ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, comma  6,
 d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento nella
 finanza  pubblica)  convertito  in  legge 8 agosto 1992, n. 359, come
 sostituito dall'art. 1, comma 65, della legge 28  dicembre  1995,  n.
 549  (Misure  di  razionalizzazione della finanza pubblica), promossi
 con ordinanze emesse il 17 gennaio  1996  dalla  Corte  d'appello  di
 Napoli,  il 30 gennaio 1996 dal tribunale di Lecce, l'8 febbraio 1996
 dalla Corte d'appello di Salerno, l'8 febbraio 1996 dal tribunale  di
 Lamezia  Terme,  il  2 febbraio 1996 (n.3 ordinanze) dal tribunale di
 Palmi, il 17 gennaio 1996 dal tribunale di Firenze,  il  29  febbraio
 1996  (n.  2  ordinanze)  dal tribunale di Larino, il 2 febbraio 1996
 dalla Corte d'appello di Catania, il 20 febbraio 1996  dal  tribunale
 di  Cosenza,  il  30  gennaio  1996 dal tribunale di Benevento, il 24
 gennaio 1996 dal tribunale di Napoli, il 5 marzo 1996  dal  tribunale
 di  Messina, il 5 marzo 1996 dalla Corte di appello di Venezia, il 27
 febbraio 1996 dal tribunale di Benevento,  il  29  gennaio  1996  dal
 tribunale  di  Brindisi  e il 12 marzo 1996 dalla Corte di appello di
 Roma rispettivamente iscritte ai nn. 269, 270, 352,  361,  370,  371,
 372,  389,  397, 398, 403, 415, 447, 493, 494, 495, 522, 595, 601 del
 registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica  nn.  13,  17,  19,  20, 21, 23, 24, 26 e 27 - prima serie
 speciale - dell'anno 1996;
   Visti gli atti di costituzione di Vivacqua Lucia, di Como Bianca ed
 altra, di Garufi Domenico, di Noli Vittoria, di Ambrosone Nicola,  di
 Ruggiero Elsa ed altri e di Massimo Lancellotti Paolo Enrico, nonche'
 gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica del 1 ottobre 1996 il giudice relatore
 Renato Granata;
   Uditi gli avv.ti Lucio Marotta e Giovanni Leone per Como Bianca  ed
 altra,  Ivone  Cacciavillani  e Luigi Manzi per Noli Vittoria, Nicola
 Ambrosone per Ambrosone Nicola, Carlo Tatarano  e  Giuseppe  Lavitola
 per  Ruggiero  Elsa  ed altri e l'avvocato dello Stato Sergio Laporta
 per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
   1. -  In diciannove distinti giudizi, aventi tutti analogamente  ad
 oggetto  domande  di  risarcimento  danni  da illegittima occupazione
 acquisitiva  di  fondi  di  proprieta'  privata   interessati   dalla
 realizzazione  di  opere pubbliche, le Corti di Appello di Napoli (n.
 269 del 17 gennaio 1996), Salerno  (n.  352  dell'8  febbraio  1996),
 Venezia  (n.  495 del 5 maggio 1996), Roma (n. 601 del 12 marzo 1996)
 ed i tribunali di Lecce (n. 270 del 30 gennaio 1996),  Lamezia  Terme
 (n.  361  dell'8  febbraio  1996),  Palmi  (nn.  370,  371, 372 del 2
 febbraio 1996), Firenze (n. 389 del 17 gennaio 1996), Larino (nn. 397
 e 398 del 29 febbraio 96), Catania (n.  403  del  2  febbraio  1996),
 Cosenza  (n.  415  del  20  febbraio  1996), Benevento (n. 447 del 30
 gennaio 1996 e n. 522 del 27 febbraio 1996), Napoli (n.  493  del  24
 gennaio 1996), Messina (n.  494 del 5 maggio 1996) e Brindisi (n. 595
 del  28  gennaio  1996)  hanno  sollevato  questione  incidentale  di
 legittimita' costituzionale dell'art.  1, comma 65,  della  legge  28
 dicembre  1995,  n. 549, che ha sostituito il comma 6 dell'art. 5-bis
 del precedente d.-l. 11 luglio 1992, n.  333 convertito in  legge  n.
 359  dell'8  agosto 1992 nella parte in cui dispone che la disciplina
 del  predetto  art.  5-bis   in   tema   di   stima   dell'indennizzo
 espropriativo  si  applica anche "in tutti i casi in cui non e' stato
 ancora determinato in via definitiva l'entita' del  risarcimento  del
 danno  alla  data di entrata in vigore della legge di conversione del
 presente decreto (id est: della  legge  8  agosto  1992,  n.  359  di
 conversione  del  decreto-legge  n.  333 cit.). Sulla premessa che il
 "risarcimento del danno", cui fa riferimento la norma denunciata, sia
 quello relativo alla perdita di proprieta' nei  casi  di  occupazione
 acquisitiva  (o  c.d.  accessione invertita) in favore della pubblica
 amministrazione, tutte le autorita' rimettenti hanno  prospettato  il
 conseguente  contrasto,  sotto  varie angolazioni della norma stessa.
 Con l'art. 3 della Costituzione (cui la Corte di Salerno abbina,  per
 un  profilo,  l'art.  113),  e  quasi tutte (esclusi solo la Corte di
 Salerno ed il tribunale di  Larino)  anche  con  l'art.  42  (cui  il
 tribunale di Palmi affianca l'art.2).
   I tribunali di Lecce, Messina e Brindisi hanno ritenuto poi violato
 l'art.  24  (che la Corte di Salerno invoca in combinato contesto con
 l'art. 113); la Corte di Salerno ed i tribunali di Cosenza, Messina e
 Brindisi hanno evocato inoltre l'art. 28;  la  Corte  di  Roma  ed  i
 tribunali  di  Lecce,  Lamezia  Terme,  Cosenza, Benevento e Messina,
 hanno prospettato, la lesione anche dei  valori  garantiti  dall'art.
 97  Costituzione; ed il (solo) tribunale di Messina ha fatto, infine,
 riferimento, agli artt. 10 e  11  della  Costituzione,  in  relazione
 all'art.  1  del Protocollo addizionale di Parigi 20 marzo 1952 della
 Convenzione europea, e 17 della Dichiarazione universale dei  diritti
 dell'uomo.
