LA CORTE DEI CONTI Ha emesso la seguente ordinanza n. 291/96/ord. nel giudizio in materia di pensione di guerra iscritto al n. 915/G reg. segr., proposto da Bonfiglio Maria Catena, rappresentata e difesa dagli avvocati Ettore Aguglia e Salvatore Prestipino Giarritta ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Palermo, via Archimede 92, avverso la nota del Ministero del tesoro - Direzione generale pensioni di guerra - n. 601814/G del 6 ottobre 1988, con la quale e' stato comunicato alla Bonfiglio il rigetto di una sua domanda di pensione presentata nel settembre 1987, confermandosi, previo riesame in base a disposizioni sopravvenute, il precedente decreto ministeriale negativo n. 2001756 del 9 gennaio 1963. Visti il ricorso e gli atti che vi si riferiscono; Uditi nella pubblica udienza del 10 luglio 1996 il relatore, avv. Egidio Alagna, il difensore della ricorrente, avv. E. Aguglia, e il rappresentante dell'Amministrazione del Tesoro, dott. Pietro Di Giovanni. F a t t o La ricorrente Bonfiglio chiede la pensione di guerra quale assimilata a vedova di Scaffidi Cono, caduto in guerra in Albania il 14 dicembre 1940. Dalla sentenza di accertamento di paternita' del tribunale civile di Patti, n. 72/57 del 25 luglio 1957, risulta che lo Scaffidi Cono nell'aprile 1940 ando' a convivere con la Bonfiglio more uxorio, lasciandola incinta quando fu richiamato alle armi (10 giugno 1940). La Bonfiglio in data 10 gennaio 1941 diede alla luce un bambino, che poi riconobbe come suo figlio naturale e che il tribunale dichiaro' figlio naturale anche dello Scaffidi Cono. Si legge tra l'altro nella sentenza: "E che lo Scaffidi usasse verso la Bonfiglio un comportamento tale da rivelare l'intenzione di trattare la medesima come moglie e' rimasto avvalorato da una lettera da lui scritta all'attrice il 5 settembre 1940, nella quale la chiama "cara ed amata sposa" e manifesta l'intendimento di chiedere una licenza per regolarizzare l'unione col matrimonio". Risulta pure dagli atti che al detto figlio naturale dello Scaffidi venne poi concessa la pensione quale orfano di guerra. Con l'atto impugnato e' stata ribadita la non assimilabilita' a vedova di guerra della Bonfiglio, previo riesame della sua richiesta sulla base delle modifiche normative di cui si dira' piu' avanti, sopravvenute alla disposizione vigente all'epoca del decreto ministeriale negativo indicato in epigrafe (art. 55 del 1950, come modificato dall'art. 12 del 1961). Nell'odierna udienza il difensore della ricorrente ha insistito per l'accoglimento del gravame, sostenendo, come gia' fatto in ricorso, che i fatti accertati nella predetta sentenza configurano una situazione equivalente alla procura o alla richiesta di pubblicazioni per il matrimonio, ai fini della assimilazione di cui e' causa; e in subordine eccependo la illegittimita' costituzionale delle norme che si ritengano di ostacolo all'assimilazione, per contrasto con gli artt. 3, 39, 30, 31 e 37 della Costituzione. Il rappresentante dell' Amministrazione ha chiesto il rigetto del ricorso. D i r i t t o L'assimilazione a vedova, ai fini della pensione di guerra, fu introdotta dagli artt. 11 e 12 d.lgt. 27 ottobre 1918 e collegata alla preesistenza alla morte del militare di una procura a contrarre matrimonio ovvero della richiesta di pubblicazioni ovvero ancora di una dichiarazione del militare di voler contrarre matrimonio con riferimento ad una preesistente situazione di convivenza, della quale la legge non fissava la durata minima. L'assimilazione, non piu' contemplata dal r.d. 12 settembre 1923, n. 1491, fu reintrodotta dal r.d.-l. 9 settembre 1936, n. 1490, ma limitatamente alla ipotesi della procura (art. 2), e in termini analoghi passo' nell'art. 55.3 legge 10 agosto 1950, n. 648, e nell'art. 12 legge 9 novembre 1961, n. 1240. Fu l'art. 42.4 legge 18 marzo 1968, n. 313, ad aggiungere nuovamente a tale ipotesi quella della dichiarazione del militare di voler contrarre matrimonio con persona gia' convivente, purche' tale da almeno un anno (condizione non richiesta dalla corrispondente norma del 1918). Le due ipotesi furono recepite nell'art. 37 d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, del quale la sentenza costituzionale n. 5 del 1986 dichiaro' la illegittimita' per violazione del principio di eguaglianza, in quanto non prevedeva anche l'ipotesi della richiesta delle pubblicazioni, atto ritenuto dalla Corte costituzionale