IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello proposto dal prof. Marchei Paolo, rappresentato e difeso dall'avv. Alba Giordano presso la quale e' elettivamente domiciliato in Roma, via Ezio n. 19; contro i Ministeri dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica e del tesoro, in persona dei Ministri in carica, e l'Universita' degli studi "La Sapienza" di Roma, in persona del rettore pro-tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato presso la quale sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12; per l'annullamento della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III, n. 1005 del 23 luglio 1992 e per l'accertamento del diritto alla corresponsione della retribuzione per le prestazioni rese, quale professore associato di oncologia clinica, oltre le 250 ore annue, con condanna a quanto dovuto, con rivalutazione monetaria ed interessi; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura dello Stato per le Amministrazioni intimate; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Vista la decisione interlocutoria n. 539 del 6 giugno 1995; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore il consigliere Paolo D'Angelo; Uditi alla pubblica udienza del 7 giugno 1996 l'avv. Giordano per l'appellante e l'avvocato dello Stato De Stefano per l'Amministrazione; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Il prof. Marchei Paolo - professore a tempo definito di oncologia clinica presso l'Universita' degli studi "La Sapienza" di Roma, docente con funzioni anche assistenziali presso il Servizio aggregato di diagnostica e programmazione terapeutica - sul presupposto dello svolgimento di attivita' assistenziali per un numero di ore pari a quello delle unita' operative dipendenti delle unita' sanitarie locali, con ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio chiedeva l'accertamento del diritto alla retribuzione per le prestazioni di natura assistenziale rese oltre l'orario di 250 ore annue. Deduceva che l'obbligo di svolgere attivita' assistenziali per 27 ore settimanali comportava come conseguenza il diritto al corrispettivo per le prestazioni svolte oltre l'orario previsto per gli associati a tempo definito. Il ricorso veniva respinto dall'adito tribunale con la sentenza indicata in epigrafe. Con ricorso a questo consiglio il prof. Marchei proponeva appello avverso detta sentenza, chiedendone l'annullamento, col favore delle spese, insistendo nella pretesa alla retribuzione delle prestazioni effettuate oltre l'orario (250 ore annue) dovuto. Con decisione interlocutoria n. 539 del 6 giugno 1995 veniva disposto il deposito di atti a cura dell'Universita' "La Sapienza" di Roma. L'Amministrazione adempiva all'istruttoria. Con memoria l'appellante insisteva nei motivi di ricorso e sollevava eccezione di illegittimita' costituzionale con riguardo alla circostanza che l'attivita' assistenziale svolta dai docenti universitari non sarebbe in alcun modo retribuita. All'udienza di discussione la difesa dell'appellato insisteva nelle tesi gia' spiegate. D i r i t t o Il ricorrente chiede l'accertamento del diritto alla retribuzione per le prestazioni assistenziali rese oltre l'orario di 250 ore annue. Tanto premesso, il Collegio osserva: a) l'art. 39 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, si occupa delle "cliniche universitarie e relative convenzioni". Esso dispone che al fine di realizzare un idoneo coordinamento delle rispettive funzioni istituzionali, le regioni e l'universita' stipulano convenzioni per disciplinare, anche sotto l'aspetto finanziario: 1) l'apporto del settore assistenziale delle facolta' di medicina alla realizzazione degli obiettivi della programmazione sanitaria regionale; 2) l'utilizzazione da parte delle facolta' di medicina, per esigenze di ricerca e di insegnamento, di idonee strutture delle unita' sanitarie locali e l'apporto di queste ultime ai compiti didattici e di ricerca delle universita'"; b) l'art. 31 del d.P.R. n. 761 del 20 dicembre 1979 dispone che il personale delle cliniche e degli istituti universitari convenzionati ha diritto ad un'indennita' "nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unita' sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianita'". L'art. 35 di detto d.P.R. si occupa poi del rapporto di lavoro del personale medico, che prevede a tempo pieno o a tempo definito; c) l'art. 102, comma secondo del d.P.R. n. 382 dell'11 luglio 1980, infine assicura al personale docente universitario che esplichi attivita' assistenziale presso le cliniche convenzionate "l'equiparazione del trattamento economico complessivo corrispondente a quello del personale delle unita' sanitarie locali di pari funzione, mansione ed anzianita' secondo le vigenti disposizioni a norma dell'art. 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761". Le invocate disposizioni, il cui contenuto e' stato riportato sopra, non prevedono un compenso per il maggior lavoro svolto dai professori universitari in attuazione di convenzioni tra le Regioni e le Universita' e, quindi, non si ravvisa violazione di legge. Alla luce del contenuto delle invocate norme il ricorso sarebbe, quindi, infondato e dovrebbe essere respinto, se non si dovessero prima esaminare i profili di legittimita' costituzionale della normativa che regola la materia. Come la sezione ha gia' osservato con ordinanza n. 572 del 18 aprile 1996, l'art. 