   2. - In tutti i giudizi (tranne in quello sollevato con l'ordinanza
 n.  447/1996) e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri
 per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato.
   La quale ha  eccepito,  in  limine,  l'inammissibilita'  in  taluni
 giudizi  (quelli  relativi  alle  ordinanze nn. 361, 415, 493), delle
 questioni sollevate; ha preliminarmente, poi, nel merito sostenuto la
 possibilita' di  una  diversa  esegesi  -  adeguatrice  -  del  testo
 denunciato;  e contestato infine, in subordine, la fondatezza di ogni
 censura  anche  alla  stregua  dell'interpretazione  presupposta  dai
 giudici a quibus.
   3.  -  Nei  sei  giudizi relativi alle ordinanze nn. 415, 493, 494,
 495, 522, 595, 601 del  1996,  si  sono  costituite  anche  le  parti
 private  con  argomentazioni sostanzialmente adesive, a quelle svolte
 dai rispettivi giudici a quibus.
   Nell'imminenza della udienza di discussione le difese  delle  parti
 private  costituite nei giudizi relativi alle ordinanze nn. 493, 494,
 495  e  595  del  1996,  nonche'  l'Avvocatura  dello  Stato,   hanno
 depositato ampie e articolate memorie che diffusamente ripercorrono i
 rispettivi itinerari argomentativi.
                         Considerato in diritto
   1.  - Al di la' di alcuni equivoci accenni delle Corti di Palermo e
 Salerno, (rispettivamente) all'art. 5-bis della legge 1992, n.    359
 nella  sua interezza, ed al (solo) suo secondo comma, tutti i giudici
 a quibus convergono, in  sostanza,  nel  denunciare  l'equiparazione,
 operata  dal  legislatore del '95, della disciplina del "risarcimento
 del  danno"  alla  disciplina  concernente  la  determinazione  della
 indennita'  dovuta  nel caso di espropriazione per pubblica utilita':
 cioe' l'art.  1, comma 6, della legge 28 dicembre 1995, n.  549,  che
 ha  sostituito  l'art.  5-bis,  comma  6,  del d.-l. n. 333 del 1992,
 convertito in legge 8 agosto 1992, n.  359;  quindi,  in  definitiva,
 l'art. 5-bis, comma 6, cosi' sostituito.
   2.  - L'identita' della norma denunciata autorizza la riunione, per
 connessione oggettiva, dei giudizi relativi a tutte le  ordinanze  in
 epigrafe.
   3.  -  Di  detta  norma  e'  stato  prospettato  -  come detto - il
 contrasto con gli artt. 2, 3, 10, 11, 24, 28,  42,  97  e  113  della
 Costituzione.
   3.1.  -  Premessa ermeneutica condivisa da tutti i giudici a quibus
 e' quella per cui "il risarcimento del danno", cui fa riferimento  il
 nuovo  comma  6, dell'art. 5-bis, sia quello relativo alla perdita di
 proprieta' nei casi di occupazione acquisitiva tenuto conto che nella
 materia de qua il solo altro risarcimento ipotizzabile e'  quello  da
 occupazione  temporanea  illegittima, per la determinazione del quale
 e' inconcepibile il ricorso ai criteri determinativi sopra menzionati
 (cosi' testualmente ordinanza n. 269 del 1996); reputandosi per  cio'
 "evidente  l'intenzione  del legislatore di equiparare del tutto, sul
 piano patrimoniale, le conseguenze  delle  espropriazioni  rituali  a
 quelle derivanti dalle illegittime ablazioni di fatto poste in essere
 dalla  pubblica  amministrazione  o  dai  soggetti  per conto di essa
 operanti, facendo  salve  solo  (come  gia'  avvenuto  nel  1992)  le
 determinazioni  divenute  inoppugnabili  in sede amministrativa o per
 effetto di  giudicato".    E  questa  premessa,  appunto,  i  giudici
 remittenti pongono a base comune delle rispettive censure.
   3.2.   -   In  tale  contesto,  la  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione,  con  varie  sfumature  argomentative,  e'   denunciata
 sostanzialmente   sotto  un  quadruplice  profilo  di  disparita'  di
 trattamento  (dei  proprietari   che   abbiano   subito   illegittima
 occupazione   acquisitiva   di   suoli   edificatori   nei  confronti
 rispettivamente:  a)  dei  soggetti  danneggiati  da  altro  tipo  di
 illecito;  b)  dei  proprietari  del pari illegittimamente privati di
 fatto di loro immobili, ma per esigenze  di  edilizia  abitativa  nel
 regime  "risarcitorio"  ex  art.  3  della legge 1988, n. 458; c) dei
 proprietari ritualmente espropriati;  d)  dei  proprietari  di  suoli
 agricoli);  sotto  un  ulteriore profilo di irrazionale parificazione
 del trattamento di situazioni ontologicamente diverse,  quali  quelle
 dell'espropriazione  secundum ius e dell'ablazione di fatto non iure;
 sotto altro connesso aspetto di ingiustificato  privilegio  riservato
 alla   pubblica   amministrazione;   sotto   un   parallelo  profilo,
 concernente la  applicazione  retroattiva  della  norma  nei  giudizi
 pendenti;  e,  infine,  sotto  un  ultimo aspetto di irragionevolezza
 intrinseca, per irrisolubile contraddizione  tra  causa  e  contenuto
 della norma medesima.
