Ricorso  della  regione  autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona
 del  presidente  della  Giunta  regionale  pro-tempore  prof.  Sergio
 Cecotti, rappresentata e difesa - come da delega in calce al presente
 atto  ed  in  virtu' della delibera della Giunta regionale 7 novembre
 1996, n. 5056 -  dall'avv.  Renato  Fusco,  avvocato  della  regione,
 eleggendo  domicilio presso l'ufficio di rappresentanza della regione
 stessa, sito in Roma, piazza Colonna n. 355, contro il Presidente del
 Consiglio dei Ministri in carica,  rappresentato  e  difeso  ex  lege
 dall'Avvocatura   generale   dello  Stato  per  la  dichiarazione  di
 illegittimita' costituzionale del d.-l.  23  ottobre  1996,  n.  542,
 recante "Differimento di termini previsti da disposizioni legislative
 in  materia  di  interventi  in  campo  economico  e  sociale" quanto
 all'art.  11,  concernente  il  regime  comunitario   di   produzione
 lattiera,  per  violazione  degli  artt.  3  e 77 della Costituzione,
 nonche' degli artt. 4, n. 2,  8  e  44  dello  statuto  di  autonomia
 (approvato  con  legge Costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1), nonche'
 del principio della leale collaborazione.
                               In fatto
   A. - La regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e' stata  costituita
 con  legge  cost.  31  gennaio  1963, n. 1, approvativa dello statuto
 speciale.
   Con l'art. 4  di  detta  legge  costituzionale  ad  essa  e'  stata
 attribuita  competenza  legislativa primaria ed esclusiva in numerose
 materie, tra le quali figura pure l'agricoltura e la zootecnia  (art.
 4, n.  2).
   Correlativamente  il  successivo  art.  8  ha  ad  essa  demanadato
 l'esercizio delle funzioni  amministrative  nelle  materie  assegnate
 alla rispettiva competenza legislativa.
   Pure rileva nel presente giudizio l'art. 44 dello statuto medesimo,
 il  quale  espressamente stabilisce che   "Il Presidente della Giunta
 regionale interviene alle  sedute  del  Consiglio  dei  Ministri  per
 essere   sentito,  quando  sono  trattate  questioni  che  riguardino
 particolarmente la Regione".
   Anche si evidenza che  per  la  materia  dell'agricoltura  e  della
 zootecnica   sono  state  trasferite  le  attribuzioni  degli  organi
 centrali  e  periferici  dello  Stato  con  le  norme  di  attuazione
 statutaria  di cui all'art.  65 Stat., contenute nel d.P.R. 26 agosto
 1965, n. 1116, nel d.P.R.  25 novembre 1975, n. 902 e nel  d.P.R.  15
 gennaio 1987, n. 469.
   B. - E' noto che la disciplina del regime delle c.d. quote latte e'
 stata  definita  organicamente con la legge 26 novembre 1992, n.  486
 (dopo un annoso conflitto con l'allora esistente Comunita'  economica
 europea  ed  in attuazione del regolamento CEE n. 804/68, e seguenti)
 allo scopo di contenere la produzione lattiera eccedente nel  mercato
 europeo e per conseguire il rispetto della quota nazionale assegnata.
   Con l'art. 2, comma 1, di detta legge veniva attribuito all'Azienda
 di   Stato   per  gli  interventi  nel  mercato  agricolo  (AIMA)  la
 pubblicazione di "bollettini" indicanti gli elenchi dei produttori  e
 dei   quantitativi   ad   essi   spettanti  su  base  provinciale  da
 trasmettersi alle Regioni.
   Nel successivo comma  2  dello  stesso  art.  2  per  i  produttori
 aderenti  alle  associazioni  UNALAT  e  AZOOLAT si prevedeva che "le
 quote per le consegne e le  vendite  sono  articolare  in  due  parti
 distinte":    di  cui  la quota A rapportata alla produzione lattiera
 commercializzata nel periodo 1988 e 1989;  e  la  quota  B  calcolata
 nella maggiore produzione commercializzata nel periodo 1991-1992.
   Il  comma  3  determinava  invece  la  quota  per  i produttori non
 aderenti ad alcuna associazione.
   In considerazione del fatto che il surrichiamato Regolamento CEE n.
 804/68 imponeva una periodica rideterminazione delle quote  nazionali
 di produzione lattiera di spettanza, con il comma 7 dello stesso art.
