IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2088/1988 proposto dal sig. Blandamura Roberto, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dall'avv. Riccardo Occhinegro e dall'avv. Luigi Cecinato, ed elettivamente domiciliato in Taranto alla via Plinio n. 95 presso lo studio di quest'ultimo; contro la commissione provinciale per la tenuta del ruolo agenti e rappresentanti di commercio in persona del legale rappresentante pro-tempore; la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Taranto in persona del presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Piero Relleva e presso il suo studio elettivamente domiciliata in Taranto alla via Medaglie d'oro n. 119 e in Lecce alla via Braccio Martello n. 58; per l'annullamento della delibera n. 32 del 13 luglio 1988 con cui la commissione provinciale ha proceduto d'ufficio alla cancellazione dal ruolo degli agenti e rapprentanti del sig. Blandamura Roberto, comunicata con nota del 18 luglio 1988 con cui si procedeva alla cancellazione del ricorrente per perdita dei requisiti previsti dall'art. 5, punto c), della legge n. 204/1985; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Taranto; Visti gli atti di causa; Udito nell'udienza pubblica dell'11 gennaio 1994 il giudice relatore Giancarlo Luttazi; e uditi altresi' gli avv.ti Cecinato e Relleva; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue. F a t t o 1. - Il ricorrente, agente di commercio, impugna la deliberazione della Commissione provinciale per la iscrizione e la tenuta del ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio presso la Camera di commercio, industria e artigianato di Taranto di cui al verbale n. 32 del 13 luglio 1988, che ne ha disposto la cancellazione dal ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio per perdita dei requisiti previsti dall'art. 5, punto c) della legge 3 maggio 1985, n. 204 (emissione di assegni a vuoto). I motivi di ricorso sono cosi' rubricati: 1) Violazione ed erronea applicazione della legge 3 maggio 1985, n. 204; Eccesso di potere per illogicita', erroneita' dei presupposti, difetto di motivazione, manifesta ingiustizia e disparita' di trattamento. 2) Violazione ed erronea applicazione degli artt. 5 e 10 della legge n. 204/1985; Eccesso di potere per illogicita', manifesta ingiustizia, difetto di motivazione, disparita' di trattamento. L'amministrazione si e' costituita, resistendo al ricorso e depositando memorie e documenti. Con ordinanza n. 1268/1988 e' stata respinta l'istanza cautelare. Con sentenza n. 195/1993 sono stati disposti incombenti istruttori. La causa e' passata in decisione all'udienza dell'11 gennaio 1994. D i r i t t o 1. - Il ricorrente, agente di commercio, impugna con due motivi di ricorso il provvedimento della Camera di commercio, industria e artigianato di Taranto che ne ha disposto la cancellazione dal ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio per la perdita - a seguito di condanna per il reato di emissione di assegni a vuoto - dei requisiti previsti dall'art. 5, lettera c) della legge 3 maggio 1985, n. 204, sulla disciplina dell'attivita' di agente e rappresentante di commercio. 2. - Entrambi i mezzi di gravame, di seguito esaminati, sono da respingere. Il primo motivo, pero', investe l'applicazione dell'art. 7, numero 1), della legge 3 maggio 1985, n. 204, e poiche' questa disposizi'one, rilevante per l'esito della causa, rivela una portata che il Collegio ritiene sospetta d'incostituzionalita', s'impone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, cosi' come verra' evidenziato al capo 3 e seguenti della presente ordinanza. 2.1 - Il ricorrente afferma in primo luogo che non si sarebbe concretata la perdita del requisito di cui all'art. 5, punto c) della legge n. 204/1985. In particolare, egli contesta che il reato di emissione di assegni a vuoto rientri fra quelli elencati nel ripetuto art. 5, lettera c) della legge n. 204/1985, posto che il legislatore, riferendosi ai delitti contro la fede pubblica, avrebbe sicuramente inteso richiamare le sole disposizi'oni di cui al libro secondo, titolo VII, del codice penale. Ma l'assunto non puo' condividersi. L'art. 5, lettera c), legge n. 204/1985 prevede per l'iscrizione nel ruolo, tra l'altro, il requisito di non esser condannato "per delitti contro la pubblica ammistrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, l'economia pubblica, l'industria ed