IL PRETORE Visti: gli atti difensivi delle parti; il decreto-legge n. 166 del 28 marzo 1996; il decreto-legge n. 295 del 27 maggio 1996; il decreto-legge n. 396 del 26 luglio 1996; il decreto-legge n. 499 del 24 settembre 1996; l'art. 11, comma 22, della legge 24 dicembre 1993, n. 537; la sentenza Corte costituzionale 10 giugno 1994, n. 240; l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n.1; gli articoli 1, 70, 71, 72, 76, 77, 134 e 136 della Costituzione; Ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di questioni di legittimita' costituzionale, rilevate d'ufficio nella causa r.g. n. 3898/95, in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, promossa dal Vianelli Lucia Rosa, elettivamente domiciliata in Brescia presso l'avv. Gian Maria Maffezzoni, il quale la rappresenta e difende in forza di procura a margine dell'atto introduttivo del giudizio, ricorrente, contro l'I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dal dott. proc. Oreste Manzi e Alfonso Faienza, procuratori per mandati alle liti a rogito del dott. Lupo, notaio in Roma, con domicilio eletto in Brescia, via Cefalonia n. 49, convenuto. Nel presente giudizio, nel quale la parte ricorrente chiede l'integrazione al minimo della sua pensione di riversibilita' a decorrere dal maggio 1976 e la "cristallizzazione" di tale trattamento a partire dal 1 ottobre 1993, ai sensi dell'art. 11, comma 22, legge 24 dicembre 1993, n. 537 (naturalmente nella versione "creata" dalla Corte costituzionale con la sentenza 10 giugno 1994, n. 240), risulta applicabile il d.-l. 24 settembre 1996, n. 499, ultima reiterazione (dopo gli intermedi nn. 295 e 396) del n. 166 del 26 marzo 1996, n. 166. Anche l'ultimo provvedimento governativo, n. 499/1996, come i precedenti decaduti (decreti-legge n. 295/1996 e n. 396/1996), e' affetto non solo dalle stesse gravi e plurime violazioni della Costituzione gia' riscontrate a carico del decreto-legge n. 166/1996, ma anche da un vizio congenito, ulteriore e specifico, direttamente dipendente dal fatto di essere la reiterazione (ormai e' la terza) del n. 166/1996. Invero, a fronte dell'esistenza del decreto-legge n. 499 del 24 settembre 1996, ennesimo provvedimento del Governo avente tale aspetto formale, questo giudice rileva che tale atto, per quanto riguarda l'art. 1 (qui esaminato in modo specifico, nei suoi contenuti normativi e' totalmente identico al n. 166/1996, nonche' perfettamente uguale nella forma e sostanza ai suoi antecedenti nn. 295 e 396, con la sola differenza rispetto a questi della sostituzione dell'errato sostantivo "rimborso" nell'apertura del primo comma con quello esatto "pagamento". Non solo: l'art. 1, nei commi 3 e 4, del decreto-legge n. 499/96 si presenta nella sua lettera come un "clone" perfetto dei corrispondenti commi dell'art. 1 del decreto-legge n. 166/96 (ed anche dei gemelli nn. 295 e 396) in quanto nessuna minima differenza e' riscontrabile. Non basta: il secondo comma dell'art. 1 del decreto-legge n. 499/96 (cosi' come gia' accaduto nelle prime clonazioni, nn. 295 e 396) differisce da quello del decreto-legge n. 166/96 solo nella sostituzione del sostantivo "rimborso" con quello di "pagamento": trattasi di "clonazione imperfetta" (tanto imperfetta da essere quasi impercettibile, oltrecche' irrilevante, posto che nello stesso comma ancora permane l'uso improprio del verbo "rimborsare", non ancora corretto, nonostante cio' fosse di banalissima attuazione). Ancora: il primo comma, sempre dell'art. 1 del decreto-legge n. 499/96 (e dei pregressi 295 e 396), rispetto all'originario decreto-legge n. 166/96 puo' essere descritto con l'espressione "clone mutante per innesto", poiche' mantiene inalterata l'intera lettera del suo omologo del decreto-legge n. 166/96, con in piu' alcune interpolazioni del tutto superflue e puramente di comodo (1- nel primo periodo, la, tanto ovvia, quanto inutile, precisazione che i titoli di Stato da assegnare agli aventi diritto sono "sottoposti allo stesso regime tributario dei titoli di debito pubblico", quasi che, in assenza di specifica deroga legislativa, fosse possibile ipotizzarne uno diverso; 2- nel terzo periodo, la, prima ancora che ovvia, banale e superflua affermazione che l'assegnazione dei titoli di Stato deve avvenire "sulla base della vigente normativa" agli aventi diritto, "anche se residenti