IL PRETORE
   Visti:
    gli atti difensivi delle parti;
    il decreto-legge n. 166 del 28 marzo 1996;
    il decreto-legge n. 295 del 27 maggio 1996;
    il decreto-legge n. 396 del 26 luglio 1996;
    il decreto-legge n. 499 del 24 settembre 1996;
    l'art. 11, comma 22, della legge 24 dicembre 1993, n. 537;
    la sentenza Corte costituzionale 10 giugno 1994, n. 240;
    l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;
    l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n.1;
    gli articoli 1, 70, 71, 72, 76, 77, 134 e 136 della Costituzione;
   Ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente ordinanza di
 rimessione alla Corte costituzionale  di  questioni  di  legittimita'
 costituzionale,  rilevate  d'ufficio  nella causa r.g. n. 3898/95, in
 materia  di  previdenza  ed  assistenza  obbligatoria,  promossa  dal
 Vianelli  Lucia  Rosa,  elettivamente  domiciliata  in Brescia presso
 l'avv.  Gian  Maria  Maffezzoni, il quale la rappresenta e difende in
 forza di procura  a  margine  dell'atto  introduttivo  del  giudizio,
 ricorrente,  contro  l'I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza
 sociale, in  persona  del  presidente  pro-tempore,  rappresentato  e
 difeso  dal  dott. proc.  Oreste Manzi e Alfonso Faienza, procuratori
 per mandati alle liti a rogito del dott. Lupo, notaio  in  Roma,  con
 domicilio eletto in Brescia, via Cefalonia n. 49, convenuto.
   Nel  presente  giudizio,  nel  quale  la  parte  ricorrente  chiede
 l'integrazione al minimo  della  sua  pensione  di  riversibilita'  a
 decorrere   dal   maggio   1976  e  la  "cristallizzazione"  di  tale
 trattamento a partire dal 1 ottobre  1993,  ai  sensi  dell'art.  11,
 comma 22, legge 24 dicembre 1993, n. 537 (naturalmente nella versione
 "creata"  dalla  Corte costituzionale con la sentenza 10 giugno 1994,
 n. 240), risulta applicabile il d.-l.   24 settembre  1996,  n.  499,
 ultima reiterazione (dopo gli intermedi nn. 295 e 396) del n. 166 del
 26 marzo 1996, n. 166.
   Anche  l'ultimo  provvedimento  governativo,  n.  499/1996,  come i
 precedenti decaduti (decreti-legge n. 295/1996  e  n.  396/1996),  e'
 affetto  non  solo  dalle  stesse  gravi  e  plurime violazioni della
 Costituzione gia' riscontrate a carico del decreto-legge n. 166/1996,
 ma anche da un vizio congenito, ulteriore e  specifico,  direttamente
 dipendente  dal  fatto  di essere la reiterazione (ormai e' la terza)
 del n. 166/1996.
   Invero, a fronte dell'esistenza del decreto-legge  n.  499  del  24
 settembre  1996,  ennesimo  provvedimento  del  Governo  avente  tale
 aspetto formale, questo giudice rileva  che  tale  atto,  per  quanto
 riguarda  l'art.  1  (qui  esaminato  in  modo  specifico,  nei  suoi
 contenuti normativi e' totalmente identico al  n.  166/1996,  nonche'
 perfettamente  uguale  nella forma e sostanza ai suoi antecedenti nn.
 295  e  396,  con  la  sola  differenza  rispetto  a   questi   della
 sostituzione  dell'errato  sostantivo  "rimborso"  nell'apertura  del
 primo comma con quello esatto "pagamento".
   Non solo: l'art. 1, nei commi 3 e 4, del decreto-legge n. 499/96 si
 presenta  nella  sua   lettera   come   un   "clone"   perfetto   dei
 corrispondenti  commi  dell'art.  1  del  decreto-legge n. 166/96 (ed
 anche dei gemelli nn. 295 e 396) in quanto nessuna minima  differenza
 e' riscontrabile.
