ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  34,  secondo
 comma,  del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse
 il 13 marzo 1995 (n. 2 ordinanze) dal tribunale di  Forli'  e  il  20
 ottobre 1995 dalla Corte d'assise di Napoli, rispettivamente iscritte
 ai  nn. 715, 716 e 939 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  44,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1995 e n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  26  giugno  1996  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte;
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Con  due  ordinanze di identico contenuto, il tribunale di
 Forli' ha sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento  agli  artt.  3 e 24 della Costituzione, dell'art. 34 del
 codice di procedura  penale,  nella  parte  in  cui  non  prevede  la
 incompatibilita'  del giudice che, dopo avere pronunciato sentenza di
 condanna  per  un  reato  necessariamente  plurisoggettivo,  sia  poi
 chiamato,  a  seguito di separazione dei processi, a giudicare per il
 medesimo reato altro concorrente la  cui  partecipazione,  essenziale
 per  la  sussistenza del reato, sia stata incidentalmente esaminata e
 ritenuta nel primo giudizio.
   In entrambe le ordinanze, il giudice a  quo,  che  aveva  proceduto
 alla  separazione  dei  giudizi  nei  confronti degli imputati, sulla
 responsabilita' penale dei quali era stato successivamente chiamato a
 pronunciarsi, e che ne aveva gia' esaminato la posizione nel giudizio
 proseguito nei confronti dei coimputati, si  mostra  consapevole  del
 fatto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte e della Corte di
 cassazione,  la  disciplina delle incompatibilita' e' circoscritta ai
 casi di duplicita' di giudizio di merito sullo stesso oggetto  e  che
 l'identita'  di  oggetto  non si ravvisa nelle ipotesi di concorso di
 persone nel  reato,  perche'  alla  comunanza  della  imputazione  fa
 riscontro  una  pluralita'  di  condotte  singolarmente ascrivibili a
 ciascuno dei concorrenti.
   Lo  stesso  giudice a quo esclude che possa trovare applicazione la
 disposizione dell'art. 36, lettera h), cod. proc. pen.,  dal  momento
 che  "le  gravi ragioni di convenienza" ivi individuate come causa di
 astensione hanno natura personale e non si riferiscono  a  situazioni
 processuali,  le  quali, al contrario, devono essere previste in modo
 esaustivo nelle norme sulle incompatibilita', non potendosi, al  fine
 di  salvaguardare  il  principio  del giudice naturale, lasciare alla
 discrezionalita' del singolo magistrato la valutazione della  propria
 capacita'  professionale di non lasciarsi influenzare da giudizi gia'
 espressi nell'esercizio delle sue funzioni.
   Conseguentemente, poiche' l'incompatibilita' ravvisabile  nel  caso
 di  specie inerisce a profili processuali - consistenti nel fatto che
 il  giudice,  dopo   essersi   pronunciato   sulla   sussistenza   di
 un'associazione  per  delinquere composta da tre persone e dopo avere
 condannato due dei componenti  della  stessa,  venga  successivamente
 chiamato a giudicare il terzo associato - e poiche', quindi, non puo'
 trovare applicazione l'istituto dell'astensione, la omessa previsione
 di  una  causa  di  incompatibilita'  violerebbe  sia il principio di
 parita'  di  trattamento  di  situazioni  simili,   in   assenza   di
 ragionevoli  motivi  che  giustifichino la differenza di statuizioni,
 sia il diritto di difesa.
   2. - Con ordinanza emessa il 20 ottobre 1995, la Corte di assise di
 Napoli, nel corso di un processo scaturito dalla separazione da altro
 processo a carico di numerosi imputati di un delitto associativo,  ha
 sollevato una questione sostanzialmente identica. Nel giudizio a quo,
 infatti,  erano  imputati soggetti la cui posizione, pur non ritenuta
 essenziale  per  la  sussistenza  del  reato  contestato  agli  altri
 coimputati,  nei  confronti dei quali il processo era proseguito, era
 stata non di meno esaminata  incidenter  tantum  nella  sentenza  che
 aveva definito quel processo.
