IL PRETORE
                            Sulla competenza
   Questo pretore ha gia' avuto occasione di occuparsi della questione
 relativa alla competenza in analoga controversia (sentenza pretore di
 Genova del  5  aprile  1995,  Damonte  e  altri/Universita'  Genova).
 Quanto affermato in quella sentenza non puo' non essere oggi ribadito
 anche se, nel frattempo, la suprema Corte ha ritenuto che il rapporto
 tra  medici  iscritti  a  scuole di specializzazione e le Universita'
 nonche' il Ministero dell'universita' e della ricerca scientifica non
 sia qualificabile come rapporto di lavoro,  ed  in  particolare  come
 rapporto  di  lavoro  parasubordinato  ai  sensi dell'art. 409 n.   3
 c.p.c., per il fatto che tale  rapporto  si  traduce  in  prestazioni
 finalizzate  soprattutto alla formazione teorica e pratica del medico
 specializzando e non  gia'  a  procacciare  utilita'  alle  strutture
 sanitarie  nelle  quali  si  svolge  l'attivita'  necessaria per tale
 formazione,  di  modo  che  la  corresponsione  di  emolumenti   allo
 specializzando  e' essenzialmente destinata a sopperire alle esigenze
 materiali dello stesso in  relazione  all'attuazione  dell'impegno  a
 tempo  pieno  per  l'apprendimento  e  la  formazione  (v.  Cass.  16
 settembre 1995 n. 9789).
   Invero,  nella  citata  pronuncia  la  suprema  Corte,  dopo  avere
 equiparato, senza compiere peraltro alcun raffronto, la posizione del
 medico  specializzando a quella del medico tirocinante, perviene alla
 conclusione sopra riportata  senza  analizzare  quegli  elementi  che
 invece  qualificano  il  rapporto  come  parasubordinazione, elementi
 messi in evidenza proprio dalla costante giurisprudenza  in  tema  di
 tirocinio dei medici presso gli enti ospedalieri.
   La  citata  giurisprudenza di legittimita' afferma l'incompetenza a
 giudicare del pretore del  lavoro  proprio  dalla  insussistenza  nel
 rapporto  tra  ospedale  e  medico-tirocinante dei "minima" richiesti
 dall'art.  409  n.  3   (coordinazione,   prestazione   continuativa,
 prevalente personalita').
   Se  infatti si legge non la massima, ma la motivazione delle citate
 sentenze (v. Cass. sez. un. 8190/1987)  si  puo'  apprezzare  che  la
 Cassazione  tiene  proprio conto dei citati elementi normativi: " ...
 il tirocinio pratico svolto dai medici presso  gli  enti  ospedalieri
 non  integra un rapporto di lavoro, ne' autonomo, ne' subordinato, in
 quanto si traduce in prestazioni non dirette a  procacciare  utilita'
 ai  predetti  enti,  o  comunque  ad  inserirsi  nell'ambito dei loro
 programmi  operativi,  bensi'  esclusivamente  rivolte  a  conseguire
 l'addestramento  dei sanitari nei servizi ospedalieri, in vista della
 loro eventuale assunzione  mediante  i  prescritti  concorsi,  dietro
 corresponsione  di  un  assegno  privo  di natura di corrispettivo ed
 inteso soltanto a sopperire alle esigenze materiali dei tirocinanti".
   La Corte ha quindi escluso la competenza  del  pretore  del  lavoro
 proprio  perche'  mancavano i requisiti di cui all'art. 409 n. 3.:  "
 ... il procedimento dinanzi al giudice ordinario,  in  considerazione
 dell'indicata  natura  del  rapporto di tirocinio e della conseguente
 non ricorrenza di alcuna delle ipotesi di cui all'art. 409 c.p.c., e'
 soggetto al rito comune e sottratto alla competenza per  materia  del
 pretore, in funzione di giudice del lavoro" (Cass. cit..).
   Ma  quanto  affermato  dalla suprema Corte non puo' di certo valere
 per il rapporto dedotto in giudizio.
   Infatti l'esame della  semplice  normativa  induce  a  ritenere  la
 sussistenza di tutti i "minima" richiesti dell'art. 409 n. 3.
