IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE Esaminati gli atti del processo penale n. 280/1996 reg. g.u.p. nei confronti di G. G., imputato siccome in atti. O s s e r v a Con ordinanza del 4 marzo 1996 il g.i.p., contestualmente a convalida di arresto flagrante ebbe ad applicare al G. misura cautelare (custodia cautelare in i.p.m.); il magistrato che compi' l'atto trovasi oggi a presiedere il collegio del g.u.p. che procede a giudicare l'imputato. La Corte costituzionale, attraverso una notevole quantita' d'interventi, ha di molto allargato le ipotesi d'incompatibilita' determinate da atti compiuti nel procedimento, previste dall'art. 34, secondo comma, del c.p.p. Dovendo questo collegio rivolgersi al giudice delle leggi ed avendo la Corte assai di recente ed in maniera chiara ed esaustiva precisato quale unico modello processuale in tale materia puo' essere reputato compatibile con la Costituzione, ci si limitera' all'essenziale. La giurisprudenza costituzionale a cui sopra si accennava (sentenze numeri 496/1990, 401 e 502 del 1991, 124, 186 e 399 del 1992, 439/1993, 432/1995, 131 e 155 del 1996), specie negli ultimi due pronunciamenti, ha elaborato il concetto, costituzionalmente doveroso, di giusto processo, di cui e' essenziale corollario l'assoluta imparzialita' dell'organo giudicante. Sicche' sarebbero in contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, 27, secondo comma, 101, secondo comma (ma e' stato anche prospettato contrasto con gli artt. 76 e 77, per violazione della legge delega - artt. 2, numeri 67 e 103 della legge 16 febbraio 1987, n. 81 -) tutte le mancate previsioni d'incompatibilita' fra la funzione giudicante (cioe' di quella che decide in ordine a responsabilita', colpevolezza e trattamento penale) e precedente pronunciamento, pur solo preliminare o delibativo, da parte dello stesso giudice (inteso nella sua fisicita' o come componente di collegio) in ordine a temi che necessitino anticipare il giudizio su responsabilita', colpevo-lezza e trattamento penale; cio', ancor piu' dopo l'intervento della legge n. 332/1995, la quale, come noto, impone, attraverso l'introduzione del comma II-bis all'art. 275, c.p.p., dover esprimere giudizio prognostico negativo circa concedibilita' di sospensione condizionale della pena (giudizio che, ovviamente, presuppone, che una qualche previsione si faccia circa responsabilita', colpevolezza e trattamento). Che la portata della preclusione sia vasta lo dimostra, da ultimo, in maniera adamantina la sentenza n. 155/1996, la quale ha stabilito che l'illegittimita' non si limita a coprire soltanto il caso del giudice per le indagini preliminari che abbia disposto una misura cautelare personale ma altresi' (...) i casi di modifica, sostituzione e revoca di misure cautelari personali precedentemente disposte, nonche', ulteriormente, il caso del rigetto, da parte del giudice per le indagini preliminari, della richiesta di applicazione, modifica, sostituzione o revoca di una misura cautelare personale formulata dal pubblico ministero o dall'imputato. Ulteriormente precisando che l'imparzialita' richiede che la funzione del giudicare sia assegnata a un soggetto "terzo", non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia da decidere, formatesi in diverse fasi del giudizio in occasione di funzioni decisorie ch'egli sia stato chiamato a svolgere in precedenza. Il divieto di cumulo di decisioni diverse sulla stessa materia, nella stessa persona investita del compito di giudicare, e' conseguenza del carattere necessariamente originario della decisione che definisce la causa, in opposizione a ogni trascinamento e confluenza in tale decisione di opinioni precostituite in altre fasi processuali presso lo stesso giudice-persona fisica. Tale divieto non riguarda tanto la capacita' del giudice di rivedere sempre di nuovo i propri giudizi alla luce degli elementi via via emergenti nello svolgimento del processo quanto l'obiettivita' della funzione del giudicare, che esige, per quanto e' possibile, la sua massima spersonalizzazione. Ora e' chiaro che nel processo penale ordinario le ipotesi nelle quali il giudice dell'udienza preliminare e' chiamato alla funzione di piena giurisdizione (cioe' a decidere nel merito il processo) sono determinabili apriori, dipendendo essi da una previa scelta delle parti di rito alternativo, limitandosi per il resto, il detto giudice, a verificare se sussista materiale probatorio sufficiente a giustificare il giudizio dibattimentale (verifica la quale, pur dopo l'ampliamento dell'art. 425, c.p.p., avutosi per mezzo dell'interpretazione datane dalla Corte di cassazione, ma, soprattutto per l'intervento dell'art. 1 della legge 8 aprile 1993, n. 105, e della sentenza n. 41 del 10 febbraio 1993 della Corte costituzionale, resta di semipiena giurisdizione). Cosi' non e' nel processo penale minorile. Qui, come esattamente e' stato individuato dalla prevalenza degli studiosi, l'udienza preliminare si caratterizza peculiarmente, tanto da potersi considerare in se' rito alternativo. Volendo tralasciare, perche' non strettamente pertinenti al tema in esame, i profili che attengono alle particolarita' dipendenti dall'eta' dell'imputato, appare necessario sottolineare come nell'udienza prelimimare minorile l'alternativa proscioglimento-rinvio a giudizio non e' affatto