IL PRETORE Preso atto che non e' ancora fissata la data di udienza per valutare e decidere sulle ordinanze di questo pretore in merito alla legittimita' costituzionale sulla nuova disciplina del condono edilizio, solleva questione di costituzionalita' come da allegata ordinanza di cui si da' lettura e sospende il procedimento fino all'udienza del 2 aprile 1997 aula 2D ore 9 invita le parti a ricomparire senza altro avviso e la cancelleria alle notifiche di rito. Verificate l'ammissibilita', tempestivita' e regolarita' della domanda e del versamento, la data di ultimazione dei lavori entro il termine del 31 dicembre 1993, la volumetria entro i limiti prescritti, viene in rilievo il riconoscimento della sussistenza della causa di improcedibilita' sopravvenuta e della fattispecie estintiva del cosiddetto condono edilizio o, piu' precisamente, della "definizione agevolata delle violazioni edilizie" ex art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724. Il legislatore con la disciplina del nuovo condono edilizio si e' posto nell'antico filone di produzione normativa che scinde il reato dalla punibilita', scinde, cioe', la lesione del bene tutelato dalla norma penale, dal dover essere della pena, successivo alla lesione. Questo tipo di scelta pone un problema di inquadramento dogmatico dell'istituto e impone un esame dei suoi effetti sul sistema repressivo, con particolare riferimento al nesso tra rinuncia alla pretesa punitiva e realizzazione dell'esigenza della prevenzione generale della normativa penale interessata, esigenza che l'indefettibilita' della pena tende ad assicurare. Quanto al primo problema interpretativo, la Corte costituzionale ha suggerito - con la sentenza n. 369/1988 - di considerare il condono edilizio come "causa di improcedibilita' sopravvenuta, tenuto conto che il giudice penale, a seguito della verificazione della fattispecie estintiva, e' tenuto a concludere il processo con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato (formula usuale)". Giustamente la dottrina ha messo in luce la relativa autonomia della punibilita' rispetto al reato e la sua possibile subordinazione a valutazioni estranee al piano dell'offesa realizzata. La sanzione minacciata nella norma penale diventa un titolo di credito, cedendo il quale, il legislatore intende ottenere dal reo determinate prestazioni, siano esse antagoniste o meno rispetto all'offesa incriminata. Questa autonomia della punibilita' deve rispettare limiti ben precisi, ricavabili dal quadro costituzionale, onde evitare che all'impunita' segua un incentivo all'illegalita'. Nella citata sentenza la Corte ha osservato che "tutte le volte che si rompe il nesso costante fra reato e punibilita' e quest'ultima e' usata per fini estranei a quelli relativi alla difesa dei beni tutelati attraverso l'incriminazione penale, tale uso puo' incidere negativamente sul principio di uguaglianza ex art. 3 della Costituzione e deve trovare la sua giustificazione nel quadro costituzionale che determina il fondamento e i limiti dell'intervento punitivo dello Stato. La non punibilita' o la non procedibilita' dovuta a situazioni successive al commesso reato, come nel caso del condono edilizio, deve comunque essere valutata in funzione di finalita' proprie della pena: ove l'estinzione della punibilita' irrazionalmente contrastasse con tali finalita', ove risultasse veramente arbitraria, tale, come e' stato esattamente considerato, da svilire il senso stesso della comminatoria edittale e della punizione non potrebbe considerarsi costituzionalmente legittima. La non punibilita' o la non procedibilita', di cui ai moderni condoni penali, specie quando cancellano reati lesivi di beni fondamentali della comunita', va usata negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale; quest'ultimo precisa fondamento, finalita' e limiti dell'intervento punitivo dello Stato. Contraddire, vanificare, sia pure temporaneamente, le ragioni prime della punibilita', attraverso l'esercizio arbitrario della non punibilita' equivale non soltan to a violare l'art. 3 Cost., ma ad alterare, con il principio dell'obbligatorieta' della pena, l'intero "volto" del sistema costituzionale in materia penale". L'arbitrarieta' dell'incongruita' funzionale