitari sopra indicati solo i casi  in  cui  l'indennita'
 fosse  stata  accettata  dalle parti o fosse divenuta non impugnabile
 con sentenza passata in giudicato alla  data  di  entrata  in  vigore
 della  legge di conversione del decreto-legge n. 333/1992 (in pratica
 all'8 agosto 1992).
   L'art.  1,  comma  65,  della  legge  n.  549/1995  ha   sostituito
 integralmente  tale  ultimo comma, nei termini testuali seguenti: "Le
 disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi
 in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo,
 l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno,  alla  data
 di conversione del presente decreto".
   Che  il  risarcimento  dei danni di cui al nuovo disposto normativo
 sia quello relativo  alla  perdita  della  proprieta',  nei  casi  di
 "occupazione acquisitiva" o "accessione invertita", non e' seriamente
 contestabile,  tenuto  conto  dell'operato abbinamento, disgiuntivo e
 congiuntivo,   nella   previsione   legislativa,   all'indennita'  di
 espropriazione e considerato che, nella materia de qua, il solo altro
 risarcimento  ipotizzabile  e'  quello  da   occupazione   temporanea
 illegittima,   per   la   determinazione   del  quale  e'  del  tutto
 inconcepibile il ricorso ai criteri  determinativi  sopra  menzionati
 (in  cui uno dei valori da mediare e' dato dal valore cd. "pieno" del
 suolo). Evidente e', dunque, l'intenzione del legislatore  il  quale,
 per palesi esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha ritenuto
 di  equiparare  del  tutto,  sul piano patrimoniale, alle conseguenze
 derivanti dalle  espropriazioni  legittime,  quelle  derivanti  dalle
 illegittime  ablazioni  di  "fatto", poste in essere dalla p.a. o dai
 soggetti per conto della stessa operanti, facendo  salve  solo  (come
 gia'  avvenuto  nel 1992) le determinazioni divenute inoppugnabili in
 sede amministrativa o per effetto di giudicato.
   Prescindendo  da   ogni   considerazione,   non   rilevante   nella
 fattispecie, in ordine ai dubbi di applicabilita' intertemporale (nel
 periodo  compreso  tra  l'8 agosto 1992 e 1 gennaio 1996) dell'ultima
 disposizione, e' certo che nella vertenza in esame,  essendo  ancora,
 tra   l'altro,   controverso   l'importo   del   risarcimento  dovuto
 all'attrice in conseguenza della subita "occupazione acquisitiva" (la
 cui verificazione, peraltro, e' pacifica,  controvertendosi  solo  in
 ordine  alla risalenza della stessa, se alla scadenza del quinquennio
 o  del   successivo   biennio   di   una   assunta   proroga   legale
 dell'occupazione di urgenza), non si e' ancora formato un "giudicato"
 in  ordine  all'"entita'"  di  tale  spettenza  e,  pertanto, occorre
 applicare necessariamente il jus superveniens alla  principale  delle
 questioni, di carattere sostanziale, dibattuta tra le parti.
   Da  quanto  sopra  considerato  discende  la  rilevanza ai fini del
 presente giudizio, come richiesto dall'art. 23, comma secondo,  della
 legge  11  marzo  1953,  n.  87, della questione di costituzionalita'
 dell'art.  1, comma 65, legge n. 549/1995 attesa la  natura  di  area
 edificabile del fondo degli attori, come emerso dalla C.T.U.
   Tanto   premesso,  osserva  il  tribunale  che  tale  questione  si
 configura, in relazione agli artt. 3, 42 e 97 della Costituzione  non
 palesamente infondata.
