LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa penale contro Bossi Umberto. O s s e r v a 1. - Si procede a carico dell'on. Umberto Bossi a seguito di querela per diffamazione proposta nei suoi confronti dall'on. Ferdinando dalla Chiesa in relazione ad espressioni adoperate dal primo nei confronti del secondo in un comizio elettorale (per l'elezione del sindaco di Milano) il giorno 18 giugno 1993. Il pretore ha ritenuto "non manifestamente fondata" la richiesta dell'on. Bossi di proscioglimento ai sensi dell'art. 68 della Costituzione e ne ha affermato la responsabilita' condannandolo alla pena di L. 2.000.000 di multa oltre al risarcimento dei danni in favore del querelante costituitosi parte civile. L'on. Bossi ha proposto appello, e prima della decisione in questo grado del giudizio la Camera dei deputati, di cui l'on. Bossi faceva parte, chiedeva copia degli atti e quindi, in forza degli artt. 68 della Costituzione e 3, comma 2, ult. periodo del d.-l. 13 marzo 1995 n. 69 e successive numerose reiterazioni, da ultimo (al momento della pronuncia della Camera) il 7 settembre 1995 n. 374 (attualmente invece e' vigente il d.-l. 12 marzo 1996 n. 116), in data 31 gennaio 1996 deliberava che "i fatti per i quali e' in corso il procedimento riguardano l'espressione di opinioni formulate da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni". A seguito di tale decisione parlamentare la p.c. ha presentato una memoria nella quale si contesta la legittimita' - prescindendo dal merito - dell'intervento dell'Assemblea parlamentare in quanto essa avrebbe violato la nuova formulazione dell'art. 68 della Costituzione che consentirebbe alle Camere di pronunciarsi soltanto se il giudice ordinario non ritenga la questione manifestamente infondata: se viceversa tale la ritenesse (come e' accaduto in concreto) la comunicazione alla Camera avrebbe il solo valore di informativa della esistenza di un procedimento a carico di un suo componente. Conseguentemente la p.c. conclude chiedendo che il giudice investito del processo (cioe', nel caso, questa Corte d'appello) disponga la prosecuzione di questo disattendendo la decisione della Camera dei deputati. Con successiva memoria, presentata all'odierna udienza in camera di consiglio, la p.c. sostiene che le modificazioni normative intervenute dopo che il primo giudice ha validamente promosso l'azione, cosi' avviando il procedimento, non avrebbero influenza sull'ulteriore corso della procedura, la quale non puo' subire arresti per motivi sopravvenuti. Il p.g. ha viceversa chiesto che la Corte, in riforma dell'appellata sentenza, assolva l'imputato dal reato ascrittogli perche' il fatto non costituisce reato, ai sensi degli artt. 129 e 530 c.p.p., in quanto spetta alla Camera valutare le condizioni della insindacabilita' delle opinioni espresse dai parlamentari, salvo il possibile controllo di legittimita' nella forma del conflitto davanti alla Corte costituzionale, anche alla luce del d.-l. 12 marzo 1996 n. 116 contenente disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione ed attualmente vigente. La Corte costituzionale con le sentenze n. 1150/1988 e 443/1993, sempre secondo il p.g., ha chiarito che il controllo di legittimita' puo' avere ad oggetto unicamente la sussistenza di eventuali vizi di procedura ovvero l'omessa od arbitraria valutazione dei presupposti di insindacabilita', e la delimitazione di tali presupposti non puo' essere effettuata dall'autorita' giudiziaria quando (come nel caso in esame) si sia pronunciata la Camera di appartenenza dell'imputato, perche' diversamente si verificherebbe una inammissibile interferenza nelle prerogative di cui all'art. 68 Cost. 2. - L'art. 68 Cost., primo comma (che qui interessa), cosi' come modificato dall'art. 1 legge cost. 29 ottobre 1993 n. 3, dispone che "I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni". Il problema del presente procedimento e' se le opinioni espresse dall'on. Bossi nel comizio del 18 giugno 1993 costituissero esercizio della funzione parlamentare; pregiudiziale a cio' e' la necessita' di stabilire a chi spetti la valutazione in proposito. L'art. 2 del d.