   Il  giudice  remittente  osserva  innanzitutto  che la questione e'
 sicuramente rilevante, in quanto nella giurisprudenza di legittimita'
 una situazione quale quella verificatasi a seguito della  separazione
 dei giudizi non viene considerata come una causa di incompatibilita',
 e  tuttavia  appare  evidente  il  pregiudizio che puo' derivare alle
 posizioni della difesa, essendo ragionevolmente  prevedibile  che  la
 valutazione  della  medesima prova espressa nella precedente sentenza
 non potra' subire modificazioni nel processo destinato a  concludersi
 successivamente.
   Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  giudice a quo, pur
 ricordando le precedenti decisioni di questa Corte che hanno  escluso
 la  configurabilita'  di  una  causa  di  incompatibilita' in ipotesi
 analoghe, ritiene che, alla stregua della piu' recente giurisprudenza
 costituzionale, si debba affermare la incompatibilita' alla  funzione
 di giudizio per il giudice che abbia, non solo in uno stato anteriore
 del procedimento ma anche in processi diversi, emesso una valutazione
 nel  merito  della stessa materia processuale riguardante il medesimo
 imputato, ancorche' in  una  decisione  non  idonea  a  produrre  nei
 confronti  di quest'ultimo gli effetti del giudicato. In particolare,
 poi, con riferimento ai reati associativi e, in  generale,  ai  reati
 necessariamente  plurisoggettivi,  il  giudice  a  quo  rileva che il
 riferimento all'autonomia delle singole posizioni non e'  sufficiente
 ad escludere il condizionamento derivante dal precedente giudizio, in
 quanto  l'accertamento della sussistenza del fatto, in riferimento ad
 alcuni soggetti originariamente coimputati, non  puo'  non  includere
 l'accertamento  della  partecipazione  del  concorrente  o  di  altri
 concorrenti.
   L'art.  34,  secondo  comma,  cod.  proc.   pen.,   pertanto,   non
 prevedendo,    per   tali   ipotesi,   cause   di   incompatibilita',
 contrasterebbe, oltre che con gli artt. 3 e  24  della  Costituzione,
 anche  con  gli  artt.    25  e  76  della  Costituzione,  in  quanto
 risulterebbe intaccato il principio del giudice naturale e resterebbe
 alterato il criterio della terzieta' del giudice di  cui  all'art.  2
 della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81.
   3.  - E' intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio
 dei Ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
   L'Avvocatura dello Stato rileva che la  questione  prospettata  dai
 giudici a quibus e' stata piu' volte sottoposta all'esame della Corte
 di  cassazione, la quale, in diverse occasioni, anche a proposito del
 reato   di   associazione   per   delinquere,   ha   affermato    che
 l'incompatibilita' deve essere circoscritta ai casi di duplicita' del
 giudizio  di merito sullo stesso oggetto e, cioe', di valutazione non
 formalistica  ma  contenutistica  sulla  medesima  regiudicanda.   In
 particolare,  poi,  prosegue l'Avvocatura dello Stato, la Cassazione,
 proprio  traendo  spunto  da  alcune  precisazioni  contenute   nelle
 sentenze  di  questa  Corte  n.  186  del  1992 e n. 439 del 1993, ha
 affermato  che  l'identita'  dell'oggetto   del   giudizio   non   e'
 ravvisabile  nell'ipotesi  in  cui  il giudice si sia precedentemente
 pronunciato nei confronti dei concorrenti nel medesimo reato ascritto
 al giudicabile, e cio' in quanto alla comunanza  dell'imputazione  fa
 riscontro  necessariamente  una pluralita' di condotte, distintamente
 imputabili a ciascuno dei concorrenti, le quali, ai fini del giudizio
 di responsabilita', devono formare oggetto  di  autonome  valutazioni
 tanto sotto il profilo materiale che sotto il profilo psicologico.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La  questione  sollevata  con le tre ordinanze ha ad oggetto
 l'art. 34, secondo comma, cod. proc.  pen.,  della  cui  legittimita'
 costituzionale  i giudici a quibus dubitano, in quanto non prevede la
 incompatibilita'  del  giudice  del  dibattimento  a  giudicare   gli
 imputati  la  cui  posizione  abbia  gia' dovuto esaminare incidenter
 tantum nella sentenza emessa, a seguito di separazione dei  processi,
 nei confronti di altri coimputati del medesimo reato.