 2 si affidava alla regione il compito di svolgere periodici controlli
 sull'entita'    della   produzione   commercializzata   dai   singoli
 produttori, con l'onere di segnalare all'AIMA  eventuali  diminuzioni
 accertate al fine dell'aggiornamento del bollettino.
   Infine   il   comma   8   demandava   al   decreto   del   Ministro
 dell'agricoltura  e  foreste,   previo   parere   della   "Conferenza
 permanente  per  i  rapporti  tra lo Stato, le regioni e le provincie
 autonome  di  Trento  e  Bolzano"   e   sentite   le   organizzazioni
 professionali  agricole  maggiormente  rappresentative  e  a  livello
 nazionale, la fissazione dei  criteri  generali  di  riduzione  della
 produzione  stessa  nel caso che le quote nazionali stabilite in sede
 comunitaria risultassero superate dalla quantita' attribuita  in  via
 provvisoria ai produttori.
   Il successivo art. 5 - per quanto riguarda l'oggetto della presente
 impugnazione  -  regolava  le  procedure di compensazione delle quote
 latte prodotte stabilendo:
     al  comma  4  che  ne  confronti  dei  produttori  associati  gli
 acquirenti   trattengono  il  prelievo  supplementare  per  tutte  le
 consegne  che  oltrepassano  la  quota  individuale  dei   produttori
 medesimi come risultante dai bollettini pubblicati dall'AIMA;
     al  comma  5  che  i  presidenti delle associazioni di produttori
 effettuano la compensazione tra le minori  e  le  maggiori  quantita'
 consegnate   dai   produttori   associati,   computando  le  consegne
 effettuate da tutti i produttori  associati  titolari  di  quote,  ed
 imputano   con   apposita  deliberazione  il  prelievo  supplementare
 eventualmente dovuto ai produttori  che  hanno  superato  la  propria
 quota  proporzionalmente alle quantita' eccedenti commercializzate da
 ciascuno;
     al comma 6 che i  presidenti  delle  associazioni  di  produttori
 comunicano  con lettera raccomandata l'ammontare delle somme imputate
 a ciascun produttore;
     al comma 7 che la deliberazione relativa  alla  compensazione  di
 cui  al  comma 5 e le comunicazioni di cui al comma 6 siano trasmesse
 alle Regioni e alle Provincie autonome di Trento e Bolzano ove  hanno
 sede le associazioni medesime nonche' all'AIMA;
     al  comma  8 che gli acquirenti versano il prelievo supplementare
 comunicato dall'Associazione per ciascun produttore  e  restituiscono
 ai  medesimi  le  somme  residue ad essi spettanti, comprensive degli
 interessi legali;
     al  comma  9 che, ove i Presidenti delle associazioni non abbiano
 comunicato entro sei mesi agli acquirenti  l'ammontare  del  prelievo
 supplementare  che  deve  essere  versato per ciascun produttore, gli
 acquirenti  versano  l'intero  ammontare  trattenuto  ai   produttori
 associati ai sensi del comma 4.
   In  attuazione  della  legge n. 468/1992 veniva emanato il d.-l. 23
 dicembre 1994, n. 727, poi convertito nella legge 24  febbraio  1995,
 n.  46,  riguardante  appunto  "Norme  per  l'avvio  degli interventi
 programmati in agricoltura e per il rientro della produzione lattiera
 nella quota comunitaria".
   In esecuzione pure del sopravvenuto regolamento CEE  n.  3950/1992,
 all'art.   2   si   stabiliva   "...   di  procedere  alla  riduzione
 prioritariamente della quota A non in  produzione  e  successivamente
 della  quota  B  assegnata  ai produttori" in base a taluni parametri
 quantitativi; ed escludendo comunque da detta riduzione i  produttori
 operanti  in  zone  montane  ed  in  quelle  svantaggiate  (o ad esse
 equiparate), nonche' nelle isole.
   Con l'art. 2-bis si ammetteva l'autocertificazione della produzione
 nei rapporti tra venditori ed acquirenti.
   Nei due citati atti legislativi veniva omessa pero' ogni previsione
 di consultazione delle  regioni  che  pure  era  stata  espressamente
 stabilita nella legge n. 468/1992|
   Il  decreto-legge  n. 727/1994 e la legge di conversione n. 46/1995
 venivano impugnati dinanzi a codesta ecc.ma Corte  costituzionale  da
 parte della regione Veneto e della regione Lombardia, che tra l'altro
 eccepivano  la  esclusione  della  previa consultazione regionale per
 l'adozione degli atti riguardanti la riduzione  della  produzione  al
 fine del conseguimento della quota nazionale assegnata.