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213, l'art. 31 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, e l'art. 102 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, con disposizioni di tenore similare, assicurano al personale docente universitario in attivita' presso cliniche o istituti universitari convenzionati a norma dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, l'equiparazione del trattamento economico complessivo corrispondente a quello del personale delle unita' sanitarie locali di pari funzione, mansione ed anzianita' secondo le vigenti disposizioni a norma dell'art. 31 del d.P.R., n. 761 del 1979. Dette disposizioni consentono la corresponsione a favore del personale universitario di indennita' per equiparare il trattamento economico in godimento a quello del personale delle unita' sanitarie locali. Non consentono la corresponsione di ulteriori indennita' idonee a far superare il trattamento complessivo di tale personale o, comunque, finalizzata a retribuire l'attivita' assistenziale espletata in aggiunta a quella docente, come pretende il ricorrente. Dette disposizioni sono, quindi, ostative alla pretesa del ricorrente e la rimozione dell'ostacolo implicito in esse contenuto e' l'unico strumento per la realizzazione della pretesa. La questione di legittimita' costituzionale delle dette disposizioni e delle norme di legge che le contengono e', quindi, rilevante ai fini del decidere e di essa occorre verificare la non manifesta infondatezza. Per effetto dell'entrata in vigore di detta legge 1971, n. 213 recante "soppressione dei compensi fissi per i ricoveri ospedalieri di cui all'art. 82 del r.d. 30 settembre 1938, n. 1631, e della cassa nazionale di conguaglio di cui al d.-l. 18 novembre 1967, n. 1044, convertito in legge 17 gennaio 1968, n. 4", i professori universitari, esplicanti attivita' assistenziale oltre i limiti propri di quella direttamente connessa all'attivita' docente, hanno subito una decurtazione del trattamento economico complessivo in godimento che e' diventato inferiore a quello del personale medico ospedaliero corrispondente. Essa al fine di eliminare tale condizione di inferiorita' economica con la conseguenza di indurre a svolgere solo attivita' di docenza e di abbandonare l'attivita' assistenziale non strettamente connessa a quella di docenza ha dettato, con l'art. 4, le seguenti disposizioni. Al comma primo ha precisato che fino al 31 dicembre 1970 "nulla e' innovato per quanto riguarda la corresponsione... dei compensi fissi e addizionali di cui all'art. 1 al personale medico universitario che svolge attivita' assistenziale negli istituti clinici gestiti direttamente dalle universita'...". Ne deriva il riconoscimento che fino al 31 dicembre 1970 detto personale percepiva un compenso proporzionato all'attivita' assistenziale prestata, in aggiunta al trattamento principale del docente universitario. Al comma due viene disposto che "gli enti ospedalieri... verseranno alle universita', per l'attivita' assistenziale svolta nelle unita' convenzionate, la somma... L'universita' dovra' destinare tale somma alla corresponsione al personale medico universitario che svolge comunque attivita' assistenziale di una indennita'... Tale indennita' non potra' essere superiore a quella necessaria per equiparare il trattamento economico a quello del personale medico ospedaliero... Ove lo consenta l'ammontare dei fondi disponibili, l'indennita' dovra' essere uguale a quella necessaria per ottenere l'equiparazione dei trattamenti economici". Dal tenore della riportata disposizione si ricava anzitutto la fissazione di un tetto massimo - prima inesistente - al compenso percepibile dai docenti universitari per l'attivita' assistenziale prestata. Mentre prima dell'entrata in vigore della legge il docente poteva percepire qualsivoglia importo, dopo la somma percepibile non poteva essere tale da far superare il trattamento economico del personale ospedaliero. L'indennita' connessa all'espletamento di attivita' assistenziale tende ad "equiparare il trattamento economico" muovendo dai presupposti, non dichiarati ma evidenti, del minor trattamento dei docenti rispetto agli ospedalieri, del maggior impegno richiesto ai docenti esplicanti anche attivita' assistenziale (oltre quella connessa all'attivita' docente) ed alla opportunita' di un trattamento economico delle due categorie quanto meno livellato (con l'ultima parte del comma due). In conclusione, ai fini della risoluzione della controversia in esame, si puo' affermare che il legislatore ha riconosciuto l'esistenza a carico dei docenti universitari di un maggior carico di lavoro, oltre quello proprio della docenza, ed ha ritenuto di compensarlo con una indennita'. Ulteriori considerazioni sono estranee ai fini del decidere