all'estero", come se fosse pensabile un'assegnazione effettuata in forza di una normativa non vigente e come se fosse prima negato da una disposizione di legge il diritto dei residenti all'estero) e, infine, con l'aggiunta alla fine dello stesso comma di un sibillino periodo "L'emissione dei titoli, per l'anno 1996, non puo' superare l'importo di L. 3.135 miliardi.", l'utilita', ragione e fine del quale e' davvero oscura, in relazione alla previsione immutata del quarto comma, ove l'onere per l'anno 1996 resta di L. 3.276 miliardi. Traendo le naturali conclusioni, appare chiaro che tutti i rilievi appena sopra esposti evidenziano in modo del tutto incontrovertibile l'inesistenza nell'art. 1 del decreto-legge n. 499/96 di quel minimo quid novi che puo' giustificare (astrattamente, ma ovviamente sempre se sussistenti tutti gli altri requisiti essenziali previsti nell'art. 77 Cost., ma non e' certo questo il caso) la reiterazione del decreto-legge non convertito nei sessanta giorni. Senza dimenticare che, lo si e' in parte gia' detto, rispetto ai decreti nn. 295 e 396, l'attuale ultimo n. 499 si presenta, per quanto concerne l'art. 1 (ma non solo), come pura duplicazione e ristampa; cosi' come, del resto, agevolmente riscontrabile per il n. 396 in rapporto al n. 295. Si possono ritenere sufficienti i raffronti sin qui proposti per dimostrare definitivamente l'unitarieta' di sostanza e di forma dei quattro decreti-legge citati, nonostante la loro diversa numerazione e datazione: essi costituiscono classico esempio di reiterazione, senza modifiche di contenuto. L' ultimo comma dell'art. 77 della Costituzione cosi' dispone: "I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti." Non puo' essere messo in dubbio che l'art. 77 limita l'efficacia temporale del "provvedimento provvisorio avente forza di legge" emanato dal Governo a soli sessanta giorni e ci si deve chiedere quali conseguenze giuridiche derivino da tale limitazione temporale, quando allo spirare del termine il decreto-legge perde efficacia a causa della mancata conversione in legge: possono ipotizzarsi tre soluzioni: a) non sussiste piu' il potere del Governo di adottare provvedimenti provvisori sulla stessa materia e, dunque, e' vietata la reiterazione del decreto-legge non convertito, con conseguente inapplicabilita' dell'eventuale decreto di replica, in quanto privo di forza di legge; b) l'eventuale reiterazione nasce priva di efficacia, perche' "geneticamente" affetta dall'inefficacia del decreto che viene reiterato, cosi' da risultare inapplicabile; c) il provvedimento provvisorio di reiterazione viola "semplicemente" la Costituzione, con necessita' di sollevare questione di legittimita costituzionale. Deve subito essere chiarito che la problematica qui discussa non riguarda i decreti di reiterazione nei quali siano presenti vere e reali, non marginali e non meramente formali e solo apparenti, modifiche, che diano luogo ad una sostanzialmente diversa regolamentazione del caso straordinario di necessita' ed urgenza, rispetto agli omologhi decreti reiterati (restando, comunque, impregiudicati altri profili d'illegittimita'). L'art. 77, ultimo comma, della Costituzione, la ragione e la logica inducono o a ritenere escluso il potere del Governo di emettere con diverso numero e in diversa data un successivo "provvedimento provvisorio avente forza di legge", o a sostenere automaticamente priva di efficacia la reiterazione di un decreto-legge non convertito, quando il contenuto del decreto successivo non contenga, rispetto al precedente, quel minimo livello di novita' e diversita' sostanziale, tale da consentire di affermarne l'autonoma esistenza. In verita', puo' ben ritenersi - ai sensi del disposto direttamente precettivo dell'art. 77, ultimo comma, che sanziona con l'inefficacia i provvedimenti provvisori del Governo non convertiti nel termine di sessanta giorni e nel rispetto della certa ed inequivoca volonta' del legislatore costituzionale diretta a precludere al Governo di sottrarre alle Camere la funzione legislativa, negato dalla Costituzione al Governo il potere di adottare, nella stessa materia regolata da decreti-legge decaduti, nuovi provvedimenti provvisori e vietato l'artificio di duplicare decreti-legge divenuti inefficaci. Conseguentemente, puo' affermarsi l'inesistenza della forza di legge del