-l. 12 marzo 1996 n. 116 stabilisce al primo comma che l'art. 68 della Costituzione si applica per una serie (praticamente onnicomprensiva) di atti parlamentari; al terzo comma e' stabilito che per gli atti di cui sopra "e in ogni altro caso in cui ritenga applicabile l'art. 68, primo comma, della Costituzione ad attivita' divulgative connesse, pur se svolte fuori dal Parlamento il giudice lo dichiara con sentenza ...". Se il giudice non ritiene applicabile l'art. 68 deve comunque informare il Parlamento, che puo' andare di diverso avviso; in quest'ultimo caso (che e' quello verificatosi in concreto) il giudice deve pronunciare sentenza, salvo che ritenga di elevare conflitto di attribuzioni. Da tale normativa si ricava innanzi tutto la infondatezza della richiesta della p.c. di disapplicare direttamente la pronuncia parlamentare: se del caso, questa Corte dovra' sollevare il conflitto davanti alla Corte costituzionale. La operativita' immediata delle modificazioni normative intervenute nel corso del processo, gia' desumibile dai principi regolatori del processo, trova da ultimo una conferma nella ordinanza della Corte costituzionale 17-24 aprile 1996 n. 130, di recentissima pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale 30 aprile 1996. 3. - Prima della riforma dell'art. 68 della Costituzione perche' si potesse procedere penalmente a carico di un parlamentare era necessario ottenere l'autorizzazione a procedere da parte della Camera di appartenenza. E' evidente che tale autorizzazione poteva essere concessa se il reato non rientrava tra quelli commessi nell'esercizio delle funzioni parlamentari, per i quali valeva il divieto (allora definitivo di "perseguibilita'", mentre oggi e' stata introdotta, come si e' visto, l'espressione "chiamato a rispondere"). L'autorizzazione a procedere, come diceva il nome stesso, e come giurisprudenza e dottrina ritenevano, costituiva una condizione di procedibilita', senza la quale il procedimento era bloccato. Oggi tale condizione non e' piu' richiesta a seguito della riforma dell'art. 68, per cui il procedimento puo' liberamente mettersi in moto, salvo l'intervento della Camera cui appartiene l'inquisito, la quale puo' ritenere, con efficacia vincolante per il giudice salva la proposizione del conflitto, che il fatto commesso costituisca esercizio dell'attivita' parlamentare. La natura processuale (condizione di procedibilita') dell'autorizzazione a procedere comporta che, soppresso tale istituto, il processo, anche relativo a fatti commessi prima della riforma dell'art. 68, puo' iniziare il suo corso, (salvo appunto il gia' ricordato intervento di merito del Parlamento). Questo discorso riguarda direttamente il caso in esame, relativo a fatti commessi prima della riforma dell'art. 68 della Costituzione. Viceversa la pronuncia della Camera sulla legittimita' della condotta di cui il singolo parlamentare e' chiamato a rispondere - legittimita' derivante dell'esercizio di attivita' parlamentare ovvero di attivita' divulgativa connessa - costituisce accertamento che il fatto e' stato commesso nell'esercizio di un diritto, cioe' nel concorso di una causa di giustificazione che comporta l'assoluzione nel merito, come esattamente richiede il p.g.; e cio' salva soltanto la gia' ricordata ipotesi del conflitto. 4. - La dettagliata specificazione dei casi di insindacabilita' parlamentare, contenuta nell'art. 2 d.-l. 12 marzo 1996 n. 116 sopra citato, costituisce una novita' rispetto alla decretazione precedente. Poiche' peraltro la fonte primaria, nella materia, e' l'art. 68 Cost., il primo esame da compiere e' quello della compatibilita' fra i casi di insindacabilita' stabiliti dalla Costituzione e quelli di cui al decreto-legge; l'art. 68 della Costituzione come si e' visto, si riferisce alle opinioni espresse dal parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni (ed ai voti dati, ma questa ipotesi non rileva in giudizio), il secondo definisce come rientranti nelle funzioni parlamentari, oltre ad una serie di atti sicuramente propri dell'attivita' parlamentare (primo comma), anche "le attivita' divulgative connesse". Se si dovesse ritenere che tale estensione dell'insindacabilita' ecceda i limiti dell'art. 68 non resterebbe che la proposizione della questione di legittimita' costituzionale della norma davanti alla Corte costituzionale. Non sembra peraltro che ricorra tale vizio di illegittimita' costituzionale, perche' non pare dubbio che il parlamentare debba essere libero, oltre che di manifestare la propria opinione, anche di darne adeguata divulgazione affinche' l'elettore (cioe' il "popolo sovrano" di cui all'art. 1 Cost.) ne sia compiutamente informato e possa valutare il comportamento di ciascun proprio rappresentante. Del pari non vi e' dubbio che l'estensione della insindacabilita' alle attivita' non strettamente parlamentari ma divulgative abbia un contenuto sostanziale che opera anche con riferimento ai fatti commessi in precedenza, anche se tale fattispecie non era materialmente contemplata nella normativa previgente. Si tratterebbe infatti della legittimazione di una attivita' precedentemente vietata, con conseguente operativita' dell'art. 2, comma secondo, c.p. 5. - Il problema, a questo punto, diviene quello di accertare se, nel caso di specie, l'attivita' oggetto dell'imputazione a carico dell'on. Bossi rientri o meno fra le attivita' divulgative connesse all'esercizio dell'attivita' parlamentare. La Camera dei deputati ha dato una sostanziale risposta affermativa, anche se non formulata con riferimento agli esatti termini nei quali la questione viene qui impostata perche' ancora non era stato emanato il d.