   Non basta: il secondo comma dell'art. 1 del decreto-legge n. 499/96
 (cosi'  come  gia'  accaduto  nelle  prime clonazioni, nn. 295 e 396)
 differisce  da  quello  del  decreto-legge  n.  166/96   solo   nella
 sostituzione  del  sostantivo  "rimborso"  con quello di "pagamento":
 trattasi di "clonazione imperfetta" (tanto imperfetta da essere quasi
 impercettibile, oltrecche' irrilevante, posto che nello stesso  comma
 ancora  permane  l'uso  improprio  del verbo "rimborsare", non ancora
 corretto, nonostante cio' fosse di banalissima attuazione).
   Ancora: il primo comma, sempre dell'art.  1  del  decreto-legge  n.
 499/96   (e   dei  pregressi  295  e  396),  rispetto  all'originario
 decreto-legge n.  166/96  puo'  essere  descritto  con  l'espressione
 "clone  mutante  per  innesto",  poiche' mantiene inalterata l'intera
 lettera del suo omologo del decreto-legge  n.  166/96,  con  in  piu'
 alcune  interpolazioni  del tutto superflue e puramente di comodo (1-
 nel primo periodo, la, tanto ovvia, quanto inutile, precisazione  che
 i  titoli  di Stato da assegnare agli aventi diritto sono "sottoposti
 allo stesso regime tributario dei titoli di debito  pubblico",  quasi
 che,  in  assenza  di  specifica  deroga legislativa, fosse possibile
 ipotizzarne uno diverso; 2- nel terzo periodo, la, prima  ancora  che
 ovvia,  banale e superflua affermazione che l'assegnazione dei titoli
 di Stato deve avvenire "sulla  base  della  vigente  normativa"  agli
 aventi  diritto,  "anche  se  residenti  all'estero",  come  se fosse
 pensabile un'assegnazione effettuata in forza di  una  normativa  non
 vigente  e come se fosse prima negato da una disposizione di legge il
 diritto dei residenti all'estero) e, infine, con l'aggiunta alla fine
 dello stesso comma di un sibillino periodo "L'emissione  dei  titoli,
 per  l'anno 1996, non puo' superare l'importo di L. 3.135 miliardi.",
 l'utilita', ragione e fine del quale e' davvero oscura, in  relazione
 alla  previsione  immutata  del  quarto comma, ove l'onere per l'anno
 1996 resta di L.  3.276 miliardi.
   Traendo le naturali conclusioni, appare chiaro che tutti i  rilievi
 appena  sopra esposti evidenziano in modo del tutto incontrovertibile
 l'inesistenza nell'art. 1 del decreto-legge n. 499/96 di quel  minimo
 quid  novi che puo' giustificare (astrattamente, ma ovviamente sempre
 se  sussistenti  tutti  gli  altri  requisiti   essenziali   previsti
 nell'art.   77 Cost., ma non e' certo questo il caso) la reiterazione
 del decreto-legge non convertito nei sessanta giorni.
   Senza dimenticare che, lo si e' in parte gia'  detto,  rispetto  ai
 decreti  nn.  295  e  396,  l'attuale  ultimo n. 499 si presenta, per
 quanto concerne l'art. 1 (ma non  solo),  come  pura  duplicazione  e
 ristampa;  cosi' come, del resto, agevolmente riscontrabile per il n.
 396 in rapporto al n. 295.
   Si possono ritenere sufficienti i raffronti sin  qui  proposti  per
 dimostrare  definitivamente  l'unitarieta' di sostanza e di forma dei
 quattro decreti-legge citati, nonostante la loro diversa  numerazione
 e  datazione:  essi  costituiscono  classico esempio di reiterazione,
 senza modifiche di contenuto.