   L'art.  4  (diritti  e  doveri  degli  specializzandi)  e  l'art. 5
 (incompatibilita', congedi e interruzioni)  del  d.lgs.  n.  257/1991
 mettono in evidenza i seguenti elementi:
     partecipazione  del medico alla totalita' delle attivita' mediche
 del servizio di cui fanno parte le  strutture  nelle  quali  essa  si
 effettua;
     partecipazione alle guardie;
     partecipazione   all'attivita'   operatoria  (per  le  discipline
 chirurgiche);
     assunzione graduale di compiti assistenziali;
     attivita' di assistenza per il tirocinio  pratico  connesso  alla
 specializzazione;
     obbligo  per le Universita' di assicurare i medici specializzandi
 contro i rischi professionali e infortuni connessi  all'attivita'  di
 formazione;
     divieto  durante  il  periodo di formazione di svolgere attivita'
 libero-professionale nonche' attivita' convenzionata o  precaria  con
 il SSN;
     sospensione  della  formazione per servizio militare, maternita',
 malattia, missioni scientifiche;
     assenza giustificata per anno accademico di giorni trenta.
   Tutti questi elementi indicano in maniera  univoca  che  il  medico
 specializzando  e' inserito in una struttura in cui svolge in maniera
 continuativa e coordinata la propria attivita' professionale che, non
 puo' altrimenti essere, di carattere personale.
   Il medico infatti deve partecipare a tutte le attivita' mediche del
 servizio  comprese  le   guardie   e   l'attivita'   operatoria:   lo
 specializzando e' quindi inserito nella struttura che lo coordina con
 l'attivita' degli altri medici, ed e' quindi elemento della struttura
 stessa.
   La  continuativita'  del  rapporto  e'  poi indiscussa posto che il
 medico (per il periodo di  durata  della  scuola)  deve  svolgere  la
 propria  attivita'  senza  poter svolgere altra attivita' e a pena di
 esclusione dalla scuola di specialita' qualora non abbia  svolto  con
 regolarita' esami ed attivita' pratiche.
   In  sintesi:  le  prestazioni  del  medico  da  un lato procacciano
 utilita' all'ente e comunque si inseriscono nei  programmi  operativi
 delle  singole scuole di appartenenza dall'altro consentono al medico
 di conseguire esperienza professionale pratica e teorica al  fine  di
 conseguire il diploma di specializzazione.
   Il  rapporto  ha  quindi  una causa mista: la prestazione economica
 (definita borsa di studio) non e' solo erogata al fine  di  sopperire
 alle   esigenze   materiali   dello   specializzando   ma   e'  anche
 corrispettivo di prestazioni professionali del medico.
   Al riguardo deve osservarsi che l'importo dell'assegno  del  medico
 tirocinante  e  del medico specializzando   non e' lo stesso: infatti
 mentre l'assegno per il medico tirocinante e' nella  misura  del  50%
 del   trattamento   eco-nomico   tabellare  attribuito  all'ispettore
 sanitario o all'assistente di ruolo a tempo pieno o al farmacista  di
 ruolo (art. 74-quater legge n. 130/1969 introdotto dall'art. 12 della
 legge  n.  148/1975), quello per il medico specializzando, invece, e'
 determinato in lire 21.500.000 all'anno dall'art. 6 legge n. 257/1991
 che lo lega poi al tasso di inflazione programmato e comunque ad  una
 rideterminazione  triennale  che  deve tenere conto del miglioramento
 stipendiale tabellare minimo previsto dalla  contrattazione  relativa
 al personale medico dipendente del SSN.
   Ed   e'   proprio   la  comparazione  tra  l'attivita'  del  medico
 tirocinante  con  quella  del  medico  specializzando  che  mette  in
 evidenza  come  l'orientamento  della  suprema Corte non possa essere
 utilizzato in via analogica per il rapporto dedotto in causa.
   Infatti cio' che emerge con piu' evidenza dal raffronto tra le  due
 normative  e'  l'assoluta  differenza tra i due profili professionali
 che non possono essere tra loro sovrapposti.
