IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 4295/1993 proposto dal sig. Alfredo Rotondo, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Taramelli, con domicilio eletto a Roma presso lo studio del medesimo in via Torino, 138; contro il Ministero delle poste e telecomunicazioni in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui in Roma domicilia; per l'accertamento del diritto del ricorrente ad ottenere il collocamento a riposo con decorrenza 26 ottobre 1992, ai sensi dell'art. 124 d.P.R. n. 1957, n. 3; nonche' del diritto al trattamento di quiescenza ex art. 42, d.P.R. 1973, n. 1092; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle poste; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza del 20 aprile 1995 la relazione del cons. Ciminelli e udito altresi' l'avv. Taramelli per il ricorrente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Il sig. Rotondo, dipendente del Ministero delle poste dal 1959, con istanza presentata all'Amministrazione il 15 maggio 1992, ritenendo di aver maturato il diritto al collocamento a riposo ex art. 125 t.u. 1957, n. 3, chiedeva le dimissioni dal servizio ai sensi del precedente art. 124 dello stesso testo unico, con effetti dal 26 ottobre 1992. Sull'istanza pero' l'Amministrazione non adottava alcun provvedimento. L'interessato chiede col ricorso che gli venga riconosciuto, ex cit. art. 124 il diritto ad ottenere il collocamento a riposo a far tempo da tale data, insieme al trattamento pensionistico, conseguentemente maturato, quest'ultimo come previsto dall'art. 42 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092. A fondamento del ricorso il sig. Rotondo denuncia in primo luogo violazione dell'art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, sostenendo che l'Amministrazione aveva l'obbligo di provvedere sull'istanza entro i successivi trenta giorni, ditalche' l'inerzia sulla richiesta di pensionamento sarebbe illegittima. In via subordinata denuncia, poi, illegittimita' dell'art. 1 della legge 14 novembre 1992, n. 438 di conversione del d.-l. 19 settembre 1992, n. 384 - per violazione degli artt. 3, 38, secondo comma e 53 della Costituzione - sul presupposto che l'assenza di ogni determinazione sulla propria domanda di dimissioni sia dipesa dalla sospensione di ogni determinazione in materia pensionistica imposta dall'art. 1 del citato decreto-legge come integrato dalla legge di conversione. Nella specie la norma de qua sarebbe palesemente irrazionale, atteso che il diritto a fruire del trattamento pensionistico viene fatto materialmente dipendere da un comportamento del tutto arbitrario dall'Amministrazione, come l'accoglimento o meno della domanda di pensionamento prima o dopo il 19 settembre 1992, fissato dalla norma. La quale ultima, inoltre, sempre secondo il ricorrente, violerebbe anche l'art. 38, secondo comma, della Costituzione sul diritto alla pensione, attesa la soppressione, se pur temporanea, di tale diritto che la stessa norma prevede mediante la sospensione; e violerebbe altresi' l'art. 53, secondo comma, della Costituzione, potendosi rapportare la situazione di specie, se non proprio ad una forma di contribuzione, ad una vera e propria menomazione del diritto alla pensione. Resiste in giudizio l'Amministrazione delle Poste. D i r i t t o 1. - Come premesso in fatto, il ricorrente, dipendente delle Poste, ha inoltrato il 15 giugno 1992 domanda di pensionamento, avendone maturato l'anzianita' prescritta, sulla quale domanda l'Amministrazione ha omesso di provvedere in base a quanto disposto dall'art. 1 del decreto-legge n. 384 del 1992 come integrato dalla legge di conversione n. 438 dello stesso anno. Stabilisce l'art. 1 n. 1 del decreto-legge n. 384, ora citato, che in attesa della legge di riforma del sistema pensionistico, a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto e sino al 31 dicembre 1993 (data di seguito prorogata al 1 febbraio 1995 dal d.-l. 28 settembre 1994, n. 553) e' sospesa l'applicazione di ogni disposizione di legge e di regolamento che preveda, con decorrenza nel predetto periodo, trattamenti pensionistici a favore di dipendenti privati o pubblici. In sede di conversione, poi, la legge n. 438 del 1992, in sostituzione del secondo comma di detto art. 1, ha ulteriormente stabilito che la disposizione in discorso, relativa alla sospensione. dei trattamenti pensionistici, non e' applicabile - lett. e) - "ai dipendenti che abbiano presentato domanda di dimissioni da un pubblico impiego, accolta dai competenti organi anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto", ovvero alla data del 19 settembre 1992, giorno di entrata in vigore del citato decreto. 