   3.2.1.  -  Ad illustrazione di tali censure, correlate al parametro
 dell'eguaglianza,   in   particolare   tra   l'altro   si    osserva,
 relativamente ai riferiti profili discriminatori:
     a)  che  sarebbe  "vistosa",  in danno dei titolari di diritti di
 proprieta'  immobiliare  illegittimamente  acquisiti  dalla  pubblica
 amministrazione,  o  da  chi  per  essa  si sia avvalso dell'istituto
 dell'accessione  invertita,  "la   deroga   al   principio   basilare
 dell'ordinamento  civilistico  per  cui  chi abbia, per effetto della
 violazione  della  fondamentale  regola  di  convivenza  sociale  del
 neminem  laedere, subito un danno, ossia una decurtazione del proprio
 patrimonio, ha diritto alla integrale ricostituzione dello  stesso  a
 carico  dell'autore  dell'illecito,  soggetto  pubblico o privato che
 sia" (Appello Napoli; Trib. Benevento; Appello Roma);
     b) che  del  pari  manifesta  sarebbe  la  natura  deteriore  del
 trattamento  riservato ai titolari di diritti risarcitori, incisi dal
 denunciato ius superveniens, rispetto  agli  altri  proprietari  che,
 analogamente  privati  del  suolo  di loro proprieta', per effetto di
 provvedimenti  previsti  da  norme  dettate per finalita' di edilizia
 residenziale pubblica agevolata o convenzionata avrebbero, viceversa,
 tuttora  diritto  al  pieno  risarcimento  dei   danni   causati   da
 provvedimento   espropriativo  dichiarato  illegittimo  con  sentenza
 passata in giudicato oltre  alla  rivalutazione  ed  interessi,  come
 sancito  dall'art.  3  della  legge  27  ottobre 1988, n. 458, la cui
 applicazione  e'  stata  estesa  a  tutti  i  casi   di   occupazione
 illegittima,  per  finalita'  abitative,  con  sentenze  della  Corte
 costituzionale 31 luglio 1990, n . 384 e 27  dicembre  1991,  n.  486
 (Appello Salerno);
     c)   che,  per  un  triplice  profilo,  rispetto  ai  proprietari
 ritualmente  espropriati,  ulteriormente  discriminati  sarebbero   i
 soggetti  in  causa.    Infatti, solo i primi, e non anche i secondi,
 hanno la possibilita'  di  intervenire  nel  corso  del  procedimento
 ablatorio  e  di  controllarne  l'iter  quali  portatori di interessi
 legittimi  diversificati  e  possono  effettuare,  nel  corso   della
 procedura,  quella  "cessione volontaria" del bene che, ai fini della
 stima, consente di evitare l'ulteriore riduzione del 40% ai sensi del
 comma 2 del citato art. 5-bis (v.    Appello  Venezia).  Inoltre  "il
 regime  della prescrizione estintiva e' piu' favorevole nelle ipotesi
 di legittima espropriazione, in quanto il diritto alle indennita'  si
 estingue  nel  termine  ordinario  decennale  di  cui  all'art.  2946
 cod.civ., mentre nel caso di "accessione  invertita"  conseguente  ad
 illecita occupazione il termine prescrizionale applicabile al diritto
 al risarcimento dei danni e' quello quinquennale di cui all'art. 2947
 cod. civ." (App. Napoli);
     d)  che  sotto  il  gia' accennato profilo, in particolare, della
 possibilita'  di  cessione  volontaria  con  fruizione  dei  relativi
 vantaggi,  ulteriore  disparita' di trattamento si verificherebbe tra
 proprietari di fondi agricoli e proprietari di suoli edificabili, "in
 quanto, mentre per i suoli  agricoli  la  indennita'  provvisoria  e'
 correlata  a  precisi  parametri,  invece  per i suoli edificatori la
 somma offerta (per indennita'  o  per  risarcimento)  e'  liberamente
 quantificata dall'autore della proposta, che puo' quindi determinarla
 in  misura  talmente  irrisoria  da  costringere  il  proprietario  a
 rifiutare l'offerta con conseguente  rinuncia  alla  possibilita'  di
 escludere l'abbattimento del 40%" (App.  Salerno).
   3.2.2.  - Quanto poi alla denunciata "irrazionale, ingiustificata e
 totale parificazione, agli effetti  patrimoniali,  delle  conseguenze
 delle  espropriazioni  svoltesi  nel  rispetto  delle  regole ad esse
 preordinate e di quelle delle ablazioni  di  fatto,  verificatesi  in
 conseguenza  della  mancata  osservanza  delle regole medesime", tale
 parificazione - ancora sempre secondo  Appello  Napoli  -  "non  puo'
 trovare   adeguata   giustificazione   nelle   palesi   esigenze   di
 contenimento della spesa pubblica, che hanno indotto  il  legislatore
 ad  introdurre  la censurata disposizione, essendo altri i mezzi e le
 regole preordinati al corretto prelievo finanziario (v. artt. 23 e 53
 Cost.), e non anche il  sostanziale  avallo  dell'illecito  posto  in
 essere dalla pubblica amministrazione, nel quale si risolve l'operata
 eliminazione  di  ogni  conseguenza  patrimoniale  sfavorevole per la
 stessa, in  dipendenza  della  mancata  osservanza  del  procedimento
 espropriativo,  con il conseguente venir meno della principale remora
 al compimento di atti illegittimi" (Trib. Benevento e Appello Roma).
   3.2.3.  -  La violazione dell'art. 3 della Costituzione, in termini
 di   "privilegio    ingiustificato"    attribuito    alla    pubblica
 amministrazione,  rispetto  ad  altro  soggetto  od  ente  autore  di
 illeciti, e' coonestata, a sua volta,  dalla  considerazione  (ancora
 nella  ordinanza  della  Corte  di Salerno) che tale privilegio viene
 irragionevolmente   riconosciuto   "ad   un   soggetto   -   pubblica
 amministrazione  -  che  avendo  agito al di fuori e contro qualsiasi
 prescrizione normativa, che pure aveva  l'obbligo  di  osservare,  ed
 anzi  con  l'ingiustificabile  lesione  dell'ordine  giuridico  e dei
 diritti dei cittadini, si pone nella esecuzione  del  fatto  illecito
 volontariamente  alla  pari  di  qualsiasi  altro  soggetto autore di
 illeciti, ricevendone, a differenza di  ogni  altro,  un  trattamento
 differenziato  e  piu'  favorevole,  quasi  premio  alla sua qualita'
 pubblica,  che  dovrebbe  tradursi  invece  in  pubblico  esempio  di
 correttezza e di legittimo esercizio del potere".
   3.2.4.  -  L'ulteriore  profilo  di  violazione  dell'art.  3 della
 Costituzione,  sul  piano  diacronico,  e'  motivato  in  base   alla
 considerazione   che,   con  la  disposta  applicazione  della  norma
 denunciata anche nei giudizi in corso, "lo Stato  si  carica  di  una
 doppia  iniquita'  a danno della uguaglianza dei cittadini, quella di
 non provvedere per una  sollecita  ed  eguale  giustizia  in  termini
 temporali  e  di  ricavare  un  vantaggio  economico dalla sua stessa
 inefficienza  applicando  sui  processi,   non   definiti   per   sua
 inettitudine,  ma  iniziati  sulla  applicazione  di  una ben precisa
 anteriore disposizione di legge, una  norma  nuova,  successiva  alla
 proposizione  del  giudizio  che  danneggia  solo  i protagonisti dei
 processi  ancora  in  corso  e  non  quelli  coevamente  iniziati   e
 sollecitamente definiti" (App. Salerno).