   In sintesi:
    i  tirocinanti  non  fanno  parte  dell'organizzazione ospedaliera
 infatti "... non possono essere adibiti a sostituzione  di  personale
 sanitario dell'ospedale" (art. 74-bis legge n. 130/1969);
     i  medici specializzandi, invece, fanno parte dell'organizzazione
 sanitaria  gestita  dalle  scuole  universitarie  in  quanto   devono
 svolgere  ogni attivita' medica, ivi comprese le guardie ed eventuale
 attivita'   operatoria,   e   conseguentemente   l'Universita'   deve
 provvedere  ad  assicurare  i medici per i rischi professionali e gli
 infortuni connessi all'attivita' di  formazione  (art.  4,  comma  8,
 d.lgs. n. 257/1991);
     i  tirocinanti  possono  essere  affidati a medici specializzandi
 (art. 4, comma 2, d.lgs. n. 257/1991);
     il tirocinante puo' svolgere attivita' libero professionale:   il
 medico  specializzando  svolge  invece la formazione a tempo pieno in
 posizione   di   incompatibilita'   con   qualsiasi   attivita'   sia
 libero-professionale  che  di dipendenza anche da enti pubblici (art.
 5, comma 1 e 2, d.lgs.  n. 257/1991);
     il tirocinio e' previsto per un periodo non inferiore a mesi  sei
 e   l'assegno  mensile  e'  dovuto  solamente  per  un  solo  periodo
 semestrale di tirocinio (art. 74-ter legge n. 130/1969);
     il medico specializzando gode di fatto della tutela prevista  per
 i  lavoratori dipendenti in quanto costituiscono causa di sospensione
 del  periodo  di  formazione  il  servizio  militare,   le   missioni
 scientifiche,  la gravidanza e la malattia; invece il tirocinante non
 gode di analoga tutela in quanto tali  cause  potranno  eventualmente
 essere  apprezzate  quali  cause  di  interruzione  giustificata  con
 conseguente riammissione del tirocinante a frequentare  il  tirocinio
 non prima di sei mesi dall'interruzione.
   In  definitiva,  piuttosto che con il tirocinio pratico del medico,
 non sembra fuori luogo evidenziare qualche analogia  della  normativa
 che  disciplina  il  rapporto tra medico specializzando e Universita'
 con il contratto di formazione e lavoro.
   Infatti in quest'ultimo tipo di contratto all'attivita'  lavorativa
 vera  e  propria  si aggiunge un insegnamento teorico-pratico diretto
 all'acquisizione  di  qualificazione  professionale:   e   la   causa
 contrattuale  e' mista risultando dallo scambio fra lavoro retribuito
 e addestramento finalizzato all'acquisizione  della  professionalita'
 necessaria  al  lavoratore  per  immettersi  nel mondo del lavoro (v.
 Cass. 13 febbraio 1992 n. 1801). La stessa causa mista che, ad avviso
 di questo pretore e tenuto conto delle  dovute  differenze,  sussiste
 nel rapporto tra Universita' e medico specializzando.
   In  ultimo,  e  per completezza, non puo' mettersi in evidenza come
 l'espressa previsione normativa che "l'ammissione e la frequenza alla
 scuola ... non determinano  la  costituzione  di  alcun  rapporto  di
 impiego"  se  assume sicuro significato di escludere espressamente la
 costituzione di  un  rapporto  di  pubblico  impiego,  per  l'analisi
 normativa  di  cui  sopra,  anche  accedendo  alla  tesi  prospettata
 dall'universita' (esclusione di impiego sia pubblico che privato) non
 porterebbe comunque a superare il c.d. rapporto di parasubordinazione
 (409 n. 3 c.p.c.)  che non e' rapporto di impiego privato.
   Per le ragioni sopra espresse deve affermarsi (nella consapevolezza
 del contrario orientamento sul  punto  della  sentenza  citata  della
 suprema  Corte)  la  competenza per materia del pretore del lavoro in
 quanto  il  rapporto  dedotto  in  giudizio  rientra  in  quelli   di
 parasubordinazione di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c.
            Sulla questione di illegittimita' costituzionale
   Il quadro normativo di riferimento e' il seguente:
     a)  l'art.  6  del  d.lgs.  8  agosto  1991  n.  257 (in Gazzetta
 Ufficiale 16 agosto  1991  n.  191:  attuazione  della  direttiva  n.
 82/1976/CEE,  in  tema  di formazione dei medici specialisti) prevede
 che sia corrisposta ai  medici  ammessi  alle  scuole  di  formazione
 "...una borsa di studio determinata per l'anno 1991 in L. 21.500.000.
