Ricorso della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente della Giunta regionale pro-tempore prof. Sergio Cecotti, rappresentata e difesa - come da delega in calce al presente atto ed in virtu' della delibera della Giunta regionale 7 novembre 1996, n. 5056 - dall'avv. Renato Fusco, avvocato della regione, eleggendo domicilio presso l'ufficio di rappresentanza della regione stessa, sito in Roma, piazza Colonna n. 355, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri in carica, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.-l. 23 ottobre 1996, n. 542, recante "Differimento di termini previsti da disposizioni legislative in materia di interventi in campo economico e sociale" quanto all'art. 11, concernente il regime comunitario di produzione lattiera, per violazione degli artt. 3 e 77 della Costituzione, nonche' degli artt. 4, n. 2, 8 e 44 dello statuto di autonomia (approvato con legge Costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1), nonche' del principio della leale collaborazione. In fatto A. - La regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e' stata costituita con legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1, approvativa dello statuto speciale. Con l'art. 4 di detta legge costituzionale ad essa e' stata attribuita competenza legislativa primaria ed esclusiva in numerose materie, tra le quali figura pure l'agricoltura e la zootecnia (art. 4, n. 2). Correlativamente il successivo art. 8 ha ad essa demanadato l'esercizio delle funzioni amministrative nelle materie assegnate alla rispettiva competenza legislativa. Pure rileva nel presente giudizio l'art. 44 dello statuto medesimo, il quale espressamente stabilisce che "Il Presidente della Giunta regionale interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri per essere sentito, quando sono trattate questioni che riguardino particolarmente la Regione". Anche si evidenza che per la materia dell'agricoltura e della zootecnica sono state trasferite le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato con le norme di attuazione statutaria di cui all'art. 65 Stat., contenute nel d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116, nel d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902 e nel d.P.R. 15 gennaio 1987, n. 469. B. - E' noto che la disciplina del regime delle c.d. quote latte e' stata definita organicamente con la legge 26 novembre 1992, n. 486 (dopo un annoso conflitto con l'allora esistente Comunita' economica europea ed in attuazione del regolamento CEE n. 804/68, e seguenti) allo scopo di contenere la produzione lattiera eccedente nel mercato europeo e per conseguire il rispetto della quota nazionale assegnata. Con l'art. 2, comma 1, di detta legge veniva attribuito all'Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA) la pubblicazione di "bollettini" indicanti gli elenchi dei produttori e dei quantitativi ad essi spettanti su base provinciale da trasmettersi alle Regioni. Nel successivo comma 2 dello stesso art. 2 per i produttori aderenti alle associazioni UNALAT e AZOOLAT si prevedeva che "le quote per le consegne e le vendite sono articolare in due parti distinte": di cui la quota A rapportata alla produzione lattiera commercializzata nel periodo 1988 e 1989; e la quota B calcolata nella maggiore produzione commercializzata nel periodo 1991-1992. Il comma 3 determinava invece la quota per i produttori non aderenti ad alcuna associazione. In considerazione del fatto che il surrichiamato Regolamento CEE n. 804/68 imponeva una periodica rideterminazione delle quote nazionali di produzione lattiera di spettanza, con il comma 7 dello stesso art. 2 si affidava alla regione il compito di svolgere periodici controlli sull'entita' della produzione commercializzata dai singoli produttori, con l'onere di segnalare all'AIMA eventuali diminuzioni accertate al fine dell'aggiornamento del bollettino. Infine il comma 8 demandava al decreto del Ministro dell'agricoltura e foreste, previo parere della "Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano" e sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative e a livello nazionale, la fissazione dei criteri generali di riduzione della produzione stessa nel caso che le quote nazionali stabilite in sede