ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  del dott. Giorgio Della Lucia,
 giudice istruttore penale presso il Tribunale di  Milano,  a  seguito
 dell'atto di citazione notificato il 12 dicembre 1995 con il quale il
 Procuratore  regionale  della  Corte  dei conti lo invita a comparire
 avanti la Corte dei conti - sezione giurisdizionale  della  Lombardia
 per  essere condannato al pagamento in favore dell'erario della somma
 di Lit. 1.106.590.772 a titolo di responsabilita'  amministrativa  in
 relazione   a  provvedimenti  assunti  nell'esercizio  delle  proprie
 funzioni  giurisdizionali;  ricorso  notificato  il  6  luglio   1996
 depositato  in  cancelleria il 22 successivo ed iscritto al n. 19 del
 registro ricorsi 1996;
   Visto l'atto di costituzione della Procura regionale e della  Corte
 dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia;
   Udito  nell'udienza pubblica del 1 ottobre 1996 il giudice relatore
 Gustavo Zagrebelsky;
   Uditi l'avvocato Giorgio De Nova per il dott. Giorgio Della Lucia e
 l'avvocato Alessandro Pace per  la  Corte  dei  conti  e  la  Procura
 regionale
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Il  dr. Giorgio Della Lucia, nella sua qualita' di giudice
 istruttore penale presso il Tribunale di Milano, propone conflitto di
 attribuzione nei confronti della Corte dei conti,  procura  regionale
 della Lombardia, in persona del procuratore regionale pro-tempore, in
 relazione   all'atto   di   citazione   notificatogli   dal  predetto
 procuratore regionale per vederlo condannare al pagamento, in  favore
 dell'erario,  di  una  somma a titolo di responsabilita' per il danno
 derivante da provvedimenti da lui assunti nell'esercizio di  funzioni
 giurisdizionali.
   1.1. - Riferisce di aver disposto, su richiesta della Procura della
 Repubblica  di  Milano  -  nel  corso  di  alcuni procedimenti penali
 svoltisi negli anni dal 1988 al 1992 ed aventi ad oggetto le  vicende
 finanziarie della Cassa di risparmio di Asti - in qualita' di giudice
 istruttore, talune perizie contabili, provvedendo poi a determinare e
 liquidare  i  relativi  compensi  ai  periti sulla base della tariffa
 professionale vigente e riconoscendo la sussistenza  dei  presupposti
 di cui all'art.  5 della legge 8 luglio 1980, n. 319, che consente il
 raddoppio  degli  onorari  per  perizie di eccezionale rilevanza. Dei
 compensi cosi' liquidati con diversi decreti, solo per alcuni  vi  e'
 stata  una riliquidazione da parte del Tribunale di Milano, a seguito
 di opposizione del pubblico ministero proposta ai sensi dell'art.  11
 della predetta legge n.  319.
   Riferisce, altresi', che l'azione per danno erariale in relazione a
 detti  decreti  di  liquidazione ha preso l'avvio dalla trasmissione,
 alla  Procura  generale  della  Corte  dei  conti,  della   relazione
 predisposta  dall'Ispettorato  generale  del  Ministero  di  grazia e
 giustizia all'esito di un'ispezione eseguita nel 1993 per ordine  del
 Ministro,  a cio' sollecitato da un'interpellanza parlamentare (on.li
 Rabino e Binelli).
   Cio' premesso, osserva che, con l'atto di citazione ora  impugnato,
 la  Procura  regionale della Corte dei conti pretende di sindacare la
 valutazione del giudice in ordine all'applicazione, nella fattispecie
 concreta,  della  norma  di  legge  che  regola   la   determinazione
 dell'onorario  del  perito e di sindacare altresi' la motivazione del
 provvedimento giurisdizionale, definendola insufficiente  ed  errata.
 Ma  cio'  travalica  le  attribuzioni  conferite alla Corte dei conti
 dagli  artt.  100  e  103   della   Costituzione,   risolvendosi   in
 un'interferenza  nei  poteri  riconosciuti  e  tutelati  in capo alla
 magistratura ordinaria, e, quindi, in una  lesione  dello  status  di
 indipendenza  ed  insindacabilita'  del  giudice nell'esercizio della
 funzione giurisdizionale, garantita dagli artt. 101, 102, 104  e  108
 della Costituzione.
   1.2.  -  Ai  fini  dell'ammissibilita' del conflitto, il ricorrente
 reputa sussistenti i prescritti requisiti soggettivo ed oggettivo  ed
 in  particolare, quanto al primo, la propria legittimazione attiva ai
 sensi dell'art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953 n.  87, in
 quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del
 potere cui appartiene; quanto al profilo oggettivo,  osserva  che  il
 conflitto  viene  rivolto nei confronti della pretesa della Corte dei
 conti di estendere la sua "speciale"  giurisdizione,  riservata  alle
 materie   di   contabilita'   pubblica,  a  questioni  che  attengono
 all'esercizio   dei   poteri   propri   del   giudice    in    ordine
 all'interpretazione   delle  norme  applicabili  ad  una  determinata
 fattispecie.
   Avverte  che,  nella  specie,  non  si  pone  una   "questione   di
 giurisdizione"  (che,  come tale, esula dall'ambito dei conflitti tra
 poteri), poiche' non si tratta di determinare quale  sia  il  giudice
 competente  alla  corretta  determinazione  del  compenso  ai periti,
 bensi' di salvaguardare l'esercizio della funzione giurisdizionale da
 un inammissibile sindacato, diverso ed ulteriore  rispetto  a  quello
 dei  normali  mezzi  di  impugnazione,  sindacato che, per il disegno
 costituzionale, si rivolge alle  sole  attivita'  amministrative  dei
 pubblici dipendenti.
   Ricorrerebbe,  pertanto, ad avviso dell'istante, anche il requisito
 oggettivo  proprio  di  un  conflitto  di   attribuzione,   dovendosi
 determinare  in  concreto "i confini rispettivi dei diversi ambiti di
 giurisdizione"   e   "l'effettiva    consistenza    della    garanzia
 costituzionale  dell'indipendenza  del  giudice  ordinario rispetto a
 pretese risarcitorie azionate in  sede  di  giurisdizione  per  danno
 erariale".
   1.3.  -  Richiama  taluni  precedenti  di  questa  Corte  circa  la
 singolarita'  della  funzione  giurisdizionale  che  puo'   suggerire
 condizioni  e limiti alla responsabilita' dei magistrati (sentenza n.
 2 del 1968) a tutela dell'indipendenza e dell'autonomia (sentenza  n.
