IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al
 n.  1951  del ruolo generale degli affari  contenziosi dell'anno 1988
 vertente tra Calabro' Francesco, Calabro' Pasquale,  Palermo  Grazia,
 rappresentati  e  difesi  dall'avv.  Antonio  Andrea Aragona, attori,
 contro il Consorzio per l'area  di  sviluppo  industriale  di  Reggio
 Calabria,  in  persona  del  suo  legale  rappresentante  commissario
 straordinario pro-tempore rappresentato e difeso  dall'avv.  Eleonora
 Masseo, convenuto.
                           Rilevato in fatto
   Con  deliberazione  n.  15/PT  del  12 gennaio 1983 il consiglio di
 amministrazione della Cassa per il mezzogiorno approvava il  progetto
 dei  lavori di costruzione del raccordo stradale tra l'agglomerato di
 Villa San Giovanni  e  l'autostrada  A/3  Salerno-Reggio  Calabria  e
 dichiarava l'opera di pubblica utilita', urgente ed indifferibile.
   Con  decreto  n.  913  del  22 maggio 1984, notificato il 14 giugno
 1984, il prefetto della provincia di Reggio Calabria autorizzava, per
 l'esecuzione dei detti lavori, il Consorzio per  l'area  di  sviluppo
 industriale di Reggio Calabria ad occupare temporaneamente, d'urgenza
 un'area  della  superficie  di  mq.  1.000  del  terreno  di maggiore
 estensione di proprieta' di Calabro' Francesco e  Calabro'  Pasquale,
 con  diritto di usufrutto per 1/3 in capo a Palermo Grazia, riportato
 nel N.C.T.  del comune di Reggio Calabria in localita' Catona, foglio
 2, particella 267.
   Il 13 luglio 1984  si  procedeva  alla  materiale  occupazione  del
 terreno   ed   il  16  luglio  1984  veniva  accertato  lo  stato  di
 consistenza.
   Con  delibera  n.  4431  dell'8 luglio 1987 il Comitato di gestione
 dell'agenzia  per  la  promozione  dello  sviluppo  del   Mezzogiorno
 riapprovava,  ai  soli fini della dichiarazione di pubblica utilita',
 il progetto suddetto e statuiva i nuovi termini di cui all' art. 13 e
 segg. della legge n. 2359/1865.
   Con  atto  di  citazione  notificato  il  7  agosto  1988  Calabro'
 Francesco,  Calabro' Pasquale e Palermo Grazia iniziavano la presente
 causa nei confronti del Consorzio per l'area di sviluppo  industriale
 di  Reggio  Calabria  e  - premesso che il convenuto aveva eseguito i
 lavori progettati, occupando, molto probabilmente,  un'area  maggiore
 di   quella  oggetto  del  decreto  d'occupazione  d'urgenza  e  che,
 comunque,  questa  non  era  stata  prorogata  ne'  era   intervenuta
 l'espropriazione definitiva - chiedevano la condanna del Consorzio al
 risarcimento   dei   danni   per   l'occupazione  illegittima,  oltre
 rivalutazione ed interessi.
    Il convenuto, costituendosi in giudizio, resisteva, eccependo, tra
 l'altro, che, per effetto delle proroghe disposte  dagli  artt.    1,
 comma  5-bis, del decreto-legge n. 901/1984 convertito dalla legge n.
 42/1985 e 14, secondo comma, del decreto-legge n. 534/1987 convertito
 dalla legge n. 47/1988,  il  fondo  risultava  ancora  legittimamente
 occupato;  contestava,  inoltre,  che  fosse  stata  occupata un'area
 maggiore di quella indicata nel  relativo  decreto  e  che  il  fondo
 avesse vocazione edificatoria.
   A  seguito  di sopralluoghi effettuati nei mesi di febbraio e marzo
 1991 il consulente tecnico d'ufficio nominato nel corso del  giudizio
 accertava  che  il  fondo  degli  attori  era stato irreversibilmente
 trasformato con la realizzazione dell'opera pubblica progettata,  che
 tale irreversibile trasformazione riguardava un'area di 1.969 mq (con
 l'occupazione, quindi, di 969 mq in piu' rispetto alla superficie cui
 si  riferiva  il  decreto di occupazione d'urgenza), che il  terreno,
 inserito nel p.r.g. del comune di Reggio Calabria e classificato come
 zona F "destinata all'espansione ed allo sviluppo dei servizi", aveva
 vocazione edificatoria.