di questo condono e di ricondurlo entro limiti funzionali accettabili vengono alla luce considerando: a) il carattere finanziario delle circostanze "speciali", esterne al piano dell'offesa del bene tutelato, che dovrebbero giustificare la nuova disciplina premiale; b) l'incentivo alla fiducia nell'impunita' che deriva da questa normativa, alla luce dell'eccezionalita', unicita' ed irrepetibilita' del condono del 1985, disegnate a sostegno della legittimita' costituzionale di quest'ultimo. A) La scaturigine prima del provvedimento in esame - come si evince dall'andamento dei lavori parlamentari - non si riconduce tanto alla esigenza di regolarizzare l'abusivismo edilizio di massa, ma si colloca nel contesto di una manovra finanziaria nella prospettiva di ampliare le entrate e di ridurre il deficit con provvedimento extra-ordinem. Secondo l'esponente di maggioranza Dotti, uno stato di necessita' ha imposto il reperimento immediato di risorse attraverso l'atto di clemenza (seduta della Camera 14 novembre 1994). La finalita' di carattere finanziario, al di la' delle ammissioni dell'area governativa, trova dimostrazione: 1) nell'affannosa reiterazione di decreti-legge e nella rincorsa verso la riapertura dei termini per sollecitare nuove domande e nuovi versamenti, culminate nella questione di fiducia, posta a garanzia della rapida approvazione della nuova disciplina; 2) nella collocazione dell'atto di clemenza nella legge di bilancio, tra spese ed entrate; 3) nella rilevanza, per esigenze di equita' contributiva, di minorate condizioni reddituali (art. 39, commi 13 e 15) nella determinazione dell'importo della somma da versare a titolo di oblazione. B) Le finalita' economiche e finanziarie del precedente condono edilizio non sono sfuggite alla Corte costituzionale, nella suindicata decisione e in quella n. 427/1995 anche se il rifiuto di collocare il condono edilizio tra le eccezionali misure predisposte per fronteggiare lo "stabile" stato di necessita' finanziario (al fianco delle varie privatizzazioni e vendite di immobili) si ricava implicitamente ma inequivocabilmente dalla decisione n. 369/1988. L'irripetibilita' del condono edilizio del 1985 e' stata posta a fondamento per giustificare lo strappo alla pretesa punitiva dello Stato impresso dalla legge n. 47/1985. Con questo nuovo atto di clemenza il legislatore ha dimostrato di non accettare l'accredito - conferitogli nel recente passato - di una volonta' di "chiudere un passato illegale". Dimostra invece che dinanzi alla illegalita' di massa, nel campo dell'edilizia, intende periodicamente dialogare e negoziare, a fini di bilancio. Lo Stato non si limita a orientare - facendo balenare l'ipotesi della esclusione punibilita' - la condotta del reo susseguente all'illecito; con questo condono orienta anche la condotta del cittadino antecedente all'illecito. Facendo balenare questa reiterata rinuncia alla punibilita' dei reati edilizi, finalizzata a fronteggiare un cronico deficit della finanza pubblica, e' ben individuabile a quali approdi di illegalita' sono orientati, anzi incentivati i cittadini che abbiano difficolta' ad ottenere la concessione edilizia, o che comunque intendano rinunciare al controllo dell'iter concessorio. Va inoltre rilevato che l'apparente equilibrio riscontrabile nella complessiva disciplina del 1985 tra rigore e clemenza (il primo rivolto a un probabile futuro; la seconda rivolta a un certo passato) e' oggi infranto a favore della seconda. Infatti da un lato, il legislatore ha predisposto una semplificazione se non addirittura una cancellazione dei controlli preventivi (vedi norme in materia di controllo, di semplificazione dei procedimenti in materia urbanistico-edilizia e di incentivazione dell'attivita' edilizia, di cui al d.-l. 26 gennaio 1995 n. 24, sostituito dal d.-l. 27 marzo 1995 n. 88, sostituito dal d.-l. 26 maggio 1995 n. 193, sostituito dal d.-l. 26 luglio 1995 n. 310, sostituito dal d.