 26  del  1987),  nonche'  circa  la  coerenza  e  l'adeguatezza degli
 strumenti di limitazione contenuti nella legge n. 117 del  1988,  che
 reca  la disciplina della responsabilita' "civile" dei magistrati per
 i danni  dipendenti  dall'esercizio  della  funzione  giurisdizionale
 (sentenza  n. 18 del 1989), con specifico riferimento alla previsione
 secondo cui l'attivita' di interpretazione di norme di diritto  e  di
 valutazione  del fatto e della prova non da' luogo a responsabilita'.
 Tale previsione, se pur contenuta in una  legge  ordinaria,  reca  un
 principio  che discende direttamente dalle norme costituzionali sullo
 status di giudice.
   Ricorda altresi' la sentenza n. 468 del 1990 di questa Corte, nella
 quale  si  considero'  che  gli  effetti  abrogativi dell'intervenuto
 referendum sulla responsabilita' del giudice vennero  posticipati  di
 120   giorni   al  fine  di  consentire  l'approvazione  della  nuova
 disciplina ed evitare cosi' che, nelle more, la "responsabilita'  del
 giudice  fosse  abbandonata  alle  previsioni generali dell'art. 2043
 c.c. (responsabilita' per  fatto  illecito)  o  dell'art.  2236  c.c.
 (responsabilita'  del  prestatore  d'opera) o assimilata a quella dei
 funzionari e dipendenti dello Stato a norma dell'art. 23  del  d.P.R.
 10 gennaio 1957 n. 3".
   Concludendo,  chiede  che questa Corte dichiari che non spetta alla
 Corte  dei  conti  sottoporre  a  giudizio  di   responsabilita'   il
 magistrato,  in  relazione  all'adozione  di  provvedimenti di natura
 giurisdizionale.
   1.4. - Qualora si ritenesse diversamente e si affermasse che  anche
 i  magistrati  sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti
 per   danno   erariale   arrecato   nell'esercizio   delle   funzioni
 giurisdizionali,  il  ricorrente sostiene che la Corte costituzionale
 dovrebbe  rimettere  innanzi  a  se'  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale    delle    norme    (peraltro   non   indicate)   che
 consentirebbero  tale  sindacato,  in  contrasto   con   i   principi
 costituzionali  che  regolano  lo  status  di giudice, l'indipendenza
 della funzione della magistratura, l'uguaglianza e la  ragionevolezza
 dell'ordinamento.  Cio' poiche', da un canto, la ipotetica disciplina
 di tale responsabilita' non conterrebbe alcuna limitazione alla colpa
 grave,  ne'  alcun  limite  alle  somme  da  risarcire,  ne'   alcuna
 previsione   circa   la  previa  verifica  dell'ammissibilita'  della
 domanda; dall'altro, la legge n. 117 del 1988  sulla  responsabilita'
 civile  dei  magistrati  verrebbe  ad  operare  non  piu'  anche  con
 riferimento ai danni arrecati dal  magistrato  allo  Stato,  ma  solo
 quando   il   danneggiato   e'   un   cittadino,   o  altro  soggetto
 dell'ordinamento, configurandosi cosi' "un regime di  favore  per  lo
 Stato incompatibile con i canoni di uguaglianza e di ragionevolezza".
   2.  -  Con  ordinanza  n.  196  del  1996,  emessa  nella camera di
 consiglio  del  15  maggio  scorso,  questa   Corte   ha   dichiarato
 ammissibile  il  conflitto  sollevato  nei  confronti della Corte dei
 conti, Procura regionale della Lombardia, in persona del  procuratore
 regionale   pro-tempore,   ed  in  relazione  all'atto  di  citazione
 notificato il 12 dicembre 1995 a carico del dott. Della Lucia, ed  ha
 disposto,   a   cura  del  ricorrente,  la  notifica  del  ricorso  e
 dell'ordinanza stessa al procuratore  regionale  ed  alla  Corte  dei
 conti, sezione giurisdizionale della Lombardia.
   3.  -  Si  sono  costituiti in giudizio con unico atto la Corte dei
 conti,  sezione  giurisdizionale  della  Lombardia,  in  persona  del
 presidente  pro-tempore,  ed il procuratore regionale della Corte dei
 conti  per  la  Lombardia,  in  persona  del  procuratore   regionale
 pro-tempore,   sostenendo   in   via  preliminare  l'inammissibilita'
 dell'impugnativa per piu' motivi.
   3.1. - Ad avviso di  entrambi  i  resistenti,  in  primo  luogo  il
 ricorso  sarebbe  stato  promosso  solo  per tutelare un interesse di
 natura strettamente personale del  ricorrente  cioe'  quello  di  non
 rispondere,  in  sede  di giudizio di responsabilita' amministrativa,
 alla contestazione di aver causato un  consistente  danno  all'erario
 nel  liquidare a consulenti tecnici compensi "eccessivi"; in tal modo
 il rimedio, volto a preservare le sfere di attribuzioni  dei  poteri,
 sarebbe  stato  "piegato"  a  vantaggio di mere situazioni giuridiche
 soggettive.  In  piu',  assumendo  il  ricorrente  di  essere   stato
 sostanzialmente leso nel proprio diritto al giudice naturale (art. 25
 della   Costituzione)   -  nel  senso  che,  quand'anche  egli  fosse
 responsabile dei fatti contestatigli, la sua  condotta  concreterebbe
 un  illecito  ex art. 2043 del cod. civ. perpetrato nell'esercizio di
 funzioni giurisdizionali e pertanto da sottoporre alla cognizione del
 giudice ordinario, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 117  del  1988
 sulla  responsabilita' dei magistrati - la tesi sostenuta nel ricorso
 verrebbe a "confondere il problema delle attribuzioni  costituzionali
 dell'organo  col  problema  della disciplina legislativa ordinaria in
 tema di responsabilita', applicabile alla fattispecie".
   3.2.  -  In  secondo  luogo  sarebbe  carente  nell'impugnativa  il
 requisito  oggettivo  della  "diversita'"  dei  poteri  in conflitto,
 giacche'  la  Corte  dei  conti  "in  sede  giurisdizionale  non   e'
 configurabile  quale  potere  a  se'  stante",  bensi'  rientra quale
 giudice   speciale   nell'articolazione   complessiva   del    potere
 giurisdizionale,  con  la  conseguenza  che si e' in presenza di "una
 questione  di  giurisdizione",  estranea  al  conflitto  tra  poteri,
 dovendosi  in  sostanza  stabilire  se  il  magistrato  ordinario, in
 relazione al  danno  erariale  da  lui  cagionato  nell'attivita'  di
 liquidazione  dei  compensi  ai periti, sia sottoposto al giudizio di
 responsabilita' amministrativa dinanzi alla Corte dei  conti,  ovvero
 al  giudizio  di  responsabilita' civile devoluto alla cognizione del
 giudice ordinario.