   In data 5 giugno 1991, con decreto n. 707 notificato il  20  giugno
 1991,  il  prefetto  della  provincia  di  Reggio  Calabria disponeva
 l'esproprio definitivo dell'area per una superficie di mq. 1.970.
   Precisate le conclusioni, all'udienza collegiale  del  12  dicembre
 1995 la causa veniva rimessa in decisione.
                          Rilevato in diritto
   Secondo   l'ormai   consolidata   giurisprudenza   della  Corte  di
 cassazione  l'occupazione  illegittima  del  suolo    privato  e   la
 costruzione   su   di  esso  di  un'opera  da  parte  della  pubblica
 amministrazione,   determinano,   per       l'impossibilita'    della
 restituzione  al  proprietario  (cui  segue  l'effetto  dell'acquisto
 dell'immobile alla mano pubblica) un danno nella sfera giuridica  del
 privato  la  cui  azione  per  il  conseguimento del valore ha natura
 risarcitoria  (cfr. Cass s.u. 25 novembre 1992  n.  12546).  Da  tale
 ricostruzione del fenomeno della c.d. occupazione acquisitiva e dalla
 conseguenziale disciplina questo tribunale non ritiene di discostarsi
 nella decisione del caso de quo.
   In   particolare,  giova  rilevare,  con  specifico  riferimento  a
 quest'ultimo, che deve ritenersi  certamente    illegittima,  perche'
 effettuata  sine  titulo,  l'occupazione della superficie di mq. 969,
 della quale non era  stata    autorizzata  l'occupazione  temporanea,
 d'urgenza,  col decreto prefettizio n. 913 del 22 maggio 1984, ne' lo
 e' stata successivamente.
   Inoltre, la riconducibilita' della vicenda  in  esame  al  predetto
 fenomeno  dovrebbe ritenersi anche con riferimento all'ulteriore area
 della superficie di 1.000 mq, ove si  consideri  che,  essendo  stata
 autorizzata  l'occupazione  temporanea  per  un  periodo di due anni,
 decorrenti  dal  13  luglio  1984  (data  di  effettiva   occupazione
 dell'immobile),  il  decreto  di  espropriazione del 5 giugno 1991 e'
 intervenuto ben oltre i termini di legge (e cio' sia che  si  ritenga
 automaticamente  operativa la proroga di cui all'art. 1, comma 5-bis,
 del decreto-legge n. 901/1984, sia, a maggior ragione, ove si ritenga
 che fosse necessaria l'emanazione di uno specifico  provvedimento  di
 proroga  prima  della  scadenza  dei termini, del quale non si allega
 l'esistenza;  mentre  di  certo  l'occupazione   e'   scaduta   prima
 dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 534/1987).
   Ritenuto:
     pertanto,   che   nella   controversia   de  qua  dovrebbe  farsi
 applicazione della norma di cui all'art. 1, comma 65, della legge  28
 dicembre  1995  n. 549, entrata in vigore nelle more tra l'udienza di
 discussione e la presente  decisione;
     che  l'applicazione  della  norma  predetta  (e   quindi,   delle
 disposizioni  di  cui all'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992 n. 333,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992 n. 359,  del
 quale  la stessa ha sostituito il comma 6) anche nei giudizi pendenti
 consegue all'espressa previsione  contenuta  nella  norma  della  sua
 applicazione   in  tutti  i  casi  in  cui  "non  sono  stati  ancora
 determinati in via definitiva il  prezzo,  l'entita'  dell'indennizzo
 e/o del risarcimento del danno ...";
     che,  appunto,  nel  caso  di  specie,  trattasi  di  determinare
 giudizialmente l'entita' del risarcimento del  danno  spettante  agli
 attori per l'occupazione illegittima di cui sopra;
      che,  a  seguito  dell'entrata  in  vigore  della  norma  di cui
 all'art.   1, comma 65,  della  legge  n.  549/1995,  il    tribunale
 dovrebbe  adottare  per  la  liquidazione dei danni di cui gli attori
 hanno chiesto il risarcimento i criteri, gia' dettati per il  calcolo
 dell'indennita'   di   espropriazione,  di  cui  all'art.  5-bis  del
 decreto-legge n. 333/1992
  succitato, piuttosto che quello, seguito in  precedenza, del  valore
 venale del bene;
     che   e',   quindi,   rilevante   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, comma 65, della legge   28 dicembre  1995
 n.  549, cosi' come sostitutivo del comma 6 dell'art. 5-bis del d.-l.