   L' ultimo comma dell'art. 77 della Costituzione cosi' dispone:   "I
 decreti  perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in
 legge entro sessanta  giorni  dalla  loro  pubblicazione.  Le  Camere
 possono  tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla
 base dei decreti non convertiti." Non puo' essere messo in dubbio che
 l'art. 77 limita l'efficacia temporale del "provvedimento provvisorio
 avente forza di legge" emanato dal Governo a soli sessanta  giorni  e
 ci  si  deve  chiedere  quali conseguenze giuridiche derivino da tale
 limitazione  temporale,  quando   allo   spirare   del   termine   il
 decreto-legge  perde  efficacia  a causa della mancata conversione in
 legge: possono ipotizzarsi tre soluzioni:
     a)  non  sussiste  piu'  il  potere  del  Governo   di   adottare
 provvedimenti  provvisori  sulla stessa materia e, dunque, e' vietata
 la reiterazione del decreto-legge  non  convertito,  con  conseguente
 inapplicabilita'  dell'eventuale  decreto di replica, in quanto privo
 di forza di legge;
     b) l'eventuale reiterazione nasce  priva  di  efficacia,  perche'
 "geneticamente"   affetta  dall'inefficacia  del  decreto  che  viene
 reiterato, cosi' da risultare inapplicabile;
      c)  il   provvedimento   provvisorio   di   reiterazione   viola
 "semplicemente"   la   Costituzione,   con  necessita'  di  sollevare
 questione di legittimita costituzionale.
   Deve  subito  essere  chiarito che la problematica qui discussa non
 riguarda i decreti di reiterazione nei quali siano  presenti  vere  e
 reali,  non  marginali  e  non  meramente  formali  e solo apparenti,
 modifiche,  che  diano   luogo   ad   una   sostanzialmente   diversa
 regolamentazione  del  caso  straordinario  di necessita' ed urgenza,
 rispetto  agli  omologhi  decreti  reiterati   (restando,   comunque,
 impregiudicati altri profili d'illegittimita').
   L'art. 77, ultimo comma, della Costituzione, la ragione e la logica
 inducono  o  a ritenere escluso il potere del Governo di emettere con
 diverso  numero  e  in  diversa  data  un  successivo  "provvedimento
 provvisorio  avente  forza  di  legge", o a sostenere automaticamente
 priva  di  efficacia  la  reiterazione  di   un   decreto-legge   non
 convertito,  quando il contenuto del decreto successivo non contenga,
 rispetto al precedente, quel minimo livello di novita'  e  diversita'
 sostanziale, tale da consentire di affermarne l'autonoma esistenza.
   In verita', puo' ben ritenersi - ai sensi del disposto direttamente
 precettivo dell'art. 77, ultimo comma, che sanziona con l'inefficacia
 i  provvedimenti provvisori del Governo non convertiti nel termine di
 sessanta giorni e nel rispetto della certa ed inequivoca volonta' del
 legislatore  costituzionale  diretta  a  precludere  al  Governo   di
 sottrarre   alle   Camere   la  funzione  legislativa,  negato  dalla
 Costituzione al Governo il potere di adottare, nella  stessa  materia
 regolata  da decreti-legge decaduti, nuovi provvedimenti provvisori e
 vietato l'artificio di duplicare decreti-legge divenuti inefficaci.
   Conseguentemente, puo'  affermarsi  l'inesistenza  della  forza  di
 legge  del  decreto  di  reiterazione  e la sua inapplicabilita', per
 carenza assoluta del potere del  Governo  di  adottare  provvedimenti
 provvisori   dopo   il   verificarsi   dell'inefficacia  del  decreto
 reiterato.
   Cosi'  come  puo'  sostenersi  che,  in  caso  di  reiterazione  di
 decreti-legge  senza modifiche sostanziali, l'inefficacia del decreto
 decaduto si trasferisce automaticamente al decreto  di  reiterazione,
 con sua conseguente inapplicabilita'.
   Poste   tali   premesse,  e'  naturale  chiedersi  se  sussista  la
 violazione dell'art. 101 della Costituzione da  parte  dell'Autorita'
 giudiziaria  che  non applichi un decreto-legge di duplicazione di un
 decreto  divenuto  inefficace  (in  assenza,  si  ripete,  di   reali
 modifiche  del contenuto normativo), oppure se la violazione consista
 nel  suo  esatto  contrario  e  cioe'  nel   dare   applicazione   al
 decreto-legge che, con il mezzo della reiterazione, di fatto porta da
 sessanta a centoventi giorni (e cosi' via moltiplicando a seconda del
 numero  delle  reiterazioni)  il  termine  di efficacia sancito nella
 Costituzione.