   In proposito,  anche  a  voler  ammettere  -  secondo  una  recente
 dottrina  -  che  nell'ambito  dei  conflitti  costituzionali possano
 essere ricompresi i "conflitti di  giurisdizione",  va  rilevato  che
 nella  specie  si tratterebbe in ogni caso non di "conflitto", bensi'
 della verifica (positiva o negativa)  della  giurisdizione  in  atto,
 anche  se  e' ineluttabile che l'esistenza o meno della giurisdizione
 "in atto" postuli comunque un conflitto, determinato dall'ampliamento
 o dalla menomazione delle competenze giurisdizionali dei  due  organi
 confliggenti.
   Sarebbe  pero'  necessario,  per  poter  accedere  alla  tesi della
 proponibilita'  dei  conflitti  di  giurisdizione   nell'ambito   dei
 conflitti   tra   poteri,   che   la  Corte  costituzionale,  in  via
 pregiudiziale alla decisione del presente conflitto,  dichiarasse  la
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  37,  secondo  comma, della
 legge n. 87 del 1953, non senza aver considerato  che  una  pronuncia
 siffatta   da   un   canto   "finirebbe  per  incidere  sulle  stesse
 attribuzioni costituzionali della Corte di  cassazione  in  punto  di
 giurisdizione   (art.  111,  terzo  comma,  della  Costituzione)",  e
 dall'altro  potrebbe  legittimare  tutti   i   giudici,   in   quanto
 organi-potere,   a   rivolgersi  alla  Corte  costituzionale  per  la
 risoluzione "non solo dei conflitti di  attribuzione,  ma  anche  dei
 conflitti di competenza".
   3.3.  -  Altro  motivo di inammissibilita' e', poi, ravvisabile nel
 fatto che  il  ricorso  e'  rivolto  nei  confronti  del  procuratore
 regionale della Corte dei conti, che esercita le funzioni di pubblico
 ministero e che non puo' avere legittimazione passiva in un conflitto
 in  cui  si  discute  di  una  questione di giurisdizione tra giudice
 civile e giudice amministrativo in tema di danno  erariale.  Difatti,
 secondo  la giurisprudenza costituzionale, il pubblico ministero puo'
 essere parte in un conflitto solo quale titolare diretto ed esclusivo
 (art.  112 della Costituzione) dell'attivita' di indagine finalizzata
 all'obbligatorio esercizio dell'azione giudiziaria.
   Inoltre,  essendo  stato  il  ricorso notificato anche alla sezione
 giurisdizionale della Corte  dei  conti,  senza  l'individuazione  di
 alcun  atto,  eventualmente lesivo, ad essa imputabile, ne deriva che
 nella specie ci si trovi di fronte, per un verso, a un giudizio senza
 oggetto (quello appunto contro la  sezione  giurisdizionale)  e,  per
 altro  verso, ad un giudizio senza legittimato passivo (quello contro
 il procuratore regionale).
   3.4. - Infine,  viene  denunciata  l'inammissibilita'  del  ricorso
 perche'  mancherebbe  la  rilevanza costituzionale del conflitto, non
 costituendo esercizio di funzione giurisdizionale, costituzionalmente
 garantita, l'attivita' di liquidazione dei compensi peritali, che  e'
 di natura amministrativa.
   3.5.  -  Nel  merito la Corte dei conti ha sostenuto l'infondatezza
 del ricorso, ricordando  la  tendenziale  generalita'  della  propria
 giurisdizione in materia contabile e la giurisprudenza costituzionale
 al  riguardo,  secondo  la quale deroghe a tale giurisdizione debbono
 essere espresse; nessuna deroga  e'  stata  fatta  per  i  magistrati
 ordinari  con  la  legge n. 117 del 1988, la quale disciplina la sola
 responsabilita' "civile" di quelli,  senza  toccare  la  problematica
 della  responsabilita'  amministrativa per danni cagionati allo Stato
 nell'esercizio   di    attivita'    oggettivamente    amministrative;
 responsabilita',   questa,   di   natura   patrimoniale,  che  rimane
 assoggettata  alle  regole  generali  che  disciplinano  quella   dei
 pubblici   dipendenti.   Ed   e'  proprio  la  natura  amministrativa
 dell'attivita' in concreto esercitata, che ha  dato  luogo  al  danno
 risarcibile,  ad escludere la violazione dei parametri costituzionali
 invocati,  che  sono  posti   a   garanzia   della   sola   attivita'
 giurisdizionale.
   Che,  nella  specie,  si tratti di attivita' amministrativa sarebbe
 anche dimostrato dall'art. 11, primo  comma,  della  legge  8  luglio
 1980,  n.  319,  secondo  cui  competente  a  emettere  il decreto di
 liquidazione e' non solo il giudice, ma anche il  pubblico  ministero
 nel  caso in cui questi abbia proceduto alla nomina di periti, con la
 conseguenza  che,  se   il   pubblico   ministero   non   e'   organo
 giurisdizionale,   l'attivita'   in  questione  non  puo'  costituire
 esercizio della funzione giurisdizionale.
   Va inoltre considerato che, nel  liquidare  i  compensi  ai  propri
 "ausiliari", il giudice non svolge una funzione di accertamento di un
 diritto  controverso (il che caratterizza la "giurisdizione" in senso
 proprio), ma riconosce ai soggetti cio' che loro spetta in base  alle
 tariffe   dei   compensi,   e  cio'  realizza  una  tipica  attivita'
 amministrativa.  Infatti,  analogamente  alle  spese  di   giustizia,
 vengono  in  essere,  nella  specie,  ordini  di pagamento rivolti ai
 procuratori del registro (art. 454, primo comma, del regio decreto 23
 maggio 1924, n. 827)  con  efficacia  immediata  sul  bilancio  dello
 Stato.
   D'altra  parte  anche  il  fatto  che  la  nuova  disciplina  abbia
 introdotto la forma del "decreto" - in luogo dell'"ordinanza" di  cui
 all'abrogata  disposizione  dell'art.  23 del regio decreto 28 maggio
 1931, n. 602 recante le norme di attuazione del precedente cod. proc.
 pen. - suffraga la tesi che si tratti di  un'attivita'  di  carattere
 amministrativo.