 11 luglio 1992 n. 333,  convertito, con modificazioni, dalla legge  8
 agosto1992  n.  359,  che  il  collegio  ritiene  di  dover esaminare
 d'ufficio a norma dell'art. 23, comma terzo, della legge  11    marzo
 1953 n. 87;
    Ritenuto altresi':
     che,  secondo  la ricostruzione della fattispecie dell'accessione
 invertita (o occupazione  acquisitiva),    l'acquisto  in  capo  alla
 pubblica   amministrazione   "del   nuovo   bene   risultante   dalla
 trasformazione del precedente  si configura... come  una  conseguenza
 ulteriore,  eziologicamente  dipendente  non  dall'illecito  ma dalla
 situazione  di  fatto  -  realizzazione   dell'opera   pubblica   con
 conseguente  non  restituibilita' del suolo in essa incorporato - che
 trova il suo antecedente storico nella illecita occupazione  e  nella
 illecita  destinazione  del fondo alla costruzione dell'opera stessa"
 (Corte costituzionale 17-23 maggio 1995  n.  188),  sicche'  l'intera
 fattispecie  viene  attratta  nell'ambito dell'illecito, nel quale la
 somma di denaro che  la  p.a.  e'  tenuta  a  pagare  al  privato  in
 conseguenza  della  perdita  da  lui  subita,  "costituisce  non  gia
 controvalore, ma reintegrazione patrimoniale a  titolo  risarcitorio,
 di  cui il valore del bene non e' che un parametro di determinazione"
 (Corte cass s.u. n. 12546/1992 cit.);
     che, pertanto, la fattispecie in esame e'  assolutamente  diversa
 da  quella  dell'espropriazione di aree edificabili (cfr. Corte cost.
 16 dicembre 1993 n. 442), la quale  presuppone,  invece,  che  l'ente
 espropriante  abbia  seguito  un  procedimento legittimo, in esito al
 quale  soltanto  e'  consentita  la  corresponsione  al  privato   di
 un'indennita'  che, seppure congrua, seria, adeguata, puo' non essere
 esattamente commisurata al valore venale del bene;
     che la diversita' tra  le  fattispecie  e'  resa  evidente  dalla
 circostanza   che  nel  caso  dell'espropriazione  l'ordinamento  non
 reagisce ad un danno, da risarcire, ma tende a  garantire  un  giusto
 corrispettivo  al  soggetto  che  si  e'  visto  sottrarre un proprio
 diritto per i motivi d'interesse generale sottesi all'espropriazione;
     che, viceversa, nell'ipotesi dell'occupazione acquisitiva  vi  e'
 l'esigenza  di  reagire  ad  un fatto che determina una lesione della
 sfera giuridica  individuale,  considerata  sotto  il  profilo  della
 lesione  della  proprieta',  e  che  e'  illecito  perche'  posto  in
 "violazione - certamente consapevole - delle norme  che  stabiliscono
 in  quali  casi e con quali procedimenti la proprieta' di un immobile
 privato puo' essere autoritativamente  sacrificata  per  esigenze  di
 pubblico  interesse,  ai  sensi  dell'art.  42,  terzo  comma,  della
 Costituzione,  nonche'  delle  norme  che  consentono  la  temporanea
 compressione  della  facolta'  di  godimento dei beni privati" (Corte
 cass. s.u. 26  febbraio  1983  n.  1464;  pertanto,  il  risarcimento
 risponde  in  tale  caso alla finalita' tradizionale di compensazione
 pecuniaria di danni patrimoniali e quindi  la  relativa  liquidazione
 dovrebbe  rispettare la regola dell'equivalenza tra danno cagionato e
 danno da risarcire;
     che la norma  di  cui  all'art.  1,  comma  65,  della  legge  n.
 549/1995, equiparando gli effetti economicopatrimoniali della perdita
 del  bene  per  fatto  illecito a quelli dell'espropriazione secundum
 legem, appare illegittima per violazione della norma di cui  all'art.