decreto di reiterazione e la sua inapplicabilita', per carenza assoluta del potere del Governo di adottare provvedimenti provvisori dopo il verificarsi dell'inefficacia del decreto reiterato. Cosi' come puo' sostenersi che, in caso di reiterazione di decreti-legge senza modifiche sostanziali, l'inefficacia del decreto decaduto si trasferisce automaticamente al decreto di reiterazione, con sua conseguente inapplicabilita'. Poste tali premesse, e' naturale chiedersi se sussista la violazione dell'art. 101 della Costituzione da parte dell'Autorita' giudiziaria che non applichi un decreto-legge di duplicazione di un decreto divenuto inefficace (in assenza, si ripete, di reali modifiche del contenuto normativo), oppure se la violazione consista nel suo esatto contrario e cioe' nel dare applicazione al decreto-legge che, con il mezzo della reiterazione, di fatto porta da sessanta a centoventi giorni (e cosi' via moltiplicando a seconda del numero delle reiterazioni) il termine di efficacia sancito nella Costituzione. Questo pretore, come reso palese dalle argomentazioni che precedono, tendenzialmente propende per l'affermazione del dovere giuridico dell'Autorita' giudiziaria di non dare applicazione al decreto-legge che risulti meramente ripetitivo e carente di qualsivoglia novita' normativa, rispetto a quello non convertito in legge, come nel caso dell'art. 1 del decreto-legge n. 499 del 1996, perfettamente corrispondente nei contenuti e quasi identico nella lettera all'art. 1 del decreto-legge n. 166/96. Eppure, nonostante tutto, permane un dubbio di natura puramente formale: il Governo che ha emanato il decreto-legge n. 499/96 e' il legittimo Governo della Repubblica Italiana e il medesimo decreto non e' - quanto meno nel numero, nella data e, sia pure in minima parte, nella sua forma esteriore - lo stesso decreto-legge n. 166/96: se non nella sostanza e se non pienamente nella lettera, il decreto-legge n. 499/96 e' pur sempre in apparenza un provvedimento provvisorio del Governo avente forza di legge e, cosi', questo pretore, per il doveroso rispetto della legge e degli atti aventi forza di legge, non puo' allo stato (senza percio' escludere un futuro ripensamento) che rinunciare alle piu' radicali soluzioni, sopra ipotizzate sub a) e b), per trasferire dinanzi alla Corte costituzionale la stessa problematica con le stesse argomentazioni sopra ampiamente sviluppate, nella veste della questione di legittimita' costituzionale, in aderenza alla terza ipotesi di soluzione sopra individuata alla lettera c). Tutto cio', anche perche' e' noto l'orientamento, sinora, pur con qualche discordanza nelle ultime decisioni (senza che si possa in questo provvedimento giurisdizionale valutare l'ultima sentenza della Corte sul tema della reiterazione dei decreti-legge, poiche' questa a tutt'oggi non risulta scritta e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, ma solo annunciata e "raccontata" attraverso i mezzi d'informazione), manifestato dalla Corte costituzionale, che afferma l'autonomia di ogni singolo decreto, spostando semmai il controllo di costituzionalita' sulla (futura, in qualche caso eventuale ed in altri casi assai improbabile, considerato che sono vigenti nel nostro ordinamento da piu' anni decreti-legge di pura reiterazione) legge di conversione, orientamento che in qualche misura impone al giudice di ritenere applicabili tali provvedimenti, pur se manifestamente illegittimi. Deve essere, pertanto, rilevata d'ufficio la seguente: Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 499 del 1996 per violazione dell'art. 77 ultimo comma, della Costituzione Fissata, nei termini sopra esposti, la prima questione di legittimita' costituzionale, si puo' passare a proporre anche nei confronti del decreto-legge n. 499/96 una delle questioni gia' rilevate a carico del n. 166/96 (nonche' n. 295/96) in precedenti ordinanze: Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 499 del 1996 per violazione degli artt. 1, secondo comma, 70, 72, 77, primo e secondo comma, e 136, secondo comma, della Costituzione L' art. 77 della nostra Costituzione, testualmente, dispone: "Il Governo non puo', senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessita' e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilita', provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.". Il