   Non  induce a diverse conclusioni la previsione dell'art. 11, commi
 5 e 6, della legge n. 319 del 1980 che detta norme in tema di ricorso
 avverso il decreto di liquidazione, perche' proprio il richiamo,  ivi
 contenuto, al procedimento di impugnazione in tema di liquidazione di
 onorari  di  avvocato e procuratore conferma la natura amministrativa
 dell'atto in questione.  "Infatti,  se  il  decreto  di  liquidazione
 avesse   natura   giurisdizionale,  l'impugnazione  sarebbe  regolata
 secondo il rito ordinario e non tramite il procedimento  (del  tutto)
 atipico  di  cui si e' detto", procedimento che si giustifica perche'
 in esso "verrebbero in rilievo  interessi  legittimi  e  non  diritti
 soggettivi",  dovendosi appunto considerare che, di fronte al decreto
 di liquidazione, "il diritto al compenso dell'ausiliare  del  giudice
 degrada ... ad interesse legittimo".
   In conclusione, la parte resistente chiede che venga dichiarato che
 "spetta  alla  Corte  dei  conti in sede giurisdizionale di giudicare
 sulla responsabilita' amministrativa del magistrato  che  cagioni  un
 danno  allo  Stato  nell'esercizio dell'attivita' (amministrativa) di
 liquidazione dei compensi peritali nel corso di un processo".
   4. - In prossimita' dell'udienza entrambe le parti hanno presentato
 memorie per confutare le tesi avverse ed illustrare piu' diffusamente
 le proprie difese.
   4.1. - Il ricorrente, in primo luogo,  contesta  la  fondatezza  di
 tutte  le  eccezioni  formulate  per sostenere l'inammissibilita' del
 ricorso. In particolare, relativamente  all'asserito  "sviamento  dei
 fini"  del  conflitto di attribuzione, che egli avrebbe proposto solo
 per non dover essere  chiamato  a  rispondere  del  contestato  danno
 erariale,  osserva  che  e'  una mera conseguenza fattuale (come tale
 irrilevante)  che  il  magistrato,  difendendo  il   proprio   status
 costituzionalmente  garantito,  possa  conseguire  anche un vantaggio
 patrimoniale e morale, perche' cio' deriva dalla circostanza  che  la
 funzione  di  cui  si  discute  e'  necessariamente  esercitata dalla
 "persona-giudice",   cui   l'ordinamento   assicura    autonomia    e
 indipendenza  a  tutela,  oltre  che della sfera funzionale, anche di
 quella personale.
   Nega  poi  che  il  conflitto  si  risolva  in  una  "questione  di
 giurisdizione",  poiche'  cio'  che  si chiede e' di determinare se i
 poteri  e  le   attribuzioni   costituzionali   del   giudice   della
 responsabilita'  amministrativa  possano  essere esercitati anche nei
 confronti  di  atti  che  costituiscono  manifestazione  del   potere
 giurisdizionale del giudice ordinario.
   Circa   la   asserita   carenza  del  "tono"  costituzionale  della
 controversia, obietta che il conflitto e' stato sollevato proprio per
 far rispettare la sfera di autonomia e di  indipendenza  del  giudice
 nell'esercizio delle proprie funzioni. E a questo riguardo rileva che
 erroneamente  la  difesa  erariale  ha sostenuto essersi invocata una
 lesione del diritto al giudice naturale (art. 25 della Costituzione),
 dal  momento  che  nel  ricorso  viene  richiamata  la  legge   sulla
 responsabilita'  civile dei magistrati al solo scopo di ricordare che
 "nell'esercizio delle funzioni  giudiziarie  non  puo'  dar  luogo  a
 responsabilita'  l'attivita'  di  interpretazione di norme di diritto
 ne' quella di valutazione del fatto e delle prove" (art.  2,  secondo
 comma), ovverosia per ribadire che, nella specie, non vi possa essere
 alcun giudizio o sindacato diverso da quello (interno) dell'ordinario
 mezzo di impugnazione del provvedimento giudiziale che costituisce il
 risultato  della  valutazione richiesta al giudice dalla legge n. 319
 del 1980.
   Quanto alla pretesa "carenza del  requisito  soggettivo"  dal  lato
 passivo e alla asserita "erronea individuazione dell'atto ... lesivo"
 (perche'  il  procuratore  regionale della Corte dei conti, in quanto
 pubblico ministero, non eserciterebbe una funzione giurisdizionale in
 relazione  alla  quale  potrebbe  ritenersi  titolare  di  competenze
 costituzionalmente  protette, e perche' il conflitto, sollevato anche
 nei confronti della Sezione giurisdizionale della  Corte  dei  conti,
 sarebbe  privo  di  oggetto), nella memoria del ricorrente si ricorda
 che nel giudizio per conflitto di attribuzione "non sussiste un onere
 in senso proprio di previa individuazione dei soggetti nei  confronti
 dei  quali  proporre  il ricorso", dal momento che e' la stessa Corte
 costituzionale, in sede di giudizio di ammissibilita' del  conflitto,
 ad indicare i soggetti ai quali notificare l'atto.
   Inoltre  va  considerato  che  l'eventuale accoglimento del ricorso
 farebbe  venir  meno  ab  origine  il  giudizio  di   responsabilita'
 amministrativa,  travolgendo  la  "sentenza-ordinanza"  della sezione
 giurisdizionale della Corte dei conti della Lombardia, nel  frattempo
 intervenuta,   che   ha   dichiarato   sussistente  la  giurisdizione
 contabile, ha respinto l'eccezione del decorso della  prescrizione  e
 ha  disposto incombenti istruttori. Difatti, tale pronuncia, peraltro
 gia' appellata nella sede propria,  non  e'  altro  che  un'ulteriore
 manifestazione   della  contestata  carenza  di  potere  del  giudice
 contabile nei confronti del magistrato, con la conseguenza che non e'
 ravvisabile la necessita' di un autonomo ricorso  per  conflitto  nei
 confronti  di  essa, mentre la qui invocata pronuncia di accoglimento
 da parte di questa Corte consentirebbe di per se' il ristabilirsi del
 corretto assetto dei poteri previsto dalle norme costituzionali.