   Con   la  sentenza  28  dicembre  1995,  n.  520,  si  accoglievano
 parzialmente i proposti ricorsi ed in particolare  si  dichiarava  la
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  1,  della legge
 stessa nella parte in cui non erasi previsto il parere delle  regioni
 direttamente  interessate  al  procedimento  di riduzione delle quote
 assegnate ai  produttori  di  latte:  motivandosi  espressamente  che
 risultava  fondata  la  censura  di  violazione degli artt. 117 e 118
 della  Costituzione  (che  attribuiscono   alle   regioni   ordinarie
 competenze legislative ed amministrative in materia di agricoltura) e
 del   principio  della  leale  collaborazione  tra  Stato  e  regioni
 medesime.
   Nonostante  l'espresso  richiamo  di  codesta  ecc.ma  Corte   alla
 doverosita'  da  parte  del  Governo dell'emanazione di provvedimenti
 legislativi nel pieno rispetto del principio di leale  collaborazione
 tra  Stato  e  Regioni,  la  materia  de  qua ha continuato ad essere
 oggetto  di  atti  legislativi  assunti  esclusivamente  al   livello
 centrale,  in  assenza  di  qualsiasi  concordamento  con l'autonomie
 regionali, e puntualmente oggetto di impugnazioni  per  questioni  di
 legittimita' costituzionale.
   Si  fa cosi' riferimento ai decreti-legge n. 124/1996, n. 260/1996,
 n. 353/1996,  n.  463/1996  e  n.  552/1996,  con  i  quali  in  modo
 irrazionale  -  per  quanto  attiene  alla  portata sostanziale delle
 previsioni normative - e costituzionalmente illegittimo - per  quanto
 attiene  all'emanazione dei decreti stessi in violazione dell'art. 77
 della Costituzione e del principio di leale collaborazione - e' stata
 prevista  e  disciplinata  prima  la  pubblicazione di "bollettini di
 aggiornamento"  riguardanti  gli   elenchi   dei   produttori   e   i
 quantitativi  delle  quote  latte  ad  essi spettanti, e in ultimo le
 modalita' di svolgimento della compensazione nazionale.
   Infatti con l'ennesimo  d.-l.  8  agosto  1996,  n.  440,  venivano
 emanate  norme  concernenti  il  "Differimento di termini previsti da
 disposizioni legislative in materia di interventi in campo  economico
 e sociale".
   Detto   decreto   all'art.  11  rubricato  "Regime  comunitario  di
 produzione lattiera" stabiliva con effetto  retroattivo:
     al  comma  1   che   a   partire   dal   periodo   1995-1996   di
 regolamentazione  della  produzione lattiera cessa l'applicazione dei
 commi 5, 6, 7, 8 e 9 dell'art. 5 della legge n. 468/1992, in concreto
 annullando  la  procedura  di  compensazione  in   ambito   regionale
 effettuata dalle Associazioni di produttori;
     al  comma  2  che  i  versamenti  e  le  restituzioni delle somme
 trattenute degli acquirenti a titolo di prelievo  supplementare  sono
 effettuati   a   seguito   dell'espletamento   delle   procedure   di
 compensazione nazionale da parte    dell'AIMA.  Sulle  somme  residue
 spettanti ai produttori sono dovuti gli interessi legali;
     al  comma  3  che  gli  acquirenti  che  hanno  gia'  disposto la
 restituzione delle somme ai produttori ai sensi del sospeso  art.  5,
 comma  8,  della legge n. 468/1992, procedono a nuove trattenute pari
 all'ammontare delle somme restituite. Ove cio' non fosse possibile si
 applicano le disposizioni di cui all'art. 7 della medesima  legge  n.
 468/1992.
   A seguito di tale nuovo regime normativo i produttori della regione
 Friuli-Venezia  Giulia sono incorsi in pagamenti per la compensazione
 di importo complessivo superiore a 8 miliardi e 200  milioni,  contro
 gli   822  milioni  calcolati  con  la  compensazione  a  livello  di
 Associazione di produttori.
