IL TRIBUNALE
   Ha  deliberato  la seguente ordinanza nel procedimento, iscritto al
 numero 535 del registro delle  impugnazioni  delle  misure  cautelari
 personali  (mod.  XVII),  dell'anno  1996;  Saporito Giovanni, nato a
 Crotone   il 20 marzo  1933,  residente  a  Cassano  Jonio,  in  atto
 detenuto in Cosenza, presso la casa di cura Villa Verde (difeso dagli
 avvocati  Roberto  Laghi,  Gaetano  Di  Cunto,  entrambi  del foro di
 Castrovillari,  e  Giuseppe  Mazzotta  del foro di Cosenza); imputato
 appellante avverso l'ordinanza 1 luglio 1996 con la quale la Corte di
 assise di appello di Catanzaro,  in  esito  al  giudizio  di  secondo
 grado,  ha  respinto l'istanza difensiva di sostituzione della misura
 cautelare della custodia in casa di cura  con  quella  degli  arresti
 domiciliari.
    Sentiti l'imputato e il difensore, avvocato Fernanda Gigliotti, in
 sostituzione dell'avvocato Mazzotta;
    Udito il presidente relatore;
    Esaminati gli atti di causa:
                                Premette
   Con  sentenza  1  luglio  1996  la  Corte  di  assise di appello di
 Catanzaro ha confermato la sentenza 29 settembre 1996 della Corte  di
 assise  di Cosenza (di condanna alla pena principale della reclusione
 in anni undici pel delitto di omicidio in persona di Albanese Quirino
 e per i reati connessi), appellata dall'imputato Saporito Giovanni.
   Con ordinanza emessa in pari data  la  stessa  Corte  ha  rigettato
 l'istanza  difensiva  "di  sostituzione  della misura cautelare della
 custodia in casa di cura con quella degli arresti domiciliari".
   Avverso detto provvedimento gli avvocati Roberto Laghi, Gaetano  Di
 Cunto  e  Giuseppe  Mazzotta  hanno  proposto appello, nell'interesse
 dell'imputato, mediante atto depositato in data 10 luglio 1996 presso
 la cancelleria della pretura di Cosenza.
   La cancelleria della Autorita' procedente ha trasmesso gli atti  in
 data 18 luglio 1996.
   Alla udienza in camera di consiglio dell'11 settembre 1996, fissata
 giusta  decreto  del  28  agosto  1996  per    la  trattazione  della
 impugnazione  e  celebrata  con  l'intervento  dell'imputato  e   del
 difensore  in  epigrafe indicato,   il tribunale ha, preliminarmente,
 disatteso  l'istanza  difensiva  di  rinvio,  in  quanto   l'imputato
 espressamente  ha  rinunciato  alla  sospensione  dei  termini per il
 periodo feriale e ha chiesto la trattazione del gravame. Il  Saporito
 ha,  quindi, prodotto una memoria e alcuni documenti. Il difensore ha
 concluso per l'accoglimento dell'appello. Il tribunale  ha  riservato
 la decisione.
                                 Rileva
   In  limine,  il  Collegio  dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 310 c.p.p. nella parte in cui consente l'appello (davanti a
 questo tribunale) delle ordinanze de libertate emesse dalla corte  di
 assise di appello, per sospetta violazione dell'art. 97, comma primo,
 della Costituzione.
   La  questione  e'  rilevante  perche' concerne la norma dalla quale
 questo tribunale ripete la propria competenza a conoscere il presente
 gravame.
   La questione si appalesa non manifestamente infondata alla  stregua
 delle considerazioni che seguono.
   Premesso   che   la   sottoposizione  della  amministrazione  della
 Giustizia al principio del "buon andamento",  fissato  dall'art.  97,
 comma  primo,  della  Costituzione,  costituisce, ormai, jus receptum
 della giurisprudenza  costituzionale,  e  premesso,  ancora,  che  e'
 altrettanto   pacifico   che   la  discrezionalita'  del  legislatore
 ordinario, per quanto ampia, non puo' tuttavia  impingere  il  limite
 della  ragionevolezza,  rileva  il  Collegio  che  in generale, nella
 materia delle  impugnazioni,  la  scelta  di  fondo  del  legislatore
 ordinario  si e' estrinsecata, sul piano processuale e ordinamentale,
 nella  costruzione  di  un  ordo  judiciorum,  caratterizzato   dalla
 devoluzione  a  giudici  superiori  (per  struttura,  composizione  e
 qualificazione   professionale   dei   magistrati   addetti)    delle
 impugnazioni  dei  provvedimenti  emessi dai giudici inferiori (cfr.,
 pure, circa la nozione di giudice inferiore Cass, Sez. II, 15  maggio
 1976  n. 1731 in Giustizia Civile - Rivista mensile di giurisprudenza
 1976, I, 613-617). Tale opzione (alternativa alla  devoluzione  delle
 impugnazioni  a un giudice equiordinato rispetto al giudice che emise
 il provvedimento gravato, opzione attuata  in  altri  ordinamenti  e,
 sporadicamente,  con  disposizioni in controtendenza, pure nel nostro
 ordinamento,  sicilicet:  devoluzione  al  tribunale  con  sede   nel
 capoluogo  del  distretto,  o della sezione distaccata della corte di
 appello, delle impugnazioni incidentali de ilbertate delle  ordinanze
 emesse dagli altri tribunali del distretto) e', peraltro, in perfetta
 sintonia,  con  il  coordinamento  dei  principi costituzionali della
 distinzione dei magistrati  "soltanto  per  diversita'  di  funzioni"
 (art.   107,   comma   terzo,   Cost.)   e  della  loro  progressione
 professionale di carriera (art. 105 della Costituzione attributivo al
 Consiglio  superiore  della  magistratura  delle   "promozioni"   dei
 magistrati).