comunitaria risultassero superate dalla quantita' attribuita in via provvisoria ai produttori. Il successivo art. 5 - per quanto riguarda l'oggetto della presente impugnazione - regolava le procedure di compensazione delle quote latte prodotte stabilendo: al comma 4 che ne confronti dei produttori associati gli acquirenti trattengono il prelievo supplementare per tutte le consegne che oltrepassano la quota individuale dei produttori medesimi come risultante dai bollettini pubblicati dall'AIMA; al comma 5 che i presidenti delle associazioni di produttori effettuano la compensazione tra le minori e le maggiori quantita' consegnate dai produttori associati, computando le consegne effettuate da tutti i produttori associati titolari di quote, ed imputano con apposita deliberazione il prelievo supplementare eventualmente dovuto ai produttori che hanno superato la propria quota proporzionalmente alle quantita' eccedenti commercializzate da ciascuno; al comma 6 che i presidenti delle associazioni di produttori comunicano con lettera raccomandata l'ammontare delle somme imputate a ciascun produttore; al comma 7 che la deliberazione relativa alla compensazione di cui al comma 5 e le comunicazioni di cui al comma 6 siano trasmesse alle Regioni e alle Provincie autonome di Trento e Bolzano ove hanno sede le associazioni medesime nonche' all'AIMA; al comma 8 che gli acquirenti versano il prelievo supplementare comunicato dall'Associazione per ciascun produttore e restituiscono ai medesimi le somme residue ad essi spettanti, comprensive degli interessi legali; al comma 9 che, ove i Presidenti delle associazioni non abbiano comunicato entro sei mesi agli acquirenti l'ammontare del prelievo supplementare che deve essere versato per ciascun produttore, gli acquirenti versano l'intero ammontare trattenuto ai produttori associati ai sensi del comma 4. In attuazione della legge n. 468/1992 veniva emanato il d.-l. 23 dicembre 1994, n. 727, poi convertito nella legge 24 febbraio 1995, n. 46, riguardante appunto "Norme per l'avvio degli interventi programmati in agricoltura e per il rientro della produzione lattiera nella quota comunitaria". In esecuzione pure del sopravvenuto regolamento CEE n. 3950/1992, all'art. 2 si stabiliva "... di procedere alla riduzione prioritariamente della quota A non in produzione e successivamente della quota B assegnata ai produttori" in base a taluni parametri quantitativi; ed escludendo comunque da detta riduzione i produttori operanti in zone montane ed in quelle svantaggiate (o ad esse equiparate), nonche' nelle isole. Con l'art. 2-bis si ammetteva l'autocertificazione della produzione nei rapporti tra venditori ed acquirenti. Nei due citati atti legislativi veniva omessa pero' ogni previsione di consultazione delle regioni che pure era stata espressamente stabilita nella legge n. 468/1992| Il decreto-legge n. 727/1994 e la legge di conversione n. 46/1995 venivano impugnati dinanzi a codesta ecc.ma Corte costituzionale da parte della regione Veneto e della regione Lombardia, che tra l'altro eccepivano la esclusione della previa consultazione regionale per l'adozione degli atti riguardanti la riduzione della produzione al fine del conseguimento della quota nazionale assegnata. Con la sentenza 28 dicembre 1995, n. 520, si accoglievano parzialmente i proposti ricorsi ed in particolare si dichiarava la illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge stessa nella parte in cui non erasi previsto il parere delle regioni direttamente interessate al procedimento di riduzione delle quote assegnate ai produttori di latte: motivandosi espressamente che risultava fondata la censura di violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione (che attribuiscono alle regioni ordinarie competenze legislative ed amministrative in materia di agricoltura) e del principio della leale collaborazione tra Stato e regioni medesime. Nonostante l'espresso richiamo di codesta ecc.ma Corte alla doverosita' da parte del Governo dell'emanazione di provvedimenti legislativi nel pieno rispetto del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, la materia de qua ha continuato ad essere oggetto di atti legislativi assunti esclusivamente al livello centrale, in assenza di qualsiasi concordamento con l'autonomie