   3.2.5.  -  Infine, in ordine alla irragionevolezza intrinseca della
 norma denunciata, afferma il tribunale di  Brindisi  che  "non  puo',
 considerarsi coerente affermare il diritto del proprietario ad essere
 risarcito del danno e nel contempo ridurre unilateralmente, in favore
 dello Stato, l'entita' del pregiudizio subito dal proprietario".
   3.3.   -   Parallelamente,   la   violazione   dell'art.  42  della
 Costituzione (2 e 42 per trib. Palmi), e' conseguenzialmente  dedotta
 dalla   considerazione  che  l'operata  parificazione,  agli  effetti
 patrimoniali, della ablazione non iure alla  espropriazione  secondum
 ius  vanificherebbe  il  principio di legalita' delle espropriazioni,
 posto a presidio della proprieta' privata, se e' vero che, anche  nel
 caso    patologico   di   violazione   della   legge,   la   pubblica
 amministrazione puo' acquisire il diritto anzidetto,  contraendo  nei
 confronti    degli    ex    titolari    dello   stesso   obbligazioni
 quantitativamente identiche a quelle,  piu'  contenute,  che  avrebbe
 assunto  nell'ipotesi "fisiologica" di osservanza della legge stessa.
 Per cui - come osserva la Corte di Napoli -  "svincolando  sul  piano
 pratico  la  pubblica  amministrazione  dall'obbligo  di osservare le
 norme del procedimento espropriativo, si e' finito con il creare  una
 vera  e  propria  fattispecie  di  "espropriazione  di fatto", che si
 affianca a quella  rituale  e  legittima,  quale  via  alternativa  e
 sommaria   ai  fini  dell'acquisizione  della  proprieta'  dei  suoli
 occorrenti per la realizzazione di opere  di  pubblico  interesse.  E
 poiche' tale forma di ablazione, solo genericamente ed indirettamente
 prevista  dalla  legge,  puo'  svolgersi al di fuori di ogni garanzia
 formale, il suesposto principio di legalita' appare del  tutto  eluso
 dal nuovo disposto normativo".
   3.4.  -  A sua volta, il vulnus all'art. 24 (o agli artt. 24 e 113)
 della Costituzione e' in particolare ravvisato nella violazione,  che
 la  disposizione  denunciata opererebbe, del diritto fondamentale del
 cittadino al corretto procedimento amministrativo, per la sostanziale
 soppressione delle garanzie poste dall'ordinamento giuridico a tutela
 del cittadino per la sua difesa contro  gli  atti  illegittimi  della
 pubblica amministrazione.
   3.5.  -  Sulla  stessa  linea  argomentativa,  ma  verificandone le
 implicazioni in tema di art. 28 della Costituzione, si  osserva  pure
 che,  se  dalla  violazione  del  diritto  soggettivo  di  proprieta'
 attraverso  l'occupazione  appropriativa  non  derivano   conseguenze
 diverse  da  quelle  tipiche  dell'ablazione  secondo le procedure di
 legge,  il  pubblico  funzionario  non  potra'  essere   chiamato   a
 rispondere  di  alcun  illecito  sostanziale,  avendo la stessa norma
 dichiarato irrilevante l'illecito  formale.    Dal  che  appunto,  il
 paventato  vulnus  del  principio  della  diretta responsabilita' dei
 pubblici funzionari.
   3.6. - Nella quale ultima prospettiva la Corte di appello  di  Roma
 ed i tribunali di Lecce, Lamezia Terme, Cosenza, Benevento e Messina,
 estendono, per logica connessione, la censura di illegittimita' anche
 in  relazione  a  possibili  profili di contrasto con l'art. 97 della
 Costituzione,  sul  rilievo  che  l'appiattimento  dei   criteri   di
 valutazione  dei  danni cagionati con la propria condotta illegittima
 e/o illecita costituirebbe una spinta verso la violazione delle leggi
 in materia di espropriazione.
   3.7. - Infine, ancora il tribunale di Brindisi ha prospettato  che,
 con   l'introduzione   della  disposizione  in  esame,  l'ordinamento
 giuridico italiano si sarebbe posto in contrasto  con  l'art.  1  del
 Protocollo  addizionale  di  Parigi  20  marzo 1952 della Convenzione
 europea: che ricalca l'art. 17  della  Dichiarazione  universale  dei
 diritti   dell'uomo,   per   cui   "nessun   individuo   puo'  essere
 arbitrariamente privato della sua proprieta'". Ed  ha  ritenuto,  per
 tal  profilo,  conseguentemente  violati  gli  artt.  10  e  11 della
 Costituzione.
   4. - A  tutte  queste  censure  -  argomentatamente  condivise  dai
 difensori  delle  parti costituite (con enucleazione, in taluni casi,
 anche di doglianze ulteriori che non possono  pero'  esaminarsi,  non
 essendo  consentito  alle parti di ampliare il thema decidendum) - ha
 replicato invece, il Presidente del Consiglio dei Ministri.