   L'operata  parificazione  tra  le  conseguenze  patrimoniali  delle
 ablazioni lecite e di quelle illecite  si  risolve,  infatti  in  una
 irrazionale  e  non  adeguatamente  giustificata attenuazione, se non
 elusione, del principio di legalita' delle  espropriazioni,  poste  e
 garanzia  del  diritto  di proprieta' privata che, come ripetutamente
 affermato dalla giurisprudenza della suprema Corte  di  cassazione  e
 della  Corte  costituzionale,  puo'  essere  si'  sacrificato  previo
 indennizzo,  in  vista  delle  esigenze  della  collettivita'  ed  in
 considerazione della sua funzione sociale, ma nei casi previsti dalla
 legge   e   nel   rispetto  delle  rigorose  forme  dei  procedimenti
 amministrativi finalizzati alla espropriazione.    I  seri  dubbi  di
 legittimita' costituzionale, in relazione al principio di uguaglianza
 di cui all'art. 3, si pongono sotto un duplice profilo:
     1)   per  l'ingiustificata  discriminazione,  rispetto  ad  altre
 categorie di soggetti passivi di  atti  illeciti,  dei  titolari  dei
 diritti  di  proprieta'  immobiliare illegittimamente acquisiti dalla
 p.a.  o  da   chi,   per   essa,   si   sia   avvalso   dell'istituto
 dell'occupazione  acquisitiva, in quanto nei confronti ed a discapito
 dei  predetti  la norma introdotta dall'art. 1, comma 65, della legge
 n. 549/1995,  introduce  una  vistosa  deroga  ad  uno  dei  principi
 basilari dell'ordinamento civilistico, a termini del quale chi abbia,
 per  effetto della violazione della fondamentale regola di convivenza
 sociale del neminem laedere, subi'to un danno, ossia una decurtazione
 del proprio patrimonio, ha diritto all'integrale ricostituzione dello
 stesso  a  carico  dell'autore  dell'illecito,  soggetto  pubblico  o
 privato che sia (art. 2043 c.c.);
     2) per l'irrazionale, ingiustificata e totale parificazione, agli
 effetti patrimoniali, delle conseguenze delle espropriazioni svoltesi
 nel  rispetto  delle  regole  ad essere preordinate e di quelle della
 ablazione "di  fatto",  verificatesi  in  conseguenza  della  mancata
 osservanza delle regole medesime.
   Tale  parificazione non puo' trovare adeguata giustificazione nelle
 palesi esigenze di  contenimento  della  spesa  pubblica,  che  hanno
 indotto  il  legislatore  ad  introdurre  la  censurata disposizione,
 essendo altri i mezzi e le regole preordinata  al  corretto  prelievo
 finanziario  (v.  art.  23  e  53  Cost.), e non anche il sostanziale
 avallo dell'illecito posto in essere dalla p.a., nel quale si risolve
 l'operata eliminazione di ogni conseguenza  patrimoniale  sfavorevole
 per   la   stessa,   in   dipendenza  della  mancata  osservanza  del
 procedimento  epropriativo,  con  il  conseguente  venir  meno  della
 principale remora al compimento di atti illegittimi.
   Ne', considerando le due diverse situazioni, di ablazioni lecite ed
 illecite,  dal  punto di vista dei soggetti passivi, puo' ritenersene
 la sostanziale equivalenza.
   Se e' vero,  infatti,  che  i  sacrifici,  in  termini  di  diritti
 dominicali,  sono  materialmente  analoghi, deve pero' osservarsi che
 non uguali ne sono le rispettive situazioni, considerate  sotto  vari
 diversi aspetti, tra i quali vanno, particolarmente, segnalati:
     a)     la     possibilita',     solo    ove    il    procedimento
 occupativo-espropriativo si svolga secondo le regole, di controllarne
 l'iter e, se del caso, di intervenire nel corso dello  stesso,  quali
 portatori  di  interessi  legittimi  correlati al compimento dei vari
 atti  procedimentali,  nelle   competenti   sedi   amministrative   e
 giurisdizionali;
     b) il regime della prescrizione estintiva, che e' piu' favorevole
 per  detti  soggetti,  nelle  ipotesi di legittima espropriazione, in
 quanto il diritto alle indennita' si estingue nel  termine  ordinario
 decennale  di  cui all'art. 2946 c.c., mentre nel caso di "accessione
 invertita"   conseguente   ad   illecita   occupazione   il   termine
 prescrizionale  applicabile  ad  diritto al risarcimento dei danni e'
 quello quinquennale di cui all'art. 2947 cit. cod.