-l. 20 settembre 1995 n. 400, sostitui to dal decreto-legge n. 498/1995), i controlli visti come ostacoli allo sviluppo economico e produttivo del settore edilizio. Dall'altro lato, a questa nuova filosofia liberalizzatrice il legislatore ha accompagnato la sconfessione di quella vecchia (rigore e chiusura con il passato di illegalita'), ampliando lo spessore della clemenza attraverso criteri selettivi di ampio respiro e di ampia elasticita'. Come e' stato giustamente osservato il primo comma dell'art. 39, nella parte in cui stabilisce che le disposizioni della sanatoria valgono anche per le opere abusive, relative a nuove costruzioni non superiori a 750 mc, fa riferimento a ogni "singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria". L'oscura e vaga espressione "nuove costruzioni" lascia intendere che dietro di essa si celi pudicamente la chiara volonta' del legislatore di estendere la clemenza negoziata a volumetrie anche superiori all'apparente limite, purche' ciascun richiedente si presenti come titolare di una contenuta frazione del piu' vasto complesso immobiliare. Il comma sedicesimo dello stesso articolo, contempla che le riduzioni previste dal settimo comma dell'art. 34 della legge n. 47/1985 (riguardante costruzioni o impianti destinati ad attivita' industriali, artigianali, commerciali, turistico-ricettive ecc.) siano applicate "anche in deroga ai limiti di cubatura di cui al primo comma". Questo limite eludibile e ampliabile a dismisura, se arricchira' le casse dello Stato, impoverira' irreversibilmente il patrimonio paesaggistico e il territorio del nostro paese (vedi in tal senso le osservazioni del pretore di Roma ord. 10 luglio 1995). Non convince la recente giurisprudenza costituzionale, che: a) ancora la eccezionalita' della disciplina ex art. 39 a "ragioni contingenti e straordinarie di natura finanziaria" - costituite dal deficit pubblico - che si protraggono da tempo immemorabile, senza concrete prospettive di venir meno e con tendenziale proiezione ad aggravarsi; b) ancora tale disciplina a "condizioni di straordinarieta'" costituite dalla "persistenza dell'abusivismo" cioe' a un fenomeno di illegalita' di massa assolutamente indenne da crisi o da flessioni, passate, presenti o future; c) affida il recupero della illegalita' proprio all'ampliamento della non punibilita' (sia esso nuovo o novellato), senza spiegare come e perche' i cittadini, dinanzi all'estendersi nel tempo della rinuncia dello Stato alla pretesa punitiva, dovrebbero rinunciare ad avere fiducia nell'impunita' (troppo sottile e' l'abbozzato distinguo tra autonomia della normativa del 1994 e sua gemmazione da quella del 1985 - v. par. 2.2 sentenze n. 427/1995 che richiama la sentenza n. 416/1995). Questa rinuncia alla punibilita' dei reati urbanistici, cosi come modellata dalla presente legge, ha una carica criminogena che ne rende evidente l'irragionevolezza e il conseguente contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Il punto di crisi di questo provvedimento e' segnato - dinanzi a un fenomeno di illegalita' di massa - dalla utilizzazione reiterata della non punibilita' o della non procedibilita' come merce di scambio, in corrispettivo di entrate, per raggiungere fini economico-finanziari, posti su piano totalmente eccentrico rispetto al bene tutelato e offeso dall'altro contraente del negozio premiale. L'incongruenza funzionale di questa disciplina premiale e' di tale entita' da minare irreversibilmente la tutela del paesaggio e dell'equilibrato sviluppo del territorio. Questa carica criminogena ha una sua naturale radice nell'impossibilita' di chiedere all'offensore una qualsiasi condotta "antagonista" rispetto all'attivita' antigiuridica posta in essere. In un'altra ipotesi di resa dinanzi al fenomeno della illegalita' di massa (condoni tributari) la prassi legislativa ha posto come condizione minima il pagamento del tributo evaso, per mantenere la causa estintiva in un rapporto reale con l'offesa realizzata e per evitare che essa finisca con il premiare puramente e semplicemente l'illegalita', riducendo coloro che avessero soddisfatto per intero il loro obbligo "al rango di poveri allocchi". Anche in questa ipotesi, nel lontano 1982, il legislatore ha invocato lo stato di necessita', trattandosi di assicurare proventi finanziari "indispensabili nell'attuale contingenza". Questa motivazione e' stata ritenuta inammissibile, perche' provvedimenti di clemenza cosi' motivati costituiscono ammissione