il commercio, ovvero per delitto di omicidio volontario, furto, rapina, estorsione, truffa, appropriazione indebita, ricettazione e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commini la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni salvo che non sia intervenuta la riabilitazione". L'art. 7, n. 1) della stessa legge prevede che la commissione provinciale per la iscrizione e la tenuta del ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio (istituita dal precedente art. 4) adotti il provvedimento di cancellazione dal ruolo, tra l'altro, quando venga a mancare "uno dei requisiti o delle condizioni previste dal precedente art. 5". Al riguardo deve condividersi la giurisprudenza prevalente (v. da ultimo C.d.S., sez. VI, 7 novembre 1992, n. 850), secondo la quale il reato di emissione di assegni a vuoto (art. 116, r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, ora abrogato dall'art. 12 della legge 15 dicembre 1990, n. 386), sia pure non rientrante nelle fattispecie criminose comprese nel titolo VII del libro secondo del codice penale, deve intendersi ricompreso fra i "delitti contro la fede pubblica" di cui all'art. 5, lettera c) della legge n. 204/1985. Ed invero, come puo' anche evincersi dalla particolare categoria dei destinatari dell'art. 5, lettera c), legge n. 204/1985, dalla sua connessa ratio moralizzatrice e dalla stessa sua non particolarmente puntuale elencazione, e' piu' logico e conforme al sistema che quest'ultima consideri il bene o l'interesse protetti dalle norme penali richiamate, piuttosto che l'aspetto meramente formalistico delle medesime previsioni penali. 2.2 - Col secondo mezzo di gravame il ricorrente afferma che, prevedendo l'art. 10 della citata legge n. 204/1985 l'iscrizione di diritto nel ruolo di tutti quegli agenti di commercio che, alla data di entrata in vigore della legge medesima, risultassero iscritti nei ruoli previsti dalla precedente legge 12 marzo 1968, n. 316 (la quale disciplinava in precedenza la professione di agente e rappresentante di commercio, ed e' stata poi sostituita dalla presente legge n. 204/1985 ed espressamente abrogata dall'art. 12 di quest'ultima, n.d.r.), i nuovi requisiti richiesti dalla legge n. 204/1988 non potevano imporsi al ricorrente: egli, in quanto gia' iscritto alla data di entrata in vigore della suddetta legge n. 204/1985, doveva essere iscritto di diritto, senza alcuna indagine circa la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi. Nei confronti del ricorrente - prosegue il motivo - questa indagine avrebbe dovuto effettuarsi solo dopo 5 anni dall'entrata in vigore della legge n. 204/1985, poiche' l'art. 5 di quest'ultima prevede la revisione del ruolo ogni 5 anni. Ed in questo caso il sig. Blandamura avrebbe avuto il tempo per ottenere la riabilitazione. Questi assunti vanno respinti perche' attribuiscono agli artt. 5 e 10, legge n. 204/1988 una portata di cui sono privi. L'art. 10, con i successivi artt. 11 (che prevede emanande norme di attuazione) e 12 (che abroga la precedente legge n. 316/1968), concreta la parte finale della legge n. 204/1988, e reca disposizioni finali e transitorie. L'art. 10 in esame riguarda espressamente la fase di prima applicazione della nuova normativa, e conformemente alla sua funzione di disposizione transitoria, non intende introdurre - come sostanzialmente ritenuto in ricorso - un sorta d'intangibilita' degli agenti gia' iscritti nel precedente ordinamento, ma soltanto prevedere, tra le molte opzioni astrattamente possibili (esame, corso professionale, revisione dei requisiti, ecc.) la modalita' piu' semplice per la iscrizione nel ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio istituito dal precedente art. 2: l'iscrizione di diritto di tutti i soggetti gia' iscritti nei ruoli, transitorio ed effettivo, del precedente ordinamento. Nessun argomento letterale od ermeneutico autorizza invece a ritenere che il presente art. 10 abbia inteso derogare, a favore degli iscritti nel precedente sistema, alla disciplina generale (sopra delineata sub 2.1) posta dalla legge n. 204/1985 in tema di possesso dei requisiti per l'iscrizione, e di conseguenze in caso di difetto di questi. 