   In relazione, poi, all'ultimo profilo di inammissibilita' sollevato
 dalla Corte dei conti, per l'asserita  natura  amministrativa  e  non
 giurisdizionale del decreto di determinazione dei compensi ai periti,
 profilo  che necessariamente attiene anche al "merito" del conflitto,
 il ricorrente - dopo aver  ricordato  alcune  decisioni  della  Corte
 costituzionale  (sentenza  nn. 88 del 1970, 125 del 1972) nelle quali
 si e' affermata la natura giurisdizionale di siffatti  provvedimenti,
 ed  aver  rilevato  che,  proprio  in  ossequio  a dette pronunce, il
 legislatore  e'  intervenuto  con  la  legge  n.  319  del  1980  per
 disciplinare  la materia dei compensi in questione, legittimando alla
 impugnazione  dei  provvedimenti  di  liquidazione  le  parti  ed  il
 pubblico   ministero   -   osserva   che   l'attribuzione   di   tale
 legittimazione  anche  al   pubblico   ministero   si   spiega   solo
 riconoscendo  che  l'ordinamento  abbia  devoluto  a quell'ufficio la
 tutela degli interessi  dello  Stato  nella  specifica  materia,  con
 esclusione di ulteriore controllo di qualsiasi altra autorita'.
   D'altra  parte  la  difficolta',  posta  in luce dalla dottrina, di
 indicare con certezza "una nozione di  giurisdizione  utile  in  ogni
 circostanza"   impone   di  condurre  l'indagine  non  nel  senso  di
 individuare il  carattere  giurisdizionale  del  potere  in  concreto
 esercitato  dal  giudice,  bensi'  nel  senso  inverso di individuare
 elementi certi idonei a qualificare come  amministrativa  l'attivita'
 svolta  da  un giudice e solo in quei casi (residuali ed eccezionali)
 escludere l'applicabilita' dei principi e della tutela  propri  della
 funzione  giurisdizionale.   In altre parole, soltanto la presenza di
 "indici del carattere  amministrativo  dell'atto"  puo'  impedire  di
 ricondurre  alla  funzione  giurisdizionale  l'attivita'  in concreto
 svolta. Nella specie, e' escluso il ricorso degli elementi propri del
 potere  amministrativo,  dal  momento  che  il  giudice,  anche   nel
 determinare  i  compensi  ai  propri ausiliari, e' del tutto estraneo
 all'apparato burocratico e, dal punto di vista funzionale,  non  deve
 operare  una comparazione e una composizione tra l'interesse pubblico
 e l'interesse privato del professionista al maggior compenso,  bensi'
 accertare   la   sussistenza   dei   presupposti   di  legge  per  il
 riconoscimento del raddoppio della  tariffa  base.    Si  tratta,  in
 sostanza,  di  applicare  la  legge  al  caso concreto nell'esclusivo
 interesse "di giustizia".
   Ma le conclusioni non sarebbero diverse anche  se  si  riconducesse
 l'attivita'  in  questione  ad  una categoria intermedia tra funzioni
 propriamente  giurisdizionali  e  quelle  meramente   amministrative,
 ovverosia alla categoria delle attivita' "strumentali" o "accessorie"
 rispetto  all'esercizio  della  giurisdizione, perche' anche per tali
 attivita' dovrebbe  riconoscersi  al  giudice  lo  stesso  regime  di
 responsabilita'  proprio  del  suo  status di soggetto costituzionale
 autonomo e indipendente e non gia' quello previsto  per  il  pubblico
 funzionario.
   Infatti,   la   normativa,  propria  e  speciale,  dettata  per  la
 responsabilita'  dei  magistrati   e'   diversa   da   quella   della
 contabilita'  pubblica  cui  sono  assoggettati  gli  altri  pubblici
 dipendenti esercenti funzioni amministrative. E la stessa  previsione
 legislativa  avvalora l'esposta tesi, precisandosi nell'art. 1, comma
 1, della legge n. 117 del 1988 che la speciale disciplina si  applica
 a    tutti    coloro   "che   esercitano   l'attivita'   giudiziaria,
 indipendentemente dalla natura delle  funzioni".    L'inciso  sarebbe
 stato   del   tutto  pleonastico  se  il  legislatore  avesse  inteso
 disciplinare,  con  la  normativa   speciale,   le   sole   attivita'
 propriamente   "giudiziarie"  ed  e'  pacifico  che  sono  ricomprese
 nell'ambito di applicabilita' di quella legge talune attivita' che  -
 pur  prive  di  contenuto  decisorio (es.: giudice istruttore civile,
 pubblico ministero) e che comunque non danno luogo ad  un  "giudizio"
 nel  senso,  precisato  dalla  giurisprudenza costituzionale, di sede
 idonea a sollevare questioni  di  legittimita'  costituzionale  (es.:
 registrazione degli organi di stampa, vigilanza sui registri di stato
 civile,  vidimazione delle ingiunzioni fiscali) - sono preordinate ad
 una decisione o comunque "processuali" e quindi attinenti a  funzioni
 giurisdizionali.
   L'applicabilita'  della  legge n. 117 del 1988 a tutte le attivita'
 del giudice esclude, quindi, il regime di responsabilita'  per  danno
 erariale  proprio  degli  altri  pubblici  dipendenti, perche', se il
 giudice fosse assoggettato anche a tale tipo di responsabilita', egli
 verrebbe  privato  della  tutela  e  dei  limiti  assicurati  per  la
 responsabilita' civile.
   4.2.   -  Nella  sua  memoria  illustrativa  la  Corte  dei  conti,
 richiamata la giurisprudenza costituzionale  (sentenze  nn.  641  del
 1987  e  24 del 1993) in tema di giurisdizione contabile secondo cui,
 per derogare ad essa,  e'  necessario  un  intervento  esplicito  del
 legislatore   ordinario,  nega  che  sia  possibile  rinvenire  detto
 intervento nella legge n.  117 del 1988 che si limita a  disciplinare
 la  responsabilita'  "civile"  dei  magistrati  verso  i terzi, senza
 invece  regolare  l'ipotesi  del  danno  cagionato   dal   magistrato
 direttamente  allo  Stato.  In  quella  normativa  lo  Stato viene in
 rilievo soltanto quale soggetto chiamato a risarcire il danno causato
 dal giudice e quale soggetto legittimato ad esercitare la conseguente
 azione di rivalsa (artt. 4 e 7 della legge).  Quindi,  se  in  quella
 legge  vi  e'  una  deroga  alla giurisdizione della Corte dei conti,
 questa concerne esclusivamente il giudizio conseguente all'azione  di
 rivalsa,  disciplinato  in  via  ordinaria  per i pubblici dipendenti
 dagli artt. 18, 19 e 23 del  d.P.R.  n.  3  del  1957,  norme  queste
 espressamente richiamate dall'art. 13 della legge n. 117 del 1988 per
 il caso in cui il danno civile cagionato dal magistrato scaturisca da
 una condotta integrante gli estremi di reato.
   Per  i danni cagionati dal magistrato direttamente allo Stato al di
 fuori  dell'ipotesi  di   reato,   ricorre   invece   un'ipotesi   di
 responsabilita'    amministrativa   patrimoniale   di   un   pubblico
 dipendente, di natura contrattuale, nel presupposto di un rapporto di
 servizio e della violazione dei  doveri  inerenti  a  detto  rapporto
 (sentenza n. 24 del 1993).