   Conseguenziali alle suesposte considerazioni  si  pongono  i  forti
 dubbi di legittimita' in relazione all'art. 42/III Cost., considerato
 che  l'operata  parificazione  agli effetti patrimoniali vanifica del
 tutto o in parte il  principio  di  legalita'  delle  espropriazioni,
 posto  a presidio della proprieta' privata, se e' vero che, anche nel
 caso "patologico" di violazione della legge, la p.a.  puo'  acquisire
 il  diritto  anzidetto,  contraendo  nei  confronti degli ex titolari
 dello stesso obbligazioni quantitativamente identiche a quelle, nella
 previgente  disciplina  piu'   contenute,   che   avrebbe   contratto
 nell'ipotesi "fisiologica" di osservanza della legge stessa.
   Ne'  si puo' ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre il
 nuovo istituto della "espropriazione di fatto", da porsi accanto alla
 procedura  espropriativa  rituale  e  legittima;  invero,  l'espresso
 riferimento  al  risarcimento  del  danno,  contenuto  nella norma in
 questione, esclude chiaramente tale ipotesi, ed, anzi,  si  configura
 come  una  chiara  conferma  del carattere illecito dell'"occupazione
 acquisitiva".
   L'art. 1, comma 65, della legge n. 549/1995, altresi', in contrasto
 con il disposto dell'art. 97, primo comma, Cost., secondo i  pubblici
 uffici  sono  organizzati  secondo disposizioni di legge, in modo che
 siano   assicurati    il    buon    andamento    e    l'imparzialita'
 dell'amministrazione.    Tale  norma postula che la realizzazione dei
 compiti assegnati all'amministrazione non deve  andar  disgiunta  dal
 rispetto   della   giustizia   sostanziale,   che  s'impone  sia  nel
 confrontare    gli    interessi    dei     singoli     con     quelli
 dell'amministrazione,  sia nel confrontare tra loro gli interessi dei
 vari soggetti estranei all'amministrazione  inseriti  nell'azione  di
 questa.
   Ora,  il  detto  art.  1,  nel  prevedere che enti pubblici debbono
 procedere al risarcimento dei danni, applicando  i  criteri  relativi
 alla   determinazione  dell'indennita'  espropriativa,  per  le  aree
 edificabili, ha introdotto una regola dell'azione amministrativa  che
 non  garantisce,  certo,  il  principio d'eguaglianza tra i "soggetti
 passivi" delle "espropriazioni di fatto", e i "soggetti  passivi"  di
 qualunque  altro  illecito aquiliano posto in essere dalla p.a. tra i
 quali, come detto, emerge una chiara e non  razionale  diversita'  di
 trattamento.
   Giova,  a  questo  punto,  precisare che il collegio non ignora che
 l'istituto  dell'occupazione  acquisitiva  ha  recentemente  superato
 indette il vaglio di legittimita' da parte della Corte costituzionale
 (v.  sentenza  n. 188 del 17/23 maggio 1995). Ma la questione oggi si
 pone in termini diversi, rispetto a quelli  a  suo  tempo  rimessi  a
 detta  Corte  (che  pur  ebbe  a  puntualizzare le piu' significative
 differenze,  caratterizzate   e   giustificate,   sul   piano   della
 legittimita'   costituzionale,  anche  e  soprattutto  dalle  diverse
 conseguenze patrimoniali delle due forme di  ablazione),  considerato
 che,  all'epoca  mancava  un riconoscimento legislativo espresso, sia
 pure in  forma  indiretta,  dell'occupazione  acquisitiva  e  che  le
 conseguenze  patrimoniali  dei  due istituti erano nettamente diverse
 (ristoro parziale, in considerazione  della  funzione  sociale  della
 proprieta'  e  delle  garanzie  di  legge,  nel  caso dell'indennizzo
 espropriativo, e reintegrazione piena della decurtazione patrimoniale
 subita dal soggetto passivo, nel caso di risarcimento da  illegittima
 acquisizione).
   Il  processo  va, pertanto ed ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo
 1953, n. 87, sospeso e gli atti rimessi, previ adempimenti di rito in
 dispositivo indicati, alla Corte costituzionale, per il  giudizio  di
 sua competenza, a temini degli artt. 134 e segg. Cost.