regionali, e puntualmente oggetto di impugnazioni per questioni di legittimita' costituzionale. Si fa cosi' riferimento ai decreti-legge n. 124/1996, n. 260/1996, n. 353/1996, n. 463/1996 e n. 552/1996, con i quali in modo irrazionale - per quanto attiene alla portata sostanziale delle previsioni normative - e costituzionalmente illegittimo - per quanto attiene all'emanazione dei decreti stessi in violazione dell'art. 77 della Costituzione e del principio di leale collaborazione - e' stata prevista e disciplinata prima la pubblicazione di "bollettini di aggiornamento" riguardanti gli elenchi dei produttori e i quantitativi delle quote latte ad essi spettanti, e in ultimo le modalita' di svolgimento della compensazione nazionale. Infatti con l'ennesimo d.-l. 8 agosto 1996, n. 440, venivano emanate norme concernenti il "Differimento di termini previsti da disposizioni legislative in materia di interventi in campo economico e sociale". Detto decreto all'art. 11 rubricato "Regime comunitario di produzione lattiera" stabiliva con effetto retroattivo: al comma 1 che a partire dal periodo 1995-1996 di regolamentazione della produzione lattiera cessa l'applicazione dei commi 5, 6, 7, 8 e 9 dell'art. 5 della legge n. 468/1992, in concreto annullando la procedura di compensazione in ambito regionale effettuata dalle Associazioni di produttori; al comma 2 che i versamenti e le restituzioni delle somme trattenute degli acquirenti a titolo di prelievo supplementare sono effettuati a seguito dell'espletamento delle procedure di compensazione nazionale da parte dell'AIMA. Sulle somme residue spettanti ai produttori sono dovuti gli interessi legali; al comma 3 che gli acquirenti che hanno gia' disposto la restituzione delle somme ai produttori ai sensi del sospeso art. 5, comma 8, della legge n. 468/1992, procedono a nuove trattenute pari all'ammontare delle somme restituite. Ove cio' non fosse possibile si applicano le disposizioni di cui all'art. 7 della medesima legge n. 468/1992. A seguito di tale nuovo regime normativo i produttori della regione Friuli-Venezia Giulia sono incorsi in pagamenti per la compensazione di importo complessivo superiore a 8 miliardi e 200 milioni, contro gli 822 milioni calcolati con la compensazione a livello di Associazione di produttori. Tale disposizioni (gia' oggetto di questioni di legittimita' costituzionale di fronte a codesta ecc.ma Corte) sono state puntaulmente reiterate con il d.-l. 23 ottobre 1996, n. 542, recante "Differimento di termini previsti da disposizioni legislative in materia di interventi in campo economico e sociale", oggetto della presente impugnazione. In diritto Le surriportate disposizioni dell'art. 11 del d.-l. 23 ottobre 1996, n. 542, risultano costituzionalmente illegittime per i seguenti M o t i v i 1. - Violazione degli artt. 4, 8 e 44 Statuto (legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1), nonche' del principio della leale collaborazione tra Stato e Regione, irragionevolezza della norma censurata. 1.1. - Si e' gia' sopra illustrato come la ricorrente Regione e' attribuitaria di competenza primaria esclusiva - legislativa ed amministrativa - in materia di agricoltura e zootecnia ai sensi dell'art. 4, n. 2 e dell'art. 8 della legge cost. n. 1/1963; e come altresi' vi sia obbligo per il Governo di invitare e consultare il presidente della Giunta regionale nelle sedute del Consiglio dei Ministri nelle quali si trattino questioni interessanti comunque la regione Friuli-Venezia Giulia nell'osservanza dell'art. 44 dello Statuto medesimo. E' ben nota l'affermazione costante di codesta suprema Corte secondo cui per l'attuazione di tale particolare forma di collaborazione e' necessario che le questioni trattate dal Consiglio dei Ministri comportino il coinvolgimento di un interesse differenziato delle Regioni alle quali e' statutariamente riconosciuto il diritto di partecipare alle sedute dello stesso. Ma anche sotto tale profilo non vi dovrebbe essere di dubbio alcuno che il richiesto interesse differenziato della regione Friuli-Venezia Giulia sussisteva con riferimento all'emanato decreto-legge n. 542/1996. Detto decreto riguardava, senza alcuna incertezza, anche e specificamente la ricorrente regione: sia per la gia' citata attribuita competenza