   Vanno quindi distinte le attivita' giurisdizionali, per le quali il
 magistrato  non  e' chiamato a rispondere del proprio operato dinanzi
 alla  Corte  dei  conti,  da  quelle  di   carattere   oggettivamente
 amministrativo,    pur    svolte    nell'esercizio   della   funzione
 giurisdizionale in senso soggettivo, devolute invece al sindacato del
 giudice contabile.
                         Considerato in diritto
   1. -   Nel presente conflitto  di  attribuzioni  tra  poteri  dello
 Stato,  questa  Corte  e' chiamata a stabilire se spetta alla Procura
 della Corte dei conti citare in giudizio di responsabilita' contabile
 e alla Corte dei conti giudicare un giudice (nella specie: un giudice
 istruttore  penale)  per  il  preteso  danno  causato  all'erario  in
 conseguenza  della  liquidazione  di compensi, che si assumono essere
 stati illegittimamente disposti a favore di periti nominati nel corso
 di procedimenti penali a norma della legge  8  luglio  1980,  n.  319
 (Compensi  spettanti  ai  periti, ai consulenti tecnici, interpreti e
 traduttori per le  operazioni  eseguite  a  richiesta  dell'autorita'
 giudiziaria).
   Il  ricorrente,  qualificando  giurisdizionali  i  provvedimenti di
 liquidazione in questione, ritiene l'atto di citazione e il  giudizio
 della  Corte  dei  conti  estranei  alle  funzioni  e ai poteri della
 giurisdizione  contabile,  quali  stabiliti   dall'art.   103   della
 Costituzione,   e   asserisce   di   essere  stato  leso  nei  poteri
 costituzionali che gli competono in quanto giudice, nonche'  nel  suo
 status  di indipendenza, quali sono garantiti a chi esercita funzioni
 giurisdizionali  dagli  articoli  101,   102,   104   e   108   della
 Costituzione.
   Con  ordinanza  n.  196  del  1996,  giudicando in via preliminare,
 interlocutoria e sommaria, a norma dell'art. 37, terzo  comma,  della
 legge  11  marzo 1953, n. 87, questa Corte ha ritenuto ammissibile il
 conflitto,  anche  in  considerazione  della  novita'  del  problema,
 riservandosi  peraltro  ogni  definitiva decisione, anche in punto di
 ammissibilita',  per  l'attuale  successivo  momento  nel  quale   il
 giudizio si svolge in contraddittorio tra le parti.
   Occorre  ora,  prima  dell'eventuale  esame  del merito, sciogliere
 definitivamente e con valutazione piena i problemi di  ammissibilita'
 del proposto conflitto tra poteri dello Stato.
   2. - Il conflitto e' inammissibile.
   2.1.  -  Nella  sentenza  n.  29  del  1995  questa  Corte ha avuto
 occasione  di  rilevare   che,   nell'ambito   delle   trasformazioni
 istituzionali  degli ultimi decenni, la prassi giurisprudenziale e le
 leggi di attuazione della Costituzione hanno  esteso  l'ambito  delle
 funzioni  demandato  alla  Corte  dei  conti,  "esaltandone  il ruolo
 complessivo     quale     garante     imparziale      dell'equilibrio
 economico-finanziario  del  settore pubblico e, in particolare, della
 corretta gestione delle risorse collettive" e quale "organo  posto  a
 tutela  degli interessi obiettivi della pubblica amministrazione, sia
 statale sia regionale sia locale".
   Tuttavia, pur trattandosi di un'evoluzione e  di  un  potenziamento
 nel  senso  della  Costituzione,  resta  comunque  fermo il principio
 sempre affermato da questa Corte che, per quanto si debba riconoscere
 la  comprensivita'  della  formula   impiegata   dalla   Costituzione
 nell'art.   103, secondo comma, per indicare il campo di azione della
 Corte dei conti,  non  puo'  farsi  questione  di  una  sua  assoluta
 "generalita'"  e "immediata operativita'" alla stregua di una nozione
 astratta di contabilita' pubblica.
   La giurisdizione "nelle materie  di  contabilita'  pubblica",  come
 prevista  dalla  Costituzione  e alla stregua della sua conformazione
 storica, e' dotata infatti non di una  "assoluta",  ma  solo  di  una
 tendenziale  generalita'  (sentenza n. 102 del 1977, nonche' sentenza
 n. 33 del 1968), in quanto essa e' suscettibile di espansione in  via
 interpretativa,   quando   sussistano   i  presupposti  soggettivi  e
 oggettivi della responsabilita' per danno erariale, ma cio' solo  "in
 carenza  di  regolamentazione  specifica da parte del legislatore che
 potrebbe anche  prevedere  la  giurisdizione  ed  attribuirla  ad  un
 giudice  diverso" (sentenza n. 641 del 1987). In un'occasione recente
 -  ribadito  "il  carattere  non  cogente  ed   assoluto,   ma   solo
 tendenzialmente  generale, dell'attribuzione alla Corte dei conti, ad
 opera dell'art.    103  Cost.,  della  giurisdizione  in  materia  di
 contabilita'  pubblica,  intesa  come  comprensiva sia dei giudizi di
 conto che di quelli sulla responsabilita' amministrativa patrimoniale
 dei pubblici dipendenti ed amministratori" - si e' precisato che  "la
 concreta  attribuzione della giurisdizione, in relazione alle diverse
 fattispecie di responsabilita'  amministrativa,  e'  infatti  rimessa
 alla   discrezionalita'   del   legislatore  ordinario  e  non  opera
 automaticamente   in   base   all'art.   103    Cost.,    richiedendo
 l'interpositio  legislatoris,  al  quale sono rimesse valutazioni che
 non toccano solo gli aspetti procedimentali del giudizio,  investendo
 la  stessa disciplina sostanziale della responsabilita'" (sentenza n.
 24 del 1993). E nella disciplina sostanziale rimessa al  legislatore,
 rientrano  le  "apposite  qualificazioni  legislative e (le) puntuali
 specificazioni non solo rispetto all'oggetto  ma  anche  rispetto  ai
 soggetti" di tale responsabilita' (sentenza n. 641 del 1987 cit.).