-l. 12 marzo 1996 n. 116 e quindi il Parlamento non aveva la possibilita' di tenerne conto. Tuttavia la delibera parlamentare rivela la evidente intenzione della Camera di considerare l'attivita' comiziale dell'on. Bossi come ricompresa fra l'espressione di opinioni politiche rientranti nell'esercizio della funzione parlamentare. Occorre premettere, a questo punto, una osservazione fondamentale: la regola della irresponsabilita' parlamentare si pone come una eccezione rispetto al generalissimo principio, proprio dello Stato di diritto, della responsabilta' individuale. La eccezione in questione e' perfettamente lecita e trova la sua inattaccabile giustificazione nella necessita' di garantire in ogni momento e con la massima estensione possibile la liberta' dei parlamentari - di ciascun componente del Parlamento - nell'esercizio delle sue funzioni: la liberta' di tale esercizio, e non un qualsivoglia tipo di privilegio, costituisce il fine della disposizione. Come e' regola comune del diritto, peraltro, ogni eccezione va interpretata in senso restrittivo, nel senso che, dove essa non opera, torna a valere il principio generale. Nel caso in esame, si ripete, non viene in questione una attivita' compiuta all'interno del Parlamento e con riferimento ad opinioni connesse ad una attivita' istituzionale, ma opinioni, politiche, per dir cosi', di ordine partitico, cioe' proprie di attivita' di propaganda e contrasto fra opposti schieramenti politici. Attivita', bene inteso, del tutto lecita ed anzi fondamentale per la sussistenza di un regime di liberta', ma soggetta agli stessi limiti di ogni altra attivita' civile, tra cui quel principio che, con massima latina assai incisiva, si suole indicare come neminem laedere. E cio' fino a quando non si incorra nella eccezione di insindacabilita' parlamentare. Il punto decisivo della vertenza, a giudizio di questa Corte, e' dunque il seguente: l'attivita' compiuta dall'on. Bossi, ed oggetto del giudizio, rientra o meno nelle attivita' divulgative connesse all'esercizio dell'attivita' parlamentare? In caso affermativo si avra' la legittimita' della condotta per l'esercizio di un diritto, in caso contrario la insindacabilita' parlamentare non sara' applicabile. 6. - A giudizio del Parlamento le parole pronunciate dall'on. Bossi hanno "una indissolubile connessione con l'attivita' politica generale del parlamentare, seppure esercitata in occasione del rinnovo del consiglio comunale di Milano: non e' pensabile, infatti, che l'impegno politico di un gruppo contro il supposto "statalismo" di forze politiche avverse possa dispiegarsi solo in Parlamento e non possa essere speso in occasioni particolari, ma di grande rilevanza politica come le tornate elettorali amministrative" (relazione della giunta per le autorizzazioni a procedere, presentata il 4 agosto 1995 ed approvata dalla Camera il 31 gennaio 1996). In altri termini le dichiarazioni in questione costituirebbero la prosecuzione in altra sede dell'attivita' politica svolta propriamente in sede parlamentare dal raggruppamento politico cui appartiene l'on. Bossi. Questa Corte non ha alcun motivo per dissentire da questa affermazione parlamentare, di per se' pienamente convincente; essa deve tuttavia osservare che tale impostazione non risolve il problema della applicabilita' o meno della insindacabilita' parlamentare, perche' certamente il dibattito politico e' del tutto libero, ma con il rispetto dei diritti altrui, salva la applicazione dell'art. 68 della Costituzione che definisce, e con cio' stesso limita, la portata della insindacabilita' (come si e' gia' sopra osservato). 7. - Le sentenze fondamentali in materia sono quelle 1150/1988 e 443/1993 della Corte costituzionale, la quale ha stabilito che in materia di applicazione dell'art. 68 della Costituzione "e' possibile solo verificare se... da parte della Camera di appartenenza sia stato seguito un procedimento corretto oppure se mancassero i presupposti di detta dichiarazione (di insindacabilita') - tra i quali essenziale quello del collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare" (sent. 443). La recentissima sentenza n. 131/1996 C. cost., in Gazzetta Ufficiale 30 aprile 1996, a sua volta, ammette il conflitto magistratura-parlamento in caso di esercizio non corretto del potere (parlamentare) - per i vizi in procedendo oppure per omessa o erronea valutazione dei suoi presupposti, in particolare per manifesta estraneita' della condotta del parlamentare al concetto di "opinione" o di "esercizio delle funzioni". Nel primo caso si discuteva, in fatto, di dichiarazioni rese da un parlamentare in sede di dibattito, nel quale egli aveva riferito dati sicuramente appresi nell'espletamento di una attivita' specificamente parlamentare; nel secondo invece si tratta di dichiarazioni televisive su fatti di cui non e' indicata, nella sentenza, la fonte. 