e, quindi, non vengono svolte. Cio' che rileva e' l'esistenza di un'attivita' aggiuntiva e la previsione di un compenso. La misura del compenso, al momento dell'entrata in vigore della legge, non risulta proporzionata all'attivita' prestata, ma all'ammontare dei fondi disponibili e, comunque, al trattamento economico delle due categorie interessate; sicche' l'indennita' diminuisce con l'aumentare del trattamento economico proprio del docente. Conseguentemente, a tale momento, la disposizione, ancorche' mirante alla realizzazione di interessi forse non coincidenti, appariva non censurabile, rientrando nella discrezionalita' del legislatore la quantificazione dell'indennita' ed apparendo "certo non irrazionale, il criterio di equiparare, nei limiti del possibile, la posizione economica dei sanitari ospedalieri e dei docenti universitari operanti nelle cliniche" (Corte costituzionale n. 126 del 24 giugno 1981). Si deve precisare che nella detta sentenza e' chiarito che: "al piu' e' possibile parlare di un'attivita' la quale puo' rendere e di fatto rende di piu' oneroso il lavoro dei docenti addetti agli istituti in parola ed e' certamente in considerazione di cio' che il legislatore, da tempo, ha rivolto una particolare attenzione a questa situazione prevedendo qualche speciale compenso". "Ne e' gia' parola nel r.d. 13 novembre 1859, n. 3725"; "il compenso per il piu' oneroso svolgimento della loro attivita' trova tradizionalmente base in una valutazione discrezionale del legislatore, la quale soprattutto non deve trascurare la posizione dei professori a tempo pieno"; "il riconoscimento di una speciale indennita' per il maggior lavoro svolto dal docente esplicante anche attivita' di assistenza soddisfa di per se' il precetto dell'art. 36 Cost., mentre la determinazione dell'entita' di tale emolumento rientra nell'apprezzamento discrezionale del legislatore" (Corte costituzionale, ordinanza n. 673 del 9 giugno 1988). In conclusione, si ritiene che anche la giurisprudenza costituzionale riconosce che il lavoro dei docenti addetti anche all'assistenza e' piu' oneroso di quello dei medici ospedalieri e questa maggiore onerosita' va ripagata con un compenso in cui ammontare va fissato dal legislatore nella sua discrezionalita'. E cio' in applicazione del principio di cui all'art. 36 della Costituzione. Le citate disposizioni del 1971, del 1979 e del 1980 prevedono che l'indennita' "necessaria per equiparare il trattamento" si riduca mano a mano che si riduce la differenza fra i due trattamenti. E cio' con la conseguenza che ove la differenza si annulli, o il trattamento dei docenti superi quello dei medici ospedalieri, l'indennita' viene meno e, quindi, il maggior aggravio a carico dei docenti non viene in alcun modo compensato. E cio' in violazione dell'art. 36 della Costituzione (per richiamare quanto detto dalla Corte costituzionale a conclusione del punto 4 della motivazione della sentenza n. 126 del 1981). Il trattamento economico dei docenti universitari, per effetto del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36, ha raggiunto e superato quello del personale ospedaliero di pari funzione, per sopravanzarlo - per i docenti appartenenti all'ultima classe - per effetto del consistente miglioramento introdotto col d.-l. 10 maggio 1986, n. 154, convertito nella legge 11 luglio 1986, n. 341. In conseguenza e' venuta meno, si ritiene in via definitiva, l'erogazione dell'indennita' di cui all'art. 4 della legge n. 213 del 1971, dell'art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 e dell'art. 102 del d.P.R. n. 382/1980. Si sottolinea che non sussiste, quindi, la condizione di transitorieta' o di contingenza che sola giustificherebbe la mancata temporanea erogazione di un compenso per l'attivita' (Corte costituzionale, ordinanza n. 239 del 3 maggio 1990) e si rappresenta che la condizione di deteriore trattamento dei professori universitari rispetto ai medici ospedalieri sia omai superata anzi si sia invertita - si presume in via definitiva - la posizione tra le due categorie. A questo punto, venuta meno l'erogazione di compensi (o indennita' di equiparazione) a favore dei professori universitari e, fermo restando che rientra nella discrezionalita' del legislatore fissare la misura del compenso per la maggiore attivita' svolta dai docenti universitari in servizio presso cliniche o istituti convenzionati, si avverte che la mancanza di previsione di un qualche compenso per la ripetuta attivita' espone le dette disposizioni al dubbio di violazione dei principi di cui all'art. 36 e dell'art. 3 della Costituzione, perche' le ripetute disposizioni riservano una sola retribuzione senza integrazione alcuna a categorie diverse esplicanti l'una soltanto attivita' assistenziale e l'altra anche attivita' docente. In conclusione, si ritiene che l'eccezione di illegittimita' costituzionale degli artt. 4 della legge n. 213 del 1971, 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 e 102 del d.P.R. n. 382 del 1980 per contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione sia rilevante e non manifestamente infondata.