   Appartiene  quindi  alla discrezionalita' del legislatore, che deve
 essere  circoscritta  all'apprezzamento  ragionevole  dei  motivi  di
 carattere  ordinamentale  e, particolarmente, di quelli riconducibili
 agli equilibri costituzionali, la definizione concreta della  materia
 di  contabilita'  pubblica,  da  attribuire  alla giurisdizione della
 Corte dei conti, cosi' come appartiene al legislatore,  nel  rispetto
 delle   norme  costituzionali,  la  determinazione  dell'ampiezza  di
 ciascuna   giurisdizione   (ordinaria,   amministrativa,   contabile,
 militare,  ecc.)  (sentenza n. 641 del 1987).  Il che spiega perche',
 quando sono in discussione, nei reciproci rapporti fra giurisdizioni,
 i rispettivi ambiti di competenza, se e  in  quanto  determinati  dal
 legislatore   ordinario,  il  contrasto  non  assume,  di  norma,  il
 carattere di conflitto di attribuzione, come confermano gli  articoli
 111, terzo comma, della Costituzione e 37, secondo comma, della legge
 11 marzo 1953, n. 87.
   Pertanto  -  venendo  al  caso di specie, nel quale si tratta della
 responsabilita'  per  danno  erariale  di   appartenenti   all'ordine
 giudiziario,   ove   le   anzidette   esigenze  di  apprezzamento  di
 complessive  armonie  organizzative  appaiono  con  evidenza   -   la
 contestata  giurisdizione  non  potrebbe  dirsi  ne'  attribuita  ne'
 sottratta alla Corte dei conti da  norme  costituzionali,  dipendendo
 essa  invece  dalle  determinazioni  che  la  legge  abbia  fatto  in
 proposito per tener conto di tali esigenze.  E questo  basta  perche'
 si   riconosca   che   l'attuale   controversia   non   presenta   le
 caratteristiche che l'art. 37, primo comma, della  legge  n.  87  del
 1953    richiede,    affinche'   possa   instaurarsi   un   conflitto
 costituzionale di attribuzioni, rientrante nella competenza di questa
 Corte.
   2.2. - A non diversa conclusione deve pervenirsi alla stregua degli
 altri parametri costituzionali - tutti  attinenti  alla  garanzia  di
 indipendenza    assicurata    ai   giudici   e   all'insindacabilita'
 dell'esercizio delle funzioni giudiziarie - invocati  dal  ricorrente
 per  sostenere  una definizione in negativo della giurisdizione della
 Corte dei conti, dalla quale resti comunque escluso il sindacato  sul
 contenuto  dei  provvedimenti  assunti  dal giudice nell'attivita' di
 liquidazione dei compensi, regolata dalla sopra  ricordata  legge  n.
 319 del 1980.
   Gli   artt.   101,   102,   104   e   108   della   Costituzione  -
 indipendentemente  dall'esame  della  pertinenza  di   tutte   queste
 disposizioni  al caso in esame - non valgono ad assicurare al giudice
 uno status di assoluta irresponsabilita', pur  quando  si  tratti  di
 esercizio  delle  sue  funzioni  riconducibili  alla  piu' rigorosa e
 stretta nozione di giurisdizione.
   Questo  principio  e'   stato   affermato   con   chiarezza   nella
 giurisprudenza di questa Corte. Gia' nella sentenza n. 2 del 1968, in
 sede di interpretazione dell'art. 28 della Costituzione relativamente
 alla disciplina della responsabilita' civile dei magistrati contenuta
 negli allora vigenti articoli 55 e 74 del codice di procedura civile,
 si  era  chiarito  che  la "diretta responsabilita'" secondo le leggi
 penali, civili e amministrative, ivi prevista a carico dei funzionari
 e i dipendenti dello Stato per gli atti  compiuti  in  violazione  di
 diritti,  riguarda  anche  gli  appartenenti  all'ordine giudiziario,
 l'autonomia e l'indipendenza della magistratura  e  del  giudice  non
 ponendo  l'una  al  di  la'  dello  Stato,  quasi legibus soluta, ne'
 l'altro fuori dell'organizzazione statale. E nella sentenza n. 18 del
 1989 il medesimo principio si era ribadito, in riferimento alla nuova
 disciplina contenuta nella legge n. 117 del 1988, relativamente tanto
 alla diretta responsabilita' verso i terzi  danneggiati  in  caso  di
 reato,  quanto  alla soggezione all'azione di rivalsa dello Stato. In
 questa decisione si dice con nettezza che il magistrato  deve  essere
 indipendente da poteri e da interessi estranei alla giurisdizione, ma
 e'  "soggetto  alla  legge":    alla  Costituzione innanzi tutto, che
 sancisce, ad un tempo, il principio d'indipendenza (artt. 101, 104  e
 108)  e quello di responsabilita' (art. 28) al fine di assicurare che
 la posizione super partes del magistrato non sia  mai  disgiunta  dal
 corretto esercizio della sua alta funzione.
   Ne    deriva    la    conciliabilita'   in   linea   di   principio
 dell'indipendenza della funzione giudiziaria con  la  responsabilita'
 nel  suo  esercizio, non solo con quella civile, oltre che penale, ma
 anche amministrativa, nelle sue diverse forme.
   E, se  tale  conciliabilita'  esiste  in  relazione  agli  atti  di
 esercizio  della  funzione  giurisdizionale  in  senso stretto, per i
 quali     l'esigenza     di     garanzia     dell'indipendenza      e
 dell'insindacabilita'  e'  massima,  a maggior ragione deve valere in
 relazione ad atti come quello  che  ha  dato  origine  all'iniziativa
 della  Corte  dei  conti  sulla quale e' sorto il presente conflitto.
 Indipendentemente dalla  qualificazione  secondo  i  numerosi  schemi
 teorici   proposti  per  afferrare  concettualmente  l'essenza  della
 giurisdizione,  e'  evidente  infatti  che,  per  poter  attrarre  il
 provvedimento  di  liquidazione  dei  compensi  spettanti  ai periti,
 consulenti tecnici, interpreti e traduttori nell'area della  funzione
 giurisdizionale,  occorre  adottare  di  questa una definizione assai
 larga.
   Le predette considerazioni  confermano  nella  convinzione  che  le
 richiamate   disposizioni   dettate  dalla  Costituzione  a  garanzia
 dell'indipendenza    e    dell'insindacabilita'    della     funzione
 giurisdizionale  non si oppongono di per se' alla possibilita' che la
 legge preveda casi e forme di responsabilita' per atti giudiziari del
 tipo qui in questione. Ond'e' che nemmeno per questa via e' possibile
 ricavare un confine definito dalla Costituzione, che  giustifichi  la
 drastica  affermazione  che alla Corte dei conti e' sempre preclusa -
 si  ribadisce:  preclusa  per  ragioni  di  costituzionalita'  -   la
 giurisdizione   sulla   responsabilita'   dei  magistrati  per  danno
 erariale.
