IL TIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 7528/94 r.g. proposto da Figliolia Luisanna, Mingrone Maria Luisa, Arlomedi Graziella, Di Matteo Silvia, Blasutto Daniela, Maltese Elvira, Cruciani Marzia, Garri Fabrizia, Montaldi Alida, Marcello Maria Gabriella, Puoti Maria Enrica, Galterio Donatella, Falato Maria Elena, Falaschi Milena, Amadori Franca, Cesqui Elisabetta, Calvanese Ersilia, Castagnoli Silvia, Gozzer Fiorella, Serafin Maria Grazia, Avezzu' Emma, De Martiis Paola, Milesi Silvia, Azzena Plinia, Altieri Carla, Pitzorno Elena Maria Grazia, Salari Donatella, Mariani M. Gabriella, Diani Isabella, Rava Paola, Ramella Trafighet Claudia, De Risi Valeria, Ingrasci' Patrizia, Roilo Elisabeth, Burei Alessandra, Mertin Isabella Maria Edith e Grasso Giovanna, rappresentate e difese dall'avvocato Giovanni Crisostomo Sciacca con il quale sono elettivamente domiciliate in Roma, alla via G. B. Vico n. 29, contro il Ministero di grazia e giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; per l'accertamento del diritto ad ottenere la corresponsione della speciale indennita' di cui all'art. 3 della legge n. 27/1981 per i periodi di assenza obbligatoria previsti dagli artt. 4 e 5 della legge n. 1204 del 30 dicembre 1971; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'intimato Ministero; Viste le memorie difensive depositate dalle parti; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 13 marzo 1996, relatore il cons. Giudo Romano, l'avv. Sciacca per la parte ricorrente; nessuno comparso per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: F a t t o Con ricorso notificato il 12 maggio 1994 e depositato il successivo giorno 18, le ricorrenti, tutte magistrati ordinari in servizio presso vari uffici giudiziari, affermano che per i periodi di assenza obbligatoria per maternita', goduti a far tempo dalle singole date di ingresso in carriera, non e' stata loro corrisposta l'indennita' speciale di cui all'art. 3 della legge 19 febbraio 1981 n. 27. Le ricorrenti Mingrone, Montaldi, Marcello, Falati, Amadori, Castagnoli, Milesi, Altieri, Pitzorno, Salari e Grassi affermano che non hanno goduto della predetta indennita' neppure nell'ulteriore periodo di astensione obbligatoria previsto dall'art. 5 della legge n. 27/1981. Precisano che alle specifiche richieste presentate da alcune di esse il Ministero ha risposto che l'art. 3 della legge n. 27/1981, nell'istituire una speciale indennita' a favore dei magistrati ordinari, ne ha espressamente escluso la corresponsione per i periodi di assenza obbligatoria e facoltativa previsti dall'art. 4 e 7 della legge n. 1204/1971. Contestano la legittimita' di tale avviso e la costituzionalita' della norma che tale avviso ha consentito di esprimere, deducendo i seguenti motivi di diritto: 1. - Violazione degli artt. 3 e 37 della Costituzione. Sostengono le ricorrenti che la norma censurata violerebbe il principio di parita' uomo-donna, visto alla luce del valore costituzionale collegato alla maternita', in quanto escluderebbe il magistrato-donna alla percezione dell'indennita' in questione "... sol perche' la sua struttura biologica e la norma positiva le impongono, con la procreazione della prole, un fermo di carattere fisico e la indentita' materna ed il generale interesse sociale le impongono, altrettanto, l'allevamento della prole neonata, il che non accade al magistrato di sesso maschile, che con la procreazione della prole e con la propria indentita' paterna non subisce alcun fermo biologico e non ha compiti - nei confronti del neonato - addirittura protetti da norme di rango costituzionale ...". In tal modo, proseguono le ricorrenti, il legislatore ordinario ha violato il principio di uguaglianza ed il principio protettivo della maternita', perche', "... ha omesso di valutare, da un lato, la particolare struttura biologica della donna, penalizzandola cosi' a ragione del proprio sesso e, dall'altro, non ha considerato che tale diversita' biologica e', in relazione alla maternita' - che nel caso in esame non e' solo condizione di donna che ha partorito ma funzione di carattere relazionale ed affettivo in funzione del neonato - valore costituzionalmente garantito ...". 2. - Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Sostengono le ricorrenti che - tenuto conto che l'indennita' in questione, in un primo tempo riservata ai soli magistrati, e' stata estesa al personale di segreteria e cancelleria, mantenendo immutate natura e modalita' di corresponsione e tenuto conto che il contratto di lavoro del comparto Ministeri ha consentito, secondo l'interpretazione concordata dal Ministero resistente con il Ministero del tesoro, IGOP, consente l'erogazione di detta indennita' anche nell'ipotesi di cui agli artt. 4 e 5 della legge n. 1204/1971 - sussisterebbe "... un'inammissibile disparita' di trattamento ed un trattamento iniquo in danno e nei confronti del personale di magistratura che urta con i principi garantiti dagli artt. 3 e 97 della Costituzione ...". Sostengono, altresi', che, alla luce di quanto prevede l'art. 6 della legge n. 903 del 9 dicembre 1977 - che ha esteso alle lavoratrici che abbiano adottato bambini o li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo alcuni istituti in precedenza riservati alla sola madre naturale, tra i quali l'astensione obbligatoria di cui all'art. 4 della legge n. 1204/1971 durante i primi tre mesi dall'effettivo ingresso del bambino in famiglia e purche' non abbia eta' superiore a sei anni - le stesse censure di incostituzionalita' debbano valere anche in relazione a tale fattispecie, vissuta da alcune ricorrenti. L'Avvocatura generale dello Stato ha prodotto memoria nell'interesse del Ministero intimato argomentando circa l'infondatezza delle proposte questioni, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 3-8 maggio 1990. All'udienza del 13 marzo 1996 il ricorso e' stato introitato per la decisione. D i r i t t o 1. - Le ricorrenti si dolgono di essere illegittimamente eslcuse dalla percezione dell'indennita' di cui all'art. 3 della legge 19 febbraio 1981 n. 27 - in correlazione a situazioni di astensione obbligatoria dal servizio ex artt. 4 e 5 della legge 30 dicembre 1971 n. 1204 - e chiedono che, contrariamente a quanto affermato dall'Amministrazione resistente in relazione ad istanze allo scopo prodotte da alcune delle ricorrenti, venga accertato il loro diritto a tale indennita' nelle anzidette situazioni ed anche nell'ipotesi di adozione e di affidamento preadottivo, tenuto conto che l'istituto dell'astensione obbligatoria e' stato esteso a tali ipotesi ex art. 6 della legge 9 dicembre 1977 n. 903. Affermano, inoltre, che, in caso di ritenuta infondatezza della loro pretesa, debbasi porre in dubbio - alla stregua dei motivi gia' riassunti nella parte in fatto della presente ordinanza - la correttezza costituzionale della citata disposizione dell'art. 3 della legge n. 27/1981, per contrasto con i parametri ricavabili dalle norme degli artt. 3, 37 e 97 della Costituzione, secondo profili o non esaminati (art. 37) dal giudice delle leggi nella sentenza 3-8 maggio 1990 n. 238 ovvero prospettati in relazione a circostanze diverse (artt. 3 e 97). 2. - La pretesa patrimoniale avanzata dalle ricorrenti e' contrastata, dal chiaro ed inequivoco disposto del comma primo della norma in esame che espressamente eslcude la percezione dell'indennita' (anche) nell'ipotesi di astensione obbligatoria prevista dall'art. 4 della legge n. 1204/1971 nonche' nell'ipotesi di cui all'art. 5 della stessa legge, per effetto dell'equiparazione operata dal successivo art. 6. Ed invero, e' evidente che il legislatore ordinario ha voluto riconoscere il diritto all'indennita' soltanto in correlazione alla prestazione di effettivo servizio, eslcudendone, conseguentemente, la percezione in tutte le ipotesi - peraltro puntualmente individuate - in cui difetti detto essenziale presupposto, tra le quali, per quel che qui rileva, l'astensione obbligatoria dal servizio per maternita' nelle sue varie e sopra citate ipotesi. 