   4.1. - Negli atti  di  intervento  relativi  alle  prime  ordinanze
 l'Avvocatura  ha  per  altro,  in  via principale, affidato la difesa
 della norma impugnata ad una sua possibile  diversa  "interpretazione
 adeguatrice", prospettando che, con essa, il legislatore abbia inteso
 estendere  alla  occupazione acquisitiva le sole disposizioni (di cui
 ai commi 3 e 5) dell'art.  5-bis del d.-l. 11  luglio  1992,  n.  333
 convertito  in  legge  8  agosto 1992, n. 359, relative ai criteri di
 qualificazione dell'area (illegittimamente occupata  od  espropriata)
 ma  non anche il meccanismo composito (di cui ai precedenti commi 1 e
 2) di quantificazione quale specificamente modellato per l'indennizzo
 espropriativo.  Per  cui  nessuna  irragionevolezza  vi  sarebbe  nel
 novellato  comma  6  dell'art. 5-bis una volta che si riconosca, come
 unica sua finalita', quella di evitare  che,  per  accadimenti  molte
 volte   casuali   nell'iter  della  procedura  espropriativa,  alcuni
 proprietari  - a differenza di altri i cui beni siano interessati dal
 medesimo  intervento  pubblico  -  possano  trovarsi  a   beneficiare
 (ovvero, anche a soffrire) di mutate condizioni di edificabilita' del
 terreno sopravvenute, eventualmente, tra la dichiarazione di pubblica
 utilita'   ed  il  perfezionamento  della  vicenda  traslativa  della
 proprieta'.  Ma da tale riduttiva proposta interpretativa, la  stessa
 Avvocatura e' poi receduta - prendendo atto che con la sequenza delle
 numerose successive ordinanze la diversa esegesi dei giudici a quibus
 tendeva  a  costituire  il  diritto  vivente  -  per  cui ha poi dato
 primario rilievo alla confutazione della fondatezza della denuncia di
 illegittimita', in ogni suo  profilo,  della  norma  in  esame  nella
 accezione presuppostane dalle ordinanze di rinvio.
   4.2.  - A tal fine l'Avvocatura ha in particolare sostenuto, contro
 l'ipotesi di violazione dell'art. 3 della Costituzione, che:
     a)  la   dichiarazione   di   pubblica   utilita'   e'   elemento
 caratterizzante  e, da solo, capace di giustificare una diversita' di
 trattamento rispetto a quello fatto ai soggetti passivi di  qualunque
 altro  illecito  civile  (per  cosi'  dire "non qualificato"), tenuto
 conto - in particolare - anche della regola  comune  posta  dall'art.
 2045 cod. civ.;
     a.1.)  l'art.  3 della legge n. 458 del 1958 (quale risultante ad
 esito di Corte cost. n. 486 del 1991) regolamenta vicende nelle quali
 la  trasformazione  della  proprieta'  privata  e  la  conseguente  -
 eccezionale  -  accessione  invertita  sono  riferibili  ad attivita'
 materiali compiute da soggetti privati (nell'ambito di iniziative  di
 edilizia   residenziale   "agevolata   e   convenzionata")   con   la
 realizzazione di beni non qualificabili come opere  pubbliche  e  non
 soggetti  al  regime  pubblicistico  (del  demanio  e  del patrimonio
 indisponibile);
     a.2.) la diversita' di trattamento sul piano  diacronico  sarebbe
 "effetto  diretto  e  fisiologico  della  successione delle leggi nel
 tempo  cosi'  da  non   integrare   violazione   del   principio   di
 uguaglianza";
     a.3.)  l'equiparazione  tra  espropriati ritualmente ed ablati di
 fatto, la cui irragionevolezza si critica, sarebbe non  correttamente
 assunta,  poiche'  cio'  che  in  sostanza rileverebbe, ai fini dello
 scrutinio  di  ragionevolezza  della  scelta  legislativa,   e'   che
 "l'effetto  economico-sociale  (lato sensu ablativo) sia direttamente
 collegato  in  entrambe  le  vicende  considerate   all'esistenza   -
 formalmente   dichiarata   -   d'un   interesse  pubblico  capace  di
 legittimare, alla luce dei precetti costituzionali, il sacrificio del
 diritto del singolo; ed altresi' che la devianza, in un  caso,  dagli
 schemi   predeterminati  dall'ordinamento  avvenga  solo  nella  fase
 conclusiva del procedimento;
     a.4.)  il  privilegio  riservato  alla  pubblica  amministrazione
 troverebbe,  quindi,  adeguata giustificazione nel pubblico interesse
 (accertato e dichiarato  nelle  forme  dovute)  che  contraddistingue
 l'occupazione  appropriativa  rispetto  agli "analoghi illeciti" - in
 realta', non  riducibili  nello  schema  dell'istituto  di  creazione
 giurisprudenziale  dell'accessione  invertita - commessi da qualsiasi
 altro soggetto;
     a.5.) a sua volta, anche l'impossibilita', per il danneggiato, di
 evitare la riduzione del 40% del  ristoro  patrimoniale  spettantegli
 sarebbe,  almeno  in astratto, suscettibile di configurare una "voce"
 del risarcimento e  di  essere,  pur  essa,  ristorata  come  "danno"
 (conseguente  all'occupazione  appropriativa).  Mentre  il  valore di
 mercato, da assumere a primo termine della semisomma, e'  pur  sempre
 un dato oggettivamente verificabile, per cui neppure sussisterebbe la
 discriminazione adombrata, per tal profilo, dalla Corte di Salerno;
     b)  non  sarebbe  poi  pertinente  il  riferimento alla garantita
 tutela giudiziale delle situazioni giuridiche soggettive (di  cui  al
 primo  comma  dell'art.  24  Cost.), posto che - pur nell'assunto dei
 remittenti - non  si  scorgerebbe  come  la  norma  denunciata  possa
 riuscire  di  ostacolo  all'esercizio dello ius persequendi iudicio o
 possa - addirittura - determinare la  "mancanza  dell'oggetto"  della
 tutela (invocata o da invocare).