 Tale  importo  viene  annualmente,  a  partire  dal  1  gennaio 1992,
 incrementato del tasso programmato d'inflazione ed e'  rideterminato,
 ogni  triennio,  con  decreto del Ministro della sanita', di concerto
 con  i  Ministri  dell'universita'  e  della  ricerca  scientifica  e
 tecnologica  e  del tesoro, in funzione del miglioramento stipendiale
 tabellare minimo previsto dalla contrattazione relativa al  personale
 medico dipendente dal Servizio sanitario nazionale";
     b)  il  d.-l.  legge  19  settembre 1992 n. 384, convertito nella
 legge n. 438/1992, recante misure urgenti in materia  di  previdenza,
 di  sanita'  e  di  pubblico  impiego,  nonche' disposizioni fiscali,
 prevede all'art. 7, comma 5,  che  "tutte  le  indennita',  compensi,
 gratifiche  ed  emolumenti  di  qualsiasi  genere,  comprensivi,  per
 disposizioni di legge o atto amministrativo previsto dalla  legge,  o
 per disposizione contrattuale, di una quota di indennita' integrativa
 speciale  di  cui  alla  legge  27  maggio  1959  n. 324 e successive
 modificazioni, o  dell'indennita'  di  contingenza  prevista  per  il
 settore privato o che siano, comunque, rivalutabili in relazione alla
 variazione  del  costo  della  vita  sono corrisposti per l'anno 1993
 nella stessa misura dell'anno 1992";
     c) la legge n.  537/1993  (art.  3  comma  36)  ha  prorogato  le
 disposizioni  di  cui  all'art.  7, commi 5 e 6, del decreto-legge n.
 384/1992,  convertito  nella  legge  n.  438/1992,  per  il  triennio
 1994-1996;
     d) la legge finanziaria 1996 (legge n. 549/1995) prevede all'art.
 1, comma 33, che "le disposizioni di cui all'art. 7, commi 5 e 6, del
 d.-l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla
 legge  14  novembre 1992, n. 438, prorogate per il triennio 1994-1996
 dall'art. 3, comma 36, della legge 24 dicembre 1993,  n.  537,  vanno
 interpretate nel senso che tra le indennita', compensi, gratifiche ed
 emolumenti   di  qualsiasi  genere,  da  corrispondere  nella  misura
 prevista per il 1992,  sono  comprese  le  borse  di  studio  di  cui
 all'art.  6 del d.-l. 8 agosto 1991, n. 257".
   E' pacifico che il rapporto tra Universita' e medici specializzandi
 non  origina  un  rapporto  di  pubblico  impiego ma privatistico: al
 riguardo e' lo stesso decreto legislativo n. 257/1991 che all'art.  4
 comma  3,  si  premura di affermare "l'ammissione e la frequenza alla
 scuola,   finalizzate   alla   formazione   di   medico   specialista
 dell'iscritto  non  determinano  la costituzione di alcun rapporto di
 impiego. Inoltre secondo la giurisprudenza di merito (tra cui  quella
 di  questa  pretura)  trattasi di rapporto di lavoro parasubordinato,
 mentre  secondo  una  (unica)  sentenza  della  suprema  Corte   (non
 condivisibile  per i motivi di cui sopra) trattasi invece di rapporto
 privatistico che non rientra tra quelli dell'art. 409 n. 3 c.p.c.
   Peraltro  in questa sede preme denunciare, proprio per il fatto che
 il  rapporto  medico  specializzando  Universita',  non  e'  comunque
 assimilabile  al  rapporto di pubblico impiego, e ferma la competenza
 di questo pretore  per  i  motivi  sopra  esposti  la  illegittimita'
 dell'art.  1, comma 33 della legge n. 549/1995.
   Tale  disposizione  infatti,  ad  avviso  di  questo  pretore,  non
 contiene  norme  interpretative  di  norme  emanate   in   precedenza
 (articolo  7,  comma  5,  del  decreto-legge  n. 384/1992) ma estende
 retroattivamente  una  disciplina  pubblicistica   ad   un   rapporto
 pacificamente privatistico.
   "In  conformita'  ad  una  costante giurisprudenza, va riconosciuto
 carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo  il  tenore
 testuale  della  norma  interpretata,  ne  chiarisce  il  significato
 normativo  ovvero  privilegia  una  tra  le   tante   interpretazioni
 possibili,  di  guisa  che  il contenuto precettivo e' espresso dalla
 coesistenza delle due norme (quella precedente e  l'altra  successiva
 che  ne  esplicita  il  significato),  le quali rimangono entrambe in
 vigore e sono quindi anche idonee ad essere modificate separatamente"
 (Corte costituzionale n. 155/1990).