   In  particolare, il tribunale di Forli', con due ordinanze, solleva
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma,
 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede  la  incompatibilita'
 del  giudice  che,  dopo aver pronunciato sentenza di condanna per un
 reato necessariamente plurisoggettivo, sia chiamato a  giudicare  per
 tale   addebito   altro   concorrente,   la   cui   partecipazione  -
 indispensabile  per  la   sussistenza   del   reato   -   sia   stata
 incidentalmente esaminata e ritenuta nel primo giudizio.
   Ad  avviso  del  rimettente,  l'omessa  previsione di tale causa di
 incompatibilita'  violerebbe  l'art.  3  della  Costituzione  per  il
 trattamento  pregiudizievole  riservato all'imputato, il cui concorso
 nel reato abbia formato oggetto di valutazione da parte  del  giudice
 del  dibattimento,  in sede di giudizio nei confronti dei coimputati,
 allorche' quello  stesso  giudice  sia  poi  chiamato,  nel  processo
 separato, a giudicarlo su quello stesso fatto. Oltre al "principio di
 parita'   di  trattamento  di  situazioni  simili",  ne  risulterebbe
 compromesso anche il diritto di difesa, con violazione  dell'art.  24
 della Costituzione
   La  Corte  di  assise  di Napoli prospetta la medesima questione in
 riferimento ad una ipotesi di reato associativo, nella quale, pur non
 qualificando come essenziale per la sussistenza del reato  contestato
 il  concorso  di terzi, aveva tuttavia esaminato incidenter tantum la
 posizione di questi ultimi in  una  sentenza  emessa,  a  seguito  di
 separazione   dei   giudizi,   nei   confronti   di   altri  soggetti
 originariamente  coimputati  del  medesimo  reato.  La   disposizione
 censurata, ad avviso del giudice a quo, contrasterebbe, oltre che con
 gli  artt. 3 e 24 della Costituzione, per motivazioni sostanzialmente
 analoghe a quelle svolte  dal  tribunale  di  Forli',  anche  con  il
 principio   del   giudice   naturale   sancito   dall'art.  25  della
 Costituzione e con l'art.  76  della  Costituzione,  perche'  sarebbe
 alterato  il  criterio della terzieta' del giudice, di cui all'art. 2
 della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81.
   Poiche' le ordinanze di rimessione hanno  ad  oggetto  la  medesima
 disposizione  e  pongono  la  medesima  questione, i relativi giudizi
 possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.
   2. - La questione e' fondata in riferimento agli artt. 3 e 24 della
 Costituzione.
   E' acquisito alla giurisprudenza di  questa  Corte  che  l'istituto
 della incompatibilita' del giudice per atti compiuti nel procedimento
 penale  e'  preordinato  alla garanzia di un giudizio imparziale, che
 non sia ne' possa apparire  condizionato  da  precedenti  valutazioni
 sulla  responsabilita'  penale dell'imputato manifestate dallo stesso
 giudice in altre fasi del  medesimo  processo  (e  quindi  a  maggior
 ragione,  in  riferimento  alla  fattispecie  in  esame,  in  diverso
 processo) e  tali  da  poter  pregiudicare  la  neutralita'  del  suo
 giudizio.  Il principio del giusto processo, infatti, comporta che il
 giudizio si formi in base  al  razionale  apprezzamento  delle  prove
 raccolte ed acquisite e non abbia a subire l'influenza di valutazioni
 sul merito dell'imputazione gia' in precedenza espresse (v. da ultimo
 sentenza n. 177 del 1996).
   L'incidenza  del  principio  del  giusto  processo nelle ipotesi di
 concorso di persone nel reato e' stata  esaminata  da  questa  Corte,
 allorche'  ha  affrontato  la  questione  se  il  giudice  che si sia
 pronunciato in un precedente giudizio sulla responsabilita' di alcuni
 concorrenti, sia colpito da incompatibilita' in relazione al processo
 che venga successivamente celebrato nei confronti di altro o di altri
 concorrenti.   Tale questione e' stata  risolta  negativamente  sulla
 base   del   rilievo   che   "alla   comunanza   dell'imputazione  fa
 necessariamente riscontro una pluralita'  di  condotte  distintamente
 ascrivibili  a  ciascuno  dei  concorrenti,  le  quali,  ai  fini del
 giudizio di  responsabilita',  devono  formare  oggetto  di  autonome
 valutazioni  sotto  il profilo tanto materiale che psicologico, e ben
 possono, quindi, sfociare in un accertamento  positivo  per  l'uno  e
 negativo per l'altro" (sentenze n. 186 del 1992 e n. 439 del 1993).