   Questo  pretore,  come  reso  palese   dalle   argomentazioni   che
 precedono,  tendenzialmente  propende  per  l'affermazione del dovere
 giuridico dell'Autorita' giudiziaria  di  non  dare  applicazione  al
 decreto-legge   che   risulti   meramente  ripetitivo  e  carente  di
 qualsivoglia novita' normativa, rispetto a quello non  convertito  in
 legge,  come  nel caso dell'art. 1 del decreto-legge n. 499 del 1996,
 perfettamente corrispondente nei contenuti  e  quasi  identico  nella
 lettera all'art. 1 del decreto-legge n. 166/96.
   Eppure,  nonostante  tutto,  permane  un dubbio di natura puramente
 formale: il Governo che ha emanato il decreto-legge n. 499/96  e'  il
 legittimo Governo della Repubblica Italiana e il medesimo decreto non
 e'  - quanto meno nel numero, nella data e, sia pure in minima parte,
 nella  sua  forma  esteriore - lo stesso decreto-legge n. 166/96:  se
 non  nella  sostanza  e  se  non   pienamente   nella   lettera,   il
 decreto-legge  n.  499/96 e' pur sempre in apparenza un provvedimento
 provvisorio del Governo  avente  forza  di  legge  e,  cosi',  questo
 pretore,  per  il  doveroso  rispetto della legge e degli atti aventi
 forza di legge, non puo'  allo  stato  (senza  percio'  escludere  un
 futuro  ripensamento)  che  rinunciare  alle piu' radicali soluzioni,
 sopra ipotizzate sub a) e  b),  per  trasferire  dinanzi  alla  Corte
 costituzionale  la  stessa  problematica con le stesse argomentazioni
 sopra  ampiamente  sviluppate,  nella  veste   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale,  in  aderenza  alla  terza  ipotesi  di
 soluzione sopra individuata alla lettera c).
   Tutto cio', anche perche' e' noto l'orientamento, sinora,  pur  con
 qualche  discordanza  nelle  ultime  decisioni (senza che si possa in
 questo provvedimento giurisdizionale valutare l'ultima sentenza della
 Corte sul tema della reiterazione dei decreti-legge, poiche' questa a
 tutt'oggi non risulta scritta e pubblicata nella  Gazzetta  Ufficiale
 della  Repubblica,  ma  solo  annunciata  e "raccontata" attraverso i
 mezzi d'informazione), manifestato dalla  Corte  costituzionale,  che
 afferma  l'autonomia  di  ogni  singolo  decreto, spostando semmai il
 controllo  di  costituzionalita'  sulla  (futura,  in  qualche   caso
 eventuale  ed  in  altri casi assai improbabile, considerato che sono
 vigenti nel nostro ordinamento da piu'  anni  decreti-legge  di  pura
 reiterazione)  legge  di  conversione,  orientamento  che  in qualche
 misura impone al giudice di ritenere applicabili tali  provvedimenti,
 pur se manifestamente illegittimi.
   Deve essere, pertanto, rilevata d'ufficio la seguente:
  Questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   1   del
 decreto-legge n. 499 del 1996  per  violazione  dell'art.  77  ultimo
 comma, della Costituzione
    Fissata,   nei  termini  sopra  esposti,  la  prima  questione  di
 legittimita' costituzionale, si puo' passare  a  proporre  anche  nei
 confronti  del  decreto-legge  n.  499/96  una  delle  questioni gia'
 rilevate a carico del n. 166/96 (nonche'  n.  295/96)  in  precedenti
 ordinanze:
  Questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   1   del
 decreto-legge n. 499 del 1996 per violazione degli artt.  1,  secondo
 comma, 70, 72, 77, primo e secondo comma, e 136, secondo comma, della
 Costituzione
   L' art. 77 della nostra Costituzione, testualmente, dispone:
    "Il  Governo  non  puo',  senza  delegazione delle Camere, emanare
 decreti che abbiano valore di legge ordinaria.