   Tale  disposizioni  (gia'  oggetto  di  questioni  di  legittimita'
 costituzionale   di   fronte  a  codesta  ecc.ma  Corte)  sono  state
 puntaulmente reiterate con il d.-l. 23 ottobre 1996, n. 542,  recante
 "Differimento  di  termini  previsti  da  disposizioni legislative in
 materia di interventi in campo economico e  sociale",  oggetto  della
 presente impugnazione.
                              In diritto
   Le  surriportate  disposizioni  dell'art.  11  del d.-l. 23 ottobre
 1996, n. 542, risultano costituzionalmente illegittime per i seguenti
                              M o t i v i
   1. - Violazione degli artt. 4, 8 e 44 Statuto (legge costituzionale
 31  gennaio  1963,  n.  1),  nonche'  del   principio   della   leale
 collaborazione  tra  Stato  e  Regione,  irragionevolezza della norma
 censurata.
   1.1. - Si e' gia' sopra illustrato come la  ricorrente  Regione  e'
 attribuitaria  di  competenza  primaria  esclusiva  -  legislativa ed
 amministrativa - in materia  di  agricoltura  e  zootecnia  ai  sensi
 dell'art.  4, n.  2 e dell'art. 8 della legge cost. n. 1/1963; e come
 altresi' vi sia obbligo per il Governo di invitare  e  consultare  il
 presidente  della  Giunta  regionale  nelle  sedute del Consiglio dei
 Ministri nelle quali si trattino questioni interessanti  comunque  la
 regione  Friuli-Venezia  Giulia  nell'osservanza  dell'art.  44 dello
 Statuto medesimo.
   E'  ben  nota  l'affermazione  costante  di  codesta  suprema Corte
 secondo  cui  per  l'attuazione  di   tale   particolare   forma   di
 collaborazione  e' necessario che le questioni trattate dal Consiglio
 dei  Ministri  comportino   il   coinvolgimento   di   un   interesse
 differenziato   delle   Regioni   alle   quali   e'   statutariamente
 riconosciuto il diritto di partecipare alle sedute dello stesso.
   Ma anche sotto tale profilo non vi dovrebbe essere di dubbio alcuno
 che il richiesto interesse differenziato della regione Friuli-Venezia
 Giulia  sussisteva  con  riferimento  all'emanato  decreto-legge   n.
 542/1996.
   Detto   decreto   riguardava,  senza  alcuna  incertezza,  anche  e
 specificamente  la  ricorrente  regione:  sia  per  la  gia'   citata
 attribuita competenza primaria ed esclusiva in materia di agricoltura
 e   zootecnia;   sia   per   la  partecipazione  regionale  anche  al
 procedimento  di  rientro  nella  produzione  lattiera  nella   quota
 nazionale  gia'  prevista  espressamente  nella legge n. 46/1995; sia
 soprattutto per le particolari  gravi  conseguenze  economico-sociali
 delle scelte statali in un settore produttivo regionale.
   Conseguentemente  il  mancato  invito  del  presidente della Giunta
 regionale alla seduta del Consiglio dei Ministri nella quale e' stato
 adottato il decreto-legge n. 542/1996 e la mancata  consultazione  in
 proposito  determina  la  irrimediabile illegittimita' costituzionale
 del decreto legislativo medesimo.
   1.2. - Oltre che per la - specifica  -  mancata  consultazione  del
 presidente  della  Giunta regionale, l'adottato decreto-legge risulta
 piu' in generale illegittimo  perche'  assunto  in  violazione  tanto
 delle  competenze  costituzionalmente assegnate alla regione autonoma
 del Friuli-Venezia Giulia nelle suddette materie  dell'agricoltura  e
 della  zootecnia;  quanto  del  principio di leale collaborazione tra
 Stato e Regione espressamente sancito con la gia' richiamata sentenza
 n. 520/1996 di codesta ecc.ma Corte  con  riferimento  al  precedente
 decreto-legge  n. 727/1994 (ed alla legge di conversione n. 46/1995):
 emanata quest'ultima con riguardo quindi alla medesima materia  della
 riduzione delle quote latte e agli atti legislativi che costituiscono
 presupposto  giuridico  del  decreto-legge  n. 542/1996 oggetto della
 presente impugnazione.