divieto di carattere generale sancito dalla Costituzione all'emissione di decreti aventi forza di legge del Governo in assenza (come nella fattispecie in esame) di delega delle Camere, trova eccezione, regolata dal secondo comma dell'art 77 della Costituzione, solo in casi straordinari di necessita' e d'urgenza; sono, dunque, tre i requisiti da valutare per determinare se il provvedimento provvisorio avente forza di legge, emanato dal Governo senza delegazione delle Camere, rispetti il preciso ed inequivoco dettato costituzionale: 1) l'esistenza di un caso straordinario, 2) che richieda un necessario intervento governativo, 3) di tale urgenza da imporre immediatezza di risposta e di soluzione, cosi' da escludere i tempi del normale iter parlamentare. Tutti tali requisiti devono sussistere, reali e verificabili. Il decreto in esame non rispetta nessuno dei tre suddetti ineludibili presupposti. 1. - Il caso straordinario. Il decreto-legge n. 499/96, art. 1, non risponde ad alcun caso di straordinarieta': la situazione alla quale vorrebbe porre rimedio risale a due anni e nove mesi addietro, per quanto concernente la sentenza n. 495 del dicembre 1993, e a due anni e tre mesi, con riferimento alla n. 240 del giugno 1994, mentre il Governo che ha emanato il decreto-legge in discorso e' gia' il terzo ad essere coinvolto dalle problematiche derivanti dalle due sentenze della Corte, senza considerare, per la sola sentenza n. 495/93, quello dei primi mesi dell'anno 1994: il caso non riveste alcun carattere di straordinarieta' intesa nel senso previsto dall'art. 77, secondo comma, della Costituzione e puo' solo parlarsi di colpevole ritardo o di assenza di capacita' e di volonta' del Governo e soprattutto del Parlamento (anche se non puo' farsi a meno di notare, per quanto concerne la sola sentenza n. 240/94 e la notissima problematica sulla cosi' detta "|cristallizzazione", che la volonta' manifestata dal Parlamento con l'art. 11, comma 22, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e' inequivoca nel senso di escludere il diritto in tutti i casi, cosicche' il mancato intervento delle due Camere puo' ben essere inteso come preciso rifiuto di accettare i contenuti della sentenza della Corte) a trovare una soluzione giuridica e costituzionalmente ineccepibile ad un enorme contenzioso che incombe sull'amministrazione della giustizia da lustri, sempre irrisolto, ma non nuovo, ne' straordinario, bensi' noto ed ordinario. 2. - La necessita'. Nel caso in discussione la necessita' di un provvedimento provvisorio del Governo avente forza di legge e' negata alla radice dalla semplice considerazione (ulteriore, rispetto a quella precedente) dell'ovvia insufficienza - ma anche della irragionevolezza (con violazione, dunque, anche dell'art. 3 della Costituzione) - di un atto provvisorio destinato ad incidere, forse inconsapevolmente, ma direttamente e senza pero' offrire una definitiva soluzione, sulla complessa problematica giuridica relativa alla legittimita' costituzionale delle stesse disposizioni di legge colpite dalle decisioni "legislative" della Corte costituzionale "addittive" e "manipolatrici": appare davvero incongruo ritenere necessario un decreto-legge per risolvere una problematica complessa ed estremamente articolata che tocca questioni essenziali della vita democratica della nostra Repubblica, gia' portata all'esame della Consulta da questo pretore con numerose ordinanze di rimessione. Non puo' inoltre tacersi che anche sotto un altro profilo non e' possibile riscontrare il requisito della necessita' a giustificazione dell'art. 1 del decreto-legge in esame: non esiste, infatti, la certezza del diritto a quei crediti da soddisfare "in conseguenza dell'applicazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994". Si deve osservare, infatti, che il decreto non opera una recezione nel vigente diritto positivo scritto del contenuto "normativo" (peraltro, contraddittoriamente, in parte disatteso) delle suddette sentenze, ne' espressamente, ne' implicitamente, ma si limita a ricercare (senza successo, come si vedra' piu' avanti, trattando del merito del provvedimento) i mezzi di finanziamento per "il pagamento delle somme, maturate fino al 31 dicembre 1995, sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti previdenziali interessati, in conseguenza