   L'art. 1, comma 33, della legge n. 549/1995,  invece,  modifica  il
 tenore letterale dell'art. 7, comma 5, del decreto-legge n. 384/1992:
 secondo  infatti  i  canoni  interpretativi  (art.  12  preleggi)  e'
 indubbio che quest'ultima disposizione disciplinava esclusivamente la
 materia del pubblico impiego.
    Ne sono indici:
      a) il dato letterale  utilizzato  dal  legislatore  univocamente
 diretto  alla  materia del pubblico impiego; in particolare tale dato
 si apprezza nel preambolo al decreto-legge n. 384/1992 (...  ritenuta
 la straordinaria necessita' ed urgenza di fronteggiare con interventi
 adeguati  la  grave  situazione  economica  e  finanziaria, adottando
 misure per il contenimento delle spese nei settori della  previdenza,
 della  sanita' e del pubblico impiego ...), nel titolo della legge n.
 537/1993 ("interventi correttivi di finanza pubblica"), nell'art.  3,
 comma 36, che reca la dizione "pubblico impiego";
     b)  tali  espressioni  risultavano  inoltre gia' utilizzate dalla
 legge n. 384/1992 "recante misure urgenti in materia di previdenza di
 sanita' e di pubblico impiego" il cui  capo  III  recava  la  dizione
 "pubblico  impiego"  e  l'art.  7  contemplava  "misure in materia di
 pubblico impiego".
   Deve  pertanto  escludersi  la  necessita'  di  chiarire  il  senso
 letterale  dell'art.  7,  comma  5,  del decreto-legge n. 384/1992 in
 quanto pacificamente tale norma non era destinata  a  disciplinare  i
 rapporti di diritto privato  con la p.a.
   L'art.  1,  comma  33,  della  legge  n. 549/1995 pertanto non puo'
 ritenersi norma interpretativa ma innovativa perche' disciplina  (per
 il   passato)   la   materia   delle   borse  di  studio  dei  medici
 specializzandi in maniera diversa da come  disciplinata  dall'art.  6
 del  decreto  legislativo n. 57/1991: nel qualificarsi interpretativa
 dell'art. 7, comma 5, decreto-legge n.  384  la  norma  determina  la
 implicita   abrogazione  per  il  periodo  1992-1996  del  regime  di
 determinazione delle borse di studio indicato dall'art. 6 del  citato
 decreto legislativo.
   Invero  sembra  a  questo  pretore  che  nessuna  causa giustifichi
 l'irretroattivita' della disposizione impugnata.
   Al  riguardo deve rilevarsi che da un punto di vista cronologico e'
 accaduto:
     a) che nel 1991 venisse emanata la normativa che disciplinava  il
 rapporto di collaborazione tra medici specializzandi ed Universita';
     b)  che nel 1992 venisse emanato il decreto-legge che determinava
 il  blocco  della  rivalutazione  su   indennita',   compensi,   ecc.
 (decreto-legge convertito nel novembre 1992);
     c)  che  si  instaurasse  un  nutrito  contenzioso  tra  i medici
 specializzandi e l'Universita' che aveva applicato  il  decreto-legge
 del 1992 anche ai rapporti di specializzazione;
     d)  che  il  contenzioso  avesse avuto esito favorevole ai medici
 specializzandi;
     e) che nel  1995  il  legislatore  avvertisse  la  necessita'  di
 interpretare   (rectius:   innovare   la   disciplina   con   effetto
 retroattivo) la norma in senso favorevole all'Universita';
     f) che la fattispecie delineata  dall'art.  1,  comma  33,  della
 legge  n.  549/1995  non  solo  ha carattere specifico, ma e' proprio
 quella dedotta nel contenzioso di cui si e' fatto cenno.
   I fatti sopra riportati non lasciano alcun dubbio sul fatto che  la
 norma  in  esame  e' stata emanata con l'unica intenzione di incidere
 sui numerosi giudizi in corso  ponendosi  in  tal  modo  in  evidente
 contrasto con gli artt. 101, 102 e 104 della Carta costituzionale.
