ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1 (e relativa
 tabella A) del d. lgs.  30  dicembre  1992,  n.  503  (Norme  per  il
 riordinamento  del  sistema  previdenziale  dei  lavoratori privati e
 pubblici, a norma dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421)  e
 11  (e  relativa  tabella  A)  della  legge  23 dicembre 1994, n. 724
 (Misure di razionalizzazione della finanza  pubblica),  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  19  dicembre  1995  dal pretore di Torino, nel
 procedimento civile vertente tra Cirigliano Domenico e INPS, iscritta
 al n. 126 del registro ordinanze 1996  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  8,  prima serie speciale, dell'anno
 1996;
   Visti gli atti di costituzione dell'INPS e di  Cirigliano  Domenico
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  26  novembre  1996  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto;
   Uditi  gli  avvocati Carlo De Angelis per l'INPS, Salvatore Cabibbo
 per Cirigliano Domenico e l'Avvocato dello Stato Giuseppe  Stipo  per
 il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Nel  corso  di  un  giudizio  in  cui  il ricorrente, gia'
 dipendente di un'azienda in crisi  e  beneficiario  della  "mobilita'
 corta" ex art. 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, aveva chiesto il
 riconoscimento  del  diritto alla pensione di vecchiaia al compimento
 del 60 anno di eta' (secondo la normativa vigente al momento  in  cui
 era  stato collocato in mobilita') e non gia' al 62 (a' termini della
 legge sopravvenuta), il pretore di Torino - con ordinanza  emessa  il
 19  dicembre  1995  -  ha  sollevato,  in relazione agli artt. 3 e 38
 Cost., questione di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  1  (e
 relativa  tabella A) del d lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, "sia in se'
 considerato sia in quanto innovato" dall'art. 11 (e relativa  tabella
 A)  della  legge  23  dicembre  1994,  n. 724, nella parte in cui non
 vengono fatti salvi i limiti di eta' per la pensione di vecchiaia (60
 anni) previsti dalla previgente  normativa  in  favore  dei  soggetti
 posti  in  "mobilita'  corta" anteriormente al decreto legislativo n.
 503 del 1992, per i quali il  diritto  a  pensione  sarebbe  maturato
 entro la scadenza del triennio di mobilita'.
   A parere del rimettente il periodo di mobilita' triennale era stato
 concesso   all'attore  con  decorrenza  dall'11  febbraio  1992  "sul
 presupposto e dandogli la certezza"  del  pensionamento  prima  della
 fine  del  periodo  stesso  (11  febbraio  1995), compiendo egli il 1
 dicembre 1994 il sessantesimo  anno  di  eta'.  Medio  tempore  pero'
 l'eta'  pensionabile era stata elevata, dapprima al compimento del 61
 anno  di  eta'  e  poi  al  compimento  del  62  anno,  per  effetto,
 rispettivamente, dell'art. 1 (e relativa tabella  A)  del  d.lgs.  30
 dicembre  1992,  n.  503  e dell'art. 11 (e relativa tabella A) della
 legge 23 dicembre 1994, n. 724. Per cui il lavoratore aveva lamentato
 la privazione di ogni fonte di reddito tra la fine della mobilita'  e
 la  nuova  data di pensionamento (e precisamente dal 12 febbraio 1995
 al 1 dicembre 1996), in quanto escluso  dal  mercato  del  lavoro  in
 ragione dell'eta'.
   Sostiene  il  pretore che la maturazione del diritto a pensione era
 ormai acquisita nel patrimonio giuridico dell'assicurato poiche'  nel
 documento  dell'INPS  era  negata  ogni  soluzione di continuita' tra
 retribuzione e pensione.
   Il giudice a quo  esclude  possa  estendersi  alla  fattispecie  la
 diversa  ipotesi  normativa  che,  per  la  "mobilita'  lunga", ed in
 particolari ipotesi, rende inoperante la disciplina sopravvenuta  (ex
 art. 6, comma 10-bis, del d.-l. 20 maggio 1993, n. 148, convertito in
 legge 19 luglio 1993, n. 236, come interpretato dall'art. 5, comma 7,
 del d.-l. 16 maggio 1994, n. 299, convertito in legge 19 luglio 1994,
 n.  451),  trattandosi  di un'eccezione alla regola generale. Ma tale
 previsione egli espressamente richiama quale  tertium  comparationis,
 sospettando la denunciata normativa di violazione dell'art. 38 Cost.
