ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  artt.  4,  quarto
 comma,  della  legge 29 maggio 1967, n. 379 (Modificazioni alle norme
 sulla riforma fondiaria), e 19, comma 1, della legge  regione  Puglia
 11  marzo  1988,  n.  11 (Norme relative alle funzioni, agli organi e
 alla organizzazione amministrativa dell'Ente  regionale  di  sviluppo
 agricolo della Puglia), promosso con ordinanza emessa il 26 settembre
 1995  dal  tribunale  di  Foggia nel procedimento civile vertente tra
 Viscillo Michele Donato ed altra e Di Sapio Vito ed  altra,  iscritta
 al  n.  245  del  registro  ordinanze  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 12,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio dell'11 dicembre  1996  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un procedimento civile - promosso dai proprietari
 confinanti  di  un  podere al fine di essere sostituiti ai convenuti,
 affittuari  coltivatori  diretti,  nell'acquisto  del  fondo  stesso,
 oggetto  di  assegnazione  da  parte  dell'Ente regionale di sviluppo
 agricolo della Puglia (ERSAP) e di successiva alienazione  effettuata
 dall'assegnatario   con   atto  pubblico  del  7  dicembre  1987,  in
 violazione del diritto di prelazione previsto in favore degli  attori
 -  il Tribunale di Foggia, con ordinanza emessa il 26 settembre 1995,
 ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.  3,  primo  comma,   Cost.,
 questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4, quarto comma,
 della  legge  29  maggio 1967, n. 379 (Modificazioni alle norme sulla
 riforma fondiaria), e 19, comma 1,  della  legge  regione  Puglia  11
 marzo  1988,  n. 11 (Norme relative alle funzioni, agli organi e alla
 organizzazione  amministrativa  dell'Ente   regionale   di   sviluppo
 agricolo della Puglia).
   Affermata   preliminarmente   la   mera   annullabilita'   assoluta
 (esperibile  nel  termine  di  cinque  anni  da  chiunque  vi   abbia
 interesse) del contratto con cui l'assegnatario - entro il limite dei
 trent'anni  dall'assegnazione  e  senza  la  autorizzazione dell'ente
 preposto alla riforma fondiaria - concede il fondo in godimento ad un
 coltivatore diretto, il rimettente  fa  propria  una  interpretazione
 teleologica,  estensiva del dato letterale del censurato quarto comma
 dell'art. 4 della legge n. 379 del 1967 (per il quale il  diritto  di
 prelazione  dell'ente  prevale  su  quello dei confinanti, che a loro
 volta sono preferiti nei confronti di ogni  altro  avente  diritto  a
 prelazione),  secondo cui le altre categorie di soggetti titolari del
 concorrente  diritto  di  prelazione  vanno  appunto  individuate nei
 coltivatori  diretti  comunque  insediati  legittimamente  sul  fondo
 (nella  specie,  per il mancato esercizio dell'azione di annullamento
 nel termine prescritto).
   Il Tribunale di Foggia coglie, dunque, una  palese  disarmonia  tra
 tale  disciplina  e quella della prelazione agraria ordinaria, di cui
 alla legge 26 maggio 1965, n. 590, come  modificata  dalla  legge  14
 agosto  1971,  n.  817,  che  attribuisce  la  prevalenza del diritto
 dell'affittuario, del mezzadro, del colono ecc. su quello concorrente
 dei proprietari confinanti.
   Affermata la rilevanza della questione, data la sussistenza in capo
 ai convenuti di tutti i requisiti  oggettivi  e  soggettivi  previsti
 dalle   leggi  n.  379  del  1967  e  n.  590  del  1965  (richiamata
 quest'ultima dalla  denunciata  legge  regionale  n.  11  del  1988),
 ritiene  il  rimettente - il quale peraltro non ignora la specialita'
 della normativa  de qua - che la prospettata violazione del principio
 di uguaglianza derivi dalla disparita' di trattamento riservata dalle
 norme censurate rispetto a  situazioni  analoghe,  caratterizzate  da
 identica ratio ispiratrice, intesa a favorire il soggetto socialmente
 piu'  debole,  agevolando  la  formazione  della proprieta' contadina
 mediante  la  sua  attribuzione  a  chi   vi   esercita   l'attivita'
 imprenditoriale  di  coltivazione  diretta. Per cui, non sarebbe dato
 capire  il  perche'  l'affittuario  di   un   fondo   originariamente
 appartenente  all'ente  di  riforma  debba  soccombere  di  fronte ai
 confinanti che  esercitino  lo  stesso  concorrente  diritto,  mentre
 l'affittuario  di  un  fondo  privato  debba  prevalere, nelle stesse
 condizioni, sul diritto  di  questi  ultimi  ad  essere  privilegiati
 nell'acquisto.