   Quando, in casi straordinari di necessita' e d'urgenza, il  Governo
 adotta,  sotto  la  sua responsabilita', provvedimenti provvisori con
 forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la  conversione
 alle  Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si
 riuniscono entro cinque giorni.
   I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti
 in legge entro sessanta giorni dalla loro   pubblicazione. Le  Camere
 possono  tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla
 base dei decreti non convertiti.".
   Il   divieto  di  carattere  generale  sancito  dalla  Costituzione
 all'emissione di decreti aventi forza di legge del Governo in assenza
 (come nella fattispecie in  esame)  di  delega  delle  Camere,  trova
 eccezione, regolata dal secondo comma dell'art 77 della Costituzione,
 solo  in  casi  straordinari di necessita' e d'urgenza; sono, dunque,
 tre i requisiti da  valutare  per  determinare  se  il  provvedimento
 provvisorio   avente  forza  di  legge,  emanato  dal  Governo  senza
 delegazione delle Camere, rispetti il preciso ed  inequivoco  dettato
 costituzionale:  1)  l'esistenza  di  un  caso  straordinario, 2) che
 richieda un necessario intervento governativo, 3) di tale urgenza  da
 imporre immediatezza di risposta e di soluzione, cosi' da escludere i
 tempi del normale iter parlamentare.
   Tutti tali requisiti devono sussistere, reali e verificabili.
   Il   decreto  in  esame  non  rispetta  nessuno  dei  tre  suddetti
 ineludibili presupposti.
   1. - Il caso straordinario.
   Il decreto-legge n. 499/96, art. 1, non risponde ad alcun  caso  di
 straordinarieta':  la  situazione  alla  quale vorrebbe porre rimedio
 risale a due anni e nove mesi addietro,  per  quanto  concernente  la
 sentenza  n.  495  del  dicembre  1993,  e a due anni e tre mesi, con
 riferimento alla n. 240 del giugno 1994, mentre  il  Governo  che  ha
 emanato  il  decreto-legge  in  discorso  e'  gia' il terzo ad essere
 coinvolto dalle problematiche  derivanti  dalle  due  sentenze  della
 Corte,  senza considerare, per la sola sentenza n. 495/93, quello dei
 primi mesi dell'anno 1994:  il caso non riveste  alcun  carattere  di
 straordinarieta'  intesa  nel  senso  previsto  dall'art. 77, secondo
 comma, della Costituzione e puo' solo parlarsi di colpevole ritardo o
 di assenza di capacita' e di volonta' del Governo e  soprattutto  del
 Parlamento  (anche  se  non  puo'  farsi a meno di notare, per quanto
 concerne la sola sentenza n. 240/94 e la notissima problematica sulla
 cosi' detta "|cristallizzazione", che  la  volonta'  manifestata  dal
 Parlamento  con l'art. 11, comma 22, della legge 24 dicembre 1993, n.
 537, e' inequivoca nel senso di escludere il diritto in tutti i casi,
 cosicche' il mancato intervento delle  due  Camere  puo'  ben  essere
 inteso  come  preciso rifiuto di accettare i contenuti della sentenza
 della Corte) a trovare una soluzione giuridica  e  costituzionalmente
 ineccepibile     ad     un    enorme    contenzioso    che    incombe
 sull'amministrazione della giustizia da lustri, sempre irrisolto,  ma
 non nuovo, ne' straordinario, bensi' noto ed  ordinario.
   2. - La necessita'.
   Nel   caso   in  discussione  la  necessita'  di  un  provvedimento
 provvisorio del Governo avente forza di legge e' negata  alla  radice
 dalla   semplice   considerazione   (ulteriore,   rispetto  a  quella
 precedente)   dell'ovvia   insufficienza    -    ma    anche    della
 irragionevolezza  (con  violazione,  dunque,  anche dell'art. 3 della
 Costituzione) - di un atto provvisorio destinato ad  incidere,  forse
 inconsapevolmente,   ma   direttamente  e  senza  pero'  offrire  una
 definitiva soluzione, sulla complessa problematica giuridica relativa
 alla legittimita' costituzionale delle stesse disposizioni  di  legge
 colpite  dalle  decisioni  "legislative"  della  Corte costituzionale
 "addittive" e  "manipolatrici":  appare  davvero  incongruo  ritenere
 necessario  un decreto-legge per risolvere una problematica complessa
 ed estremamente articolata che tocca questioni essenziali della  vita
 democratica  della  nostra  Repubblica,  gia' portata all'esame della
 Consulta da questo pretore con numerose ordinanze di rimessione.