3. - Tale circostanza e' rilevante per la questione di costituzionalita' sollevata dalle medesime poiche' nell'ipotesi in cui il giudice delle leggi dovesse ritenerla fondata, ovviamente muterebbe radicalmente ed in senso favorevole la sorte della domanda giudiziale. 4. - E' ben noto alla Sezione che la Corte costituzionale ha gia' esaminato analoga questione "invero limitata al profilo della violazione del principio di eguaglianza" e che la stessa e' stata ritenuta non fondata. E', altresi', noto che in tale occasione la Corte non ebbe a pronunziarsi sulla questione, pur nominalmente sollevata, relativa all'art. 37 della Costituzione poiche' la stessa Corte affermo' essere inuscettibile di "... considerazione autonoma ..." la "... ulteriore censura riferita all'art. 37 Cost. ... omissis ... in quanto e' prospettata in modo cosi' sommario e generico da non consentire di apprezzare i termini dell'asserita violazione di tale disposizione ed in particolare di chiarire se si lamenti una non adeguata protezione della lavoratrice madre ovvero - come opina l'Avvocatura - una violazione della garanzia di pari retribuzione rispetto al lavoratore ...". 4.1. - Orbene, con riguardo al profilo evidenziato con il secondo motivo inerente l'asserita disparita' di trattamento sussistente tra le ricorrenti ed il personale di cancelleria e di segreteria "dopo che a tale ultimo personale e' stata estesa in via ordinaria, ex lege n. 221/1988, la percezione di tale indennita' e che al medesimo personale detta indennita' e' erogata, in applicazione del d.P.R. n. 44 del 17 gennaio 1990 di recepimento dell'accordo di lavoro del comparto "Ministeri"" nonche' l'altrettanto asserita violazione dell'art. 97 della Costituzione, non puo' non convenirsi con il Ministero resitere nel senso che rimangono insuperabili, allo stato, le motivazioni rese dalla Corte costituzionale con la gia' richiamata sentenza n. 238/1990. Ed infatti, non puo' restare immutato l'avviso: a) della specialita' dell'indennita', atteso che questa ha come sua "... caratteristica ... " quella di essere "... specificamente connessa allo status dei magistrati ..." e di essere "... assoggetata al medesimo meccanismo di rivalutazione automatica previsto per gli stipendi ..." tant'e' che "... il legislatore, anche quando ha ritenuto di estendere l'indennita' al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie ed a quello amministrativo delle magistrature speciali (leggi 22 giugno 1988 n. 221 e 15 febbraio 1989 n. 51) l'ha attribuita in misura fissa, escludendo l'applicabilita' del suddetto meccanismo di adeguamento ..."; b) della non equiparabilita' delle situazioni perche' "... e' proprio la circostanza che il trattamento economico di costoro (n.d.r. i magistrati) e' soggetto a regolamentazione autonoma che preclude di apprezzare, in riferimento al principio di eguaglianza, la diversa disciplina adottata per i periodi di assenza per maternita' ...". 4.2. - Invece, non manifestamente infondata puo' valutarsi - con l'integrazione di alcune osservazioni che di ufficio la Sezione ritiene di poter effettuare, in relazione alle norme di cui agli artt. 30 e 31 della Costituzione - l'eccezione proposta con il primo motivo di ricorso. 4.2.1. - La norma di cui si dubita individua una serie di preclusioni alla percezione dell'indennita' indistintamente comuni a tutti i magistrati, tranne che per le ipotesi dell'astensione obbligatoria prevista dall'art. 4 della legge n. 1204/1971 ovvero dell'interdizione dal lavoro disposta dall'Ispettorato del lavoro ex art. 5 della stessa legge. Infatti, sia per il congedo straordinario, sia per l'aspettativa per qualsiasi causa, sia per la sospensione dal servizio per qualsiasi causa, il sesso non assume alcun valore qualificante o differenziante le posizioni dei destinatari della stessa norma, per cui trova razionale