   2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  dall'Avvocatura  dello  Stato,  che  ha  concluso  per
 l'inammissibilita'  o  l'infondatezza  della  sollevata questione, in
 ragione della contraddizione da cui muove l'ordinanza di  rimessione,
 la'  dove  riconosce  il  carattere  di  specialita'  della normativa
 censurata  per  poi  negarlo  nelle  conclusioni,  equiparandone   la
 disciplina  a  quella della prelazione agraria. Inoltre, l'Avvocatura
 sottolinea  la  evidente  forzatura  operata  dal   giudice   a   quo
 nell'assimilare  le posizioni dell'occupante del podere oggetto della
 riforma, nei confronti del quale non sia stata proposta  l'azione  di
 annullamento  del  titolo,  con quelle dell'affittuario, del colono e
 del compartecipante di un comune fondo agrario.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Il   Tribunale   di   Foggia   dubita   della   legittimita'
 costituzionale dell'art. 4, quarto comma, della legge 29 maggio 1967,
 n.  379, e dell'art. 19, comma 1, della legge regione Puglia 11 marzo
 1988, n. 11,  nella  parte  in  cui  non  consentono  all'affittuario
 coltivatore    diretto,   insediato   sul   fondo   dell'assegnatario
 riscattante, di esercitare il suo diritto di prelazione a  preferenza
 dei proprietari coltivatori diretti dei terreni confinanti.
   Secondo  il  rimettente,  il  diritto  di prelazione previsto dalle
 norme censurate sarebbe caratterizzato da  una  ratio  ispiratrice  -
 finalizzata  ad  agevolare  la formazione della proprieta' contadina,
 attribuendola  a  chi  vi  esercita  l'attivita'  imprenditoriale  di
 coltivazione diretta - identica a quella sottesa alla legge 26 maggio
 1965,  n.    590, come modificata dalla legge 14 agosto 1971, n. 817,
 che  dispone in materia di prelazione agraria ordinaria la prevalenza
 del diritto dell'affittuario, del mezzadro o del  colono,  su  quello
 concorrente  dei  proprietari  confinanti.  Da  cio' il contrasto con
 l'art. 3 Cost., stante  la  disparita'  di  trattamento  di  analoghe
 situazioni.
   2. - La questione non e' fondata.
   2.1.  - L'innovazione piu' radicale apportata dalla legge 29 maggio
 1967,  n.  379,  all'originario  sistema   introdotto   dalle   norme
 fondamentali di riforma fondiaria del 1950 (leggi n. 250 e n. 841 del
 1950)  e' da rinvenirsi nell'attribuzione all'assegnatario, che abbia
 adempiuto  agli  obblighi  essenziali  derivanti  dal   rapporto   di
 assegnazione,  della facolta' di riscattare anticipatamente il fondo,
 estinguendo il proprio debito nei confronti dell'ente dopo  soli  sei
 anni  dalla  relativa  immissione  nel possesso (art. 1). Si e' cosi'
 venuta a mutare profondamente la precedente  normativa,  la  quale  -
 configurando  l'assegnazione  come contratto di vendita con pagamento
 rateale del prezzo in trenta annualita' e riservato dominio dell'ente
 sino all'integrale pagamento (art. 17, primo comma, della  cosiddetta
 legge  Sila, n. 230 del 1950) - prevedeva l'inammissibilita' di forme
 di riscatto anticipato (art.  18, secondo comma), dal che  conseguiva
 l'impossibilita'  per  l'assegnatario  di  diventare proprietario del
 fondo prima dei trent'anni e, dunque, di poterne disporre.  Peraltro,
 a  garanzia  del  mantenimento  delle  finalita' sottese all'opera di
 riforma,   del   necessario    perdurante    impegno    professionale
 dell'assegnatario-riscattante   e   della   esclusione   di   intenti
 speculativi, con l'art. 4 della stessa legge n. 379 del 1967 e' stata
 contemporaneamente introdotta una serie di vincoli e limitazioni alla
 disponibilita' dei fondi riscattati,  mediante  l'imposizione  di  un
 regime di circolazione strettamente controllata dei fondi medesimi.
   In  tale  contesto  si inserisce la disposizione statale censurata,
 che  considera  il  diritto  di  prelazione  dell'ente   assegnatario
 sovraordinato  rispetto  a quello dei coltivatori diretti proprietari
 dei fondi confinanti, i quali a loro volta  sono  preferiti  ad  ogni
 altro avente diritto a prelazione.
   2.2. - Come emerge chiaramente dalla lettura dei lavori preparatori
 (cfr.  in  particolare  la  seduta  della  Commissione  agricoltura e
 foreste della Camera dei deputati del  12  ottobre  1966),  la  ratio
 ispiratrice di codesto sistema di prelazione si riporta "all'esigenza
 di favorire l'attaccamento alla terra delle migliori energie rurali e
 di   impedire   un   esodo   confuso,  irrazionale  dalle  campagne",
 determinato da un uso tecnico aziendale  delle  terre  divenuto,  nel
 tempo,  inidoneo  a  soddisfare  le necessita' socio-economiche delle
 unita' ivi operanti,  a  cagione  del  limitato  dimensionamento  dei
 singoli fondi di riforma.  Sicche' va considerata una precisa opzione
 del legislatore, quella di privilegiare l'accorpamento dei poderi, in
 modo  da  renderli  capaci  di  un  migliore  sfruttamento,  tuttavia
 evitando,   da   una   parte,   la   ricostituzione   di   proprieta'
 capitalistiche  in  sostituzione  di  quelle  contadine  create dalla
 riforma "con ingente impiego di pubblico denaro"  e,  dall'altra,  il
 pericolo di una frammentazione terriera.