2. - Il ricorrente, nel chiedere il riconoscimento del diritto ad ottenere il trattamento di pensione, a norma dell'art. 42 d.P.R. 1973, n. 1092, con decorrenza fissata nella domanda di collocamento a riposo, ha in primo luogo denunciato illegittimita', a carico del comportamento omissivo dell'Amministrazione, per violazione dell'art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo. In particolare, si sostiene nel ricorso che l'Amministrazione non poteva esimersi dal provvedere sulla domanda di collocamento a riposo ed avrebbe invece dovuto prendere atto della stessa non oltre il trentesimo giorno dalla data della sua presentazione. La censura non ha fondamento. E' vero che la norma invocata, e precisamente l'art. 2, n. 3, della legge n. 241, fissando il termine di trenta giorni (salvo regolamento) per la conclusione dei procedimenti, pone all'Amministrazione un obbligo preciso a provvedere, pena l'illegittimita' (per violazione di legge) del provvedimento fuori termine o la comminatoria dell'inadempimento (eventualmente anche sul piano risarcitorio) ove non intervenga nessun atto prescritto per legge, ma, trattandosi di una norma di principio e comunque di carattere generale (integrata poi, come accennato, dai vari regolamenti attuativi), nella specie il Ministero ben poteva sfuggire al predetto termine in presenza di una norma speciale di tenore contrario. E precisamente di una norma soprassessoria in materia pensionistica, come quella di cui al citato art. 1 del decreto-legge n. 384, nel testo integrato dalla legge di conversione n. 438, il quale espressamente escludeva - come si e' visto - una determinazione sul trattamento pensionistico a meno che la domanda di pensionamento non risultasse gia' accolta alla data del 19 settembre 1992. 3. - Il tema del giudizio si sposta quindi sulle eccezioni di incostituzionalita' sollevate, in subordine, dal ricorrente su tale specifica normativa. In particolare, si denuncia illegittimita' - con riferimento all'at. 3 della Costituzione - dall'art. 1, n. 2, del decreto-legge n. 384 dal 1992 come sostituito alla lett. e) dello stesso comma dettato dalla legge di conversione, nel quale si stabilisce che la sospensione sul tipo di domande in discorso non si applica ai pubblici dipendenti la cui domanda di dismissioni sia stata accolta alla data di entrata in vigore dal decreto. L'eccezione non sembra manifestamente infondata. Ed invero sembra al Collegio irragionevole e soprattutto fonte di disparita' di trattamento, per tutti i dipendenti in possesso di identici requisiti ai fini pensionistici, affidare alla pubblica amministrazione - come fa la citata normativa - la piena liberta' di influire sul regime pensionistico del dipendente, e quindi sui suoi fondamentali bisogni di vita, a seconda che essa stessa accolga o meno la domanda di collocamento a riposo entro il termine del 19 settembre 1992, nella prospettiva della riforma sulla materia cui fa riferimento l'art. 1 del medesimo decreto-legge. Non e' chi non veda, infatti, come l'aggancio o meno del collocamento a riposo alla riforma preannunciata dalla norma, con tutte le conseguenze anche in ordine all'entita', alle modalita' o alle condizioni di percepimento del trattamento pensionistico, in tal modo venga fatto dipendere da una situazione di sostanziale incertezza, in quanto connessa alla mera eventualita' dell'accoglimento o meno della domanda di collocamento a riposo nel termine stabilito. Nel cui riguardo, peraltro, possono intervenire circostanze in sede istruttoria (talune anche del tutto imprevedibili) atte ad influire sulla piu' o meno tempestiva conclusione del procedimento, sia esso di accoglimento o di rigetto della stessa domanda. E dunque contribuendo nel complesso a dare aleatorieta' al rientro o meno della domanda medesima in quel termine di legge: quest'ultimo cosi' chiamato a discriminare irrazionalmente il regime pensionistico che il dipendente dimissionario e' destinato a subire. In base a queste considerazioni il Collegio ritiene quindi di aderire all'esecuzione d'incostituzionalita' della norma, sollevata dal ricorrente. Con l'aggiunta che in base allo stesso ordine di considerazioni la norma non sembra vada esente anche da dubbi di legittimita' costituzionale con riguardo al principio del buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione. 4. - Le altre due eccezioni, rispettivamente incentrate sull'asserita violazione degli artt. 38, secondo comma, e 53 della Costituzione, non hanno invece consistenza. Perche' l'una e l'altra recano in campo norme costituzionali che sono inconferenti in quanto richiamate con diretto riguardo ad un regime pensionistico in epoca ancora ignoto e soltanto preannunciato dal decreto-legge n. 384 e quindi, al di fuori di ogni supposta menomazione di diritti acquisiti: trattandosi, in altri termini, di una norma - quella fin qui citata, risultante dal combinato disposto di cui all'art. 1, nn. 1 e 2, lett. e) della legge n. 438 del 1992 - che si limita a dettare una disposizione meramente soprassessoria in ordine alle domande di collocamento a riposo. 5. - Per tutto quanto precede, sospesa ogni altra pronuncia sul ricorso, ritiene il Collegio che, data la rilevanza sul giudizio della questione d'incostituzionalita' positivamente esaminata, gli atti di causa siano da inviare alla Corte costituzionale per la relativa pronuncia.