   Quali  che  siano,  comunque,  le  scelte o il sistema adottati sul
 piano del diritto positivo  pare  al  Collegio  incontrovertibile  la
 affermazione   di  principio  che,  in  ogni  caso,  sarebbe  affatto
 irragionevole,  illogica  e  contraria  a  ogni  criterio  di   "buon
 andamento"  l'attribuzione  della  cognizione  delle impugnazioni dei
 provvedimenti  di  un  giudice  collegiale  a  un   giudice   singolo
 equiordinato o, addirittura, sottoordinato.
   Orbene,  ad  analoga  censura  di  irragionevolezza,  illogicita' e
 contrarieta' al principio del "buon andamento" non  sembra  sottrarsi
 la norma sospettata di illegittimita' costituzionale.
   Giova, infatti, considerare che alla devoluzione delle impugnazioni
 a  un  giudice  diverso  (nel  senso  di  un  ufficio giudiziario non
 omologo) rispetto al giudice che  emise  il  provvedimento  impugnato
 deve  necessariamente,  correlarsi,  in  osservanza del principio del
 "buon andamento", la condizione che il giudice  ad  quem,  sul  piano
 ordinamentale   (per   struttura,   composizione   e   qualificazione
 professionale) offra garanzie, quantomeno non inferiori, rispetto  al
 giudice   a   quo,   affatto   palese  essendo  l'irragionevolezza  e
 l'assurdita' della opzione contraria.
   Tanto premesso, e' appena il caso di  ricordare  che  la  corte  di
 assise di appello:
     a) e' organo collegiale composto da otto giudici;
     b)  e' caratterizzata - in attuazione dell'art. 102, comma terzo,
 della Costituzione  -  dalla  "partecipazione  diretta  del  popolo",
 titolare della sovranita' (art. 1, comma secondo, Cost.);
     c)  e'  necessariamente  composta, nella componente togata, da un
 magistrato  promosso  al  grado  di    magistrato  di  cassazione  (o
 dichiarato  idoneo  a  essere  ulteriormente  valutato  ai fini della
 nomina a magistrato
  di cassazione) e da altro magistrato promosso al grado di magistrato
 di corte di appello (art. 4, comma primo,   lettere  a)  e  b)  della
 legge 10 aprile 1951 n. 287 e succ. mod.).
   Senza  bisogno  di  sottolineare  piu'  diffusamente  che  la legge
 processuale  riserva  agli  organi  giudiziari,  costituiti  con   la
 "partecipazione diretta del popolo" (le corti di assise di primo e di
 secondo  grado)  la  cognizione  dei  reati  piu' gravi, dimostrando,
 cosi', di considerare detta partecipazione come l'elemento di massima
 qualificazione e garanzia nell'ambito della giurisdizione di  merito,
 appare   evidente   l'irragionevolezza  della  norma,  sospettata  di
 illegittimita' costituzionale, laddove devolve  la  cognizione  della
 impugnazione  delle  ordinanze  della  corte  di assise di appello al
 tribunale ordinario della stessa sede, non appena  si  consideri  che
 detto giudice ad quem:
     aa)  sul  piano  della  struttura  e'  un collegio, formato da un
 numero  di  componenti  inferiore,  addirittura,   alla   meta'   dei
 componenti della corte di assise di appello;
     bb) non e' integrato dalla "partecipazione diretta del popolo";
     cc)  e'  composto da giudici che rivestono le qualifiche iniziali
 di uditore giudiziario (con fiunzioni) o di magistrato di tribunale e
 non e' necessariamente  presieduto  da  un  magistrato  di  corte  di
 appello   (artt.   2  legge  24  maggio  1951  n.  392  e  successive
 modificazioni, 48 e 104 dell'Ordinamento giudiziario).
   E',  infine,  appena  il  caso  di  aggiungere,  per  scrupolo   di
 completezza,  che il sospetto di illegittimita' costituzionale non e'
 neutralizzato dal richiamo, invero ricorrente nella giurisprudenza di
 legittimita' (Cass., Sez. VI, 28 febbraio 1992  n.  204,  massima  n.
 189600   in  Archivio  penale  -  C.E.D.  Cassazione),  al  precitato
 principio costituzionale della distinzione dei giudici "soltanto  per
 diversita' di funzioni".
   Siffatto  rilievo  avrebbe  fondamento  e  pregio,  soltanto  se il
 legislatore  avesse  configurato  in  relazione  agli  incidenti   de
 libertate  (adozione  delle  misure,  revoca o modifica delle stesse,
 impugnazione  dei  relativi  provvedimenti)  assetti  e  circuiti  di
 competenze  affatto indipendenti, separati e distinti da quelli della
 cognizione di merito dei  processi  penali.  Ma,  una  volta  che  il
 legislatore  ha inteso attribuire al giudice del processo di merito o
 della causa penale principale (nella specie la  corte  di  assise  di
 appello)  la  competenza  a  deliberare  sullo  status libertatis dei
 giudicabili, la determinazione del giudice  ad  quem,  cui  devolvere
 l'impugnazione    incidentale    de    liberte    (di   merito),   se
 incontestabilmente e'  rimessa  alla  discrezionalita'  dello  stesso
 legislatore   ordinario,   non   puo',  tuttavia,  prescindere  dalla
 ragionevolezza, nel senso che, sul piano ordinamentale, detto giudice
 ad quem deve possedere - per struttura, composizione e qualificazione
 professionale dei magistrati - requisiti, quanto meno  non  inferiori
 rispetto a quelli del giudice a quo.