   2.3.  - L'istituto oggetto del presente vaglio di costituzionalita'
 si configura, pertanto, come affatto diverso  rispetto  all'ordinario
 regime  della  prelazione  agraria in favore dei soggetti contemplati
 nell'art. 8 della legge n. 590  del  1965,  che  risulta  ispirato  a
 tutt'altra ratio, intesa specificamente a privilegiare il coltivatore
 diretto   insediato   sul   fondo   rustico  allo  scopo  prioritario
 (sottolineato dallo stesso collegio rimettente) "della concentrazione
 nelle mani dell'erogatore del lavoro agricolo  della  proprieta'  del
 fattore  produttivo  terra,  si'  da favorire la creazione di imprese
 diretto-coltivatrici stabili". Un regime  -  puo'  aggiungersi  -  di
 valenza essenzialmente privatistica, che solo in via gradata consente
 la  prelazione dei proprietari confinanti dando cosi' un rilievo solo
 secondario alla finalita' di  accorpamento  dei  fondi,  e  cui  sono
 teleologicamente   estranee   tutte   quelle  peculiari  connotazioni
 squisitamente pubblicistiche volute  dal  legislatore  del  1967  per
 incidere,  in via temporanea, sulla liberta' di circolazione del bene
 onde salvaguardare appunto il conseguimento degli scopi della riforma
 fondiaria.
   Siffatte connotazioni sono facilmente individuabili  (con  riguardo
 alla  legge  n. 397 del 1967, sostanzialmente riprodotta e richiamata
 dalla legge della Regione  Puglia  n.  11  del  1988)  nelle  sancite
 esclusioni  della  frazionabilita'  dei  fondi (art. 4, primo comma),
 della loro alienazione in favore di soggetti non aventi le prescritte
 caratteristiche (art. 4, secondo comma) e della libera determinazione
 del  prezzo  in  misura  superiore  a  quello  riconosciuto   congruo
 dall'Ispettorato  provinciale dell'agricoltura (art. 4, terzo comma),
 nonche' nella previsione, in caso di piu'  confinanti  che  intendano
 esercitare   il  diritto  di  prelazione,  dell'esclusiva  competenza
 dell'ente di riforma  a  scegliere  il  soggetto  preferito,  appunto
 "avuto   riguardo  alla  migliore  ripartizione  del  fondo  ai  fini
 dell'accorpamento con i terreni confinanti" (art. 4, sesto comma).
   2.4. - Si e' allora in presenza di una disciplina peculiare, in se'
 compiuta e marcatamente autonoma rispetto a quella  della  prelazione
 agraria  ordinaria, nella quale viceversa non viene in considerazione
 la tutela delle rilevate  particolari  finalita'  istituzionali,  che
 hanno  come  loro  esponenziale  un  soggetto  assente  nella  comune
 disciplina agraria, qual e' l'ente di riforma. Il che spiega come  la
 legge  n.    379 del 1967 non faccia riferimento alcuno agli istituti
 tipici della prelazione agraria in favore  del  coltivatore  diretto,
 sebbene  questa  fosse  stata  gia'  positivamente disciplinata dalla
 preesistente legge n. 590 del 1965; e come, del pari, nel  successivo
 intervento  operato  dalla legge n. 817 del 1971 - inteso ad ampliare
 il novero dei soggetti titolari del  diritto  di  prelazione  agraria
 mediante  l'inclusione,  pur  se  in  rapporto  di postergazione, dei
 proprietari dei fondi confinanti  -  non  sia  stato  previsto  alcun
 collegamento con la vigente disciplina della prelazione qui in esame.
   2.5.  - Del resto, questa Corte ha gia' avuto occasione di rilevare
 come detta legge, in coerenza col sistema emergente dagli  artt.  41,
 42,   44   e   47  Cost.,  abbia  creato  uno  "statuto  proprietario
 differenziato", che si incentra non solo sul divieto di frazionamento
 delle unita' poderali costituite dagli enti di riforma fondiaria,  ma
 anche  sull'esigenza,  conseguita  al  processo d'industrializzazione
 dell'agricoltura sopravvenuto dopo il 1950, di un  loro  accorpamento
 al fine della conservazione delle aziende con dimensioni ottimali (v.
 sentenze  n.  233  del  1991  e n. 103 del 1985). Donde la preferenza
 accordata, in sede di prelazione, ai coltivatori diretti  proprietari
 confinanti  dei fondi di riforma oggetto di alienazione, i quali - e'
 il  caso  di  aggiungere  -  hanno  preso parte all'opera pubblica di
 redenzione del latifondo, sopportandone i relativi oneri, obblighi  e
 sacrifici.
   2.6.  -  Ne  discende,  chiaramente,  che  non  e' configurabile la
 ingiustificata disparita' di trattamento, con riguardo alla quale  il
 collegio    rimettente   sospetta   la   violazione   del   principio
 d'eguaglianza.