dell'applicazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994", senza minimamente curarsi del fatto che si applicano le leggi e non le sentenze (per le quali si deve, invece, parlare di esecuzione, concetto ben diverso) da qualunque organo emesse, ma soprattutto non tenendo minimo conto del fatto gravissimo che, con l'attuazione ed applicazione delle decisioni "addittive" della Corte mediante decreto-legge, la funzione legislativa delle Camere viene ad essere espropriata ben due volte, la prima volta dalla Corte costituzionale e la seconda dal Governo. Nel decreto-legge, in realta' si pretende di soddisfare dei crediti la cui esistenza non e' certa, poiche' la problematica attinente l'efficacia di quelle sentenze (richiamate in quanto tali, deve essere ben chiaro, e non tradotte in norme di diritto positivo) della Corte costituzionale e' stata rimessa al controllo di legittimita' dello stesso giudice delle leggi e, dunque, non si ha neppure certezza in ordine alla validita' delle stesse decisioni e ai loro effetti sulle disposizioni di legge ritenute incostituzionali in parte qua, ma senza che si sia verificato l'effetto della caducazione, come inequivocabilmente previsto e voluto dall'art. 136 della Costituzione. 3. - L'urgenza. Quanto all'urgenza (smentita gia' dai tempi evidenziati al primo punto) puo' dirsi che non se ne ravvisa l'esistenza nel caso oggetto del decreto: ben sarebbe stato gradito ai titolari di legittime aspettative, legate alle due, piu' volte citate, sentenze della Corte costituzionale, un organico e ponderato disegno di legge d'iniziativa del Governo ai sensi dell'art. 71 della Costituzione, essendo sicuramente corretta e costituzionalmente legittima sempre tale soluzione e davvero doverosa dopo la mancata conversione dei precedenti decreti gemelli, trascurando per ora che essa e' l'unica legittima ai sensi dell'art. 136, secondo comma, della Costituzione, come si vedra' piu' avanti. Ma non basta: appare piu' che chiara l'assenza di una reale urgenza in questo caso specifico,. se solo si consideri che nel primo comma dell'art. 1 del decreto-legge n. 499/96 viene previsto un pagamento in sei annualita' e per di piu' mediante emissione di titoli di Stato, soluzione del tutto incompatibile con il fine di regolare un (in verita' artificiosamente affermato) caso di straordinaria necessita' ed urgenza, che impone razionalmente una risposta efficiente, pronta ed immediata e non un piano di estinzione del debito diluito in ben sei anni (dei quali tre, per di piu', privi di copertura finanziaria). L'urgenza, invero, non deve essere solo un astratto presupposto per consentire al Governo di adottare provvedimenti provvisori, ma deve trovare riscontro oggettivo, sia esterno come causa idonea a legittimare l'emissione dell'atto avente forza di legge, sia interno come risposta efficiente per dare soluzione efficace ed immediata al caso di straordinaria necessita' sul quale si interviene. Tutto cio' che si e' sin qui esposto vale per far risaltare la totale inesistenza dei requisiti espressamente richiesti dall'art. 77, secondo comma, della Costituzione per dimostrare gia' con riferimento a tale solo profilo l'illegittimita' costituzionale dell'intero art. 1 del decreto-legge n. 499/96. E' poi di solare evidenza che la palese violazione, gia' rilevata e diffusamente argomentata, dei limiti posti al Governo dall'art. 77 della Costituzione determina un'altrettanto chiara usurpazione da parte del potere esecutivo delle attribuzioni del Parlamento, con lesione degli artt. 1, secondo comma, 70 e 72 della Costituzione, e questa ulteriore illegittimita' costituzionale non puo' essere taciuta, a nulla rilevando una eventuale "condiscendenza" del Parlamento ad subirla, perche' la violazione dei limiti delle attribuzioni di un potere e' fatto che incide in modo insuperabile sulla legittimita' costituzionale dei provvedimenti emessi in difetto di attribuzione e non e' solo un evento che riguarda in via esclusiva i rapporti di "buon vicinato" tra i poteri dello Stato, poiche' a sommesso (ma sempre piu' convinto) avviso di questo giudice costituisce gravissima, certamente tra le piu' gravi ipotizzabili, violazione della Costituzione anche il solo permettere tacitamente che un potere privo delle relative attribuzioni costituzionali supplisca ai compiti e funzioni istituzionali