   2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che  ha  concluso
 per  l'inammissibilita',  ovvero  per l'infondatezza della questione.
 Osserva l'Avvocatura come, a seguito dell'elevamento dell'eta' per il
 collocamento a riposo, la disposizione citata dal pretore  di  Torino
 quale  tertium  comparationis  abbia consentito che la determinazione
 dei requisiti richiesti dalla norma  predetta  avvenisse  sulla  base
 della  normativa previgente. Tuttavia, anche senza tale intervento, i
 lavoratori di cui ai citati commi 6 e 7 avrebbero comunque goduto  di
 un  trattamento  economico  dal  collocamento  in  mobilita'  fino al
 pensionamento. Secondo l'Avvocatura, a seguire  il  ragionamento  del
 pretore  -  che  censura  la  scelta  legislativa  di non aver voluto
 collegare anche per gli altri lavoratori  la  fine  della  percezione
 dell'indennita'  di  mobilita' con la data del pensionamento - per un
 lavoratore di cinquanta anni di eta' l'indennita' in parola  dovrebbe
 estendersi  da  trentasei  mesi  a dieci anni, senza la previsione di
 alcuna copertura finanziaria: il  che  sarebbe  assurdo.  Inoltre  il
 rimettente  avrebbe  omesso di accertare la sussistenza dei requisiti
 contributivi richiesti dai citati commi 6 e 7.
   3. - Nel giudizio dinanzi a questa  Corte  si  sono  costituiti  la
 parte   privata   e  l'INPS.  La  parte  privata,  in  linea  con  la
 prospettazione dell'ordinanza di  rimessione,  ha  osservato  che  la
 norma  impugnata  non  ha  fatto  salva  la  legittima aspettativa di
 soggetti che si trovavano in una  situazione  analoga  a  quella  del
 ricorrente,  contrariamente a quanto avvenuto per altre categorie che
 hanno goduto di un regime eccezionale rispetto  alla  modifica  della
 disciplina dell'eta' pensionabile.
   L'INPS   ha   invece   sostenuto  l'infondatezza  della  questione,
 rilevando che la  "mobilita'  corta"  e'  un  trattamento  temporaneo
 introdotto  in  favore  di  lavoratori  di  aziende in crisi e non e'
 strutturata per garantire  la  continuita'  dell'indennita'  fino  al
 pensionamento.    Il  fatto che il periodo di assistenza si esaurisca
 prima del maturarsi dei requisiti richiesti per il diritto a pensione
 non  e' indice di discriminazione, ne' dipende dalla asserita carenza
 dei mezzi previdenziali.  D'altra parte neppure e' confrontabile tale
 situazione con le particolari condizioni, anche di natura ambientale,
 dei lavoratori posti in mobilita' lunga.
                         Considerato in diritto
   1. -  Il pretore di Torino dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 1  (e  relativa  tabella  A)  del  decreto  legislativo  30
 dicembre  1992,  n.  503,  "sia  in  se'  considerato,  sia in quanto
 innovato" dall'art.   11  (e  relativa  tabella  A)  della  legge  23
 dicembre  1994,  n. 724, nella parte in cui non vengono fatti salvi i
 previgenti limiti di eta' per conseguire la pensione di vecchiaia  in
 favore  dei  lavoratori  posti  in  "mobilita'  corta"  anteriormente
 all'entrata in vigore del citato decreto legislativo, lavoratori  per
 i quali il diritto alla pensione di vecchiaia sarebbe originariamente
 maturato entro il periodo di mobilita' (nel caso di specie, trentasei
 mesi).
    2. - La questione non e' fondata.
   2.1.  -  L'iscrizione  nelle  liste  di  mobilita'  comporta  per i
 lavoratori l'acquisizione di  uno  status  produttivo  di  molteplici
 obblighi  e  diritti, tra i quali ultimi si annovera la percezione di
 un'indennita' (cfr. sentenza n. 413 del 1995).
   L'art. 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, nel dettare le  misure
 e  la  durata  del  beneficio, introduce una fondamentale distinzione
 enunciando dapprima la regola generale di cui  al  comma  1,  con  la
 specifica  deroga  di  cui  al comma successivo, e prevedendo poi nei
 commi 6 e 7 una  fattispecie  a  carattere  eccezionale,  comunemente
 definita  "mobilita'  lunga", in contrapposizione alla prima ipotesi,
 che percio' viene denominata "mobilita' corta".