   Ne'  la  denuncia  formulata in relazione agli artt. 24 e 113 della
 Costituzione sarebbe dotata di miglior consistenza, giacche' la norma
 impugnata, limitandosi a stabilire una riduzione  della  entita'  del
 risarcimento,  postula  la  lesione d'un diritto soggettivo nella cui
 tutela giudiziale  deve  ritenersi  risolta  quella  degli  interessi
 legittimi   del  proprietario  rispetto  agli  atti  della  procedura
 espropriativa);
     c) del pari insussistente sarebbe il  paventato  contrasto  della
 norma con l'art. 28 della Costituzione e il lamentato svuotamento del
 principio  della  responsabilita' diretta dei funzionari e dipendenti
 della pubblica amministrazione,  perche'  "l'immutata  qualificazione
 giuridica (come atto illecito) della occupazione appropriativa lascia
 pur  sempre  configurare - secondo i principi - la diretta, personale
 responsabilita'  dei  funzionari  e  dipendenti  pubblici,   con   la
 conseguenza   che   attraverso   la   riduzione   della  entita'  del
 risarcimento  non  puo'  dirsi  compromesso  il  principio  di   buon
 andamento della amministrazione";
     d) manifestamente infondata si dimostrerebbe anche la denuncia di
 violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, dal momento
 che  la  norma  censurata,  per  un  verso,  non si pone come "fonte"
 dell'effetto acquisitivo, da ricollegare invece alle regole  generali
 poste  dall'ordinamento  in tema di modi d'acquisto della proprieta';
 e, per altro (e piu'  pertinente)  verso,  non  colliderebbe  con  il
 principio  del  "necessario"  ristoro patrimoniale del privato, posto
 che si limita a regolamentare il quantum della  relativa  prestazione
 (la cui misura non e' "costituzionalizzata") e sarebbe, del resto, in
 concreto  parametrata su valori gia', per analoghi fini, riconosciuti
 conformi alle regole della "serieta'" e "non simbolicita'".    Mentre
 l'art.  2,  sia  pur  in  combinato  contesto  con  l'art.  42  della
 Costituzione, risulterebbe erroneamente invocato avuto riguardo  alla
 specificita'  della  garanzia del diritto di proprieta', sub art. 42,
 che assorbe  quella  generica  apprestata  dall'art.  2  ai  "diritti
 fondamentali";
     e)  priva  di  concretezza  sarebbe  pure l'ipotesi di violazione
 dell'art. 97 della Costituzione,  poiche'  l'abrogazione  di  "fatto"
 dell'istituto dell'espropriazione, con sovvertimento del principio di
 legalita'   dell'azione   amministrativa,  che  i  giudici  a  quibus
 paventano, non potrebbe ritenersi effetto diretto della  disposizione
 in  esame,  rappresentandone  semmai  solo una "ipotetica conseguenza
 pratica indiretta", come tale estranea al sindacato di legittimita';
     f)  manifestamente  infondato  sarebbe,  infine,  il  sospetto di
 violazione dell'art. 10, e "fuor di luogo" il richiamo al  successivo
 art.  11  della  Costituzione,  poiche' la riduzione dell'entita' del
 risarcimento  nulla  ha  a  che  vedere  con  le  invocate  norme  di
 Convenzioni   internazionali  (recepite  nell'ordinamento  nazionale)
 intese  a  garantire  il  diritto  di  proprieta'  dell'individuo  da
 ipotizzabili  forme  di  "avocazione"  o di "arbitraria confisca" dei
 beni privati con atto d'imperio statuale.
   5. - Alla esposizione delle argomentazioni in replica alle  censure
 di  illegittimita', come sopra riassunte, l'Avvocatura dello Stato ha
 fatto, per altro, precedere - con riguardo alle  sole  tre  ordinanze
 dei  tribunali  di Lamezia Terme, Cosenza e Napoli (nn. 361, 415, 493
 del 1996) - altrettante eccezioni di inammissibilita'.
   5.1.  -  Di  dette  eccezioni  -  il  cui  esame   e'   logicamente
 pregiudiziale  - vanno accolte le prime due, poiche' effettivamente -
 come dedotto  dall'esponente  -  nelle  ordinanze  del  tribunale  di
 Lamezia  Terme  e  in quella di Cosenza (ove il magistrato remittente
 parrebbe aver per di piu' sollevato la  questione  non  in  veste  di
 giudicante,  ma  di istruttore) risulta pretermesso ogni accertamento
 in fatto sull'esistenza o meno e di una  pregressa  dichiarazione  di
 pubblica  utilita'  e  cioe'  - secondo la consolidata giurisprudenza
 della Corte di cassazione, pienamente recepita da questa Corte: sent.
 n. 486 del 1991, paragrafo  n.  3  -  sul  presupposto  stesso  della
 fattispecie  appropriativa:  per  cui  difetta  la  motivazione sulla
 rilevanza della impugnativa.
   5.2. - Va respinta la terza eccezione, atteso che  l'ordinanza  del
 tribunale  di Napoli, viceversa, da' atto che, nel caso al suo esame,
 una dichiarazione di pubblica utilita' vi  e'  stata,  ancorche'  poi
 dichiarata  illegittima,  in  sede  di  giudizio amministrativo: e la
 valutazione - non  implausibile  -  che  il  giudice  a  quo  fa  per
 implicito  della  sufficienza di un siffatto accertamento iniziale di
 utilita' dell'opera ai fini della identificazione di una  fattispecie
 acquisitiva, assolve l'onere della motivazione in punto di rilevanza.
   6.  -  Nel  merito,  la verifica di legittimita' della disposizione
 denunciata va condotta alla stregua della interpretazione presupposta
 dalle  autorita'  rimettenti:   nella   quale   effettivamente   puo'
 ravvisarsi  -  come riconosciuto anche dalla Avvocatura dello Stato -
 il "diritto vivente", trattandosi di esegesi univocamente accolta dai
 giudici di merito, condivisa anche dalla dottrina pressoche'  unanime
 e  confortata infine dalla prima (e finora unica) decisione, in tema,
 della Cassazione (sentenza 18 luglio 1996, n.  980).    Per  cui,  in
 sostanza,  il punto centrale del dato normativo, su cui converge ogni
 censura, e' appunto quella della disposta applicazione estensiva  dei
 medesimi   criteri,   introdotti   dal  citato  art.  5-bis,  per  la
 determinazione dell'indennizzo espropriativo (semisomma del valore di
 mercato e del reddito dominicale, con ulteriore  riduzione  del  40%,
 evitabile solo con la cessione volontaria del bene), anche ai diversi
 fini  della liquidazione del danno che compete al proprietario che in
 luogo di una rituale procedura ablatoria abbia subito una illegittima
 occupazione privativa.
   7. - In  premessa  alle  valutazioni  di  legittimita'  rimesse  al
 riguardo a questa Corte va ancora richiamata la natura innegabilmente
 risarcitoria     delle     conseguenze    patrimoniali    ricollegate
 dall'ordinamento all'attuarsi della occupazione privativa-acquisitiva
 o c.d. "accessione invertita" (che, in dipendenza della irreversibile
 destinazione  del  suolo  occupato  all'opera pubblica, spiega all'un
 tempo l'effetto estintivo, dell'originario diritto di  proprieta',  e
 quello  acquisitivo,  dell'immobile  cosi' trasformato, alla pubblica
 amministrazione): qualificazione, che  e',  in  tali  termini,  ormai
 consolidata  da  tempo  nella  giurisprudenza  della Cassazione ed in
 quella conforme dei giudici di merito; ha superato anche il vaglio di
 costituzionalita' con la recente sentenza n.  188  del  1995,  ed  ha
 trovato parallela ricezione, infine, sul piano normativo, negli artt.