   1.2.1. - In particolare la violazione di detto principio  di  leale
 collaborazione  veniva  sanzionato  puntualmente in tale apprezzabile
 decisione,  ritenendosi  fondata  l'allora  proposta   eccezione   di
 incostituzionalita'  "...  in relazione alla mancata previsione nella
 norma  impugnata  di  qualsivoglia   partecipazione   regionale   nel
 procedimento  di  riduzione  delle quote individuali: e invero ove si
 considerino i  contenuti  della  disciplina  in  esame,  che  investe
 interventi  sulla  dimensione  produttiva  di  aziende  comprese  nel
 settore agricolo (v. sentenza n. 304 del 1987) la completa esclusione
 delle Regioni dal procedimento in questione non puo' trovare adeguata
 giustificazione ne' in relazione all'urgenza con  cui  si  e'  dovuto
 provvedere ai fini del rientro nella quota nazionale ne' in relazione
 alla  presenza, connessa a tale rientro, di un interesse nazionale al
 rispetto di impegni assunti in sede comunitaria. Non  senza,  d'altro
 canto,  considerare che la procedura gia' adottata dall'art. 2, comma
 7, della legge n. 468  del  1992  aveva  affidato  direttamente  alle
 Regioni  la  riduzione  delle  quote assegnate, ove le stesse fossero
 risultate maggiori della produzione effettiva".
   Ed  ancora  di  seguito  si  puntualizzava  che  "... rispetto alla
 fattispecie regolata dalla norma in esame...  la  presenza  regionale
 andava  in  ogni  caso  salvaguardata  quanto  meno nella forma della
 richiesta di parere. E questo tanto piu' che ove si consideri che  le
 ipotesi  di  sottrazione  alla procedura di riduzione contemplate nei
 commi 1 e  2-bis  dell'art.  2  sono  tali  da  involgere  almeno  in
 prevalenza, valutazioni spettanti alla sfera dei poteri regionali".
   Pur essendo stato sancito autorevolmente con tale sentenza additiva
 l'obbligo  di  garantire la partecipazione regionale nel procedimento
 di riduzione  delle  quote  latte,  con  deprecabile  ostinazione  il
 Governo   ha  disatteso  tale  statuizione  procedendo  indebitamente
 all'emanazione dei numerosi e reiterati decreti-legge senza alcuna  -
 seria  e  concreta  -  forma di collaborazione e coordinamento con le
 Regioni attributarie di specifiche  potesta'  in  materia;  omettendo
 completamente  di  attivare ogni intesa o consultazione collaborativa
 pur ritenuta doverosa e necessaria  anche  da  codesta  ecc.ma  Corte
 costituzionale con la citata sentenza n. 520/1995.
   2.  -  Violazione  dell'art.  77  Cost., anche con riferimento agli
 artt. 4, n. 2, 8 e 44 St. (legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1) nonche'
 del principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni.
   2.1. - E' evidente che l'impugnato decreto-legge - come pure  tutti
 i  decreti-legge  sopra citati non convertiti - ha come unica ragione
 giustificativa  quella  di  mantenere  la  vigenza  di   disposizioni
 legislative  che  il  Governo  non  e'  stato  e  non  e' in grado di
 sottoporre al dibattito parlamentare.
   Infatti la giustificazione motivazionale espressa  in  epigrafe  al
 decreto  appare  del  tutto  generica  ed apodittica. Ma maggiormente
 rileva il fatto  che  l'impugnato  decreto  riproduce  fedelmente  le
 disposizioni  del  precedente decreto-legge n. 440/1996 e che nessuna
 delle  disposizioni  contenute  nell'eccepito  art.  11,  risulta  in
 qualche  modo  diretta  a  far fronte a nuove situazioni di fatto che
 appaiono di tale "straordinaria necessita' ed urgenza" da  richiedere
 l'utilizzo  del  decreto-legge  e  non  l'attivazione  dell'ordinario
 procedimento di approvazione e promulgazione di una legge ordinaria|
   All'evidenza  la  materia  regolata   dall'impugnata   disposizione
 risulta   essere   l'abolizione  della  compensazione  a  livello  di
 associazione di produttori.
   Non solo quindi non sussiste alcuna  improcrastinabile  urgenza  ed
 indifferibilita'  di  una  tale  disciplina  che  possa  giustificare
 l'eccezionale ricorso alla decretazione d'urgenza, ma anzi la portata
 sostanziale delle previsioni emanate avrebbe al  contrario  richiesto
 adeguato dibattito e concordamento tra lo Stato e le Regioni.