   Nel presupposto della cessazione del rapporto  di  lavoro  per  una
 molteplicita' di cause - che vanno dalla constatata impossibilita' di
 garantire     il    reimpiego    ai    lavoratori    sospesi,    fino
 all'assoggettamento del datore di lavoro a procedure concorsuali -  e
 in presenza di requisiti minimi di anzianita' aziendale, l'indennita'
 di  cui sopra viene erogata per un periodo direttamente proporzionale
 all'eta' dei lavoratori (e in nessun  caso  superiore  all'anzianita'
 aziendale).  Piu'  in  dettaglio,  il  beneficio  e' riconosciuto per
 ventiquattro mesi ai lavoratori che abbiano compiuto  i  quarant'anni
 d'eta'  e  per  trentasei  mesi  a  quelli  che  abbiano  compiuto  i
 cinquant'anni, con riduzione all'ottanta per cento dal tredicesimo al
 trentaseiesimo mese. Nelle  aree  del  mezzogiorno  di  cui  al  t.u.
 approvato con d.P.R. 6 marzo 1978, n.  218, il periodo di riferimento
 e'   poi   elevato  a  quarantotto  mesi  in  favore  dei  lavoratori
 ultracinquantenni.
   Si  tratta  dunque  di  una  provvidenza  intesa  a  rendere   meno
 traumatici  i processi espulsivi dal mondo del lavoro cagionati dalla
 crisi aziendale; con un'accentuazione della  portata  protettiva  nei
 confronti   dei  lavoratori  presuntivamente  piu'  svantaggiati  sul
 mercato in ragione della loro eta' non piu' giovane, e che sono stati
 collocati in mobilita'  secondo  i  criteri,  di  matrice  negoziale,
 previsti  dall'art.  5 della stessa legge. Soltanto dall'applicazione
 di tali criteri puo' derivare  una  preferenza  nella  scelta  per  i
 lavoratori  piu'  vicini  al  collocamento  a  riposo; mentre nessuna
 saldatura viene comunque operata  dalla  legge  tra  il  rapporto  di
 lavoro  ed  il  trattamento pensionistico, che non puo' dunque essere
 assunto    quale   momento   conclusivo   della   complessa   vicenda
 procedimentale descritta dal legislatore.
   Come in quest'ultima non  e'  ravvisabile  la  fonte  d'un  qualche
 diritto  alla  stabilita'  del  posto  di  lavoro (bensi' soltanto di
 quello  alla  corretta  applicazione  dei  criteri  anzidetti:   cfr.
 sentenza  n. 268 del 1994), cosi' non e' possibile configurare alcuna
 situazione soggettiva basata sulla pretesa assenza  di  soluzione  di
 continuita'  tra  la  percezione  dell'indennita'  di  mobilita' e il
 diritto a pensione, vale a dire fra due benefici che  sono  tra  loro
 soltanto  in  rapporto  di necessaria successione temporale ma non di
 prosecuzione. E di cio', indiretta conferma si trae dal quinto  comma
 dello  stesso art. 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che consente
 l'erogazione anticipata in unica  soluzione  dell'indennita'  di  cui
 trattasi.
   2.2.  - Codesta possibilita' - occorre sottolineare - rimane invece
 di  per  se'  esclusa  nell'ipotesi  della   mobilita'   lunga,   che
 inappropriatamente  viene  richiamata  nell'ordinanza  di  rimessione
 quale tertium comparationis, stante la  palese  disomogeneita'  delle
 situazioni  messe  a confronto.   Al riguardo giova ricordare che per
 determinate aree geografiche e per alcune specifiche  circostanze  e'
 previsto un utilizzo del tutto diverso dell'istituto in parola, volto
 a  consentire ai lavoratori in possesso dei requisiti di anzianita' e
 di contribuzione dettati dalla norma, di percepire l'indennita'  sino
 alla   maturazione   dei   trattamenti  di  vecchiaia,  ed  anche  di
 anzianita'. A se'guito delle modifiche apportate ai  limiti  di  eta'
 per   il  conseguimento  della  pensione  di  vecchiaia  dalle  norme
 impugnate,  il  legislatore  ha  precisato  che  appunto  per   detta
 fattispecie,  con  riguardo  alla  quale  sono stati dilatati anche i
 limiti temporali, e solo per essa,  avrebbero  dovuto  applicarsi  le
 previgenti  disposizioni  (cfr.  art.  6,  comma 10-bis, del d.-l. 20
 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, come
 interpretato dall'art. 5, comma 7, del d.-l. 16 maggio 1994, n.  299,
 convertito in legge 19 luglio 1994, n. 451).