primaria ed esclusiva in materia di agricoltura e zootecnia; sia per la partecipazione regionale anche al procedimento di rientro nella produzione lattiera nella quota nazionale gia' prevista espressamente nella legge n. 46/1995; sia soprattutto per le particolari gravi conseguenze economico-sociali delle scelte statali in un settore produttivo regionale. Conseguentemente il mancato invito del presidente della Giunta regionale alla seduta del Consiglio dei Ministri nella quale e' stato adottato il decreto-legge n. 542/1996 e la mancata consultazione in proposito determina la irrimediabile illegittimita' costituzionale del decreto legislativo medesimo. 1.2. - Oltre che per la - specifica - mancata consultazione del presidente della Giunta regionale, l'adottato decreto-legge risulta piu' in generale illegittimo perche' assunto in violazione tanto delle competenze costituzionalmente assegnate alla regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia nelle suddette materie dell'agricoltura e della zootecnia; quanto del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione espressamente sancito con la gia' richiamata sentenza n. 520/1996 di codesta ecc.ma Corte con riferimento al precedente decreto-legge n. 727/1994 (ed alla legge di conversione n. 46/1995): emanata quest'ultima con riguardo quindi alla medesima materia della riduzione delle quote latte e agli atti legislativi che costituiscono presupposto giuridico del decreto-legge n. 542/1996 oggetto della presente impugnazione. 1.2.1. - In particolare la violazione di detto principio di leale collaborazione veniva sanzionato puntualmente in tale apprezzabile decisione, ritenendosi fondata l'allora proposta eccezione di incostituzionalita' "... in relazione alla mancata previsione nella norma impugnata di qualsivoglia partecipazione regionale nel procedimento di riduzione delle quote individuali: e invero ove si considerino i contenuti della disciplina in esame, che investe interventi sulla dimensione produttiva di aziende comprese nel settore agricolo (v. sentenza n. 304 del 1987) la completa esclusione delle Regioni dal procedimento in questione non puo' trovare adeguata giustificazione ne' in relazione all'urgenza con cui si e' dovuto provvedere ai fini del rientro nella quota nazionale ne' in relazione alla presenza, connessa a tale rientro, di un interesse nazionale al rispetto di impegni assunti in sede comunitaria. Non senza, d'altro canto, considerare che la procedura gia' adottata dall'art. 2, comma 7, della legge n. 468 del 1992 aveva affidato direttamente alle Regioni la riduzione delle quote assegnate, ove le stesse fossero risultate maggiori della produzione effettiva". Ed ancora di seguito si puntualizzava che "... rispetto alla fattispecie regolata dalla norma in esame... la presenza regionale andava in ogni caso salvaguardata quanto meno nella forma della richiesta di parere. E questo tanto piu' che ove si consideri che le ipotesi di sottrazione alla procedura di riduzione contemplate nei commi 1 e 2-bis dell'art. 2 sono tali da involgere almeno in prevalenza, valutazioni spettanti alla sfera dei poteri regionali". Pur essendo stato sancito autorevolmente con tale sentenza additiva l'obbligo di garantire la partecipazione regionale nel procedimento di riduzione delle quote latte, con deprecabile ostinazione il Governo ha disatteso tale statuizione procedendo indebitamente all'emanazione dei numerosi e reiterati decreti-legge senza alcuna - seria e concreta - forma di collaborazione e coordinamento con le Regioni attributarie di specifiche potesta' in materia; omettendo completamente di attivare ogni intesa o consultazione collaborativa pur ritenuta doverosa e necessaria anche da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la citata sentenza n. 520/1995. 