 11,  commi  5  e 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, e 10, comma
 3-bis, del d.-l. 27 ottobre 1995, n.  444,  convertito  in  legge  20
 dicembre 1995, n. 539.
   8.  -  In questa prospettiva, lo ius superveniens si risolve quindi
 nella compressione del diritto al risarcimento del danno  all'interno
 di  una  fattispecie  di  illecito aquiliano. Ed il primo quesito cui
 dare risposta e' pertanto  quello  se  sia  o  non  sia,  in  via  di
 principio,   consentito  al  legislatore  ordinario  di  operare  una
 siffatta compressione.
   8.1. - Per tal profilo puo'  convenirsi  con  l'Avvocatura  che  la
 regola  generale  di integralita' della riparazione ed equivalenza al
 pregiudizio cagionato  al  danneggiato  non  ha  -  come  del  resto,
 evidenziato  nella  sentenza  n.  132  del  1985  (punto  4.3.  della
 motivazione) - copertura costituzionale.   Ed in realta'  -  in  casi
 eccezionali (di cui non mancano in dottrina tentativi di ricognizione
 sistematica)  -  il legislatore puo' pure ritenere equa e conveniente
 una limitazione del risarcimento del danno.
   Tale limitazione puo' attuarsi sia nel campo della  responsabilita'
 contrattuale  (v.  ad  esempio, artt. 1784, 1786 cod. civ.; 275, 412,
 423 cod. navig.), sia in materia di responsabilita' extracontrattuale
 in considerazione delle particolari condizioni dell'autore del danno.
   8.2. - Cio' posto, non prive di rilievo risultano, a  questi  fini,
 le   valutazioni   dell'interveniente  sulla  peculiare  connotazione
 dell'illecito in esame, per il suo  dispiegarsi  tra  i  due  estremi
 (iniziale)  della  dichiarazione  di  pubblica utilita' di un'opera e
 (finale) di concreta realizzazione,  sia  pur  non  iure,  dell'opera
 stessa.    Per  cui  puo',  in  linea  di  principio,  convenirsi con
 l'Avvocatura dello Stato, anche sulla conclusione, cui per  tale  via
 essa  perviene  che  nella  fattispecie  sussistano  in  astratto gli
 estremi giustificativi di  un  intervento  normativo  ragionevolmente
 riduttivo  della  misura  della  riparazione  dovuta  dalla  pubblica
 amministrazione al  proprietario  dell'immobile  che  sia  venuto  ad
 essere cosi' incorporato nell'opera pubblica.
   9.  -  La ragionevolezza di una siffatta riduzione viene peraltro a
 dipendere - come pure precisato nella citata sentenza n. 132 del 1985
 - dall'equilibrato componimento, che la norma  di  conformazione  del
 danno  risarcibile deve assicurare, degli opposti interessi in gioco.
 Interessi che, in questo caso, sono, da un  lato,  quello  riferibile
 all'amministrazione di conservazione dell'opera di pubblica utilita',
 con contenimento dell'incremento di spesa correlativa; e, dall'altro,
 l'interesse  del  privato  ad  ottenere  riparazione  per  l'illecito
 subito.
   9.1. - Le censure dei giudici a  quibus,  nella  loro  capillare  e
 variegata  articolazione  (come  innanzi riassunta), convergono tutte
 pero' nell'escludere che la disposizione denunciata abbia  rispettato
 un  tale  equilibrio.  E cio' per l'abnormita' (che avrebbe, appunto,
 plurime  negative ricadute sul principio di eguaglianza, sulla tutela
 della proprieta' e la legalita' dell'azione  amministrativa)  di  una
 riduzione  della  misura  della  riparazione,  per  l'illecito  della
 pubblica amministrazione, spinta al punto  di  farla  coincidere  con
 l'entita'  dell'indennizzo  dovuto  in  caso  di  legittima procedura
 ablatoria.
   9.2. - E' proprio questo, in definitiva, il filo  logico  che  lega
 tra  loro  le varie impugnative, il nucleo comune di doglianza da cui
 muove ogni altro rilievo, il cuore - come gia' detto -  del  problema
 di costituzionalita' all'esame della Corte.
   E l'equiparazione - cosi' assunta in premessa - del risarcimento da
 illecita occupazione appropriativa all'indennizzo espropriativo e', a
 parere  del  collegio,  esatta  sia  nella sua enunciazione sia nelle
 implicazioni che se ne traggono.
   9.2.1. - Sotto il primo profilo, e' stato invero pur  vigorosamente
 contestato  dal Presidente del Consiglio che la prevista applicazione
 della nuova disciplina dell'indennizzo, di cui all'art. 5-bis,  commi
 1   e  2,  del  decreto-legge  1992  n.  359,  anche  ai  fini  della
 liquidazione del danno derivante dalla  c.d.  "accessione  invertita"
 comporti in concreto la denunciata equiparazione della misura dei due
 istituti.    E cio' perche', come eccepito negli atti di costituzione
 ed ulteriorme  nte illustrato in memoria ed in  sede  di  discussione
 orale:
     a)  nella  determinazione  del  risarcimento  non  potrebbe farsi
 applicazione  dell'ulteriore   detrazione   (del   40%   del   valore
 dimidiato),  di  cui all'ultima parte del comma 1 del menzionato art.
 5-bis,  per  non  essere  di  fatto  possibile,  nelle   vicende   di
 occupazione  privativa,  la  "cessione volontaria del bene", a quella
 riduzione invece  "legata"  nel  complessivo  meccanismo  di  computo
 previsto dal combinato contesto dei commi 1 e 2 della norma stessa;
     b)  del  pari  inapplicabili alla stima del danno sarebbero altre
 "detrazioni", previste invece  per  l'indennita'  di  espropriazione,
 quali  la  detrazione  per  il  vantaggio  derivante al fondo residuo
 dall'esecuzione dell'opera pubblica (art. 41  della  legge  1865,  n.