   La  violazione  dell'art.  77 da parte dell'impugnato decreto-legge
 risulta poi dallo stesso carattere reiterativo del medesimo|
   Orbene, codesta ecc.ma Corte con la recente sentenza n. 360/1996 ha
 efficacemente affermato che il decreto-legge iterato o  reiterato  e'
 violativo  del  precetto costituzionale "... perche' altera la natura
 provvisoria della decretazione d'urgenza procrastinando, di fatto, il
 termine invalicabile previsto dalla Costituzione per  la  conversione
 in  legge;  perche'  toglie  valore  al carattere "straordinario" dei
 requisiti  della  necessita'  e  dell'urgenza,  dal  momento  che  la
 reiterazione  viene  a  stabilizzare  e  a  prolungare  nel  tempo il
 richiamo ai motivi gia' posti a fondamento del primo decreto; perche'
 attenua la  sanzione  della  perdita  retroattiva  di  efficacia  del
 decreto non convertito, venendo il ricorso ripetuto alla reiterazione
 a  suscitare nell'ordinamento un'asepttativa circa la possibilita' di
 consolidare gli  effetti  determinati  dalla  decretazione  d'urgenza
 mediante la sanatoria finale della disciplina reiterata".
   Inoltre  la  prassi  diffusa e prolungata della reiterazione incide
 negli equilibri istituzionali, "alterando i  caratteri  della  stessa
 forma   di   governo  e  l'attribuzione  della  funzione  legislativa
 ordinaria al Parlamento".
   Viene poi intaccata la stessa certezza del diritto nei rapporti tra
 i diversi oggetti per l'impossibilita' di prevedere sia la durata nel
 tempo delle norme  reiterate  che  l'esito  finale  del  processo  di
 conversione.
   Ancora  la citata sentenza n. 360/1996 statuisce che "il divieto di
 iterazione e di reiterazione, implicito nel  disegno  costituzionale,
 esclude,  quindi, che il Governo in caso di mancata conversione di un
 decreto-legge, possa riprodurre, con un nuovo decreto,  il  contenuto
 normativo dell'intero testo o di singole disposizioni del decreto non
 convertito,  ove il nuovo decreto non risulti fondato su autonomi (e,
 pur sempre, straordinari) motivi di  necessita'  ed  urgenza,  motivi
 che,  in  ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del
 ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto.
 Se e' vero, infatti, che in caso di mancata  conversione  il  Governo
 non  risulta spogliato del potere di intervenire nella stessa materia
 con lo strumento della decretazione d'urgenza, e' anche vero che,  in
 questo caso, l'intervento governativo - per poter rispettare i limiti
 della straordinarieta' e della provvisorieta' segnati dall'art.  77 -
 non  potra'  porsi  in  un rapporto di continuita' sostanziale con il
 decreto non  convertito  (come  accade  con  l'iterazione  e  con  la
 reiterazione)  ma  dovra',  in ogni caso, risultare caratterizzato da
 contenuti normativi sostanzialmente  diversi  ovvero  da  presupposti
 giustificativi nuovi di natura "straordinaria".
   Alla  luce  di  tali  chiarissimi quanto condivisibili principi non
 puo' dubitarsi dell'illegittimita' costituzionale dell'impugnato art.
 11 del decreto-legge n. 542/1996: dal momento che esso ha formalmente
 e sostanzialmente riprodotto, in  assenza  di  nuovi  e  sopravvenuti
 presupposti  straordinari  di  necessita'  ed  urgenza,  il contenuto
 normativo dell'art. 11 del precedente  e  abrogato  decreto-legge  n.
 440/1996.
   2.2.  -  Va  pure  precisato  che  la violazione dell'art. 77 della
 Costituzione va denunciata con diretto riferimento alla lesione delle
 competenze legislative primarie della regione nel settore agricolo  e
 zootecnico:    essendo  ammissibile  la  proposizione di tale censura
 anche  da  parte  regionale  quanto   essa   incide   sulle   proprie
 attribuzioni  (sentenza  n.  29/1995)  e  risulti  di palese evidenza
 (sentenza n. 165/1995).
   E sotto tale aspetto deve eccepirsi che l'affermata sussistenza  di
 una   apodittica   ed  ingiustificata  "straordinaria  necessita'  ed
 urgenza" (come pure enunciato  nella  parte  premessa  dell'impugnato
 decreto-legge)   rende   di  fatto  incompatibile  e  inattuabile  la
 partecipazione regionale alle scelte legislative che con  l'impugnato
 decreto-legge   sono  state  assunte  nella  delicata  materia  della
 riduzione delle quote-latte.