2. - Violazione dell'art. 77 Cost., anche con riferimento agli artt. 4, n. 2, 8 e 44 St. (legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1) nonche' del principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni. 2.1. - E' evidente che l'impugnato decreto-legge - come pure tutti i decreti-legge sopra citati non convertiti - ha come unica ragione giustificativa quella di mantenere la vigenza di disposizioni legislative che il Governo non e' stato e non e' in grado di sottoporre al dibattito parlamentare. Infatti la giustificazione motivazionale espressa in epigrafe al decreto appare del tutto generica ed apodittica. Ma maggiormente rileva il fatto che l'impugnato decreto riproduce fedelmente le disposizioni del precedente decreto-legge n. 440/1996 e che nessuna delle disposizioni contenute nell'eccepito art. 11, risulta in qualche modo diretta a far fronte a nuove situazioni di fatto che appaiono di tale "straordinaria necessita' ed urgenza" da richiedere l'utilizzo del decreto-legge e non l'attivazione dell'ordinario procedimento di approvazione e promulgazione di una legge ordinaria| All'evidenza la materia regolata dall'impugnata disposizione risulta essere l'abolizione della compensazione a livello di associazione di produttori. Non solo quindi non sussiste alcuna improcrastinabile urgenza ed indifferibilita' di una tale disciplina che possa giustificare l'eccezionale ricorso alla decretazione d'urgenza, ma anzi la portata sostanziale delle previsioni emanate avrebbe al contrario richiesto adeguato dibattito e concordamento tra lo Stato e le Regioni. La violazione dell'art. 77 da parte dell'impugnato decreto-legge risulta poi dallo stesso carattere reiterativo del medesimo| Orbene, codesta ecc.ma Corte con la recente sentenza n. 360/1996 ha efficacemente affermato che il decreto-legge iterato o reiterato e' violativo del precetto costituzionale "... perche' altera la natura provvisoria della decretazione d'urgenza procrastinando, di fatto, il termine invalicabile previsto dalla Costituzione per la conversione in legge; perche' toglie valore al carattere "straordinario" dei requisiti della necessita' e dell'urgenza, dal momento che la reiterazione viene a stabilizzare e a prolungare nel tempo il richiamo ai motivi gia' posti a fondamento del primo decreto; perche' attenua la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito, venendo il ricorso ripetuto alla reiterazione a suscitare nell'ordinamento un'asepttativa circa la possibilita' di consolidare gli effetti determinati dalla decretazione d'urgenza mediante la sanatoria finale della disciplina reiterata". Inoltre la prassi diffusa e prolungata della reiterazione incide negli equilibri istituzionali, "alterando i caratteri della stessa forma di governo e l'attribuzione della funzione legislativa ordinaria al Parlamento". Viene poi intaccata la stessa certezza del diritto nei rapporti tra i diversi oggetti per l'impossibilita' di prevedere sia la durata nel tempo delle norme reiterate che l'esito finale del processo di conversione. Ancora la citata sentenza n. 360/1996 statuisce che "il divieto di iterazione e di reiterazione, implicito nel disegno costituzionale, esclude, quindi, che il Governo in caso di mancata conversione di un decreto-legge, possa riprodurre, con un nuovo decreto, il contenuto normativo dell'intero testo o di singole disposizioni del decreto non convertito, ove il nuovo decreto non risulti fondato su autonomi (e, pur sempre, straordinari) motivi di necessita' ed urgenza, motivi che, in ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto. Se e' vero, infatti, che in caso di mancata conversione il Governo non risulta spogliato del potere di intervenire nella stessa materia con lo strumento della decretazione d'urgenza, e' anche vero che, in questo caso, l'intervento governativo - per poter rispettare i limiti della straordinarieta' e della provvisorieta' segnati dall'art. 77 - non potra' porsi in un rapporto di continuita' sostanziale con il decreto non convertito (come accade con l'iterazione e con la reiterazione) ma dovra', in ogni caso, risultare caratterizzato da contenuti normativi sostanzialmente diversi ovvero da presupposti giustificativi nuovi di natura "straordinaria". Alla luce di tali chiarissimi quanto condivisibili principi non puo' dubitarsi dell'illegittimita' costituzionale dell'impugnato art. 11 del decreto-legge n. 542/1996: dal momento che esso ha formalmente e sostanzialmente riprodotto, in assenza di nuovi e sopravvenuti presupposti straordinari di necessita' ed urgenza, il contenuto normativo dell'art. 11 del precedente e abrogato decreto-legge n. 440/1996. 