di debolezza, impotenza o scarsa funzionalita' degli strumenti di controllo, che stimola fiducia nell'impunita' della illegalita'. Il denaro che raggiunge le casse dell'erario ha immediatamente effetti positivi, equilibratori degli effetti negativi dell'evasione, ma ha effetti successivamente negativi, in quanto la clemenza cosi' motivata, incentivando la fiducia nell'impunita', aumenta l'evasione, diminuisce le entrate, aggrava lo stato di necessita'. Di contingenza in contingenza, si intrecciano storie di clemenza senza fine: al condono previdenziale (decreto-legge n. 463/1983), al condono tributario con connesse amnistie (decreto-legge n. 429/1982), d.P.R. n. 525/1982 e d.P.R. n. 43/1983), al condono edilizio (legge n. 47/1985), al condono fiscale (decreto-legge n. 69/1989) e a quello adesso collegato (artt. 7 e 8 del decreto-legge n. 83/1991), al condono fiscale (legge n. 413/1991) e alla connessa amnistia (d.P.R. n. 23/1992) e' seguito il condono edilizio in esame. Giustamente e' stato osservato che al diritto penale legittimato da una prospettiva di tutela, si affianca un sistema parallelo che necessariamente sfugge alle regole del primo. "Esso infatti investe solo in termini mediati interessi meritevoli di tutela penale; tuttavia il surplus sanzionatorio che, in gran parte simbolicamente prospetta, la punibilita' periodicamente scambiata incidono su terreni - dominati dalle esigenze erariali - su cui pare giocarsi la stessa sopravvivenza politica del sistema". Da questo reiterato o novellato condono edilizio emerge che le norme penali sull'abusivismo edilizio sono entrate (o hanno consolidato l'ingresso) nel diritto penale "parallelo" caratterizzato dal sistema sanzionatorio "simbolico" e dalla punibilita' "periodicamente scambiata". Si sta formando una fascia di norme che, lungi dal proteggere nel campo urbanistico, beni penalmente e costituzionalmente rilevanti, servono, grazie alla loro infrazione, ad alimentare, un serbatoio di risorse finanziarie, cui attingere periodicamente? La risposta necessariamente positiva a questo interrogativo si carica di un significato ancor piu' spiccatamente criminogeno determinato dall'assoluta eccentricita' tra offesa del territorio e condotta "riparatrice". Alla prima - consacrata, con questo secondo condono, come variabile indipendente dalla pena - segue una condotta "guidata" dal legislatore, che neanche immediatamente ha un effetto riequilibratore rispetto agli effetti negativi dell'abuso edilizio. L'incentivo all'illegalita' - gia' evidente nel caso di compravendita di impunita' per omessi versamenti di denaro - e' ancora piu' forte nel caso di compravendita di impunita' per abuso edilizio: esclusa (naturalmente e razionalmente) l'unica condotta "antagonista" realmente riparatrice dell'offesa (la riduzione in pristino dello stato dei luoghi), la secca monetizzazione della reazione dello Stato cancella ogni rapporto reale tra causa di non punibilita' o di non procedibilita' e interesse penalmente tutelato. L'interesse erariale domina incontrastato; la politica finanziaria prevale sul diritto penale. Si puo' concludere che appaiono conseguenze certe di questo condono edilizio la caduta di credibilita' del precetto penale che assiste la normativa urbanistica, nonche' il diffondersi della convinzione che "ad un condono ne seguira' un altro e che l'abuso nell'urbanistica, in definitiva e alla lunga, paghi piu' dell'osservanza della legge (riservata ai "poveri allocchi"). Nel caso in esame, quindi, la sconfessione dell'impegno al maggior rigore per l'abusivismo post-ottantacinque; la reiterata ammissione di debolezza nei confronti dell'illegalita' di massa; la consolidata collocazione tra le entrate dello Stato della rinuncia a pagamento dela pretesa punitiva conducono a ritenere sussistente l'ipotesi di esercizio arbitrario della non punibilita', idoneo "non soltanto a violare l'art. 3 Cost., ma ad alterare, con il principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, l'intero volto del sistema costituzionale in materia penale". Di condono in condono o di riapertura dei termini in riapertura dei termini, si innalzano veri e propri "monumenti" alla illegalita' e all'impunita', in corrispettivo di alcune