 3,  comma  primo,  della  Costituzione  sia perche', in contrasto col
 principio di ragionevolezza, si vengono a  trattare  in  modo  uguale
 situazioni  diverse,  sia  perche'  il  legislatore,  attribuendo  al
 rapporto  la  qualificazione  giuridica  propria  dell'illecito,  nel
 presupposto  che  esso corrisponda nella sua sostanza a quella (tanto
 e' vero che fa espresso riferimento al "risarcimento  del  danno"  in
 aggiunta  ed in alternativa all'indennizzo), finisce per assoggettare
 il  rapporto  cosi'  qualificato  ad  una  disciplina   completamente
 diversa, quale e' quella dettata in materia di espropriazione di aree
 edificabili;   con   l'ulteriore   ingiustificata  sperequazione  che
 identiche saranno le conseguenze per l'ente espropriante  che  faccia
 ricorso  ad  un  legittimo  procedimento  espropriativo  e quello che
 invece ponga in essere un'attivita' illecita;
     che  la  questione  di legittimita' costituzionale della norma in
 discorso nemmeno appare manifestamente infondata con riferimento alla
 norma di cui all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in  quanto
 vanifica  la    limitazione,  contenuta  in tale norma, del potere di
 esproprio della p.a. ai soli casi previsti dalla legge:  ed,  invero,
 sebbene   sia   possibile  la  coesistenza  nell'ordinamento  di  una
 pluralita' di modelli espropriativi, tuttavia perche'   all'integrale
 ristoro    del    sacrificio   subito   dal   privato   per   effetto
 dell'espropriazione possa sostituirsi l'indennizzo (cosi' come  ormai
 univocamente  inteso nel senso di congruo ristoro) e' necessario, per
 il disposto della  norma    costituzionale  suddetta,  che  l'ipotesi
 ablativa  sia legislativamente configurata in conformita' allo schema
 traslativo presupposto da tale norma;
    Ritenuto infine:
     che effettivamente non e' precluso  al  legislatore,  nell'ambito
 della  figura  generale del risarcimento, derogare al principio della
 riparazione integrale del danno sofferto (di cui all'art.  1223  cod.
 civ.,  richiamato,  per  i fatti illeciti, dall'art. 2056 cod. civ.),
 disponendo per  legge  il  limite  massimo  del  risarcimento  ovvero
 determinando legislativamente il quantum dovuto;
     che  tuttavia la deroga al regime ordinario nella fattispecie che
 ci  occupa  appare  di   dubbia   legittimita'   costituzionale   con
 riferimento  alla  norma di cui all'art. 3, primo comma, nonche' alla
 disciplina  di  cui  all'art.  42,  comma  secondo  e  terzo,   della
 Costituzione,  dal  momento che, prevedendo l'ordinamento un apposito
 procedimento nell'ambito del  quale  va  operata  la  mediazione  tra
 l'interesse generale sotteso all'espropriazione e l'interesse privato
 espresso  dalla proprieta' privata quando la p.a. si trova ad operare
 al di fuori di  tale  procedimento,  mentre  e'  compatibile  con  la
 disciplina suddetta il mancato adempimento della pretesa restitutoria
 (in  attuazione  della  funzione sociale della proprieta': cfr. Corte
 cost.  31  luglio  1990  n.  384),  non  trova   alcuna   ragionevole
 giustificazione la mancata integrale tutela risarcitoria:  ed invero,
 in  tale  caso la completa ed adeguata valutazione degli interessi in
 gioco  presuppone  l'integrale  risarcimento  del  danno  subito  dal
 privato,   risolvendosi   la   diversa   soluzione   legislativa   in
 un'ulteriore limitazione apportata alla  proprieta'  privata  che  si
 traduce  - non essendo finalizzata ad assicurarne la funzione sociale
 (cfr. art. 42, comma secondo, della Costituzione operando al di fuori
 di una procedura espropriativa (cfr.  art.  42,  comma  terzo,  della
 Costituzione) - in un'ingiustificata compressione del diritto;
     che  tale irragionevolezza e' ancora piu' evidente ove si compari
 la posizione di chi subisce l'occupazione acquisitiva con quella  del
 proprietario del suolo su cui venga costruito l'altrui edificio (art.
 938  c.c.):  a  prescindere,  infatti,  dal quantum spettante a quest
 ultimo - di sicuro  non  necessariamente  estensibile  a  fattispecie
 simili  -,    e'  pur vero che il fenomeno dell'accessione invertita,
 contemplato appunto dall'art. 938 c.c. e  posto  a  fondamento  della
 stessa  occupazione  acquisitiva,  importa  un  integrale ristoro del
 pregiudizio economico sofferto  dall'originario  proprietario  e  che
 tale  ristoro e' invece escluso in radice - e per definizione - dalla
 norma della cui legittimita' costituzionale si dubita;
   Ritenuta  pertanto la non manifesta infondatezza della questione di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 65, della  legge  28
 dicembre  1995  n.  549, cosi' come sostitutivo del comma 6 dell'art.
 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito, con modificazioni,
 dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, per contrasto con l'art. 3,   primo
 comma, e con l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.