   In  tal modo surrettiziamente si violano le competenze regionali in
 materia; e quelle nel settore  dell'agricoltura  e  della  zootecnica
 specificatamente  assegnate  alla  competenza  primaria  ed esclusiva
 della ricorrente regione|
   2.3.  -  Si  ritiene  ammissibile  tale   illustrato   profilo   di
 incostituzionalita' in relazione ai principi giurisdizionali posti da
 codesta  ecc.ma  Corte,  secondo  i quali nei giudizi di legittimita'
 costituzionale  in  via  principale  l'interesse  a  ricorrere  delle
 regioni e' qualificato esclusivamente dalla finalita' di ripristinare
 l'integraita'  delle  competenze  costituzionalmente  garantite  alle
 medesime ricorrenti.
   Pertanto le regioni in tale sede possono legittimamente far  valere
 presunte   violazioni   concernenti  norme  costituzionali  regolanti
 l'esercizio di un potere governativo -  come  appunto  le  norme  che
 abilitano  il  Governo ad adottare decreti-legge soltanto in presenza
 di situazioni di necessita' ed urgenza  -  nella  misura  in  cui  le
 stesse   comportano  di  per  se'  lesione  diretta  delle  sfere  di
 competenza costituzionalmente  attribuite  alle  autonomie  regionali
 (cfr.  sentenze  nn.  314/1990,  544/1989,  1044  e 302 del 1988 e n.
 29/1995).
   Risulta palese che il Governo ha emanato le contestate disposizioni
 eludendo  il  dibattito  parlamentare.  Quindi   la   lesione   delle
 competenze   regionali   deriva   direttamente   dall'utilizzo  della
 decretazione d'urgenza alla quale e' stato fatto ricorso, in  assenza
 assoluta peraltro dei presupposti costituzionali per essa stabiliti.
   E  cio'  -  pure  ripetesi  -  in  aperto  dispregio delle chiare e
 puntuali statuizioni esplicitate da codesta ecc.ma Corte con la  piu'
 volte citata sentenza n. 520/1995.
   2.4.  -  Il  puntuale  rispetto  delle competenze regionali avrebbe
 richiesto  il  mantenimento  della   compensazione   a   livello   di
 associazioni  di produttori, la cui esclusione doveva comunque essere
 oggetto di puntuale intesa  con  la  regione  in  considerazione  dei
 negativi   riflessi   economici  derivanti  dall'effettuazione  della
 compensione solo in sede nazionale.
   Di fatto il nuovo sistema conduce  all'applicazione  nei  confronti
 degli allevatori della regione di una multa di importo superiore agli
 otto  miliardi  e  duecento milioni| Al contrario la compensazione in
 sede di associazioni di produttori avrebbe evidenziato il prelievo di
 soli  ottocentoventidue  milioni,  il  quale  avrebbe  consentito  di
 avviare  un  processo  di compensazione non traumatico fra le aziende
 che sono in riduzione dell'attivita' e aziende che sono  in  fase  di
 sviluppo.
   E'   evidente   inoltre   che   la   soppressione  del  sistema  di
 compensazione a  livello  di  associazioni  di  produttori  e  quindi
 l'esclusione  di qualsiasi meccanismo basato sulla considerazione dei
 livelli produttivi regionali reca  il  piu'  grave  pregiudizio  agli
 interessi  del  settore della ricorrente regione: infatti l'esclusivo
 ed  imposto  sistema  di  compensazione  a  livello  solo   nazionale
 inevitabilmente  impedisce  che  i  quantitativi di latte prodotti in
 eccedenza rispetto alle quote assegnate possano trovare compensazione
 senza provocare danni alla produzione regionale complessiva.
   E tutto cio' costituisce una lesione  diretta  ed  immediata  delle
 competenze   regionali   dal  momento  che  viene  di  fatto  escluso
 l'esercizio  di  qualsiasi  potesta'  programmatoria  regionale   nel
 settore.
   Va  pure  tenuto  in  massimo  rilievo  che  la portata retroattiva
 dell'impugnato art. 11  e'  inconciliabile  con  qualsiasi  forma  di
 collaborazione  ed  estranea  a  corretti  rapporti  Stato/Regioni, e
 sancisce ulteriormente la sottrazione alla regione  delle  competenze
 statutariamente attribuite.