   Non  puo'  inoltre  tacersi che anche sotto un altro profilo non e'
 possibile   riscontrare   il   requisito   della   necessita'       a
 giustificazione  dell'art.  1 del decreto-legge in esame: non esiste,
 infatti, la certezza del diritto a quei  crediti  da  soddisfare  "in
 conseguenza    dell'applicazione    delle    sentenze   della   Corte
 costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994".
   Si deve osservare, infatti, che il decreto non opera una  recezione
 nel  vigente  diritto  positivo  scritto  del  contenuto  "normativo"
 (peraltro, contraddittoriamente, in parte disatteso)  delle  suddette
 sentenze,  ne'  espressamente,  ne'  implicitamente,  ma  si limita a
 ricercare (senza successo, come si vedra' piu' avanti, trattando  del
 merito del provvedimento) i mezzi di finanziamento per  "il pagamento
 delle  somme,  maturate  fino  al  31  dicembre 1995, sui trattamenti
 pensionistici  erogati  dagli  enti  previdenziali  interessati,   in
 conseguenza    dell'applicazione    delle    sentenze   della   Corte
 costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994", senza  minimamente
 curarsi del fatto che si applicano le leggi e non le sentenze (per le
 quali  si  deve, invece, parlare di esecuzione, concetto ben diverso)
 da qualunque organo emesse, ma soprattutto non tenendo  minimo  conto
 del  fatto  gravissimo  che,  con  l'attuazione ed applicazione delle
 decisioni "addittive" della Corte mediante decreto-legge, la funzione
 legislativa delle Camere viene ad essere espropriata ben  due  volte,
 la prima volta dalla Corte costituzionale e la seconda dal Governo.
   Nel decreto-legge, in realta' si pretende di soddisfare dei crediti
 la  cui  esistenza  non  e'  certa, poiche' la problematica attinente
 l'efficacia di quelle  sentenze  (richiamate  in  quanto  tali,  deve
 essere ben chiaro, e non tradotte in norme di diritto positivo) della
 Corte  costituzionale  e'  stata rimessa al controllo di legittimita'
 dello stesso giudice  delle  leggi  e,  dunque,  non  si  ha  neppure
 certezza  in  ordine  alla validita' delle stesse decisioni e ai loro
 effetti sulle disposizioni  di  legge  ritenute  incostituzionali  in
 parte   qua,   ma   senza  che  si  sia  verificato  l'effetto  della
 caducazione, come inequivocabilmente previsto e voluto dall'art.  136
 della Costituzione.
   3. - L'urgenza.
   Quanto  all'urgenza  (smentita  gia' dai tempi evidenziati al primo
 punto) puo' dirsi che non se ne ravvisa l'esistenza nel caso  oggetto
 del  decreto:  ben  sarebbe  stato  gradito  ai titolari di legittime
 aspettative, legate alle due, piu' volte citate, sentenze della Corte
 costituzionale, un organico e ponderato disegno di legge d'iniziativa
 del  Governo  ai  sensi  dell'art.  71  della  Costituzione,  essendo
 sicuramente  corretta  e  costituzionalmente  legittima  sempre  tale
 soluzione  e  davvero  doverosa  dopo  la  mancata  conversione   dei
 precedenti  decreti  gemelli, trascurando per ora che essa e' l'unica
 legittima ai sensi dell'art. 136, secondo comma, della  Costituzione,
 come si vedra' piu' avanti.