   Questa  massima  di  decisione deve essere mantenuta ferma, poiche'
 l'autonomia delle posizioni  di  ciascun  concorrente  consente,  pur
 nella  naturalistica  unitarieta'  della fattispecie di concorso, una
 segmentazione di  processi  e  la  scomposizione  del  fatto  in  una
 pluralita' di condotte autonomamente valutabili in processi distinti,
 senza che la decisione dell'uno debba influenzare quella dell'altro.
   La  fattispecie  sottoposta  all'esame di questa Corte, nella quale
 uno dei giudici rimettenti prospetta la  medesima  questione,  ma  in
 relazione  alla  peculiare  ipotesi  di  reati  a concorso necessario
 (nella specie si tratta del reato di associazione per delinquere  che
 non  puo'  sussistere senza il concorso di almeno tre persone), offre
 l'occasione per alcune doverose precisazioni. Nel  caso  in  cui  non
 solo  vi  sia  concorso nel medesimo reato ma la posizione di uno dei
 concorrenti   costituisca   elemento   essenziale   per   la   stessa
 configurabilita'  del  reato  contestato  agli altri con correnti, ai
 quali soltanto sia formalmente riferita l'imputazione per la quale si
 procede, la valutazione della posizione del terzo, dalla quale non si
 sia   potuto   prescindere   ai    fini    dell'accertamento    della
 responsabilita' degli imputati, costituisce sicuro ed evidente motivo
 di incompatibilita' nel successivo processo a carico di tale terzo.
   La  circostanza che, in assenza dell'interessato, la valutazione in
 ordine alla sua responsabilita' non possa sfociare, in quel processo,
 in una decisione suscettibile di divenire definitiva, nulla toglie al
 pregiudizio che si determina. Cio' che conta, ai fini dell'integrita'
 del principio del giusto  processo,  e'  che  il  giudice  del  nuovo
 dibattimento  non sia lo stesso che abbia preso parte al primo e che,
 per il peculiare atteggiarsi della  fattispecie  di  concorso,  abbia
 dovuto  formarsi un convincimento non soltanto sul merito dell'azione
 penale svolta contro gli imputati, ma anche, seppure incidentalmente,
 sul merito della posizione del terzo. Poiche' le pronunce dei giudici
 dovrebbero riguardare solo i soggetti che nel  processo  assumono  il
 ruolo  di  parti,  e'  da  ritenere  che  non  possa  rimanere  senza
 conseguenza  la  valutazione  che  il   giudice   faccia   circa   la
 responsabilita'  di  un  soggetto  che  non sia formalmente imputato;
 altrimenti, ne risulterebbe leso  il  diritto  fondamentale  previsto
 dall'art. 24 della Costituzione.
   Una  adeguata  ponderazione  delle  garanzie  della difesa porta ad
 escludere che  l'approdo  di  un  processo  penale  possa  essere  la
 valutazione,  da  parte  del  giudice, non solo della posizione degli
 imputati,  ma  anche  di  quella  di  terzi  che  non  abbiano  avuto
 l'opportunita'  di  difendersi. E non a caso, l'art. 18 del codice di
 procedura penale, nel consentire la separazione dei processi per  una
 serie di ipotesi evidentemente ordinate alla speditezza del processo,
 fa  salva  la facolta' del giudice di ritenere, pur ricorrendo alcuna
 di  tali  ipotesi,  "assolutamente  necessaria  la  riunione".  L'uso
 corretto  di tale facolta' dovrebbe indurre il giudice a considerare,
 di regola, "assolutamente necessaria" la  riunione  innanzitutto  nei
 casi   di  reato  a  concorso  necessario,  tutte  le  volte  in  cui
 l'identificazione  di  un  concorrente  e  l'accertamento  della  sua
 responsabilita'   costituiscano   momenti   imprescindibili   per  la
 configurabilita' del reato.