8. - Non sembra che l'art. 68 possa venire dilatato, in favore degli appartenenti al Parlamento, fino a ricomprendere la tutela di diritti costituzionalmente garantiti non gia' ai parlamentari ma a tutti i cittadini, siano essi membri delle Camere o meno, come i diritti di opinione, di parola e via dicendo, di cui alla Parte I, Titolo I Cost.: non appare infatti possibile ritenere che l'art. 68 abbia voluto ribadire una tutela gia' prevista per tutti, perche' si sarebbe trattato di una attivita' normativa superflua, ne' che abbia voluto estendere per i membri del parlamento i limiti fisiologici stabiliti in via generale all'esercizio dei diritti per gli altri cittadini (come quello relativo alla salvaguardia dei diritti altrui), perche' in tale caso la norma introdurrebbe un privilegio per i parlamentari non collegato alla tutela del libero esercizio delle loro funzioni, e quindi ingiustificato. A conferma di cio' il decreto-legge n. 116/1996 ha introdotto il criterio (gia' individuato dalla Corte costituzionale) per gli atti non compiuti all'interno del Parlamento, della divulgazione dell'attivita' parlamentare stessa. Al di fuori di tale collegamento sembra doversi concludere che si esula dalla salvaguardia dell'art. 68, conclusione che non indebolisce minimamente, d'altra parte, le necessarie garanzie da cui i membri del parlamento debbano essere assistiti. 9. - Questa Corte ha presente che e' stato a volte sostenuto come la necessita' di assicurare in ogni caso una piena tutela per l'istituzione parlamentare postuli la eliminazione di ogni limitazione alla garanzia dell'art. 68. Tale opinione, peraltro, a ben vedere era la stessa che sottostava alla originaria formulazione dell'art. 68, la quale come e' noto aveva portato a fatti talmente disapprovati dall'opinione pubblica, che ravvisava il pericolo di un travalicamento della garanzia nel privilegio gratuito, da avere imposto la modificazione del testo, rivolta a meglio garantire i diritti altrui. La tesi della estensione non illimitata della nuova formulazione dell'art. 68 sembra muoversi nello stesso senso. 10. - In sostanza il problema che si pone nel presente caso e' il seguente: fermo certamente il diritto dell'on. Bossi di manifestare liberamente il proprio pensiero, tale diritto, qualora si esplichi nella illustrazione di tesi politiche generali al di fuori del Parlamento (come ha interpretato i fatti la stessa Camera dei deputati), trova la sua tutela nell'art. 68 ovvero nell'art. 21? Nel primo caso il controdiritto della parte offesa rimarrebbe privato di una tutela che spetterebbe, viceversa, se la condotta venisse riportata nell'ambito dell'art. 21. Per risolvere il problema sopra indicato occorre poi ancora stabilire se l'art. 68, come sopra esposto, e' applicabile, al di fuori dell'attivita' parlamentare in senso stretto, alle sole opinioni divulgative di attivita' parlamentare, e quindi strettamente connesse con queste, oppure si estenda - oltre il dettato sia della lettera dell'art. 68 che del decreto-legge n. 116/1996 - ad ogni manifestazione del pensiero di ciascun parlamentare (anche se avulsa dalla logica dell'argomentazione). Si tratta di un discorso sui limiti di esercizio della potesta' parlamentare, che quindi coinvolge i presupposti di questa, da valutare anche alla stregua del criterio di ragionevolezza e non arbitrarieta' della condotta. 11. - In ogni caso e' evidente che la proposizione del conflitto si presenta non gia' come un mezzo per introdurre una impensabile polemica fra Parlamento e magistratura, ma per fornire alla Corte costituzionale l'occasione per un chiarimento definitivo, anche alla luce delle non perfettamente consonanti decisioni pregresse, in una materia cosi' delicata ed essenziale per la liberta' di tutti i cittadini, sia parlamentari che non. In conclusione, pertanto, deve essere sollevato conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale affinche' quest'ultima stabilisca se le frasi dette dall'on. Bossi nel comizio elettorale milanese costituiscano esercizio di attivita' connessa a quella parlamentare, e quindi insindacabile ai sensi dell'art. 68 Cost., come ha ritenuto la Camera dei deputati, ovvero attivita' politica non connessa all'esercizio di attivita' parlamentare, e come tale sottoponibile ad esame da parte del giudice penale, come richiede la parte civile.