   Ma non basta: appare piu' che chiara l'assenza di una reale urgenza
 in  questo  caso specifico,. se solo si consideri che nel primo comma
 dell'art. 1 del decreto-legge n. 499/96 viene previsto  un  pagamento
 in  sei  annualita'  e  per  di  piu' mediante emissione di titoli di
 Stato, soluzione del tutto incompatibile con il fine di  regolare  un
 (in   verita'   artificiosamente  affermato)  caso  di  straordinaria
 necessita'  ed  urgenza,  che  impone  razionalmente   una   risposta
 efficiente,  pronta  ed  immediata  e  non un piano di estinzione del
 debito  diluito in ben sei anni (dei quali tre, per di piu', privi di
 copertura finanziaria).
   L'urgenza, invero, non deve essere solo un astratto presupposto per
 consentire al Governo di adottare provvedimenti provvisori,  ma  deve
 trovare   riscontro  oggettivo,  sia  esterno  come  causa  idonea  a
 legittimare l'emissione dell'atto avente forza di legge, sia  interno
 come  risposta efficiente per dare soluzione efficace ed immediata al
 caso di straordinaria necessita' sul quale si interviene.
   Tutto cio' che si e' sin qui esposto  vale  per  far  risaltare  la
 totale  inesistenza  dei  requisiti espressamente richiesti dall'art.
 77,  secondo  comma,  della  Costituzione  per  dimostrare  gia'  con
 riferimento  a  tale  solo  profilo  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'intero art.  1 del decreto-legge n. 499/96.
   E' poi di solare evidenza che la palese violazione, gia' rilevata e
 diffusamente argomentata, dei limiti posti al Governo dall'art.    77
 della  Costituzione  determina  un'altrettanto  chiara usurpazione da
 parte del potere esecutivo delle  attribuzioni  del  Parlamento,  con
 lesione  degli  artt. 1, secondo comma, 70 e 72 della Costituzione, e
 questa  ulteriore  illegittimita'  costituzionale  non  puo'   essere
 taciuta,   a  nulla  rilevando  una  eventuale  "condiscendenza"  del
 Parlamento  ad  subirla,  perche'  la  violazione  dei  limiti  delle
 attribuzioni  di  un  potere e' fatto che incide in modo insuperabile
 sulla legittimita' costituzionale dei provvedimenti emessi in difetto
 di attribuzione e non e' solo un evento che riguarda in via esclusiva
 i rapporti di "buon vicinato" tra i poteri  dello  Stato,  poiche'  a
 sommesso   (ma   sempre  piu'  convinto)  avviso  di  questo  giudice
 costituisce gravissima, certamente tra le  piu'  gravi  ipotizzabili,
 violazione  della  Costituzione  anche il solo permettere tacitamente
 che  un  potere  privo  delle  relative  attribuzioni  costituzionali
 supplisca  ai  compiti  e  funzioni  istituzionali propri di un altro
 potere.
   E' sufficiente ricordare il fondamentale dettato del secondo  comma
 dell'art.  1  della  Costituzione "La sovranita' appartiene al popolo
 che la esercita nelle forme  e  nei  limiti  della  Costituzione"  in
 correlazione  con  l'art.  70 ("La funzione legislativa e' esercitata
 collettivamente dalle due Camere")  e  con  l'art.  72,  primo  comma
 soprattutto  ("Ogni  disegno  di  legge, presentato ad una Camera e',
 secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione  e
 poi  dalla  Camera  stessa che lo approva articolo per articolo e con
 votazione  finale"),  per  comprendere  quanto  grave  sia  la   loro
 violazione  e,  dunque,  quanto  intollerabilmente  sia  vulnerata la
 Costituzione  dall'art.  1  del   decreto-legge   n.   499/96,   come
 conseguenza  diretta  della  gia'  rilevata non conformita' del detto
 decreto-legge all'art. 77, secondo comma.
   Ma ancora non basta.