   E tuttavia, se la facolta' di separare i processi o di non riunirli
 sia stata  esercitata,  e  si  sia  ritenuto  necessario  portare  la
 valutazione  di  merito anche sulla posizione di un terzo formalmente
 estraneo  al  processo,  il  potere  del  giudice   di   pronunciarsi
 nuovamente  sulla  responsabilita'  di  quest'ultimo in un successivo
 processo non puo' essere riconosciuto. Non  puo'  non  risultare,  in
 simili  casi,  attuale  e  concreto  "il  rischio  che la valutazione
 conclusiva di responsabilita' sia,  o  possa  apparire,  condizionata
 dalla  propensione  del  giudice  a confermare una propria precedente
 decisione": situazione, questa, che  incide  "sulla  garanzia  di  un
 giudizio  che  sia  il  frutto genuino ed esclusivo degli elementi di
 valutazione e di prova assunti nel processo e del  dispiegarsi  della
 difesa delle parti" (sentenza n.  124 del 1992).
   E  l'incompatibilita', si deve aggiungere, sussiste non solo quando
 nel primo giudizio la  posizione  del  terzo  sia  stata  valutata  a
 seguito di un puntuale ed esauriente esame delle prove raccolte a suo
 carico,  ma  anche quando abbia formato oggetto di una delibazione di
 merito superficiale e sommaria, apparendo  anzi,  in  questa  seconda
 ipotesi,  ancor  piu'  evidente  e grave la situazione di pregiudizio
 nella quale il giudice verrebbe a trovarsi.
   3. - Se la possibilita' che le posizioni  dei  singoli  concorrenti
 nel   medesimo  reato  formino  oggetto  di  altrettante  valutazioni
 autonome  l'una  dall'altra  costituiva  la  ratio  decidendi   nelle
 sopracitate  sentenze, nelle quali si nego' l'incompatibilita' di uno
 stesso giudice a conoscere, in successivi processi, della imputazione
 contestata a titolo di concorso a piu' imputati, appare dunque chiaro
 che tale ratio non puo' essere estesa a  comprendere  le  ipotesi  di
 reato a concorso necessario, in cui il giudice si sia dovuto occupare
 della posizione di un terzo, formalmente non imputato, e abbia dovuto
 valutarla   incidentalmente.   In   questi   casi   e'  il  principio
 costituzionale del giusto processo, che attinge alla pienezza del suo
 valore solo se inteso nel suo significato  sostanziale,  ad  impedire
 che  uno stesso giudice valuti piu' volte, in successivi processi, la
 responsabilita' penale di una persona in relazione al medesimo reato.
   La  capacita'  di  qualificazione  che  quel   principio   possiede
 trascende,  a  ben  vedere,  la  particolare  struttura  dei  reati a
 concorso necessario e abbraccia in un medesimo giudizio di  disvalore
 tutte  le  ipotesi  in  cui,  qualunque  ne  sia  stato il motivo, il
 giudice,  nella   sentenza   che   definisce   il   processo,   abbia
 incidentalmente   espresso  valutazioni  di  merito  in  ordine  alla
 responsabilita' penale di un terzo non imputato in quel  processo  (a
 prescindere   dalla  legittimita'  di  tali  valutazioni).    La  non
 configurabilita' del reato  ascritto  agli  imputati  a  causa  della
 mancanza  di  un  ulteriore  reo  non  e', infatti, che l'antecedente
 logico-giuridico, o,  se  si  preferisce,  la  giustificazione  della
 concreta  valutazione  compiuta in quel processo della condotta di un
 non imputato.  Ma, ai fini delle garanzie costituzionali  alle  quali
 la  disciplina  legale delle incompatibilita' deve essere improntata,
 viene  in  considerazione  solo  l'effettivo   compimento   di   tale
 valutazione, poiche' e' solo questo a determinare il pregiudizio.
   Del  resto, se costituisce causa di astensione del giudice il fatto
 che  egli  abbia  manifestato  il  proprio  parere  sull'oggetto  del
 procedimento, fuori dell'esercizio delle sue funzioni (art. 36, primo
 comma,  lettera  c), codice procedura penale), a maggior ragione deve
 ravvisarsi  una  causa  di  incompatibilita'  nel   fatto   che   una
 valutazione  di  responsabilita'  sia  stata compiuta dal giudice nei
 confronti di un soggetto che non era parte del procedimento.