espressivo dell'intento matrimoniale delle parti con intensita' non minore di quanto non lo sia la procura. Segui' l'art. 20 legge 6 ottobre 1986, n. 656, che adeguo' l'art. 37 d.P.R. n. 915 a tale pronuncia. Va notato che la sentenza costituzionale citata pose a raffronto l'ipotesi della richiesta delle pubblicazioni soltanto con quella della procura, avendo escluso la rilevanza della questione di legge costituzionale della disposizione sulla convivenza da almeno un anno, poiche' nella fattispecie sottoposta alla Corte non ricorreva l'ipotesi della convivenza, ma quella della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio. Tali essendo le disposizioni succedutesi nel tempo, le circostanze di fatto desumibili dalla sentenza civile ricordata in narrativa (dichiarazione dello Scaffidi Cono di voler sposare la ricorrente, convivenza more uxorio per circa due mesi, nascita di un figlio) non bastano per l'assimilazione della Bonfiglio a vedova dello Scaffidi, poiche' la convivenza tra i due, giuridicamente irrilevante all'epoca del decreto ministeriale negativo del 1963 (quando era in vigore l'art. 12 legge n. 1240 del 1961), non ebbe la durata minima di un anno, prescritta dall'art. 42.4 legge n. 313 del 1968 nel riconoscerle rilevanza e confermata dalle disposizioni successive ancora vigenti. La questione di legge costituzionale proposta in via subordinata dal difensore della ricorrente e' manifestamente infondata con riferimento agli artt. 30, 31, 37 e 39 della Costituzione, che concernono materie non attinenti alla fattispecie; e con riferimento all'art. 3 non appaiono pertinenti le argomentazioni difensive, essenzialmente basate sul valore probatorio della sentenza del tribunale di Patti, che renderebbe assurdo il rifiuto di assimilazione della Bonfiglio a vedova dello Scaffidi, essendo pacifica la sua qualita' di madre del bambino nato dalla unione con il militare e riconosciuto orfano di guerra. Non sembra infatti censurabile la scelta legislativa di collegare l'assimilazione vedova a circostanze che denotino il serio intento di una stabile unione (dichiarazione del militare di voler consolidare con il matrimonio una preesistente situazione di effettiva convivenza), a prescindere dalla eventuale nascita di prole, di per se non indicativa di intento matrimoniale, il quale e' invece l'elemento comune ai tre criteri alternativi di assimilazione prescelti dal legislatore nel corso della lunga evoluzione sopra descritta: procura, dichiarazione, del militare e convivenza, pubblicazioni. Il collegio ritiene peraltro proponibile sotto diverso profilo la questione di legge costituzionale dell'art. 42.4 legge n. 313 del 1968 (ora art. 37.5 d.P.R. n. 915 del 1978) in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sembrando irrazionale ed arbitrario il limite minimo di un anno di convivenza anteriore alla morte del militare nei tanti casi, come in quello di specie, nei quali il maturare di tale periodo sia stato interrotto da eventi indipendenti dalla volonta' dei protagonisti (chiamata alle armi, morte del militare). Infatti in tali casi la donna sopravvissuta viene a subire le conseguenze negative di quegli eventi anche sul piano pensionistico, come se da essi fosse ragionevolmente desumibile una insufficiente serieta' o una minore intensita' del comune intento matrimoniale. Vero e' che la ratio del criterio di assimilazione in discorso non consente di prescindere da una certa stabilita' della convivenza, ma tale carattere dovrebbe poter essere desunto dall'insieme delle circostanze in cui essa, pur se di breve durata, si sia svolta (e il caso di specie esemplare a questo riguardo), non da una sua durata minima prestabilita, almeno nei casi in cui questa non si realizzi a causa di eventi non attribuibili alla volonta' dei protagonisti. Insomma il fondamento solidaristico della norma assimilatrice di cui trattasi, che attribuisce rilievo giuridico ad una aspettativa di fatto della compagna del militare caduto in guerra, si realizza in modo del tutto incongruo, se non paradossale, la' dove la norma nega tale rilievo se l'aspettativa sia stata frustrata proprio da quegli stessi eventi assunti a giustificazione dell'intervento solidaristico. In questi termini il collegio ritiene non manifestamente infondata, oltre che di evidente rilevanza ai fini della decisione della controversia, la questione di legge costituzionale delle norme sopra citate.