2.2. - Va pure precisato che la violazione dell'art. 77 della Costituzione va denunciata con diretto riferimento alla lesione delle competenze legislative primarie della regione nel settore agricolo e zootecnico: essendo ammissibile la proposizione di tale censura anche da parte regionale quanto essa incide sulle proprie attribuzioni (sentenza n. 29/1995) e risulti di palese evidenza (sentenza n. 165/1995). E sotto tale aspetto deve eccepirsi che l'affermata sussistenza di una apodittica ed ingiustificata "straordinaria necessita' ed urgenza" (come pure enunciato nella parte premessa dell'impugnato decreto-legge) rende di fatto incompatibile e inattuabile la partecipazione regionale alle scelte legislative che con l'impugnato decreto-legge sono state assunte nella delicata materia della riduzione delle quote-latte. In tal modo surrettiziamente si violano le competenze regionali in materia; e quelle nel settore dell'agricoltura e della zootecnica specificatamente assegnate alla competenza primaria ed esclusiva della ricorrente regione| 2.3. - Si ritiene ammissibile tale illustrato profilo di incostituzionalita' in relazione ai principi giurisdizionali posti da codesta ecc.ma Corte, secondo i quali nei giudizi di legittimita' costituzionale in via principale l'interesse a ricorrere delle regioni e' qualificato esclusivamente dalla finalita' di ripristinare l'integraita' delle competenze costituzionalmente garantite alle medesime ricorrenti. Pertanto le regioni in tale sede possono legittimamente far valere presunte violazioni concernenti norme costituzionali regolanti l'esercizio di un potere governativo - come appunto le norme che abilitano il Governo ad adottare decreti-legge soltanto in presenza di situazioni di necessita' ed urgenza - nella misura in cui le stesse comportano di per se' lesione diretta delle sfere di competenza costituzionalmente attribuite alle autonomie regionali (cfr. sentenze nn. 314/1990, 544/1989, 1044 e 302 del 1988 e n. 29/1995). Risulta palese che il Governo ha emanato le contestate disposizioni eludendo il dibattito parlamentare. Quindi la lesione delle competenze regionali deriva direttamente dall'utilizzo della decretazione d'urgenza alla quale e' stato fatto ricorso, in assenza assoluta peraltro dei presupposti costituzionali per essa stabiliti. E cio' - pure ripetesi - in aperto dispregio delle chiare e puntuali statuizioni esplicitate da codesta ecc.ma Corte con la piu' volte citata sentenza n. 520/1995. 2.4. - Il puntuale rispetto delle competenze regionali avrebbe richiesto il mantenimento della compensazione a livello di associazioni di produttori, la cui esclusione doveva comunque essere oggetto di puntuale intesa con la regione in considerazione dei negativi riflessi economici derivanti dall'effettuazione della compensione solo in sede nazionale. Di fatto il nuovo sistema conduce all'applicazione nei confronti degli allevatori della regione di una multa di importo superiore agli otto miliardi e duecento milioni| Al contrario la compensazione in sede di associazioni di produttori avrebbe evidenziato il prelievo di soli ottocentoventidue milioni, il quale avrebbe consentito di avviare un processo di compensazione non traumatico fra le aziende che sono in riduzione dell'attivita' e aziende che sono in fase di sviluppo. E' evidente inoltre che la soppressione del sistema di compensazione a livello di associazioni di produttori e quindi l'esclusione di qualsiasi meccanismo basato sulla considerazione dei livelli produttivi regionali reca il piu' grave pregiudizio agli interessi del settore della ricorrente regione: infatti l'esclusivo ed imposto sistema di compensazione a livello solo nazionale inevitabilmente impedisce che i quantitativi di latte prodotti in eccedenza rispetto alle quote assegnate possano trovare compensazione senza provocare danni alla produzione regionale complessiva. E tutto cio' costituisce una lesione diretta ed immediata delle competenze regionali dal momento che viene di fatto escluso l'esercizio di qualsiasi potesta' programmatoria regionale nel settore. Va pure tenuto in massimo rilievo che la portata retroattiva dell'impugnato art. 11 e' inconciliabile con qualsiasi forma di collaborazione ed estranea a corretti rapporti Stato/Regioni, e sancisce ulteriormente la sottrazione alla regione delle competenze statutariamente attribuite.