e paritaria giustificazione l'esclusione, in quelle circostanze, di tutti i magistrati, indistintamente, dalla percezione dell'indennita' in questione. All'inverso, la condizione femminile, vista sotto il peculiare profilo della maternita', diventa, in violazione del parametro di cui all'art. 3 della Costituzione, presupposto scriminante di fatto nel rapporto paritario uomo-donna laddove, come nella specie, l'astensione dal servizio sia riconnessa ad un evento naturale (maternita') esclusivamente propio del sesso femminile, in relazione al quale l'interesse pubblico e' talmente rilevante e pregnante che ne vengono assunte in garanzia e la tutela direttamente dalla norma costituzionale. In tali peculiari condizioni, la previsione di una ipotesi di eslcusione della percezione dell'indennita' "peraltro rilevante nella sua entita' ed incidente sui soli magistrati di sesso femminile" vulnera di fatto anche la condizione della lavoratrice-madre (art. 37) e la particolare tutela garantita dall'art. 31 della medesima Carta costituzionale alla familgia, intesa come cellula fondamentale della societa' , la cui liberta' di formarsi ed accrescersi appare notevolmente menomata. Nelle stesse condizioni, non di meno vengono in evidenza anche esigenze di tutela del minore, tenuto conto che la funzione dell'astensione obbligatoria dal lavoro - secondo quanto ha avuto modo di chiarire da tempo il giudice delle leggi con la sentenza n. 1 del 14-19 gennaio 1987 - nei primi tre mesi di vita del bambino non si esaurisce nella tutela della salute della madre, ma va ricondotta anche "o nei casi di adozione e di affidamento preadottivo, esclusivamente" alle esigenze di tutela del minore, al quale deve essere assicurata, nell'ambito della famiglia, quell'assistenza materiale ed affettiva che e' indispensabile per lo sviluppo della sua personalita'. Orbene, non pare irragionevole ritenere che la decurtazione economica cui va incontro il magistrato-madre per effetto della norma indubbiata, possa avere incidenza anche sulle condizioni di efficienza dell'assistenza materiale del minore, sol che si tenga conto dell'entita' dell'indennita' in rapporto al livello stipendiale del magistrato che sia obbligato ad astenersi dal lavoro ex lege n. 1204/1971, specialmente se di prima nomina, e si consideri la possibilita' di situazioni familiari monoreddito. Consegue il ravvisato contrasto anche con il parametro ricavabile dal primo comma dell'art. 30 della Costituzione. In breve, soltanto eliminando dall'ordinamento la norma denunciata "ovviamente considerata per il solo aspetto concernente l'astensione obbligatoria anche nelle ipotesi di cui all'art. 5 della stessa legge per effetto dell'equiparazione operata dal successivo art. 6" sembra potersi prestare il dovuto ossequio al parametro di eguaglianza sostanziale di fronte alla legge di soggetti che si trovino in identica condizione giuridica e rimuovere, concretamente, gli ostacoli che di fatto attentano alla parita' di trattamento. Alla luce dei principi evidenziati dal giudice delle leggi con la sentenza n. 163 del 2-15 aprile 1993 non pare revocabile in dubbio che vi sia indennita' di condizione giuridica tra i magistrati, indipendentemente dal sesso di questi, e che la condizione del magistrato di sesso femminile, invece - in quanto vincolata, da un lato, dalle leggi naturali che governano la maternita' e, dall'altro, da norme imperative che impongono alla lavoratrice un comportamento obbligato - si sostanzi in scriminante di fatto all'interno dello stesso, identico tipo di destinatario, senza alcuna razionale giustificazione e per di piu' obliterando valori costituzionalmente affermati (famiglia, maternita' e tutela del minore) e protetti. 5. - In conclusione, stante il gia' rilevato carattere assorbente delle censure che si fondano sulle predette questioni di costituzionalita', il giudizio deve essere sospeso in attesa della pronunzia della Corte costituzionale al riguardo.