 2359),  la  detrazione  del  valore  delle  piantagioni e costruzioni
 effettuate a scopo surrettizio di incremento dell'indennizzo (art. 43
 della legge 2359 cit.) e quella del valore dei  fabbricati  edificati
 in  assenza o in difformita' da licenza edilizia (art. 16 della legge
 del 1971, n. 865);
     c) il credito risarcitorio, come credito "di valore", sarebbe pur
 sempre ulteriormente incrementabile per rivalutazione,  a  differenza
 del credito indennitario, cui corrisponde un debito "di valuta".
   9.2.2. - Ma nessuno di tali rilievi coglie nel segno.
   Ed infatti:
     sub  a)  una corretta lettura dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio
 1992, n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992  n.  359,  nel  testo
 risultante  dall'intervento  additivo su di esso operato con sentenza
 n. 283 del 1993, consente  di  argomentare  che,  come  nel  caso  di
 immobile  gia'  espropriato  nel  periodo antecedente alla entrata in
 vigore  della  predetta  legge,  cosi'  nell'ipotesi  di  suolo  gia'
 occupato  con effetto irreversibilmente privativo, al proprietario e'
 comunque consentito, in via transattiva, di "accettare" l'offerta del
 valore mediato del suolo, come determinato dall'amministrazione,  con
 la  conseguenza che - in mancanza di una tale accettazione - anche al
 danneggiato si applica  (non  diversamente  che  all'espropriato)  la
 medesima ulteriore riduzione del 40%;
     sub  b)  del  pari  estese alla disciplina della liquidazione del
 danno  da  accessione  invertita  devono  ritenersi  le   su   citate
 disposizioni  della  legge  del  1865  e  della legge n. 865 del 1971
 relative alla stima dell'indennita', e cio' in  forza  del  rinvio  a
 quelle  operato  - per il tramite del riferimento al valore del suolo
 come termine da mediare ai sensi dell'art. 13 della legge n. 2892 del
 1885, e quindi alle regole generali per la sua determinazione  -  dal
 comma  1,  dell'art.  5-bis del decreto-legge n. 359/1992, cui, a sua
 volta, rinvia il sesto comma per la liquidazione del "risarcimento";
     sub c) del tutto eventuale e comunque di non apprezzabile rilievo
 e' l'incremento che alla voce risarcitoria puo'  derivare  dalla  sua
 natura  di  "debito  di  valore",  considerato  (oltre  l'intervenuta
 elevazione della misura degli interessi legali nel debito  di  valuta
 e,  per  converso,  l'attenuata incidenza della svalutazione, ai fini
 del computo degli interessi sulla stessa, nel piu'  recente  e  ormai
 consolidato  orientamento della Cassazione: Sez. Un. 1712/1995; Cass.
 3660/1996 ex plurimis) sopratutto il fatto che anche per i debiti  di
 valuta  -  e  quindi  anche  per  quello  relativo alla indennita' di
 espropriazione  -  e'  ora  largamente  ammesso  il   computo   della
 svalutazione,  attraverso  la prova del maggior danno (per effetto di
 quella) subito dal proprietario creditore; prova il  cui  onere,  per
 ormai  del  pari  consolidata giurisprudenza della stessa Cassazione,
 puo' essere assolto anche con presunzioni semplici legate  alla  mera
 qualita' soggettiva del creditore (modesto risparmiatore; consumatore
 ecc.).
   9.3.  -  Quanto  al  secondo  dei  profili  sopra  (paragrafo n. 2)
 evidenziati  -  cioe'  quanto  alle  implicazioni,  sul  piano  della
 legittimita'    costituzionale,    della    verificata    sostanziale
 equiparazione dell''entita' del risarcimento del danno da  accessione
 invertita  a quella dell'indennizzo espropriativo - e' innegabile, in
 primo luogo, la violazione che ne deriva del precetto di eguaglianza,
 stante la radicale diversita' strutturale (cfr. sentenza n.  188  del
 1995 cit.) e funzionale delle obbligazioni cosi' comparate.  Infatti,
 mentre  la  misura  dell'indennizzo  -  obbligazione ex lege per atto
 legittimo - costituisce il punto di equilibrio tra interesse pubblico
 alla  realizzazione  dell'opera  e   interesse   del   privato   alla
 conservazione  del bene, la misura del risarcimento - obbligazione ex
 delicto - deve  realizzare  il  diverso  equilibrio  tra  l'interesse
 pubblico  al  mantenimento  dell'opera  gia' realizzata e la reazione
 dell'ordinamento a tutela della legalita' violata per  effetto  della
 manipolazione-distruzione  illecita  del bene privato. E quindi sotto
 il profilo della ragionevolezza intrinseca (ex art. 3  Costituzione),
 poiche'  nella occupazione appropriativa l'interesse pubblico e' gia'
 essenzialmente soddisfatto dalla non restituibilita' del bene e dalla
 conservazione  dell'opera  pubblica,  la  parificazione  del  quantum
 risarcitorio alla misura dell'indennita' si prospetta come un di piu'
 che  sbilancia  eccessivamente  il contemperamento tra i contrapposti
 interessi, pubblico e privato, in eccessivo favore del primo.  Con le
 ulteriori negative incidenze, ben poste in luce dalle varie autorita'
 rimettenti, che un tale "privilegio"  a  favore  dell'amministrazione
 pubblica  puo'  comportare,  anche  sul  piano  del  buon andamento e
 legalita'   dell'attivita'   amministrativa   e   sul   principio  di
 responsabilita' dei pubblici  dipendenti  per  i  danni  arrecati  al
 privato.
   10.  -  Risulta  contestualmente vulnerato anche l'art. 42, secondo
 comma, della Costituzione, per la perdita di garanzia che al  diritto
 di    proprieta'   deriva   da   una   cosi'   affievolita   risposta
 dell'ordinamento all'atto illecito compiuto in sua violazione.
   11. - Per tali profili -  nei  quali  resta  assorbita  ogni  altra
 censura  delle  autorita' rimettenti - il comma 6 dell'art. 5-bis del
 d.-l.  11 luglio 1992 n. 333 convertito in legge 8  agosto  1992,  n.
 359,  come  sostituito dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre
 1995, n. 549, va quindi dichiarato illegittimo nella parte censurata.