   La  sostanza dell'impianto dato alla materia dalla legge n. 223 del
 1991 non risulta dunque  in  alcun  modo  modificata  dagl'interventi
 normativi  succedutisi nella prospettiva della riforma previdenziale,
 che solo per relationem acquistano evidenza  in  questo  contesto.  E
 chiaro  appare come la necessaria integrazione non abbia inciso sulla
 descritta qualificazione delle posizioni dei  lavoratori:  unicamente
 nell'ipotesi   di   mobilita'   lunga   l'indennita'  e'  assicurata,
 permanendo il diritto all'iscrizione, come elemento che congiunge  la
 sequenza  retribuzione-pensione; negli altri casi quest'ultima rimane
 oggetto di una mera aspettativa, per chi si trovi in mobilita'  corta
 come  per  chiunque altro, e il disagio che ne deriva e' da riportare
 solo alle condizioni generali del mercato di lavoro.
   2.3. - Non potrebbe allora questa Corte -  senza  inammissibilmente
 modificare   la   funzione   dell'indennita'  di  mobilita'  (corta),
 trasferendo nell'a'mbito assicurativo tutti gli effetti  del  recesso
 ex  art.  4  e  segg.  della  legge  n. 223 del 1991 - inserire nelle
 denunciate norme una previsione che assicuri l'immediato  trattamento
 pensionistico  a  coloro  i  quali  avessero  raggiunto il previgente
 limite  del  sessantesimo  anno  durante  il  periodo  di   godimento
 dell'indennita'  stessa.  Anche  prima  dell'entrata  in  vigore  del
 decreto legislativo n. 503 del 1992 tale sovrapposizione di date  era
 circostanza  occasionale  (e  meramente  ricognitiva  di questa e' da
 ritenersi la nota dell'istituto erogatore  richiamata  nell'ordinanza
 di  rimessione);  non  venendo dunque a costituire il contenuto di un
 diritto, del quale  si  possa  richiedere  il  coordinamento  con  la
 legislazione  successiva  ovvero  il riconoscimento in praeteritum da
 parte di essa attraverso  una  sentenza  additiva  della  Corte.  Una
 pretesa   in   tal   senso  trova  spiegazione,  evidentemente,  solo
 nell'avere assunto quale tertium  comparationis  l'ipotesi  normativa
 riferita   alla  mobilita'  lunga,  trascurando  di  considerarne  la
 inidoneita'  per  il  suo  carattere  di  eccezionale  e  derogatoria
 proroga,  in  parte qua, del previgente regime pensionistico. Mentre,
 d'altra parte, inconferente si palesa il generico richiamo, che si fa
 nell'ordinanza di rimessione,  "al  principio  di  sicurezza  sancito
 dall'art.  38  della  Costituzione  e,  segnatamente, al principio di
 certezza nei traguardi conseguiti  dall'assicurato  su  tale  piano":
 proprio  perche' nessun traguardo nella specie era stato raggiunto in
 relazione al  trattamento  pensionistico.  Il  beneficio  di  cui  in
 precedenza  godeva il lavoratore, altro non rappresentava infatti che
 l'esito di una misura di politica economica (dettata dal  legislatore
 unitamente  al  regime  della  cassa integrazione e del licenziamento
 collettivo) conseguente alla risoluzione del  rapporto  a  causa  del
 ridimensionamento  dell'azienda;  misura,  in presenza della quale il
 principio di adeguatezza dei mezzi va armonizzato con le esigenze  di
 governo  del  mercato  del  lavoro,  di  salvaguardia  dell'attivita'
 produttiva, nonche' di  controllo  sull'attuazione  delle  procedure,
 anche  per  evitare  che  queste  possano  venire strumentalizzate al
 diverso fine di uno svecchiamento del personale occupato.