   Dal che si deduce (in parallelo  con  la  conclusione  raggiunta  a
 proposito  dell'interpretazione  dell'art.  103, secondo comma, della
 Costituzione) che,  anche  sotto  il  profilo  della  previsione  dei
 diversi  tipi  di responsabilita' in cui possono incorrere i giudici,
 la  Costituzione  lascia  aperto  un  campo  all'esplicazione   della
 discrezionalita' del legislatore. Esso porta a riconoscere che, anche
 sotto   questo  aspetto,  il  presente  conflitto  non  attiene  alla
 "delimitazione della sfera di attribuzioni  determinata  per  i  vari
 poteri da norme costituzionali".
    3.1.  -  Vero  e'  che  la controversia portata di fronte a questa
 Corte  in  sede  di  conflitto  costituzionale  di  attribuzioni   e'
 un'impropria  dissimulazione  di  un  altro  tipo di controversia che
 attiene,  in  primo  luogo,  alla  ricostruzione  della  legislazione
 vigente in ordine alle possibili reazioni dell'ordinamento - oltre ai
 c.d.  rimedi  "interni" di cui all'art. 11, quinto comma, della legge
 n. 319 del 1980  citata  e,  segnatamente,  quello  del  ricorso  del
 pubblico  ministero  avverso  il  decreto  di liquidazione - contro i
 provvedimenti asseritamente illegittimi di liquidazione dei  compensi
 ai  periti,  consulenti, interpreti e traduttori e, in secondo luogo,
 ai possibili vizi di incostituzionalita' di tale legislazione.
   Cio'  spiega  l'ampio  spazio  che  gli  atti difensivi delle parti
 danno, ciascuno  nel  proprio  interesse,  alla  ricostruzione  della
 legislazione,   sia   anteriore  che  successiva  alla  Costituzione,
 concernente la giurisdizione della  Corte  dei  conti  rispetto  alla
 responsabilita'  dei magistrati liquidatori di compensi per attivita'
 professionali prestate nei giudizi, nonche'  la  discussione  che  il
 ricorrente introduce circa i possibili vizi d'incostituzionalita' che
 tale  legislazione,  una  volta  ricostruita nel senso dell'esistenza
 della giurisdizione contestata, puo' presentare.
   Ma tale controversia, sia sotto  il  primo  che  sotto  il  secondo
 aspetto, non puo' riguardare la Corte costituzionale come giudice dei
 conflitti:    non  la ricostruzione della legislazione, che spetta ai
 giudici  che  devono  applicarla,  cioe',   nel   caso   di   specie,
 innanzitutto  al  giudice contabile in sede di verifica della propria
 giurisdizione e poi,  eventualmente,  alla  Corte  di  cassazione  su
 ricorso  per  regolamento  di giurisdizione (art. 41 cod. proc. civ.)
 ovvero su ricorso avverso la decisione  della  Corte  dei  conti  per
 motivi  inerenti  la  giurisdizione  (artt.  111, ultimo comma, della
 Costituzione, 362 del codice di procedura civile, 71 del testo  unico
 sulla  Corte dei conti n. 1214 del 1934 e 26 del relativo regolamento
 di procedura n. 1038 del 1933); non la valutazione della legittimita'
 costituzionale della normativa che  regola  tale  giurisdizione,  una
 volta  ritenuta  esistente,  poiche'  le  relative  questioni possono
 essere  ritualmente  proposte,  eventualmente,  soltanto  nella   via
 incidentale  prevista  dall'art.  23 della legge n. 87 del 1953 e nel
 rispetto delle condizioni ivi previste.
   3.2.   -   Queste   ultime   considerazioni   danno   la    ragione
 dell'inammissibilita'     dell'istanza     che     il     ricorrente,
 subordinatamente  all'eventuale  riconoscimento  della  giurisdizione
 della  Corte  dei  conti  nel  caso in esame, rivolge a questa Corte,
 affinche' essa  sollevi  incidentalmente  questione  di  legittimita'
 costituzionale  della  legislazione  che risultasse applicabile nella
 specie.
   Rileva il ricorrente che l'iniziativa promossa  nei  suoi  riguardi
 dalla procura regionale della Corte dei conti, la cui legittimita' e'
 stata  successivamente  affermata dalla sezione regionale della Corte
 dei conti stessa (sentenzaordinanza n. 1091/1996/R del  18  aprile-13
 maggio  1996)  che  si  e' ritenuta competente a decidere in merito a
 essa,  presuppone  l'applicazione  della  disciplina   comune   della
 responsabilita'  per  danno  erariale  dei  pubblici  dipendenti  nei
 confronti di un magistrato e in relazione a un atto (la  liquidazione
 dei  compensi  di  cui  si  tratta)  che  o  e'  da qualificarsi come
 giurisdizionale   o,   quantomeno,   e'   collegato   e   strumentale
 all'esercizio  di  funzioni  giurisdizionali.   Cio' determinerebbe -
 direttamente o  indirettamente  -  una  lesione  della  posizione  di
 indipendenza,  costituzionalmente  garantita, del magistrato stesso e
 un'interferenza con l'esercizio delle sue funzioni, violando tanto  i
 parametri  costituzionali posti a base del presente conflitto, quanto
 la generale  direttiva  che  da  essi  questa  Corte  ha  in  diverse
 circostanze   elaborato,   a   favore   di   una   disciplina   della
 responsabilita'  dei  magistrati  necessariamente  differenziata,  in
 ragione dello speciale status loro riconosciuto, in rapporto a quella
 comune  ai pubblici dipendenti (sentenze nn. 26 del 1987, 18 del 1989
 e 468 del 1990).
   Cio'  che  manca,  affinche' l'anzidetta istanza di auto-rimessione
 possa avere seguito, e' la  rilevanza  nel  presente  giudizio  della
 questione   che   essa   propone.   Per   decidere  il  conflitto  di
 attribuzioni, le norme di legge ordinaria non vengono di per  se'  in
 considerazione.    Sarebbe  una  deviazione  dai principi se la Corte
 definisse un conflitto costituzionale in  applicazione  delle  scelte
 operate  dal  legislatore  ordinario.  Questo  giudizio puo' pertanto
 essere definito indipendentemente dalla  risoluzione  della  proposta
 questione   di   legittimita'   costituzionale  relativa  alle  norme
 contenenti la disciplina della  responsabilita'  per  danno  erariale
 arrecato dai magistrati nell'esercizio delle loro funzioni.
   4.  -  Le diverse eccezioni di inammissibilita' del ricorso restano
 assorbite nella presente pronuncia.