migliaia di miliardi entrate, preventivate (e neanche interamente incassate v. dati dell'Ente Poste sul "gettito inferiore al previsto" divulgati l'11 gennaio 1996). La fiducia nell'impunita' dei cittadini - nei quali non e' difficile ipotizzare un'aspettativa di altri condoni edilizi, in attesa dei quali iniziare o completare immobili abusivi - puo' e deve essere annullata. Va anche rilevato che alla svendita della pretesa punitiva e della tutela dell'esigenza di prevenzione si accompagna la svendita della tutela di altra esigenza fondamentale, sottesa al governo del territorio (tutela del paesaggio e dell'equilibrato sviluppo del territorio ex art. 9 della Costituzione). L'ordinanza pret. Roma 10 luglio 1995 ha giustamente richiamato l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale che attribuisce importanza preminente alla tutela del paesaggio, definiti "valore primario ed insuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro" (vedi decisioni Corte cost. nn. 94 e 359 del 1985, 151 e 153 del 1986). La nozione di paesaggio, da un originario ambito concettuale ancorato alla valorizzazione di aspetti estetico-culturali, si e' integrata con quella fornita dall'art. 80 del d.P.R. n. 616/1977, coincidente con il concetto di equilibrato sviluppo del territorio, realizzantesi anche mediante la salvaguardia di beni di pregio naturalistico. Questo sacrificio di un valore primario e insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro viene imposto a fini di bilancio, senza che si evidenzi o comunque risulti che il mezzo praticato sia l'unico e insostituibile da utilizzare per la realizzazione di un fine (risanamento del disavanzo pubblico) sia pure di rilievo costituzionale. Per di piu', si provvede alla copertura delle spese pubbliche al di la' della marginale disposizione ex art. 39 commi 13 e 15), in base non alla capacita' contributiva (cosi' come previsto dall'art. 53 Cost.) o alla ripartizione dei costi di servizi divisibili, ma in base al requisito dell'antigiuridicita' della condotta, cioe' della quantita' e quantita' dell'abuso edilizio. Piu' ampia e' la violazione della norma penale, piu' alta e' la somma riequilibratrice del disavanzo pubblico, piu' alti sono i meriti agli effetti del superamento di questo problema di rilievo costituzionale. Si scopre la funzione sociale dell'illegalita'. Questo declassamento della potesta' punitiva dello Stato e della tutela dei beni costituzionalmente protetti, derivante dall'anomalo atto di diritto premiale, in casi di abusivismo edilizio di rilievo non certo bagatellare, puo' essere fermato solo da una pronuncia del giudice delle leggi che, rispondendo anche alle argomentazioni sin qui eluse, espresse dalla regione Emilia-Romagna (vedi le richiamate nella sentenza n. 416/1995 punto 4 e pag. 82 Gazzetta Ufficiale 1 serie speciale n. 32 del 2 agosto 1995) ristabilisca una corretta gerarchia e un corretto equilibrio tra beni e valori di rilievo costituzionale; cancelli la filosofia della contingenza che diventa permanenza; esprima una inequivoca valutazione sulla quotazione in bilancio (nel caso di specie 5.000 miliardi) della rinuncia dello Stato alla pretesa punitiva e sul nuovo ruolo di gabelliere profilantesi per il giudice penale; cancelli questa manifestazione di "tassa sull'illegalita'" o di "tassa di redenzione" (indicativa in tal senso e' l'espressione "esercizio della facolta' penitenziale" usata nella relazione al disegno di legge di conversione del d.-l. 25 novembre 1995 n. 498). Ci e' stato autorevolmente ricordato che il granduca Leopoldo di Toscana, nel 1786, boccio' questo modo di sanare (o di tentare di sanare) il bilancio dello Stato: "Per la stessa ragione di non voler assolutamente che il nostro fisco giammai profitti dei disordini meritevoli di punizione, e perche' ancora riconosciamo come un assurdo intollerabile l'abuso introdotto che le pene affuttive decretate dai giudici si possano redimere dai rei con pagare una somma di denaro al fisco, vogliamo che da qui in avanti resti abolito questo abuso e proibita ogni e qualunque convenzione con il fisco, mediante la quale il condannato possa ottenere condonazione, minorazione e permutazione di pena afflittiva in pecuniaria".