   L'art. 136, secondo comma, dispone: "La decisione e'  pubblicata  e
 comunicata   alle   Camere  ed  ai  Consigli  regionali  interessati,
 affinche',  ove  lo  ritengano  necessario,  provvedano  nelle  forme
 costituzionali":    la  norma  e'  speciale  rispetto agli artt. 70 e
 seguenti della sezione II (Formazione delle leggi) della Costituzione
 che disciplinano la normale attivita' legislativa e, logicamente, non
 consente in nessun caso di ritenere attribuito al Governo  il  potere
 di  adottare  i  provvedimenti  provvisori previsti nel secondo comma
 dell'art. 77, essendo sancita solo  e  soltanto  la  possibilita'  di
 regolare  con legge nelle forme costituzionali gli eventuali problemi
 derivanti dalle decisioni della Corte costituzionale  che  dichiarano
 l'illegittimita'  di  una norma di legge o di un atto avente forza di
 legge ed essendo individuato nelle sole Camere il potere dello  Stato
 competente in via esclusiva a stabilire se ricorrano le condizioni di
 necessita'  per  intervenire,  come  chiaramente  sancito dal secondo
 comma dell'art. 136.
   Dunque, solo  a  seguito  di  specifica  delega  delle  Camere  con
 riferimento  all'attivita'  legislativa  di cui all'art. 136, secondo
 comma, puo' essere ritenuto legittimo  un  atto  del  Governo  avente
 forza di legge.
   Poiche',  nel caso presente le Camere non hanno delegato il Governo
 ai sensi dell'art. 76 della Costituzione e poiche' non  e'  previsto,
 anzi  e'  escluso  come  sopra  chiarito,  il  potere  del Governo di
 adottare i provvedimenti  provvisori  di  cui  all'art.  77,  secondo
 comma,  per  l'ipotesi formulata nell'art. 136, secondo comma, e' del
 tutto  palese  la  sussistenza  della  violazione   di   quest'ultima
 disposizione della Costituzione, con conseguente e necessario rilievo
 d'ufficio  di  quest'ulteriore  (ma  in  realta' prioritario) profilo
 d'incostituzionalita' dell'intero art. 1 del d.-l. 24 settembre 1996,
 n. 499.
   E' vero, peraltro, che l'art. 2,  comma  settimo,  della  legge  11
 marzo  1988,  n.  67  testualmente  prevede  che  "Qualora  nel corso
 dell'attuazione delle leggi si verifichino scostamenti rispetto  alle
 previsioni  di  spesa  e  di  entrate,  il  Governo  ne  da'  notizia
 tempestivamente al Parlamento con relazione dei Ministro del tesoro e
 assume le conseguenti iniziative. La stessa procedura e' applicata in
 caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e  della  Corte
 costituzionale   recanti   interpretazioni  della  normativa  vigente
 suscettibili di determinare maggiori oneri", ma tale disposizione non
 contrasta  con  quanto  sopra  affermato  ed,   anzi,   ne   conferma
 l'esattezza,  giacche' non consente di ritenere attribuito al Governo
 il potere di emanare decreti-legge, bensi' gli impone di dare notizia
 al Parlamento della nuova situazione verificatasi e  di  assumere  le
 conseguenti  iniziative,  da  intendersi,  in relazione alle sentenze
 della Corte costituzionale, limitate obbligatoriamente (giacche'  una
 diversa interpretazione porrebbe l'art. 2, secondo comma, della legge
 n.   67/88   in  contrasto  con  l'art.  136,  secondo  comma,  della
 Costituzione)  alla  presentazione  di  disegni  di  legge  ai  sensi
 dell'art. 71 della Costituzione.
   Le  questioni  sopra sviluppate non sono manifestamente infondate e
 sono anche rilevanti  (per  quanto  cio'  valer  possa),  poiche'  il
 presente  giudizio non puo' "essere definito indipendentemente" dalla
 loro   risoluzione:    la    dichiarazione    della    illegittimita'
 costituzionale  del decreto-legge n. 499/96 in uno o piu' dei profili
 sopra evidenziati avrebbe,  infatti,  l'effetto  di  ripristinare  la
 vigenza della normativa precedente, restituendo nel contempo a questa
 Autorita'  giudiziaria  competente  la  funzione  attribuitale  dalla
 Costituzione  di  amministrare  la   giustizia   secondo   la   legge
 costituzionalmente vigente.