propri di un altro potere. E' sufficiente ricordare il fondamentale dettato del secondo comma dell'art. 1 della Costituzione "La sovranita' appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione" in correlazione con l'art. 70 ("La funzione legislativa e' esercitata collettivamente dalle due Camere") e con l'art. 72, primo comma soprattutto ("Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera e', secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa che lo approva articolo per articolo e con votazione finale"), per comprendere quanto grave sia la loro violazione e, dunque, quanto intollerabilmente sia vulnerata la Costituzione dall'art. 1 del decreto-legge n. 499/96, come conseguenza diretta della gia' rilevata non conformita' del detto decreto-legge all'art. 77, secondo comma. Ma ancora non basta. L'art. 136, secondo comma, dispone: "La decisione e' pubblicata e comunicata alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinche', ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali": la norma e' speciale rispetto agli artt. 70 e seguenti della sezione II (Formazione delle leggi) della Costituzione che disciplinano la normale attivita' legislativa e, logicamente, non consente in nessun caso di ritenere attribuito al Governo il potere di adottare i provvedimenti provvisori previsti nel secondo comma dell'art. 77, essendo sancita solo e soltanto la possibilita' di regolare con legge nelle forme costituzionali gli eventuali problemi derivanti dalle decisioni della Corte costituzionale che dichiarano l'illegittimita' di una norma di legge o di un atto avente forza di legge ed essendo individuato nelle sole Camere il potere dello Stato competente in via esclusiva a stabilire se ricorrano le condizioni di necessita' per intervenire, come chiaramente sancito dal secondo comma dell'art. 136. Dunque, solo a seguito di specifica delega delle Camere con riferimento all'attivita' legislativa di cui all'art. 136, secondo comma, puo' essere ritenuto legittimo un atto del Governo avente forza di legge. Poiche', nel caso presente le Camere non hanno delegato il Governo ai sensi dell'art. 76 della Costituzione e poiche' non e' previsto, anzi e' escluso come sopra chiarito, il potere del Governo di adottare i provvedimenti provvisori di cui all'art. 77, secondo comma, per l'ipotesi formulata nell'art. 136, secondo comma, e' del tutto palese la sussistenza della violazione di quest'ultima disposizione della Costituzione, con conseguente e necessario rilievo d'ufficio di quest'ulteriore (ma in realta' prioritario) profilo d'incostituzionalita' dell'intero art. 1 del d.-l. 24 settembre 1996, n. 499. E' vero, peraltro, che l'art. 2, comma settimo, della legge 11 marzo 1988, n. 67 testualmente prevede che "Qualora nel corso dell'attuazione delle leggi si verifichino scostamenti rispetto alle previsioni di spesa e di entrate, il Governo ne da' notizia tempestivamente al Parlamento con relazione dei Ministro del tesoro e assume le conseguenti iniziative. La stessa procedura e' applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri", ma tale disposizione non contrasta con quanto sopra affermato ed, anzi, ne conferma l'esattezza, giacche' non consente di ritenere attribuito al Governo il potere di emanare decreti-legge, bensi' gli impone di dare notizia al Parlamento della nuova situazione verificatasi e di assumere le conseguenti iniziative, da intendersi, in relazione alle sentenze della Corte costituzionale, limitate obbligatoriamente (giacche' una diversa interpretazione porrebbe l'art. 2, secondo comma, della legge n. 67/88 in contrasto con l'art. 136, secondo comma, della Costituzione) alla presentazione di disegni di legge ai sensi dell'art. 71 della Costituzione. Le questioni sopra sviluppate non sono manifestamente infondate e sono anche rilevanti (per quanto cio' valer possa), poiche' il presente giudizio non puo' "essere definito indipendentemente" dalla loro risoluzione: la dichiarazione della illegittimita' costituzionale del decreto-legge n. 499/96 in uno o piu' dei profili sopra evidenziati avrebbe, infatti, l'effetto di ripristinare la vigenza della normativa precedente, restituendo nel contempo a questa Autorita' giudiziaria competente la funzione attribuitale dalla Costituzione di amministrare la giustizia secondo la legge costituzionalmente vigente.