necessitata, ed anzi risulta senz'altro la meno ricorrente. All'esito della fase dell'udienza preliminare, che, ovviamente puo' (e, talvolta, di fatto, - art. 28 del d.P.R. n. 448/1988 - deve) snodarsi attraverso piu' udienze, il g.u.p. minorile, che proprio per questa sua funzione decisoria ha composizione collegiale (art. 50-bis, secondo comma, ord. giud.), se ne sussistono i presupposti: puo' sospendere il processo e mettere alla prova l'imputato e al verificarsi dell'esito positivo della prova dichiarare estinto il reato (artt. 28 e 29 del d.P.R. n. 448/1988); dichiarare estinto il reato per irrilevanza del fatto (artt. 27 e 32, primo comma, d.P.R. cit.); dichiarare non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale, per incapacita' di intendere e di volere e per non imputabilita' (artt. 26 e 32, primo comma, d.P.R. cit.). Fino a giungere all'applicazione di sanzione sostitutiva o della sola pena pecuniaria sulla base della sola richiesta del p.m. (art. 32, secondo comma, d.P.R. cit.). Formule tutte, queste, che presuppongono convincimento di colpevolezza, che trovi riscontro allo stato degli atti. Cioe' fondato sullo stesso materiale processuale preso in considerazione dal g.i.p. per applicare la misura cautelare. Innanzi a prova di innocenza o a insufficienza di prove per potersi sostenere l'accusa in giudizio il g.u.p. minorile e' tenuto ad emettere sentenza di non luogo a procedere con la formula del caso; nel mentre non puo' mettersi seriamente in dubbio che in tanto l'imputato puo' essere condannato a sanzione sostitutiva o pecuniaria, perdonato o messo alla prova, in quanto il giudice abbia sufficienti prove circa sussistenza del fatto di reato e colpevole commissione; intanto puo' dichiararsi non luogo a procedere ai sensi degli artt. 97 e 98, c.p., in quanto un certo fatto di reato sussista e l'imputato lo abbia colpevolmente commesso (Corte costituzionale n. 77/1993). Tanto e' vero che gli artt. 32 e 32-bis del d.P.R. n. 448/1988 (cosi' come interpretati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 77/1993), in tutti questi casi, concedono all'imputato lo speciale strumento dell'opposizione innanzi al tribunale per i minorenni, per recuperare quel giudizio dibattimentale altrimenti negato. E' appena il caso di soggiungere che trattasi di esiti tutti in anticipo non prevedibili che, inevitabilmente, richiederebbero che il g.u.p. fosse posto nella condizione sopra descritta di massima spersonalizzazione. In difetto, il giudice-persona fisica che ebbe in precedenza ad esprimere anche approfonditi giudizi circa colpevolezza, sulla stessa base di atti da prendersi ora in considerazione al fine di stabilire responsabilita' e colpevolezza, e che concorre a formare il collegio g.u.p., nella qualita' di presidente, si verrebbe a trovare, e con lui l'intero collegio, in una di quelle situazioni che la Corte ha reputato essere in contrasto col modello di giusto processo sopra delineato; unica ipotesi nel sistema nella quale non troverebbe applicazione il concetto di imparzialita' voluto dalla Corte costituzionale. Ne' vi sono argomenti di pregio costituzionale per potersi sostenere che al processo penale minorile debbono riservarsi minori garanzie che a quello per i maggiorenni o che l'esigenza di non interrompere eventuali processi educativi in atto possa comportare e giustificare limitazione del diritto di difesa, disparita' di trattamento (a seconda che del collegio faccia parte o meno giudice che si occupo' in precedenza, nelle forme viste, del procedimento), violazione della presunzione di non colpevolezza, turbamento della terzieta' del giudice; in un concetto solo; cosi' come si e' espressa la Corte, violazione dei principi del giusto processo. Nel caso di specie, il giudice chiamato a comporre, in qualita' di presidente, il collegio g.u.p. e' lo stesso, come si e' anticipato, che ebbe ad applicare all'imputato la grave misura della custodia cautelare in istituto penale per minorenni. Le ipotesi di incompatibilita' previste dall'art. 34, c.p.p., devono intendersi tassative (in tal senso milita l'interpretazione univoca della Corte suprema di cassazione e la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale, che di volta in volta, ha aggiunto, attraverso sentenze interpretative di accoglimento di tipo additivo, piu' ipotesi di incompatibilita' non individuate dalla legge) e, pertanto, il ricorso alla Corte costituzionale non e' evitabile in via interpretativa. La risoluzione del dubbio, che appare non manifestamente infondato per quanto esposto, e' rilevante, in quanto che da essa dipende la compatibilita' di questo collegio g.u.p. a procedere oltre nell'udienza preliminare minorile, accedendo agli esiti tutti che essa prevede, nessuno dei quali, allo stato, puo' essere escluso. I limiti della rilevanza impongono riferire la questione unicamente a riguardo di quanto dedotto, ma e' chiaro che identici argomenti valgono per le ipotesi nelle quali il giudice chiamato a comporre il collegio g.u.p. ebbe a rigettare richiesta di archiviazione o intervenne, non per meri aspetti formali, sulla misura cautelare o ebbe a rigettare richieste o istanze di modifica non formali o l'autorevole o convalidare intercettazioni telefoniche. Valutera' la Corte l'estensione del giudizio in applicazione dell'art. 27 della legge n. 87/1953.