3. - L'art. 7, legge n. 204/1985 consentiva dunque, ed anzi imponeva all'amministrazione intimata di disporre l'impugnata cancellazione del ricorrente - in quanto condannato per emissione di assegni a vuoto - dal ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio. Il Collegio, pero', ritiene che la disposizione applicata contrasti con le norme costituzionali; sicche', stante la sua incidenza sul presente giudizio, la relativa questione dev'essere sottoposta alla Corte costituzionale. 3.1 - E' noto che nel nostro ordinamento, per effetto di varie pronunce della Corte (v. la fondamentale sentenza n. 14 ottobre 1988, n. 971) cui il legislatore si e' adeguato con l'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, vige oramai il principio, ribadito anche da successive pronunce della Corte (v. sentenze 18 gennaio 1991, n. 16; 19 ottobre 1992, n. 403; 19 aprile 1993, n. 197), secondo il quale le sanzioni discipinari espulsive dei pubblici dipendenti (anche prescindendo dal nomen juris adottato, v. la citata sentenza n. 197/1993) non possono conseguire automaticamente a condanne penali ma debbono invece essere precedute da un apposito procedimento disciplinare. Analogo principio e' stato individuato dalla Corte per le libere professioni (per i notai v. la sentenza 2 febbraio 1990, n. 40, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 142, ultimo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, nella parte in cui prevedeva la destituzione di diritto del notaio che avesse riportato condanna per uno dei reati previsti nell'art. 5, n. 3 della stessa legge; per i dottori commercialisti v. la sentenza 4 aprile 1990, n. 158, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 38, d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 nella parte in cui prevede la radiazione di diritto dall'albo per effetto di condanna penale). Il principio - basato, oltre che sulla tutela del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) e del buon andamento amministrativo (art. 97), soprattutto sui principi fondamentali di ragionevolezza chiaramente desumibili dall'art. 3 della Costituzione, stante l'irragionevolezza di una sanzione non proporzionale all'addebito ma "automatica" - non e' invece applicabile, per l'attuale "diritto vivente", ai provvedimenti espulsivi ma non disciplinari, che conseguono di diritto alla constatazione da parte della p.a. - nell'esercizio di un potere di vigilanza su di un rapporto autorizzatorio, concessorio o derivante da ammissione - di un requisito soggettivo per la prosecuzione di quel rapporto (v. la sentenza della Corte costituzionale, 8 luglio 1992, n. 326, in tema di automatica cancellazione dall'albo per l'iscritto al consiglio nazionale dei geometri dichiarato fallito; nonche' la sentenza della stessa Corte 1 luglio 1993, n. 297 in materia di decadenza automatica di autorizzazione all'esercizio di farmacia per effetto di condanna penale che comporti l'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici ovvero dalla professione). 3.2 - Venendo alla presente controversia, il Collegio ritiene che l'art. 7, n. 1) della legge n. 204/1985 - laddove in combinato disposto col precedente l'art. 5, lettera c) impone la cancellazione dal ruolo per effetto di condanna penale - imponga in sostanza l'adozione di un provvedimento analogo alla destituzione di diritto senza prevedere anche un pregresso procedimento disciplinare, e violi pertanto i principi costituzionali individuati dalla Corte, nonche' il principio di uguaglianza e quello di ragionevolezza sotto altro profilo. Si e' visto che l'art. 7, n. 1), legge n. 204/1985 prevede che la commissione provinciale adotti il provvedimento di cancellazione dal ruolo quando venga a mancare "uno dei requisiti o delle condizioni previste dal precedente art. 5". L'art. 5 (nel testo modificato dall'art. 2 della legge 15 maggio 1986, n. 190) recita invece, quanto ai requisiti: "Per ottenere l'iscrizione nel ruolo il richiedente deve essere in possesso dei seguenti requisiti: a) essere cittadino italiano o cittadino di uno degli Stati membri della Comunita' economica europea, ovvero straniero residente nel territorio della Repubblica italiana; b) godere dell'esercizio dei diritti civili; c) non essere interdetto o inabilitato, fallito, condannato, per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, l'economia pubblica, l'industria ed il commercio, ovvero per delitto di omicidio volontario, furto, rapina, estorsione, truffa, appropriazione indebita, ricettazione e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commini la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni salvo che non sia intervenuta la riabilitazione; d) avere assolto gli impegni derivanti dalle norme relative alla scuola dell'obbligo vigenti al momento dell'eta' scolare dell'interessato, conseguendo il relativo titolo". Dall'esame del testo si rileva che mentre i requisiti di cui alle lettere a), b), d) e alla prima parte della lettera c) attengono al possesso di qualita' giuridiche ben definite (status di cittadino (italiano o comunitario), di straniero residente, di titolare dei diritti civili, di titolare di piena capacita' giuridica (non interdetto, non inabilitato, non fallito); di licenziato dalla scuola dell'obbligo) per converso il requisito previsto nella seconda parte della lettera c) consiste nell'assenza di condanne per una lunga ed eterogenea serie di delitti, accomunati soltanto o dall'affinita' del bene giuridico offeso (in qualche modo attinente all'attivita' propria degli agenti e rappresentanti di commercio) o dalla gravita' di alcuni dei reati previsti. La cancellazione per difetto dei requisiti di cui alle lettere a), b), d) e alla prima parte della lettera c) e' assimilabile ai provvedimenti meramente espulsivi di cui alle citate sentenze della Corte costituzionale n. 326/1992 e n. 297/1993 (v. supra sub 3.1). In entrambi i casi, infatti, l'espulsione consegue alla perdita di un preciso requisito soggettivo per la prosecuzione del rapporto; perdita che concreta per lo piu' una sopravvenuta (o preesistente) specifica deminutio di capacita' giuridica (fallimento, perdita della cittadinanza o del godimento dei diritti civili, interdizione, inabilitazione, ecc.). Invece la cancellazione per una delle condanne penali di cui al ripetuto art. 5, lettera c), seconda parte, conseguendo automaticamente alla constatazione giudiziale della commissione di uno qualsiasi dei molteplici illeciti penali previsti in apposita elencazione, concreta un meccanismo giuridico di automatica espulsione che risulta analogo a quello delle soppresse forme di destituzione di diritto dei pubblici dipendenti e dei notai, o della soppressa radiazione dei dottori commercialisti (v. supra sub 3.1). In quanto tale anche questa specifica forma di cancellazione, poiche' prevista senza un previo procedimento (non puo' considerarsi procedimento la mera previa audizione dell'interessato prevista dall'art. 7, quarto comma, legge n. 204/1985), vi'ola i principi costituzionali, pure descritti sub 3.1, piu' volte indicati dalla Corte. La stessa cancellazione, inoltre, si pone anche in contrasto col principio di ragionevolezza sotto un diverso profilo, poiche' le condanne cui, ai sensi della disposizione gravata, consegue in ogni caso la cancellazione presentano caratteristiche di natura e di gravita' estremamente varie; e i relativi delitti, in assenza di ulteriori specificazioni, potrebbero spaziare da illeciti penali anche lievi, come poteva risultare (prima dell'abrogazione dell'art. 116, r.d. n. 1736/1933) l'emissione di un assegno privo di copertura, a reati gravissimi e di natura affatto diversa, come l'omicidio. La medesima cancellazione, infine, risulta in contrasto col principio di uguaglianza, stante l'assenza nell'ordinamento, in virtu' dell'art. 9, legge n. 19/1990 e delle piu' volte citate sentenze della Corte costituzionale, di norme analoghe per analoghe situazioni. 4. - In conclusione il Collegio ravvisa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, numero 1) della legge 3 maggio 1985, n. 207 nella parte in cui, in caso di condanna per uno dei reati previsti nel precedente art. 5, lettera c), prevede l'automatica cancellazione, senza un previo procedimento disciplinare, dal ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio. Ritiene in particolare il Collegio che la disposizione in esame concreti una violazione: del principio di ragionevolezza desumibile dall'art. 3 della Costituzione, anche sotto il profilo specificato al capo 3.2 che precede; del principio di uguaglianza di cui allo stesso art. 3; delle norme costituzionali a tutela del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) e del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97); del diritto di difesa, da esercitare in apposito procedimento, di cui all'art. 24 della Costituzione. Va pertanto disposta - ai sensi degli artt. 134 della Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, oltre agli ulteriori adempimenti di legge meglio indicati in dispositivo.