   La  Corte  costituzionale  al riguardo ha infatti affermato che "la
 legge interpretativa, per vero, non viola di per se' gli  artt.  101,
 102  e  104  della  Costituzione  ...  a  meno  che  essa non leda il
 giudicato gia'  formatosi  o  non  sia  intenzionalmente  diretta  ad
 incidere  sui  giudizi  in  corso.  Se queste circostanze, come nella
 specie non ricorrono (per vero il giudice a quo adombra  il  sospetto
 di  una  preordinata  interferenza,  ma  esso  non  e'  suffragato da
 elementi univoci) si deve escludere che le  attribuzioni  del  potere
 giudiziario  siano vulnerate in quanto legislatore e giudice agiscono
 su piani diversi" (Corte cost. n. 155/1990 cit.).
   Tale principio sembra proprio applicabile al caso in esame sia  che
 la  disposizione  censurata  venga  ritenuta meramente interpretativa
 sia, come sembra a questo pretore, venga ritenuta innovativa.
   Gli elementi univoci richiesti  dalla  Corte  costituzionale  nella
 citata  sentenza  (che  convincono  proprio  in  punto  non manifesta
 infondatezza della questione) si specificano proprio  nei  tempi  con
 cui  e'  avvenuto  l'intervento  legislativo,  intervento legislativo
 avvenuto quando ormai si era consolidato (o si stava consolidando) un
 orientamento giurisprudenziale favorevole ai ricorrenti.
   Non deve fuorviare  il  fatto  che  la  disposizione  in  esame  e'
 contenuta  nella  legge  finanziaria sicche' l'intervento legislativo
 potrebbe essere giustificato dalla necessita' - ormai drammatica - di
 risparmiare sulla spesa pubblica.
   Sembra, infatti, privo  di  razionale  fondamento  attribuire  alla
 disposizione  in  esame  una efficacia estesa retroattivamente per un
 periodo di ben cinque anni limitatamente  ai  soli  negozi  giuridici
 stipulati  dall'Universita'  agli  studi  iure  privatorum con medici
 specializzandi: e cio' soprattutto dopo che la  giurisprudenza  aveva
 dato una lettura univoca della normativa.
   Orbene,  come  noto,  "l'irretroattivita'  costituisce un principio
 generale del nostro ordinamento (art. 11  preleggi)  e,  se  pur  non
 elevato,  fuori della materia penale, a dignita' costituzionale (art.
 25,  secondo  comma,  Cost.)  rappresenta  pur  sempre   una   regola
 essenziale    del   sistema   a   cui,   salva   un'effettiva   causa
 giustificatrice, il legislatore deve  ragionevolmente  attenersi,  in
 quanto  la  certezza  dei  rapporti preteriti costituisce un indubbio
 cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei  cittadini"
 (cosi' Corte cost. n. 155/1990).
   Nessuna  causa giustificatrice e' dunque apprezzabile se non quella
 di non pagare quanto dovuto secondo una legge dello Stato e dopo  che
 tale  diritto  era stato riconosciuto dal giudice che aveva applicato
 la legge vigente (cfr. 101, comma secondo, Cost.).
   Quest'ultima considerazione consente di rilevare altro  profilo  di
 illegittimita'  costituzionale  questa volta con riferimento all'art.
 3 della Carta costituzionale.
   La norma in esame, infatti, non disciplina ex novo tutti i rapporti
 iure privatorum  dell'Universita' ma si limita ad estendere  ai  soli
 medici  specializzandi  -  unici  tra  tutti  coloro  che  hanno  con
 l'Universita' un rapporto  di  diritto  privato  -  una  disposizione
 dettata esclusivamente in materia di pubblico impiego.
   I  medici specializzandi non sono pacificamente dipendenti pubblici
 (cfr.  art.  4,  comma  3,  d.lgs.  n.  257/1991)  sicche'  applicare
 solamente  a  loro una norma dettata per motivi di contenimento della
 spesa pubblica nel settore del pubblico impiego non sembra perseguire
 un interesse apprezzabile e quindi ragionevole.
   Per  quanto  riguarda,  infine,  la   rilevanza   delle   questioni
 prospettate  e'  sufficiente  osservare  che la decisione della Corte
 costituzionale    determinera'    necessariamente    l'esito    della
 controversia perche' il ricorrente invoca proprio la non applicazione
 (da  parte  dell'Universita'  convenuta) delle disposizioni che hanno
 congelato gli aumenti per tutte le indennita',  compensi,  gratifiche
 ed  emolumenti  di  qualsiasi  genere,  disposizioni  estese anche al
 rapporto  in  essere  tra  il  ricorrente  e  l'Universita'   proprio
 dall'art. 1, comma 33, della legge n. 549/1995.